giovedì 20 aprile 2023

I numeri e il possibile.

Oggi voglio fare una riflessione. 
Viviamo ogni giorno un insieme di esperienze. Sperimentiamo il nostro relazionarci con gli altri, ci misuriamo con la professione che svolgiamo, col ruolo in famiglia o con gli amici, ci mettiamo alla prova, mettiamo alla prova gli altri, siamo sotto la lente d'ingrandimento degli altri, il che accade reciprocamente.

Se siamo il prodotto di tutta una serie di esperienze, sviluppiamo una nostra visione del mondo. 
C'è una bellissima parola tedesca per questo: weltanschauung, però dobbiamo estrarla dall'ambito filosofico, complesso, nel quale si sviluppa, per applicarla alla nostra esperienza sensibile, al nostro vissuto di persone comuni. 
Siamo naturalmente portati a pensare, attingendo al nostro bagaglio di esperienze e di osservazione del mondo, a cosa sia impossibile e cosa possibile. Cosa praticabile e cosa non. Forse il tipo di formazione dalla quale proveniamo ci ha insegnato a dividere il mondo in categorie precise, separate da confini netti e per questo invalicabili. Abbiamo imparato l'impossibilità della contaminazione fra categorie differenti, abbiamo inevitabilmente seguito il "pensiero unico", trasversale a ogni ideologia. 
Questa rigidità della visione ci porta a non sviluppare il nostro pensiero, quanto piuttosto ad arroccarlo su posizioni "rassicuranti", secondo quel sistema di "bias" cui ho dedicato questo post
Sembrerebbe innocua, ma in realtà questa mancanza di flessibilità ci penalizza, ci preclude la conoscenza, impedisce il confronto, l'esperienza, chiude il nostro orizzonte e ci impoverisce. 

Per esempio, nel mio mestiere di insegnante arroccarsi su posizioni rigide "inquina" la missione, espone al rischio di etichettare situazioni e persone. Ci sarò cascata anch'io, non sono perfetta né mai lo diventerò - mi sono ampiamente raccontata qui - ma sto imparando, pian piano, a guardare ogni situazione, evento, da diversi punti di vista, senza troppo lasciarmi coinvolgere emotivamente. 
Fra le mille problematiche dell'insegnamento c'è proprio il lavoro su di sé per disincagliarsi dalle pastoie del giudizio e aprirsi a una nuova visione, in maniera continua, giornaliera perfino. 
Se proprio l'insegnante non guarda alla flessibilità come soluzione ideale dinanzi a problemi piuttosto importanti o minimi, allora la candidatura al fallimento è concreta. 
Se una strada è quella sbagliata, se non si raggiunge l'obiettivo seguendola, il maestro deve cambiare, cercare nuove strade, sperimentare. Ci sono insegnanti che dinanzi al disinteresse dell'alunno o alla sua mancata capacità di capire la disciplina che insegnano cominciano a irrigidirsi. 
Io, lo confesso, mi irrigidisco dinanzi all'indifferenza, alla mancanza totale di studio. 
Qui ho tentato una nomenclatura degli alunni-tipo. 
Diversamente accade quando l'impegno non manca, ma proprio non si riesce a superare l'impasse. È quanto mi capitò alle scuole medie con la matematica. 
Del tutto priva di basi alle elementari, fui catapultata alle medie senza quella fluidità dell'applicazione della regola. Difettavo in questa competenza anche dinanzi ad alcuni snodi dell'analisi logica, segno che non avevo sviluppato quelle competenze necessarie proprio durante il grado di scuola precedente.

La matematica, assieme alla geometria, per me scoglio invalicabile, divennero il mio tallone di Achille, dinanzi a teoremi, equazioni, forme bidimensionali e solide mi perdevo sentendomi frustrata.
Non mi vergogno di ammettere che non ci capivo niente di niente. A monte, c'è anche da dire, non sentivo alcuna emozione dinanzi a quesiti e regole. Percepivo tutto il pacchetto come astratto, un insieme arido e per me totalmente privo di qualcosa di interessante. Non ero in grado di risolvere problemi, ma allo stesso tempo non me ne importava nulla di quella soluzione né della procedura. 
In compenso, la frustrazione scaturiva dall'incompletezza del mio lavoro, dal sentirmi incapace rispetto ai compagni di classe che riuscivano, dal non fare del tutto il mio dovere di alunna. 



Se da una parte c'era il vasto territorio dei numeri, sterile e brullo, il territorio delle parole era il mio Eden ed era sconfinato quanto quello. Potenziavo sempre più le mie capacità di lettura, comprensione di un testo, elaborazione di uno scritto, esposizione dell'orale. Veloce, intuitiva, creativa nelle materie legate alla parola, lenta, inabile, insicura in quelle dove comparivano numeri. Questo sono stata nel triennio delle medie. Poi al liceo le cose andarono meglio, perché al Classico negli anni Ottanta la matematica era l'ultima delle orfanelle, con quelle due ore settimanali equiparate a una delle più comuni "educazioni". 
Ma perché vi racconto tutto ciò? Ci arrivo.
Intanto, in quegli anni si formò in me l'idea di una distinzione netta fra numeri e lettere, fra matematica e letteratura, fra algebra e filosofia. Sì, grandi filosofi erano anche matematici o in generale scienziati, così come grandi esponenti del mondo greco erano stati i padri della prima geometria e della fisica, ma mi rassicurava l'idea che la mia zona di conforto non sarebbe stata intaccata dalla mia totale ignoranza in fatto di numeri e procedure. 
Andai avanti per anni, fra liceo e università, senza che questo enorme "buco" intaccasse il mio percorso di formazione. Insomma, l'ho sfangata. Eppure mi è mancato un tassello importante, oggi ne sono più consapevole. 
Non so se dovrebbe consolarmi il fatto che la matematica oggi più che mai è materia nella quale oltre il 50% degli studenti non eccellono. Lo si vede dalle prove d'istituto, dai discorsi riportati da colleghi della materia, dal fatto che anche in questo ambito la percentuale di alunni che raggiungono almeno la sufficienza si sta assottigliando. 

Oggi ho qualche rimpianto. Cosa ne sarebbe stato di questa alunna se avesse avuto l'opportunità di buone basi alle elementari o perlomeno di ripetizioni pomeridiane, di corsi di recupero con tanto di tutor? Lasciatemi credere che qualcosa di buono avrei sicuramente fatto, perché mai mi è mancata la volontà all'impegno.
È stata una questione di opportunità, quella cosa poi legata al "merito" di cui si gloria l'attuale governo ritenendo che sia legato esclusivamente a capacità personali è del tutto peregrina e fuorviante. 
Oggi lo so per certo: essendo stata un'eccellenza nelle materie umanistiche, non mi sarebbe mancata la capacità di rendere prolifico quel terreno sterile dei numeri. 
Avrei potuto rendere possibile l'impossibile. Perché è vero che un alunno volenteroso e senza basi né particolare inclinazione possa arrivare a capire
Il danno è stato a monte: insegnanti incompetenti.
Può accadere anche oggi, dal mio punto di osservazione. Ahimè.
Ho avuto insegnanti di matematica che hanno messo un'etichetta sugli alunni non bravi nella materia. Professori incapaci di mutare percorso, di pensare a metodi diversi. Di incoraggiare.
Professori che hanno pensato "brava in Italiano, asina in matematica". 
Professori che magari chissà quante ne avranno dette ai tempi su di noi "asini" nell'applicazione del ragionamento numerico, nella logica. E questo è stato profondamente scorretto.
Non possiamo però vivere di rimpianti, ma almeno capire perché qualcosa non ha funzionato.

Un bel pensiero di Chiara Valerio a riguardo. 
Chiara Valerio
"L'impossibile è impossibile in sé, quando non abbiamo né il tempo né il modo per scardinarlo. Il modo in cui parliamo determina il modo in cui agiamo e pensiamo, e il modo in cui decidiamo di poter fare o non poter fare una determinata cosa. 
Non ho mai creduto che ci fosse una differenza fra la razionalità e il sentimento, per esempio. Tutti possediamo entrambe le cose, ma dipende da cosa stiamo guardando o che cosa vogliamo da una determinata situazione. Credere che le discipline scientifiche e quelle umanistiche siano separate o credere che le discipline scientifiche non siano anche umanistiche - perché l'umano ha a che fare con la comprensione delle cose e anche col fallimento del tentativo di comprendere le cose - è del tutto fuorviante. Le discipline umanistiche e quelle scientifiche sono due modi per misurare le cose
Non credo che i confini fra le cose siano fissi, l'impossibilità dipende dal contesto, e il contesto si può modificare, da soli e insieme". 

Cosa pensate di questi pensieri sparsi? Avete una vostra esperienza da raccontare che si avvicini a questa? Raccontatevi, vi leggerò molto volentieri. 

33 commenti:

  1. Io pure sono un "parolaio" :-D
    Finché ci fermiamo alla matematica di base me la cavo abbastanza bene, se si passa all'algebra sono dolori...
    In generale sono più attratto dalle materie umanistiche. Però, poiché da ragazzo avevo solo voglia di mollare la scuola il prima possibile, scelsi Ragioneria per le superiori pensando che così non avrei fatto l'università. Fu uno dei peggiori errori della mia vita (purtroppo non l'unico) e tuttavia il lavoro che faccio ormai da vent'anni è molto più attinente con la ragioneria che con le lingue che studiai all'università (perché per assurdo poi mi iscrissi a Lingue alla Terza di Roma proprio per "cancellare" gli anni delle superiori).
    Col senno di poi dico che in fondo aver imparato a convivere anche coi numeri è stato utile. Sono ancora negato, ma almeno posso capire meglio argomenti di finanza ed economia che nel quotidiano sono ugualmente utili su tante situazioni.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Almeno hai avuto la possibilità di conoscerli, almeno in buona parte, di tradurli in una competenza "applicativa", in sostanza di mediare fra i tuoi gusti e inclinazioni personali e l'esperienza di vita. Certo, fra Ragioneria e Lingue, è stato un bel mélange. :)

      Elimina
  2. La verità è un meccanismo di simbiosi con il reale che ti permette di avere una tua idea simile se non uguale a ciò che accade o è accaduto realmente. Naturalmente, di persona in persona, la verità cambia, poiché questa è soggettiva per cui, ognuno, di un episodio accaduto ha una sua versione, che può essere considerata falsa da alcuni e accettata come vera da altri. In Rashomon, capolavoro assoluto, senza età e senza censure del grandissimo autore giapponese Akira Kurosawa, la verità è il tema centrale, da cui partono i numerosi rami cinematografici che innesca l’autore in un interessante e difficile meccanismo a catena.
    Il film Rashomon è un classico sempre citato quale esempio. La trama è nota: un samurai viene assassinato e le tre testimonianze appaiono al tempo stesso vere e false. Perché ognuna è dominata dagli interessi di chi le racconta. Gli angoli visuali incidono in modo determinante sulla rappresentazione, sulle derivate narrazioni e conseguente stessa costruzione, o creazione, della “realtà”. Vista come appare a soggetti diversi. Ciò che si riporta con le parole, pure da conoscenze approfondite e da testimonianze davanti a realtà in apparenza non ambigue, è solo interpretazione.
    La verità riguarda soprattutto chi afferma un qualcosa in perfetta onestà, sia in una posizione di laico che in quella di religioso.
    La verità diventa maligna quando nell'affermazione c'è la tendenza a incanalarla nel proprio percorso preferito.
    Lo scrittore G. Carofiglio dedica una riflessione alla difficile arte, secondo lui creativa, di porre le domande giuste, e solo essenziali, durante gli interrogatori. Tra l'altro esamina il problema del rapporto tra comunicazione e realtà. Non sotto aspetti filosofici o metafisici, scientifici o fantascientifici, spesso oziosi, ma più significativamente comunicativi.
    La traduzione in parole condiziona la struttura stessa dei fatti, della conoscenza, di quella che per tradizione convenzionale – e illudendoci – chiamiamo “realtà?” Ci s'inganna specialmente sulla fiducia che ne esista una sola, quando ne possiamo mettere a confronto molte versioni, di cui alcune contraddittorie. Tutte risultano dalla comunicazione, spesso distorcente , e non da impossibili riflessi di verità oggettive ed eterne.
    In realtà siamo governati dalla dittatura del singolo pensiero, in assenza di intelligenza emotiva multifocale, la stessa ripetizione di un modo di pensare ci rende sonnambuli. Penso che ci sia un effetto collaterale su Internet, esattamente la ripetizione del collegato senza ulteriori analisi elimina l'effetto cognitivo per l'evoluzione del pensiero.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il rapporto fra verità multiple - perché di fatto non è mai una sola - è complesso e ho l'impressione che il comune cittadino sia "programmato" per non andare troppo in là con le sue riflessioni, per restare anzi arroccato sulle proprie posizioni. "Programmato" perché, mi accorgo dal mio piccolo di lettrice, insegnante, educatrice, ma anche semplicemente come donna istruita, scopro alcuni aspetti di questa complessità solo adesso, perfino casualmente. Gli stessi social sono programmati per fornire una visione del mondo univoca, per generare anche un contraddittorio ma in fondo perché nessuno evolva in virtù di esso.
      Io sono stata "programmata" a mio tempo a pensare che non avrei mai capito la matematica, che non facesse per me e che, soprattutto, fosse del tutto avulsa dall'umanistica. Nemmeno la filosofia, di cui ero appassionata, min permise di aprire lo sguardo, perché quelle verifiche e quello studio, in molta parte mnemonico, non era fatto per studiare realmente i massimi sistemi del pensiero. Anche lì, professore carino e gioviale, "premiante", ma non realmente competente, sono certa non avesse capito nemmeno lui in fondo gli argomenti di cui parlava.

      Elimina
  3. Tanti bei pensieri sparsi che mi fanno naturalmente pensare alla mia esperienza scolastica sia in veste di alunna che, in seguito, di educatrice. Anch'io arrivai alle Medie con molte lacune in matematica, visto che la mia maestra si concentrava quasi esclusivamente sull'italiano, in particolare sulla grammatica...quanta ne ho fatta! Pur non avendo molte basi, io però ai numeri mi sono appassionata e andavo benino. Allo Scientifico però, scuola che avevo scelto più che altro per esclusione delle altre, le cose si son fatte molto più difficili e se nei primi due anni la materia riuscivo a capirla bene, poi...puff, comprensione zero. E così ripetizioni su ripetizioni... La matematica poi l'ho rincontrata quando seguivo bambini e ragazzi nei compiti e successivamente a scuola come educatrice di sostegno alla Primaria, Medie e Superiori. Mi son dovuta fare un bel ripassino insomma ed ho scoperto un vero amore soprattutto per le espressioni, le equazioni, i problemi di geometria. Penso di essere riuscita anche a trasmettere in parte il mio entusiasmo e la necessità di fare dell'esercizio (parola chiave per questa materia) in modo piacevole. E i loro successi nelle verifiche, quando c'erano, erano un po' anche i miei. Sto scrivendo troppo, mi dispiace, quindi taglio drasticamente sottolineando la parola fondamentale che hai scritto: flessibilità! Se un metodo educativo non funziona, bisogna sperimentarne altri. Arroccarsi per pigrizia, per paura dell'insuccesso, per orgoglio, per inflessibilità del carattere, non porta a niente di positivo...ciao Luz!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. OT per Ninfa.

      La mia professoressa di matematica era molto gentile con me. Diceva che ero una persona speciale. Ma non è questa la tenerezza. Io indossavo una giacca a tre bottoni e allacciavo il secondo e il terzo. Quando mi interrogava, e lo faceva sempre perché secondo lei io ero un modello da imitare, si alzava dalla cattedra e mi abbottonava il primo e il secondo bottone della giacca. Ecco, questa è la tenerezza. Non insegnava solo la matematica. Tenerezza è tendersi verso l'altro, dal suo etimo tendersi verso. Ma credo che se davvero è percepita e diretta verso l'oggetto amato non è soggetta a inversioni temporali. Amore e tenerezza sono, a priori, sentimenti dell'anima che nutre verso sé stessa, riconoscendosi poi in un oggetto esterno che ne esterna la bellezza. La tenerezza e l'amore non sono eterni? No, se non li percepiamo e viviamo in primis. Ma i rapporti finiscono, certamente perché esauriscono il loro compito ma la tenerezza rimane ed è pronta a ri-esternarsi. I compagni di scuola mi guardavano storto e poi il voto che segnava sul registro era sempre 10. E loro domandavano: "Ci dica perché è speciale!", e lei rispondeva che non potevano capire. Un giorno, dopo l'ennesima richiesta sul fatto dello "speciale", la prof sbottò: "Speciale anche nei particolari. Per esempio, tu e gli altri maschi quando vi interrogo guardate con insistenza il mio seno, Gus mi guarda solo negli occhi".

      Elimina
    2. I rapporti di tipo educativo finiscono, come hai detto tu Gus, però se ci sono stati dei sentimenti non li dimentichi e tu infatti ricordi con dolcezza la tua maestra. Io nel mio lavoro ho conosciuto tantissime bambine, bambini, ragazzi e ragazze e qualcuno per me è stato davvero speciale. Credo di esserlo stata anch'io per alcuni di loro, le loro manifestazioni di affetto mi restano nel cuore. Eppure a differenza della tua insegnante non ho mai esternato a voce le mie simpatie...non mi sarei sentita "giusta" se lo avessi fatto.

      Elimina
    3. Non so Gus...non voglio certo giudicare, ho detto solo il mio punto di vista per un argomento delicato che sarebbe da approfondire.

      Elimina
    4. La componente di tenerezza nell'insegnamento è importante ma anche un "ingrediente" da maneggiare con cura. Mi ritrovo a pormi in modo molto diverso con ragazzini di prima media rispetto alla terza. Il cambiamento avviene a 12 anni, in seconda media. Con i bambini che si affacciano alle medie mi approccio con una forte componente di tenerezza. Ricordo molto bene quella specie di accoglienza che ci fecero quando passai alle medie. Freddi, distaccati, minacciosi. Almeno io li percepii così. Il passaggio sarebbe dovuto essere più fluido, morbido. Perché ci sono alunni ipersensibili, timidi cronici come sono stata io, persone che non hanno beneficiato di chissà quali gratificazioni e una parola è davvero preziosa da parte del maestro. Ecco, io sedendo in cattedra cerco di tenerlo bene a mente. Fra seconda e terza, l'approccio cambia perché cambiano loro, perché tu improvvisamente non sei più circonfusa da un'aura dorata ai loro occhi, quindi deve "tenere" la posizione ma senza perdere credibilità. È una cosa molto difficile, perché entrano in gioco componenti legati alla sfera emotiva. Nostra e loro.
      Chi non comprende la grammatica, menzionando la parte logica delle mie discipline, non deve essere etichettato. Se "non capisce", devi aiutarlo a recuperare lavorando allo stesso tempo sulla sua autostima e compagnia bella. È un lavoro durissimo ma deve essere fatto, perché è molto più facile bollare e scegliersi i bravini.

      Elimina
  4. Un post che mi lascia sperare in bene,un senso di flessibilità che mi piace intravedere soprattutto verso quei ragazzi disinteressati o incapaci di capire,lasciati spesso a se stessi...forse anche la tua empatia verso gli stessi dal momento che quell'etichettatura ha potuto attraversarti con i numeri della matematica.

    Penso che sia anche naturale una predisposizione verso alcune materie piuttosto che altre e credo che la capacità del bravo insegnante debba essere anche quella di riuscire o cercare di coinvolgere chi è meno incline, perché in fondo tutto è collegato e collegabile..

    La flessibilità è qualcosa che può unirci sotto molti aspetti,riuscendo ad ascoltare e adattarsi ad altri punti di vista può essere un arricchimento , così come l'umiltà di leggere un tuo scritto e commentarlo senza scopiazzature o glorificazioni che esasperano quel lato positivo di flessibilità.

    Grazie Luz,buona serata

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La flessibilità è legata anche alla percezione di determinate discipline. Una decina di anni fa avrei detto "ragazzi, è fondamentale conoscere la grammatica", oggi non la penso più così, o perlomeno dico "ragazzi che state per andare al liceo, dove tutte le discipline incontrano un certo approfondimento e il discorso sulle competenze si fa più complesso, è fondamentale conoscere la grammatica". Insomma, è proprio vero che flessibilità significa progresso, cambiamento, e anche una parola che mi piace molto: metamorfosi.
      Grazie a te. :)

      Elimina
  5. Ciao Luz, sono pensieri ricchi e articolati che hanno suscitato in me molte differenti reazioni. Certamente la flessibilità è un valore. Se ci fai caso tutte le cose che invecchiano diventano rigide comprese le persone e ciò provoca cristallizzazzioni, di comportamenti e pensieri, che non giovano. Restare giovani significa accettare diversità e usare un linguaggio positivo, evitando ad esempio di porsi limiti o di abbracciare le nostre convinzioni, spesso sbagliate perché inevitabilmente parziali. Flessibilità è dunque per me la capacità di andare oltre i miei perimetri e sperimentare la diversità e anche l'assenza di regole. Cosa che mi fa pensare alla matematica come ad esempio una serie di numeri ma come alla scienza fondamentale per conoscere le leggi dell'universo e dunque anche le nostre. Peccato che la scuola nel suo complesso sia troppo spesso incapace di trasmettere questa complessità e comunicarne il fascino. Ho la vostra stessa esperienza, purtroppo! Su una cosa però vorrei insistere : le regole sono necessarie, specie nella fase di costruzione della nostra personalità ma anche dopo. Altrimenti la flessibilità rischia di fare rima con disordine e disorientamento...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "Flessibilità è dunque per me la capacità di andare oltre i miei perimetri e sperimentare la diversità e anche l'assenza di regole". Mi piace questo passaggio, Elena, però non l'assenza di regole. Anche lì, la norma può rientrare in un discorso di flessibilità, la norma stessa cambia, si adatta, si adegua ai tempi. Pensiamo alla norma non scritta di un tempo, quando non si potevano attuare certi comportamenti, il panorama è molto ampio. Poi tu stessa a termine commento constati che senza una regola c'è disordine e disorientamento. La norma va applicata al contesto, la norma muta la propria forma, e questa è una cosa straordinaria, legata non solo al tempo, all'epoca, ma anche a perimetri differenti nella stessa epoca.

      Elimina
    2. sono tornata sul tuo articolo dopo aver letto un tuo commento sul mio blog e mi ha colpito una cosa c he prima non avevo notato: unna certa sofferenza per questo percorso scolastico in qualche modo incompiuto, mai pienamente vissuto per un deficit della scuola che purtroppo si nota anche in altre cose. Di questo mi spiace molto e mi rendo sempre più conto dell'inmportanza di una buona istruzione negli anni giovanili. Ho visto questa tua risposta e mi scuso per non averti a mia volta risposto prima. In ogni caso un conto è sperimentare in conto è vivere in assenza di regole. Permettermi l'entropia mi permette di apprezzare percorsi codificati.

      Elimina
  6. Non volevo scrivere troppo, ma alla fine...l'argomento è troppo stimolante! Dopo aver letto il commento di Elena con cui concordo, vorrei aggiungere qualcosa a proposito della flessibilità e delle regole. Da quel che ho interpretato dal tuo post, Luz, e dalla mia esperienza di educatrice ad personam, flessibilità è la capacità di poter cambiare le strategie educative (e lo fanno anche le anziane come me :-D) quando quelle provate non funzionano...ogni "caso" è infatti diverso. Pur cambiando strategia, secondo me le regole devono rimanere un pilastro da non abbattere. Ho visto classi, in certe scuole medie o istituti professionali, totalmente allo sbando, perchè non "si esigeva" da loro il rispetto delle regole oppure mancava la coerenza nel farle rispettare e a volte i professori chiudevano un occhio . Vedevo davvero classi che si trasformavano nel passaggio da un insegnante all'altro...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non devi preoccuparti se scrivi commenti articolati, sono l'anima di un blog, cara Ninfa e poi i tuoi sono particolarmente preziosi perché condividiamo un ambito, quello dell'educazione. Per precisare, sei un'educatrice professionale da quanto mi pare di capire. Una di quelle figure che sostengono a loro volta l'insegnante di sostegno? Perché davvero il tuo sguardo sarebbe preziosissimo. Tu hai potuto constatare come la regola nelle scuole, a seconda di CHI la applica, diventa una regola da rispettare o da infrangere. E io lo confermo pienamente. Lungi da me, però, giudicare colleghi e colleghe che hanno la nomea di "non farsi rispettare", ho dedicato un post a questo spinoso argomento. Sto vivendo proprio adesso una classe che ha questo atteggiamento altalenante ed è molto frustrante sapere di comportamenti gravemente scorretti con colleghi differenti, solo perché la persona "non sa farsi rispettare". Ne va della dignità degli alunni stessi, che appunto cedono a comportamenti indegni, magari giustificati dal "non sa farsi rispettare".
      Scrivi, Ninfa, leggerti è sempre un piacere. :)

      Elimina
    2. Sì, sono stata per anni un'educatrice professionale, integravo cioè il lavoro dell'insegnante di sostegno. Da un anno ho smesso di lavorare, ma come vedi mi faccio ancora prendere molto dall'argomento scuola :-) grazie a te che mi leggi con piacere, è la stessa cosa da parte mia.

      Elimina
  7. Nel leggere questo post mi sono rivista in pieno, soprattutto ai tempi della scuola media. Non era solo la matematica a essere la mia bestia nera, ma anche e soprattutto la geometria. Ricordo con terrore ancora oggi i "compiti in classe", che oggi si chiamano verifiche, dove consegnavo a volte il foglio in bianco: mi coglieva una sorta di paralisi mentale davanti al problema da svolgere. Avevo la sufficienza in una pagella dove invece brillavano voti pieni in storia, geografia, italiano. La mia insegnante di matematica e scienze di allora, in terza media, disse poi che ero maturata perché riuscivo a capire meglio le figure solide, paradossalmente... come se la facoltà di apprendere avesse qualcosa a che vedere con la maturità! Purtroppo, l'impostazione della scuola era quella. Il miracolo avvenne al liceo, quando ebbi la cosiddetta illuminazione sulla via di Damasco grazie a un professore di algebra... così ho amato l’algebra, ma era troppo tardi! Inutile, quando continuano a ripeterti che non sei bravo, e non lo sarai mai, finisci per convincerti che sia la verità; invece, alle volte è soltanto questione di metodo e incoraggiamento.
    Ci sono poi gli insegnanti che ti prendono in antipatia, per esempio in disegno dove pure eccellevo, sempre alle medie, ce n'era una che giudicava il mio tratto “infantile”!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ricordo la differenza fra algebra e geometria, quel segnale di svolgimento di un esercizio, il dato finale che coincide, la soddisfazione fugace. Eh sì, la "bestia" della geometria era diversa. Eppure quelle forme facevano e fanno parte del nostro vissuto, sono intorno a noi, vi siamo immersi. Non dimenticherò mai la lezione di una collega di matematica nei primissimi tempi in cui iniziai l'insegnamento. Lei disse ai ragazzi una cosa del tipo: "oggi faremo il triangolo rettangolo, ma non vi allarmate, ho visto che con la prof di storia stavate trattando la stessa cosa". E alla mia espressione smarrita, continuò: "Ha spiegato l'incastellamento, giusto? Ecco, il triangolo rettangolo è quella forma che si genera fra ponte levatoio, muro del castello e catena che lo tira giù". Troppo bello, vero? :)

      Elimina
    2. Davvero uno di quegli esempi che ti entrano in testa! Il mio famoso prof di algebra spiegava così: "b+b = 2b. Perché? Babuino + babuino = 2babuini". Noi ridevamo a crepapelle, ma imparavamo eccome. Mi ricordo questo esempio a distanza di più di quarant'anni! Ma lui spiegava algebra TUTTA così, era uno spasso.

      Elimina
  8. Ahimè la matematica non era il mio forte. Raggiungevo a stento la sufficienza, solo anni dopo in età di matura ho capito l'importanza dei numeri e della matematica e di come siano legati ad un mondo molto più ampio (universale mi verrebbe da dire) rispetto al limitato mondo spiegato da professori che hanno a che fare con adolescenti in un'età dove a tutto pensano ma non a quello.

    Il tuo post chiarisce tanti aspetti interessanti che ho letto ma che rileggerò a varie risprese.
    Un salutone e alla prossima

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie a te per avere apprezzato questi miei pensieri. Penso oggi che la matematica sia una bella materia piena di opportunità per un buon insegnante. E la sfida è proprio farla arrivare, almeno per una sufficienza piena, incuriosendo gli alunni attorno al suo far parte del nostro mondo. Se solo mi avessero detto della successione di Fibonacci, al tempo, per dirne una, mi si sarebbe scatenata una tale curiosità di capirne il funzionamento. Ma ci vogliono prof in gamba per questo.

      Elimina
  9. La rigidità di giudizio può portare a madornali errori . Vale sul lavoro, nell'ambito familiare e in tutte le relazioni di qualsiasi genere in cui siamo coinvolti. Ognuno di noi ha dei principi che spesso reputa assoluti. La realtà è che quei principi possono esser validi oggi ma non domani e qui ma non altrove. La flessibilità, la capacità di adattarci e comprendere i nostri errori fa di noi degli esseri raziocinanti. Senza esercitare questa prerogativa, potremmo correre il rischio di andare a schiantarci non appena la strada prende una direzione che non avevamo previsto. Un saluto e buona domenica a te.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Fabio, benvenuto e grazie per il tuo commento. Pensa, stavo per andare a schiantarmi proprio questo fine settimana, acquistando un divano che, sono certissima, si sarebbe rivelato un pessimo prodotto. Stavo per sceglierlo arroccandomi su una decisione che ritenevo inattaccabile, spendere meno di quanto avessi prospettato, per recuperare un acquisto precedente, cui ho dovuto rinunciare perché non risponde più alle mie aspettative. Ebbene, se non mi avesse acceso una lampadina una mia collega e amica, cosa che non ho ritenuto parola sacra, ma ha avuto il potere di instillarmi il dubbio, avrei commesso un errore madornale. L'ostinazione è immobilità, perfino pericolo.

      Elimina
  10. Hai parlato di me, praticamente. Io sono scarsa ma scarsa davvero in matematica né vado matta per le materie scientifiche; i miei figli mi prendono in giro e io non mi capacito di come uno abbia scelto di studiare ingegneria, con tutte quelle materie ostiche che trovo del tutto impossibili. Non so se sia una mia incapacità reale o indotta da alcune esperienze che, forse, senza accorgermene, mi hanno segnata: alle elementari avevo una maestra che teneva una bacchetta di legno in mano e se non indovinavi le tabelline faceva la mossa di battertela nelle mani; alle medie avevo una professoressa con uno sguardo talmente terrorizzante che i numeri in testa scappavano ogni volta che entrava in classe. Il liceo classico è stato una salvezza per me per gli stessi motivi tuoi: le ore di matematica erano appena sufficienti a non farmi stare male. Ripeto, non so se sia stato per colpa di ciò, ma di certo non ho sviluppato alcuna competenza in questo campo e ora sono del tutto impedita. Certo, non ne ho interesse, forse questo non abbraccia del tutto la tua riflessione, perché penso che non potrei né vorrei recuperare nulla di ciò che mi sono persa a causa della scuola. Penso che anche una naturale predisposizione ci avvicina o ci allontana dalle cose e intraprendiamo le strade soprattutto in virtù di questo.
    "Le discipline umanistiche e quelle scientifiche sono due modi per misurare le cose." Questo è vero, ma io con le parole misuro meglio :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma sai che non avrei mai pensato tu fossi negata come me in matematica? Non so, forse perché hai scelto poi una facoltà "intricata" come Giurisprudenza, avevo dato per scontato che fossi forte anche con i numeri. Insomma, un'altra cosa che, possiamo esserne fiere, abbiamo in comune. :) Se penso alla maestra e alla mia professoressa delle medie, non ho avuto la sfortuna di averne particolarmente severe. Sulle tabelline sono sempre stranamente andata forte, ma credo sia una questione di "ritmi". Ricordo le tabelline perché per me erano come poesie in rima, 7x7 49 7x8 56, ecc. Sarà certamente così ah ha ha XD

      Elimina
  11. Io ho sempre amato le materie umanistiche ma non avendo la sicurezza di andare all’università all’epoca mi iscrissi alla ragioneria perché pensavo sarebbe stato più facile trovare un lavoro (illusione perché vivevo al sud ed ero “femmina”) così dopo le superiori decisi di iscrivermi all’università a Bologna ottenendo la borsa di studio; anche la scelta della facoltà di economia incise per le possibilità di lavoro, del resto non avendo fatto il classico la scelta di lettere mi sembrava più difficile non conoscendo il latino (studiato solo alle medie). Gli esami di matematica tuttavia sono stati molto ardui (ma alla fine è una materia che ho imparato ad amare) e ho faticato parecchio per superarli, al contrario degli altri esami che invece superavo sempre con il massimo dei voti. Il mio percorso di studi tuttavia non mi ha deluso e, nel complesso, le materie studiate a Economia mi sono piaciute, perfino matematica. Forse ha ragione Chiara Valerio, non c’è una distinzione così netta tra discipline scientifiche e umanistiche. Alle scuole medie la mia insegnante di matematica aveva un approccio magnifico con la classe, tanto che tutti noi amavamo la matematica, quindi il rapporto con l’insegnante è fondamentale. Ognuno di noi però deve seguire il proprio cuore, io amavo leggere e quindi il mio istinto mi portava verso le parole.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Nelle materie di economia all'università c'è tanta matematica, è vero. Sono un po' reiette ma rappresentano una grande risorsa se si pensa a certi mestieri, come il commercialista, il responsabile di certi importanti uffici in aziende, nelle stesse case editrici come abbiamo visto in uno dei miei ultimi post. Questo percorso "economico" mi affascina, sai? Se non avessi amato le parole, probabilmente avrei studiato quello, ma voglio immaginare che dalle elementari avrei approcciato dunque i numeri in tutt'altro modo.

      Elimina
  12. Uhm, vorrei dire che anch'io detesto la Matematica, ma non è vero, perché anche la Matematica ha sfaccettature diverse. Delle elementari ricordo poco, se non che mi piaceva disegnare e ho vinto dei premi (un astuccio completo di tutto, una scacchiera in legno e il mio primissimo dizionario Zanichelli!). Delle medie ricordo di aver avuto problemi con Educazione Tecnica: non la capivo, mi ero appena trasferita (pur rimanendo nella stessa scuola) e non potevo vedere i compiti per casa con i compagni (sempre prove tecniche, lavoretti, ricerche), dovevo arrangiarmi, da qui le difficoltà, specie perché in casa giravano pochi libri e la biblioteca era in un'altra città. Delle superiori (Ragioneria) ricordo scontri di vedute con la professoressa di Italiano, che valutava i miei temi non per l'esposizione, ma per le idee differenti dalle sue. La Matematica di Ragioneria (ai miei tempi Geometria, Algebra, Calcolo, Probabilità, Matematica finanziaria) mi piaceva parecchio, ma non era niente della Matematica che ho poi trovato all'Università (Facoltà di Statistica, ergo quella brutta bestia di Analisi Matematica: derivate, integrali, limiti, studi di funzione... ho dato l'esame 7 volte prima di passarlo, mi stava sbarrando il terzo anno!) Ecco perché potrei dire che detesto Matematica, per quella Matematica lì. Anche Statistica si basa sulla Matematica (e infatti Statistica Inferenziale pure non mi piaceva) ma adoravo tutti quegli esercizi con urne e palline. :D
    In tutto il mio percorso di studi la differenza spesso l'ha fatta l'insegnante, non tanto la materia. La professoressa di Italiano del biennio, pure se severa, era entusiasta della sua materia. Quella del triennio era lì solo per lo stipendio, e si sentiva. Il mio professore di Ragioneria, appassionato di Informatica (penso me l'abbia trasmessa lui in fondo), era particolare, oggi lo associo un po' a Steve Jobs. Era solito dire "Non si sono formule per idee confuse" e questa frase me la porto dietro da allora (comprendi il suo impatto sugli studenti?). Il mio professore di Inglese era una brava persona, gentile e disponibile, ma ci ha fatto un danno enorme e ancora oggi sto studiando, per conto mio, per rimediare (un'amica, insegnate di Inglese oggi alle superiori, si dispera perché i genitori sono più preoccupati della gita di classe che dell'ignoranza in lingue dei propri figli... come fanno a non capire che le lingue sono tutto oggi?!).
    Per quanto riguarda i limiti, me ne sono portati dietro parecchi. In famiglia era tutto un "non puoi fare questo, non puoi fare quello". Perché? Chi lo dice? "Non puoi andare in moto, sei una donna!" E allora? "Non puoi andare a lavorare così lontano, tutti quei viaggi!" E quindi? "Non puoi andare in palestra tutte le sere!" Chi me lo impedisce? E devo ringraziare My Peak Challenge che mi ha aiutato ad uscirne: l'idea è di superare i tuoi (loro) limiti e se alcuni li avevo già abbattuti da sola, per ribellione, altri li ho devastati grazie all'incoraggiamento ricevuto. Mi rendo conto però che molte persone sono ancorate a quel "non puoi" ereditato. Lo sento spesso dalle amiche, quando le invito in palestra ad una prova gratuita o di venire a qualche camminata solidale. "Io? E cosa ci vengo a fare io? Guarda come sono messa!" Il "non puoi" purtroppo va d'accordo col "non vuoi"...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Quanta verità. In fondo, tutto si concentra in quel "non puoi". Alcuni divieti sono sfacciatamente tali, appunto quelli legati all'appartenenza al sesso, altri invece serpeggiano in quella sfiducia che sanno bene instillarti tutti coloro che, purtroppo, si ritrovano ad avere un ruolo nella tua vita. Il ruolo del professore, per esempio, è come dici in pratica tu fondamentale. Ci sono insegnanti che sanno farsi benvolere ma cattivi trasmettitori della materia (il mio prof di filosofia del liceo), così come quelli che magari saprebbero pure insegnare ma non possiedono la capacità di mettersi in sintonia con gli studenti. E se un tempo questo poteva apparire normale, non ci si facevano troppi giri di parole attorno, si accettavano incompetenza o superbia allo stesso modo, oggi tutto è sotto una lente di ingrandimento, se ne parla e molto, forse a volte troppo, ma questo ha il merito di fare emergere il torbido.
      Tu sei stata forte perché "reattiva", non hai accettato passivamente il "non puoi" altrui, hai cercato di modificare lo scenario. Io purtroppo ho posseduto molto meno carattere. Mi dico che se avessi avuto allora il carattere che ho oggi... tutto sarebbe diverso. E molto.

      Elimina
  13. Luz, mi ritrovo molto nel tuo pensiero. Io sono andata bene in matematica fino alla seconda media, poi con l'algebra e i problemi geometrici non ho capito più niente. Non so perché ma non ho mai amato la matematica, nemmeno quando prendevo voti alti. Ho avuto alle elementari e medie insegnanti molto preparate, al liceo ( classico) insegnanti al contrario di matematica per nulla preparate...e nemmeno io mi vergogno di dire che non ci capivo niente di niente, ma non mi sentivo in colpa. Preferivo le materie umanistiche e mi tuffavo in quelle con grande passione. Al liceo dicevo come canta Venditti, " la matematica non sarà mai il mio mestiere". Ti sembrerà strano, ma andavo bene in chimica e mi piaceva tanto, avevo sviluppato interesse anche per la geologia. Ma a causa del mio punto debole in matematica, all'università non mi sono iscritta a facoltà scientifiche con mio grande rammarico. Avrei potuto fare ripetizioni per recuperare, ma quella per la matematica negli anni era diventata una vera e propria avversione. E credo che hai ragione, il problema è alla base: abbiamo avuto insegnanti che ci hanno insegnato a dividere il mondo in due parti, uno governato dall'umanesimo e l'altro dalla scienza. E tutta la nostra cultura funziona così dal momento che hanno istituito il liceo classico e il liceo scientifico. Con questa separazione hanno limitato le nostre possibilità. Io amo la scienza, seguo sempre programmi di divulgazione scientifica. Purtroppo questo modo di pensare ha influito sul corso dei miei studi che mi ha portato a fare scelte sbagliate. Ho fatto scienze dell'educazione solo per le materie, ma non ho mai sentito trasporto per l'insegnamento, tant'è vero che ho deciso di non fare l'insegnante, né la maestra d'asilo. E quante volte penso che avrei dovuto iscrivermi a scienze geologiche. È andata così.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Però fu già qualcosa se fino alla seconda media il tuo approccio coi numeri era scorrevole. È stato come se si fosse interrotta una liaison che avrebbe potuto generare scenari interessanti, visto che hai da sempre questa fascinazione dal mondo scientifico. Anche a me piace la scienza, moltissimo. A parte l'essere affascinata dai grandi scienziati (al pari dei grandi autori e autrici della letteratura), ho proprio una fervida curiosità verso tutto ciò che la scienza sperimenta, narra, esplora. :)

      Elimina