Incipit: Una sera, verso la fine di maggio, un uomo di mezza età veniva da Shaston e tornava a casa, nel villaggio di Marlott, nella contigua Valle di Blakemore o Blackmoor. Si reggeva su gambe malferme e l'andatura sbilenca lo faceva pendere alquanto verso la sinistra di un'ideale linea retta. Di tanto in tanto accennava rapido con il capo, quasi a confermare un'idea, sebbene non stesse pensando a niente in particolare. Un cestino per le uova gli penzolava vuoto dal braccio, la lanugine del cappello era arruffata e un pezzetto della falda, laddove appoggiava il pollice per toglierselo, era piuttosto consunto.
Se ne esce stravolti, posso esordire così in questa recensione di un romanzo che, per intensità e pregio, credo si possa annoverare nella migliore produzione vittoriana dell'ultimo Ottocento.
La prima volta che "incontrai" Tess fu tanti anni fa, quando vidi il film tratto dal romanzo e diretto da Roman Polanski. Ne venne fuori un dramma commovente, era inevitabile, ma la mano fu calcata sull'aspetto della seduzione tragica di cui Tess è vittima, escludendo tutto ciò che nel romanzo crea sospensione, e per certi aspetti sollievo.
La storia è molto più complessa di quanto narrasse quel film, ma su un punto entrambe le produzioni possono incontrarsi: questo intreccio solleva una questione importante, vitale, al punto che non possiamo non comprendere nella nostra visione totale anche le feroci critiche di cui fu oggetto al tempo della sua pubblicazione.