giovedì 19 gennaio 2023

Dio di illusioni - Donna Tartt

Incipit: La neve sulle montagne si stava sciogliendo e Bunny era già morto da molte settimane prima che arrivassimo a comprendere la gravità della nostra situazione. Era già morto da dieci giorni quando lo trovarono, sapete. Fu la più grande battuta della storia del Vermont - polizia dello Stato, FBI, persino un elicottero dell'esercito; il college chiuse, la fabbrica di colori ad Hampden serrò i battenti, la gente veniva dal New Hampshire, dal nord dello Stato di New York, addirittura da Boston. 

Dio di illusioni
Donna Tartt

Editore: BUR
Pagine: 622
Prezzo: € 15,00

Il primo libro che scelgo di recensire in questo nuovo anno è un corposo romanzo di successo, un giallo/thriller pubblicato più di trenta anni fa - col titolo The secret history - e ancora fra i più venduti e letti. Come qualcuno saprà, non si tratta di un genere che prediligo, mi piace però concedermi ogni tanto una lettura di questo tipo, quando so che è ben costruita, quando la scrittura è solida e l'autore è riconosciuto come fra i migliori del genere.
Donna Tartt, classe 1963, insignita del Premio Pulitzer nel 2014 per Il cardellino, grande amica di Bret Easton Ellis (cui riserva una dedica del romanzo), è una brillante narratrice di storie complesse. Scrive un romanzo ogni 10 anni, non è dunque prolifica, ma certamente una delle migliori voci del panorama contemporaneo americano. 
Ciò che mi ha spinta verso questo romanzo è la sua ambientazione, quel mood chiamato "dark academia", una specie di genere a parte, contenente storie che si dipanano fra le mura di università storiche, fra personaggi immersi nello studio dei classici, nella passione verso la conoscenza. 
Dark academia, leggo in rete, è ormai una "sottocultura", un genere che ripete alcuni codici precisi: architetture gotiche, biblioteche, aule di studio, atmosfere cupe, malinconiche, misteriose.
Questa estetica mi piace, assieme ai personaggi, studenti tendenzialmente elitari, insuperbiti dalla loro posizione di studenti d'eccellenza, forti della loro amicizia, consapevoli di essere parte di una sorta di Arcadia cui pochi eletti possono accedere. 

Insomma, gli ingredienti ci sono tutti e Donna Tartt è stata una pioniera del genere, la sua "fondatrice".
Forse all'epoca, i primi anni Novanta, un film come Dead Poets Society - l'indimenticabile L'attimo fuggente - dovette ispirarla, chissà. Mentre però la dolce storia del professor Keating racconta dell'autodeterminazione di giovani rampolli dell'alta borghesia americana negli anni Cinquanta, qui siamo di fronte a una generazione diversa, vivente in quegli anni Ottanta rampanti, ricchi, fluttuanti in quell'atteggiamento di non stretta obbedienza al padre di famiglia. 
Dio di illusioni è una storia complessa, tragica, che svela le contraddizioni di un sistema, i limiti di una generazione di ricchi borghesi votati all'autodistruzione. 
Donna Tartt
Tecnicamente impeccabile, il romanzo svela nel suo incipit il nucleo della narrazione: l'autrice ci affida il segreto, c'è una morte che si rivela essere un omicidio, la voce narrante sa, ha visto tutto, appartiene a qualcuno coinvolto nella vicenda. Non dobbiamo fare altro che porci in ascolto di questo lungo racconto, che ha al proprio interno un'incongruenza ravvisabile fra le righe: è il punto di vista di uno di loro, non è la storia narrata da una voce onnisciente
Anche perché Richard Papen, il nostro narratore, mente a tutti, a partire da se stesso. È un outsider, non fa parte di quella ricca borghesia, vi prende parte grazie a una borsa di studio che lo porta dalla California al Vermont. Due luoghi nettamente opposti. 
Richard, portato per lo studio del greco e dei classici, resta colpito da una piccola élite di studenti, quattro ragazzi e una ragazza, che si riuniscono attorno a uno studioso noto in ambienti particolarmente colti: l'eccentrico Julian Morrow. Far parte della sua cerchia è impossibile, fino a quando gli eventi porteranno i giovani studenti di letteratura classica ad accorgersi di lui e favorirlo presso il professore. 
Sono le premesse da cui parte la storia.

Ho amato di questo romanzo proprio la stretta interdipendenza fra la vicenda, il suo sviluppo, e gli studi della piccola cerchia. Morrow li porta idealmente dentro un mondo antico del quale avvertono una profonda fascinazione. Henry in particolare, il leader, è il vero talento fra gli studenti. 
Parla fluidamente il greco attico, ha instaurato un rapporto privilegiato col professore, si ritaglia un ruolo guida rendendo gli altri suoi fedelissimi comprimari. È il fratello maggiore, il faro, ma anche la personalità più complessa, estrema e fragile, fra tutti. 
Di Morrow i ragazzi assorbono ogni insegnamento, che nel senso più vero della parola li segna fino a suggestionarli, a modificare la loro percezione della realtà, a far loro rinnegare ogni virata verso l'etica, la morale della giustizia. Vi riporto alcuni passaggi di una lezione. 
"Perché è pericoloso ignorare l'esistenza dell'irrazionale. Più civilizzata è una persona, più è intelligente, più sarà repressa: e più necessiterà di un sistema per incanalare gli impulsi primitivi".

"Il genio romano, e forse l'errore romano fu l'ossessione per l'ordine. La si ritrova nella loro architettura, letteratura, nelle loro leggi - questa feroce ostinata negazione dell'oscurità, dell'irrazionale, del caos". [...] "I greci erano diversi. Avevano la passione dell'ordine e della simmetria, al pari dei romani, ma sapevano quanto fosse sciocco non riconoscere il mondo invisibile, gli antichi dei. Emotività, oscurità barbarie". [...] "Vi rammentate l'argomento di prima? Che le cose terribili, cruente, sono le più belle? È un'idea tipica dei greci, e molto profonda. Bellezza è terrore. Ciò che chiamiamo bello ci fa tremare. E cosa potrebbe essere più terrificante e più bello, per anime come quelle dei greci o le nostre, che perdere ogni controllo? Strapparsi di dosso per un attimo le catene dell'essere, frantumare la contingenza del nostro io mortale?Euripide parla delle Menadi: la testa gettata all'indietro, la gola verso le stelle, 'più simili al cervo che all'uomo'. Essere assolutamente liberi! [...] "È questa per me la tremenda seduzione del rituale dionisiaco. Arduo per noi da immaginare. Un fuoco di puro essere". 
Morrow scatena in loro una ricerca strenua del moto irrazionale, inconsapevolmente li spinge verso rituali in cui l'essere senziente deve sparire dietro l'io irrazionale, in un perimetro di azioni in cui non c'è spazio per la morale. 
Dapprima fuori da queste dinamiche, Richard vi entra come spettatore o come uditore di eventi accaduti, difficili da ricostruire proprio perché vissuti in maniera estrema. Strumenti per il raggiungimento di questi stati allucinatori sono ovviamente alcool e droghe, oltre a bagni e digiuni. 
Non c'è differenza fra quanto è contenuto nei libri e lo stato particolare sperimentato dai ragazzi. A un certo punto si dirà, molto candidamente: "In un certo senso ero stato fuorviato dai resoconti della Pizia, lo pneuma enthousiastikon". O ancora: "Per ricevere il dio, in qualsiasi mistero, bisogna essere in uno stato di euphemia, purità di culto. Sta in ciò il nocciolo del mistero bacchico". 
Il prezzo da pagare dopo essersi spinti oltre la sperimentazione stessa è altissimo. 
Da quel mondo sepolto da secoli di Storia si può attingere una visione nuova della vita che però non armonizza con il presente. Ce lo rivela la nostra voce narrante in un bel passaggio:
In un certo senso, è per questo che mi sentivo così vicino ai miei compagni di greco: anche loro conoscevano questo bellissimo e tormentoso paesaggio, morto da secoli; e avevano la medesima esperienza dell'alzare lo sguardo dai libri con occhi del V secolo, per scoprire un mondo lento e ignoto, in cui non si riconoscevano. [...] La loro ragione, i loro occhi e orecchi vivevano entro i confini di quei severi antichi ritmi - il mondo a me noto non era la loro casa - e lungi dall'essere visitatori occasionali di quella terra, ne erano piuttosto abitatori permanenti. 
Pagina dopo pagina percepiamo l'avvicinarsi dell'ineluttabile, perché vivere questa "arcadia" nel disprezzo del presente, illudersi di poter creare un illusorio spazio in cui realizzare i principi e gli atti di quel mondo lontano, è distruttivo. 
Tartt dunque racconta da un certo punto in poi uno scardinamento, l'implosione cui conducono decine di microfratture, di questa superficie incrinata dall'eccesso, dall'autodistruzione. Fino al segreto. 
Da lettrice, vi confesso di aver provato una certa pena, di essermi proprio dispiaciuta ad assistere al triste spettacolo del disfacimento di queste giovani vite. Tutta l'energia palpitante, la vivida intelligenza, la passione, a servizio di un progetto folle e senza futuro. Quanti giovani in forme diverse si autodistruggono allo stesso modo? 
E forse proprio questo Donna Tartt intendeva raccontarci. Dietro questa grande metafora, questa storia oscura e tragica, intendeva forse mostrarci lo spettacolo della disfatta che colpisce giovani vite. 
Forse la più grande sconfitta che possiamo immaginare.  
Alcune cose sono troppo terribili per entrare a far parte di noi al primo impatto; altre contengono una tale carica di orrore che mai entreranno dentro di noi. Solamente più tardi, nella solitudine, nella memoria, giunge la comprensione: quando le ceneri sono fredde, la gente in lutto è andata via; quando ci si guarda intorno e ci si ritrova in un mondo completamente diverso. 
Il romanzo, un caso letterario da cinque milioni di copie e tradotto in 40 lingue, doveva diventare nel 2002 un film prodotto da Gwyneth Paltrow, che non fu mai realizzato. 
Abbiamo realmente bisogno, tutto sommato, di una trasposizione cinematografica che rischia di ridurre questa trama nell'ennesimo dark movie, banalizzandone i significati più profondi? Ne dubito.
Mi viene da pensare, se dovessi collocare il romanzo in un particolare ambito, che questa è letteratura. 
Una storia sopravvissuta trent'anni dalla sua pubblicazione e ancora letta in tutto il mondo lo è. 
Anche solo nella misura in cui tutta la seconda parte ricalchi l'animo, gli slanci e le angosce di un certo Raskolnikov, il grande protagonista di Delitto e castigo

L'immagine di una fanzine del romanzo, ce ne sono a decine da appassionati di tutto il mondo

Cosa ne pensate? Può interessarvi un romanzo siffatto? Quali ingredienti sono necessari per rendere un romanzo così longevo?

19 commenti:

  1. Il romanzo può interessare come fatto storico letterario ristretto che si è perso nei meandri dell'io dei protagonisti che danno vita alla *Dark academia*
    La Dark academia è un'estetica dei social media e una sottocultura basata sull'amore per la cultura classica, le arti, la scoperta del sé e una generale passione per ogni sorta di conoscenza e argomento di studio.
    I capi per eccellenza che si rifanno a questo stile sono molto classici: cappotti, anche oversize, giacche e gonne in tweed o principe di Galles, camicie bianche, mocassini, scarpe stringate (le Oxford o brogues)In effetti ci troviamo di fronte qualcosa che somiglia al bovarismo, cioè un atteggiamento psicologico tendente a valorizzare la fantasia e l'istinto fino alla costruzione di una personalità fittizia in contrasto stridente con la realtà.
    Alcune cose sono troppo terribili per entrare a far parte di noi al primo impatto; altre contengono una tale carica di orrore che mai entreranno dentro di noi. Solamente più tardi, nella solitudine, nella memoria, giunge la comprensione: quando le ceneri sono fredde, la gente in lutto è andata via; quando ci si guarda intorno e ci si ritrova in un mondo completamente diverso. Il romanzo più che un interesse tende a suscitare curiosità nei lettori.
    Donna Tartt è senza dubbio una scrittrice dotata di grandi capacità.

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    1. Mi capita di pensare a quanto sia strano aver scoperto certi romanzi solo adesso. E solo perché ti trovi all'interno di cerchie che ne parlano, anche da posizioni differenti. Te ne incuriosisci, lo leggi, per poi capire che non si tratta nemmeno di narrativa di consumo ma di qualcosa che ha tutto un suo background di successo. Qualcosa di cui si parla da decenni, ecco. È una cosa straordinaria ma allo stesso tempo intrigante. Elettrizzante, anche, perché si suppone che ci siano ancora molti romanzi belli e di successo da scoprire e leggere.

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  2. Molto interessante questa tua proposta. Di questa scrittrice avevo letto diverse recensioni altrettanto interessanti e credo di aver visto anche una sua intervista in Tv ma questo libro mi manca e appena possibile colmerò la lacuna. E poi c'è di mezzo il Vermont e quel pezzo di America che è ricco di storie letterarie notevoli. Ho letto con curiosità e interesse il commento di Gus che spiega parecchi aspetti in questione. Grazie per questo post.

    Un salutone e alla prossima

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    1. Voglio recuperare questa intervista. Riguardo al Vermont, a commento del romanzo avrei voluto dire molto altro, ma sarebbe stato un post-fiume. Il Vermont trova largo spazio nel romanzo, le descrizioni sono belle, mi ricordano una di quelle regie ben fatte. In particolare, il lungo capitolo riguardante la solitudine dell'inverno di Richard, il gelo che copre ogni cosa. L'usanza, almeno ai tempi, era di chiudere l'università durante i due mesi più rigidi - gennaio e febbraio - perché riscaldare sarebbe costato un patrimonio (si tratta tutto sommato di un college piccolo rispetto ad Harvard, che pure si trova a quelle latitudini). Richard si ritrova solo, non parte per la California, mentre la cerchia di amici raggiunge la famiglia. Capitoli durissimi, ho avvertito il gelo sotto pelle.

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    2. C'è diverse interviste su youtube. Una delle più recenti è di 9 anni fa che è quella che avevo visto e una interessante del 1992.
      Un salutone

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  3. Non ho mai letto niente di questa scrittrice, ma a leggere dalla tua recensione, questo è un romanzo è spettacolare. Ammetto che di rado leggo questo genere, però mi è venuta davvero voglia di leggere questo libro. Sicuramente avrà subito molto influenze questo libro, a partire dal film L'attimo fuggente, però senza dubbio affronta una tematica a suo modo originale, o meglio un diverso modo di affrontare romanzi di questo genere. Cercherò di recuperarlo.Grazie di questo bellissimo post.

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    1. Grazie a te, Caterina. Ogni tanto mi piace uscire dalla mia "comfort zone", di solito preferisco un altro tipo di romanzo e molto raramente il thriller/giallo. Qui c'è una buona dose di drammatico e l'ambientazione, oltre ad alcuni passaggi spettacolari (ce n'è uno che a citarlo non sarebbe bastato un post, è una pagina straordinaria) ne fanno un buon romanzo.

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  4. Non l'ho letto essendo il giallo un genere che neppure io prediligo quanto meno come connotazione generica. Poi è evidente che può essere qualcosa di molto più ampio di un "giallo", e la tua recensione entusiastica afferma proprio questo, no? ;-)
    Lo prenderò in considerazione, anche se c'è un secondo elemento che mi blocca un po': la lunghezza. Sto invecchiando la mia soglia di attenzione si sta abbassando, faccio fatica a leggere un romanzo da trecento pagine senza perdere interesse, questo ne ha addirittura il doppio...

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    1. Ammetto che ci sono capitoli che possono mettere alla prova la tenacia di un lettore, si deve essere particolarmente accaniti. È il tipico stile anni Novanta, largo, dettagliato, fatto di pochi campi lunghi. Qui è tutto esaminato, passato al vaglio dallo spiccato spirito di osservazione della voce narrante.

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  5. Invece questo è proprio il mio genere, i thriller mi piacciono sempre perché esplorano i meandri oscuri dell’animo umano, potrei leggerlo appena possibile, visto che per ora sono già impegnata con un paio di libri, uno è l’insostenibile leggerezza dell’essere...

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    1. Eh sì, lo so, è il tuo prediletto, Giulia. E questo è davvero un classico, ormai, a maggior ragione per gli estimatori del genere. Forse, dico forse, se fosse stato scritto adesso, ben trent'anni dopo, certe svolte e scene sarebbero state più truculente, esplicite. Invece a me piace proprio perché costringe a mettere in modo l'immaginazione. Si creano come dei piani sequenza nella mente del lettore, una cosa che ho trovato molto stimolante.

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  6. Oh sì, che può interessarmi! Da come ne hai parlato qui sembra imperdibile: niente sorprese, vero? (Sai a cosa mi riferisco, dopo la lettura di Vardo! ahahah). Il fenomeno di una generazione che si autodistrugge, partendo da posizioni e interessi che promettono altro in menti così elevate, fa paura e, nonostante i trent’anni passati, rimane attuale. Da qui la facilità a definire quest’opera un classico: resistere al tempo, suscitare sempre curiosità e interesse e rimanere vicino a ogni epoca che passa per tematiche e argomentazioni lo rende praticamente immortale. Mi avevi parlato del romanzo pensando a mio figlio, appassionato di greco e latino; già da quello stralcio che mi hai inviato avevo intuito intensità e densità del libro. Volevo leggere Il cardellino, per la verità: di Tartt conosco solo la fama. Ora aggiungerò anche questa sua opera.
    Marina

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    1. Sì, ho pensato a Edoardo sulla pagina che ti ho inviato, perché lo so grande appassionato di greco e di tutta la civiltà greca antica. Una premessa fondamentale per i personaggi cardine del romanzo, come ho scritto nel post anzi un aspetto fondamentale dell'intreccio, perché proprio quel mondo antico, la suggestione che riesce a instillare in loro il professore (cui avrei dato più risalto, in verità, proprio come mentore e carismatico) ha parte fondamentale negli eventi.
      Riguardo alla "sorpresa" che vorresti risparmiarti dopo l'esperienza di Vardø, stai tranquilla. Ma sappi anche che l'omosessualità non manca. Mi fermo qui. Il fatto che compaia in un romanzo scritto 30 anni fa anzi fa pensare. In fondo, se è vero come è vero che questa è ormai una "condicio sine qua non" della narrativa contemporanea (intesa come amore narrato senza barriere sessuali), pure ci sono grandi romanzi in cui è presente e anzi è il cardine della narrazione. Come pure romanzi dell'ultimo trentennio che hanno avuto certo successo. Forster, Thomas Mann, Woolf, Pasolini, non si sono fatti mancare l'amore omosessuale nei loro romanzi. Pomodori verdi fritti, libro e poi film, racconta di uno struggente amore fra due amiche, grandi bestseller come Middlesex (che leggerò, ce l'ho da tempo sullo scaffale), Danish Girl (ti consiglio il bellissimo film tratto dal libro), Kitchen della Yoshimoto fu un caso editoriale di una ventina di anni fa, La ragazza dello Sputnik di Murakami (del '99), e tanti altri hanno proprio l'amore omosessuale (o transessuale) nel nucleo della trama oppure ne è parte integrante. Un paio di decenni fa vidi assieme a un'amica il film "Boys don't cry", terribile storia di un'omosessualità vessata e vilipesa da una violenza senza limiti. Insomma, questo per dire che, nel cercare di capire questa "virata" della narrativa, mi sono imbattuta in un fenomeno non del tutto nuovo, ma invece assai "narrato". Ben altra cosa risulta essere ogni forzatura, ma voglio stare attenta a distinguere questa da una scelta narrativa che rientra perfettamente in un panorama ormai sedimentato.

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  7. Ok tu presenti tutto come appetibile e quindi... Approfondirò, prossimo giro in libreria se mi capita a tiro....

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  8. Non so se possa interessarmi come romanzo... mi piacciono i thriller sì, ma come te starei male a vedere questi giovani rovinarsi la vita poi. Ci penserò, se mi ricapiterò tra le mani, allora lo leggerò.
    Comunque, anche se non è un thriller, così come hai ricordato L'attimo fuggente, a me è venuto in mente un altro grande film, con quell'ambientazione: "Il club degli Imperatori" con Kevin Kline, nella parte di un professore di Storia eccezionale. Ancora oggi, io ricordo la sua lezione su Shutruk Nahunte (che poi nei libri di Storia sembra esserci, forse ce l'hanno aggiunto dopo il film?! :P )

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    1. Sai che non mi ricordo di questo film? Probabilmente non l'ho mai visto, ma sono curiosa per Kline mi piace. Per esempio lo adorai in quel film con Meg Ryan, French Kiss. :)

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  9. Devi assolutamente recuperare Il club degli imperatori, penso che come insegnante ti piacerà. Non lo hanno passato molto nei soliti canali televisivi, un vero peccato, per me dovrebbe essere una pellicola didattica invece. E in quanto a French Kiss... Meg Ryan sull'aereo, la prima volta, è tale e quale, se non peggio, Barbara sull'aereo la prima volta. Solo che non avevo nessun Kline a fianco... io avevo la mia amica Mara che si stava dando lo smalto...!!!

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    1. Allora lo recupero senz'altro! C'è qualcosa di familiare nell'immagine di Kline professore ma no ricordo assolutamente l'intreccio, quindi è certo che non l'ho visto.
      Comprendo quel terrore degli aerei!. Io ho volato sei volte in tutto, la prima volando sull'oceano per andare negli Stati Uniti, figurati. :)

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