sabato 27 ottobre 2018

Le domande esistenziali di un'autrice.

Effetto domino per una bella idea di Sandra Faé, che potete trovare qui. Leggendo in giro i post delle amiche blogger che hanno seguito la scia, mi aggrego volentieri. 
Nadia Banaudi, Giulia Mancini e Cristina Cavaliere si sono raccontate qui, qui e qui
La scarpa di Amélie Poulain la dice già lunga sul tipo che sono. :) 
Bene, vado a sostanziare il discorso rispondendo alle tre domande. 



Chi siamo?
Dove andiamo?
Perché scriviamo?

Chi sono?
Ho cominciato da un pezzo a pensare che gli anni passano in fretta. Troppo, se si pensa che dai 40 ai 47 è stato un balzo. Li ho compiuti lo scorso giugno, mancano tre anni ai fatidici 50, e viene spontaneo fare bilanci. 

domenica 21 ottobre 2018

La sfortuna di essere "nativi digitali".

Boy reading adventure story (N. Rockwell)
Oggi è domenica, quindi giorno in cui capita di bighellonare fra gli scaffali della libreria per spolverare, curiosare, perfino rendersi conto di libri del tutto dimenticati (quando sono impilati in doppia fila, scompaiono alla vista per molto tempo). 

Quando ebbi una casa tutta mia, non portai via dalla casa dei miei genitori tutti i miei libri d'infanzia. Saranno rimasti sepolti negli scaffali più in alto o portati in garage ad ammuffire. Ho con me quelli più cari, come Le mille e una notte, per dirne uno, regalatomi quando ero bambina. 

Se rifletto sulla fortuna di non essere una nativa digitale, penso anche a quanto noi, entrati negli "anta" da un po' o al massimo i trentenni, abbiamo potuto apprezzare questo oggetto preziosissimo che è il libro

Sì, da insegnante guardo tutti i giorni alla difficoltà dei ragazzi di amare i libri, la fatica che fanno nel leggere (attività che non è di per sé facile, come ho scritto qui), la fatica che impieghiamo noi nell'avvicinarli al libro, questo sconosciuto. 
Per quanto sia uso affermare il contrario, sono fermamente convinta che i ragazzi nati nell'era digitale non siano stati fortunati. Si sono persi qualcosa.

domenica 7 ottobre 2018

Sherlock Holmes - Arthur Conan Doyle

"Ho messo gli occhi su un appartamento in Baker Street - disse. - Sarebbe proprio l'ideale per noi. Spero soltanto che non le dia fastidio l'odore del tabacco forte". 

Un frammento del primo incontro fra Sherlock Holmes e John Watson basti a dare inizio a questo post, che ho deciso di scrivere al termine della lettura dei quattro romanzi di Conan Doyle - Uno studio in rosso, Il segno dei quattro, Il mastino dei Baskerville, La valle della paura - facenti parte di un "canone" ben maggiore, costituito da questi e cinquantasei racconti. 

Non so quando esattamente conobbi la figura di questo straordinario personaggio, Sherlock Holmes, il geniale indagatore di delitti con al seguito il mite amico Watson. Io ricordo di conoscerlo da sempre, da bambina devo essermi imbattuta in una delle tante serie tv e poi nel tempo in qualcuno dei 125 film che sono stati girati. 

E sì che adoravo letteralmente Ellery Queen e la "signora in giallo" prima di avventurarmi ad approfondire la figura di questo ineguagliabile segugio. 

I quattro romanzi - e l'opera omnia di Conan Doyle - sono un esempio avvincente di letteratura vittoriana che accomuna in sé i migliori elementi della narrazione del XIX secolo: lo stile pulito ed elegante, il ritratto della società borghese così come dei ceti più marginali di Londra e delle zone limitrofe, i primi importanti passi del metodo scientifico che amalgama anatomia e indagine, e su tutto il tipico aplomb dell'english man.

lunedì 1 ottobre 2018

L'era dei libroidi (o la riscossa dei libri-spazzatura)

Non molto tempo fa, Michela Murgia, nella bella trasmissione di Augias su Raitre, dedicò il suo intervento a un "libroide", l'ennesima pubblicazione di Fabio Volo. 

Mi piacque la parola, su Volo avevo letto decine di stroncature e assistito ai vessilli levati dei suoi estimatori e non ci fu bisogno di approfondire. 
Libroide è un neologismo che descrive perfettamente il tipo di pubblicazione di cui stiamo parlando, ma per una definizione perfetta devo rifarmi al suo autore, Gian Arturo Ferrari. 

Libroidi, quegli oggetti che dei libri hanno tutte le fattezze, sia fisiche, sia commerciali, sia propriamente libriche (dispongono di un autore, anche se a volte solo nominale, di un editore, di un copyright, spesso di un indice), ma dei libri non hanno l'anima. O, più umilmente, non hanno il capo né la coda, l'invenzione di una storia, il bene di un concetto, un autore vero. 

In sostanza, ci riferiamo agli pseudolibri che occupano di solito una posizione ottimale in ogni libreria, in vetrina, surclassando i libri veri, che sono relegati a una posizione secondaria, di quelle che i lettori esigenti vanno a cercarsi perfino nelle latebre degli scaffali più irraggiungibili. 

Il libroide, manco a dirlo, è un'invenzione tutta americana. Pare che il fenomeno di vendite che fecero impallidire perfino gli stessi editori risalga ai primi anni Novanta, in occasione della pubblicazione del libro di ricette della cuoca di Oprah Winfrey. 
In poche settimane, salì in classifica fino a dominarne per molto tempo la cima, lasciando dietro di sé scrittori del calibro di McEwan, Auster e compagnia bella.