Incipit: Il libro era spesso e nero e coperto di polvere. La copertina era incurvata e grinzosa; doveva essere stato maltrattato, ai suoi tempi. La costola non c'era più, o meglio sporgeva tra i fogli come un segnalibro voluminoso. Un nastro bianco sporco, legato con un bel fiocco, avvolgeva più volte il volume. Il bibliotecario lo porse a Roland Mitchell, che lo aspettava seduto nella sala di lettura della London Library.
Ci sono libri che chiedono di essere riletti, a distanza di un tempo più o meno lungo dal primo passaggio di lettura. Avevo letto questo romanzo più di dieci anni fa.
Era uno di quei tomi voluminosi (è impegnativo, sono più di 600 pagine) che mi portavo in treno quando facevo la supplente in uno dei paesini dei Castelli romani. A volte la sede era lontana abbastanza da potermi permettere un paio d'ore e mezza di lettura fra andata e ritorno.
Cito il treno su cui lo lessi per la prima volta perché ricordo perfettamente di aver perso la fermata, talmente ero immersa in un capitolo particolare. Quando il treno ripartì e pochi minuti dopo vidi che il paesaggio era nettamente diverso da come lo ricordavo, mi sentii particolarmente stupida, ma anche... ebbra. Sì, ero ebbra di quel capitolo.
Cos'ha di speciale questo tomo per essere così travolgente? Quel sottotitolo dell'edizione italiana mi piace poco, perché è riduttivo definirla "una storia romantica".
È un romanzo di una tale maestosità che credo sarebbe stato amatissimo da Virginia Woolf, per dirne una. Ma come spiegarne la maestosità? Anzitutto nell'intreccio.