Un tempo i libri venivano distribuiti in una veste tipografica neutra, il colore della copertina era quello del cuoio, il materiale di cui il libro era rivestito, e tutt'al più l'editore, all'epoca figura non ben definita e assimilabile allo stampatore, si riservava il vezzo di un piccolo marchio sul dorso o sulla copertina. Oggi la "veste tipografica" di una pubblicazione rappresenta una delle voci fondamentali della sua distribuzione.
Ci piace pensare che un libro "non vada giudicato dalla sua copertina" - sapevate che questo principio assai diffuso in realtà è una metafora espressa nel film Rocky Horror Picture Show? - ma poi la maggior parte di noi si lascia ipnotizzare da una bella "facciata", quasi come se le indicazioni in seconda e quarta di copertina finissero per un attimo in secondo piano. E sì che potremmo elencarne di libri che possediamo perché li abbiamo amati "a prima vista", prima di scoprire che magari erano anche buoni da leggere. Dalla mia esperienza, sono portata a pensare che 8 volte su 10 a una bella copertina si accomuni un buon contenuto, mentre a volte può capitare di perderci dei buoni libri solo perché diffusi in una veste tipografica inappropriata e brutta. Da buoni bibliofili, dovremmo bypassare pressoché del tutto questo aspetto e andare al sodo, ma...