venerdì 28 aprile 2023

The good mothers: raccontare bene le donne della 'ndrangheta è possibile.

Ho terminato da poco la miniserie, in sei puntate, andata in onda su Disney+ che racconta le donne della 'ndrangheta, quelle legate alla cronaca dell'ultimo decennio. 
Si tratta di una produzione italo-inglese ispirata al libro omonimo, scritto dal giornalista americano Alex Perry, pubblicato nel 2018. Studioso del fenomeno mafioso calabrese, Perry focalizzò il suo lavoro di ricerca sulle donne della mafia, parte integrante del fenomeno, spesso esecutrici materiali nel sistema, per la maggior parte pilastri dell'equilibrio familiare.
La serie, distribuita in diversi paesi, ha vinto in Germania il prestigioso Berlinale Series Award

Anni fa mi era capitato di vedere il film Lea, del regista Marco Tullio Giordana, attorno alla figura di Lea Garofalo, la donna e madre che per prima sfidò il sistema mafioso calabro, insediatosi da tempo in Lombardia, opponendosi ai metodi e ribellandosi al proprio compagno, Carlo Cosco. 
Lea Garofalo divenne una preziosa testimone di giustizia nei fatti fra il 1996 e il 2002, ottenendo protezione dalla magistratura, allo scadere della quale verrà attirata dall'ex compagno in un appartamento a Monza e lì uccisa. I miseri resti di Lea saranno ritrovati solo diverso tempo dopo, in seguito alla confessione di Carmine Venturino, uno dei factotum della famiglia. 
Anche in quella circostanza, cosa rese per me indimenticabile il film? Il suo realismo, la credibilità, una protagonista eccellente, Vanessa Scalera, che ritengo una punta di diamante fra le attrici italiane. 
È accaduto di nuovo con questa miniserie, una produzione capace di tenere incollati allo schermo sera dopo sera, con una sceneggiatura in grado di reggere bene fino alla fine. E con un'ottima regia, condivisa fra Elisa Amoruso e Julian Jarrold. 

Qui l'omicidio di Lea Garofalo è il punto di partenza, il luogo da cui partono altre importanti storie, anzitutto quella di sua figlia Denise. Personaggio-chiave e ragazza della quale sua madre sarebbe stata fiera, poiché a Denise - e ad altra importante testimone - si dovrà il processo che metterà al palo alcune 'ndrine, famiglie del sistema calabro e lombardo. 

Vanessa Scalera (Lea) e Linda Caridi (Denise) nel film Lea - 2015

Denise torna in seno alla famiglia, in Calabria a Rosarno, dopo la sparizione di sua madre. Nel suo cuore è forte la sensazione di non rivederla mai più, non cede alle menzogne di suo padre, non riesce ad amalgamarsi alla famiglia. Il suo "custode", che la segue come un'ombra e del quale si innamora (dettaglio inventato, assieme alla sua età, poiché aveva solo 4 anni quando sua madre venne uccisa), è proprio quel Carmine Venturino che poi si rivelerà essere parte dell'agguato a Lea. 
Mentre seguiamo i passi di Denise, la sua angoscia e la speranza sempre più flebile di riabbracciare sua madre, affiorano altre due storie, quelle di Giuseppina Pesce e Maria Concetta Cacciola
Si tratta di due figure-chiave, entrambe testimoni di giustizia, la prima ancora sotto protezione, la seconda uccisa dalla sua stessa famiglia nel 2011. 
Sono molto diverse le due storie: se Giuseppina e Concetta condividono la situazione dei propri mariti incarcerati per associazione mafiosa - e pertanto donne e madri in attesa che tornino a casa dopo aver scontato la pena - la prima è anche parte attiva nella 'ndrina, mentre Maria Concetta deve obbedire a una specie di codice familiare che la obbliga alla reclusione in casa. 

Le donne nel durissimo sistema delle 'ndrine.
Attorno a queste donne, e a Denise, si muove un corollario di uomini che sono padroni e signori delle loro vite. L'obbedienza al sistema deve essere cieca, non deve fare una piega. La donna è a totale servizio dell'uomo, fra le mura domestiche come fuori
Consapevoli di essere parte di cosche mafiose radicate nel territorio, devono accettare di sposare l'uomo scelto per loro dal padre, obbedire per sempre a lui, al fratello, e ovviamente al marito. 
I figli maschi sono venerati e avviati fin da piccoli a un approccio violento, non sono tollerati atteggiamenti "soft". Le femmine educate a essere parte della famiglia come ramo accudente e all'obbedienza al volere del padre nel momento in cui riterrà che debbano sposarsi - giovanissime. 
La famiglia è un cardine, un pilastro sacro e inviolabile. Un sistema piramidale in cui il più anziano occupa il vertice e detiene il comando. 
Su tutto aleggia un sentore come di "normalità": le donne della generazione al vertice sono ancelle devotissime al maschio. Non osano neanche pensare di contravvenire ai suoi ordini, ma neanche sfiora loro il pensiero. Sono donne-complici, al punto che saprebbero tradire la figlia disobbediente e consegnarla al martirio, come blandire e lusingare una giovane nipote perché si plasmi al volere del vertice. Una cosa enorme, tragica e gigantesca, si percepisce sequenza dopo sequenza. 
Forse è proprio l'aspetto più sconvolgente di tutto questo sistema: l'avallo delle donne che si allineano, la loro strenua difesa del maschio e del crimine. 
In fondo, da queste storie si trae che solo accettandone appieno il meccanismo e rispettandone la gerarchia la donna può garantirsi una posizione se non altro di vago rispetto. In particolare per le generazioni precedenti, nate e vissute in un mondo "analogico", meno semplice per le nuove, più aperte al mondo esterno, connesse alla rete, più "esposte". 


Valentina Bellè nel ruolo di Giuseppina Pesce

Il cast
Una storia come questa, tragica e difficile, può essere affidata solo a una produzione in grado di non farne l'ennesima serie tv per famiglie, edulcorando, abbellendo, falsando. Ben venga dunque questa collaborazione che ha saputo regalare allo spettatore uno "spettacolo" di circa cinque ore del tutto ben fatto, pari solo a produzioni come L'amica geniale, che pure è frutto di team creativi di più nazionalità. 
Su tutti, gli interpreti davvero emozionanti sono stati Valentina Bellè, nel ruolo di Giuseppina Pesce, e Andrea Dodero, nel ruolo di Carmine Venturino. 
Il difficile era interpretare ruoli in perfetto calabrese del territorio fra Rosarno e Gioia Tauro, nuclei delle 'ndrine, dove si trovano dialetti molto stretti. Io stessa, calabrese del cosentino, faccio fatica a capire questo particolare idioma. È pesante, quasi una lingua a sé. Per intenderci, il classico calabrese delle barzellette, quello che aspira le "t" facendone quasi delle "th", quello col ritmo strascicato - insomma, il peggiore accento calabro. 
Andrea Dodero
Valentina Bellè, attrice veronese, rende il personaggio di Giuseppina non solo realizzandolo perfettamente ma usa la voce in modo totalmente diverso dal solito, acuendo le note basse, rendendola dura e ruvida. 
Andrea Dodero, genovese, ha la faccia giusta ma pure movenze, quella nota malinconica, occhi espressivi, dialetto stretto, perfetto al punto da sospettare che sia proprio di quelle parti e preso nel cast per pura facilità di ottenere un risultato perfetto. 
Se loro due mi hanno emozionato, tanto di cappello al resto del cast, come Francesco Colella nel ruolo di Carlo Cosco - che ha però giocato un po' più facile essendo nativo di Catanzaro - e Barbara Chichiarelli nel ruolo di una credibilissima sostituto procuratore antimafia. 
Un po' meno "ficcante" Gaia Girace, nel ruolo di Denise - che pure è stata una perfetta Lila Cerullo ne L'amica geniale. 
Non mi hanno convinto Micaela Ramazzotti nel ruolo di Lea Garofalo - il ricordo di Vanessa Scalera nella sua interpretazione immensa me lo ha clamorosamente impedito - e Simona Distefano nel ruolo di Maria Concetta Cacciola. 
Il ruolo cameo di Monica Guerritore mostra un'attrice "in parte" (in gergo "perfettamente nel ruolo"), oltretutto una donna genuina, non scalfita da chirurgia estetica e pertanto "vera". 

Una miniserie che è come un lungo film da cui fai fatica a prendere le distanze, poiché anche nel ricordo di diverse sequenze non si può dimenticare lo spettacolo tragico di questa parte di Calabria martoriata dalla criminalità. Una terra trascurata dalle autorità, scalfita, ferita e abbandonata, in quei paesi fatti di strade sconnesse e muri graffiati dal tempo, tanto abusivismo, degrado e omertà. 
Nella piazza vuota di persone perché non è un luogo dove ritrovarsi ma nel quale si rischia di essere troppo esposti, nei negozi dove chi gestisce l'attività abbassa lo sguardo all'ingresso del malavitoso e gli permette di prendersi quel che vuole - "noi non paghiamo, Denise" - e poi dinanzi a quel mare, meraviglioso e ignaro di tutto lo scempio dell'uomo. E capisci quanto sia ingiusto tutto questo. 
Nella provincia in cui sono nata e cresciuta, molto diversa da questa ma pure simile in certi aspetti, si è avuto sentore di cosche a capo di attività commerciali. Ricordo dei fatti, il clamoroso arresto di una donna insospettabile con la quale avevo parlato tante volte perché gestiva un bar sulla spiaggia, di cui si vociferò era una importante esponente della criminalità del luogo, per fare un esempio. 
Ma c'è anche da fare una differenza fra luogo e luogo, fra quanto si faccia sentire la presenza mafiosa e quanto sembri praticamente inesistente. Il fenomeno è ampio, stratificato e molto complesso. 

Ecco il trailer della miniserie.



Se potete, non perdetevi la visione di questa miniserie. Consigliatissima. 
Conoscevate la storia di Lea Garofalo? Vi piace guardare questo tipo di produzione? 

21 commenti:

  1. Ho solo sentito parlare di Lea Garofalo, ma non ho approfondito l’argomento. Ho letto molto e guardato film delle storie delle donne siciliane e campane legate alla mafia. Ho letto della storia di Rita Atria e di Felicia Impastato per esempio. Ma non ho mai letto o visto film delle donne di drangheta. Dalla tua descrizione sembra una grande serie televisiva e mi sa che devo assolutamente recuperarla. Mi piacciono questi tipi di produzione, questo genere di film o di serie. Sono uno spaccato reale del nostro paese che non si può non conoscere.

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    1. Sì, il racconto della mafia siciliana è senz'altro molto diffuso rispetto a quello della 'ndrangheta. Qualche mese fa ho avuto il piacere di incontrare il magistrato antimafia Nicola Gratteri che ha parlato della grande differenza fra i due sistemi. Meno plateale quella calabrese, più sotto tono, ma capace di far danni serissimi in effetti.

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  2. Per la mia caratteriale impazienza scarto tutti i film che si articolano in serie.
    Conoscere la realtà delle donne legate alla 'ndrangheta è molto importante perché riguarda la vita di donne italiane coinvolte nella criminalità organizzata. Ma quello che hai scritto mi invoglia a tuffarmi nella miniserie della Disney+

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    1. Sii flessibile e dalle una possibilità. Ti garantisco che è una cosa molto buona. Poi ti puoi sempre fermare dopo la prima puntata.

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  3. Avevo visto il film su Lea Garofalo ed ero rimasta colpita dalla bravura dell’attrice in un tempo in cui Vanessa Scalera era ancora poco nota, il film mi era piaciuto molto anche se, quando vedo queste produzioni, soffro non poco perché mi indigno all’idea che la criminalità organizzata sia ancora così presente e diffusa nel tessuto sociale e nel territorio non solo del sud come ben sappiamo...

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    1. Quel film è come un pugno allo stomaco. Come te, scoprii la Scalera proprio in quella produzione e ne rimasi abbacinata. Vorrei rivederlo, magari lo cerco in uno di questi canali streaming o su Raiplay. E poi sì, queste storie ti lasciano una profonda indignazione.

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  4. Sarà che sono cresciuto che in TV si guardava "Il padrino", e Placido ne "La piovra", e i film sulla mafia di Damiano Damiani e... insomma, nel corso degli anni ho raggiunto una "saturazione", mi piacerebbe vedere lo stato che estirpa il fenomeno nel mondo reale.
    L'ultima fiction sulla mafia che ho visto è infatti una non di denuncia ma di pura follia narrativa, "Bang bang baby", che sta alla mafia come "Trainspotting" stava al fenomeno della tossicodipendenza.

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    1. Ricordo il commissario Cattani e poi quella puntata così "iconica" della sua fine spettacolare. Lì però c'è una costruzione, una finzione narrativa. Produzioni come Lea o The good mothers sono invece quasi delle docu-fiction. Comunque, a proposito di "mafie" anche straniere, sto per ultimare "Better call Saul" dopo tutte le stagioni di "Breaking bad" e sono certissima di voler cominciare "Narcos".

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  5. me gusta leerte yy entender tus bella letrasletras

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  6. L'argomento l'ho scoperto dai giornali e da alcuni programmi TV che ne hanno parlato. A parte i film del passato, citati qui sopra da Ariano Geta che conosco molto bene, i film di cui parli li ho solo sentiti come commento su TV e giornali. Certo deve essere un mondo duro, difficile e senza dubbio rischioso, l'unica cosa che posso dire.
    Un salutone e alla prossima

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    1. Sono temi purtroppo ben noti. Passano attraverso al cronaca "nera" ma sono parte di un fenomeno molto ampio e per di più complesso. Importante è non ignorarli e ampliare la propria consapevolezza oltre ai celebri Falcone e Borsellino e andare a tutte le tragiche storie di questa piaga. Un salutone a te

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  7. Peccato, non ho il canale: è una storia che potrebbe piacermi, anche perché in qualche misura riguarda anche molte donne, figlie , sorelle, madri di esponenti della mafia siciliana. Donne qualche volta sfortunate perché cresciute in contesti totalmente sbagliati e sempre vittime, ma spesso in prima linea, nel pieno esercizio di un potere che le rende complici nel crimine. Conosco le attrici: "Lila" mi faceva antipatia nelle amiche geniali, ma questo non c'entra :) Monica Guerritore è un'eccellenza, con lei non si sbaglia mai.
    (Noi stiamo seguendo "This is us" su Amazon Prime: questo te lo consiglio io. Molto bello. ;))

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    1. Sì, ti piacerebbe per come è raccontata. Le donne della mafia, siano esse colluse col sistema o al di fuori, vengono trascurate dalla narrazione. Quest'anno, il 23 maggio, nella mia scuola, intitolata a Falcone, ci sarà una commemorazione importante. Io ho scelto di raccontare proprio Lea Garofalo, sconosciuta ai più.
      (Ho visto tutte le stagioni di "This is us"! Ci sono stati momenti talmente struggenti da avermi farmi piangere a fontana, ahahahah. Ho appena terminato "Better call Saul", oltretutto).

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    2. Ah, ecco, allora non ti era sfuggita la serie! Beeeella Better call Saul!

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  8. Nelle organizzazioni criminali la disparità delle donne rispetto all'uomo è elevata all'ennesima potenza. Le mafie sono organizzazioni chiuse, votate alla sopraffazione, alla minaccia, a creare paura. Le mafie mistificano valori quali onere, famiglia e tanti altri. Importanti queste iniziative cinematografiche anche se bisognerebbe parlare di più e più a fondo di questi fenomeni criminali che fondano la loro esistenza su acquiescenza e silenzio.

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    1. Concordo, al di là di questi episodici eventi in cui, stando dinanzi alla tv, hai modo di seguire una storia tratta dal vero, quando abbiamo la reale opportunità di conoscere questi fenomeni? A scuola si potrebbe fare tanto, almeno quando non si scade nella banalità. In generale, ne sappiamo pochissimo o niente, eppure si tratta di vite che val la pena di conoscere.

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  9. Ciao Luz, non conosco la storia di Lea Garofalo se non per sommi capi né ho visto questa serie (non possiedo Netflix) ma ho letto con attenzione la tua recensione. Mi colpiscono due cose: la sottolineatura della subalternità totale delle donne nel sistema delle 'ndrine e i volti delle protagoniste nelle foto che hai postato. Queste ultime mi hanno colpito in modo particolare, le trovo intense e sinceramente indimenticabili. MI fido delle tue valutazioni sulla recitazione e condivido la sottolineatura di una Guerritore "vera" perché sono sinceramente agghiacciata dalle trasformazioni di volti un tempo belli in maschere post chirurgiche. Orribili anzi mostruose. Quanto al ruolo delle donne, mi vengono in mente le donne che hanno ereditato la gestione delle cosche dei mariti in prigione: sono anche in quel caso agli ordini di chi sta dietro le sbarre. Un'autonomia falsa e crudele. Ma sono le 'ndrine a essere crudeli, non c'è salvezza in questa criminalità

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    1. Sì, le donne si sostituiscono assai spesso ai mariti che stanno scontando una pena. È proprio il caso di Giuseppina Pesce, che svolge egregiamente il proprio lavoro ma è di continuo sotto sorveglianza da parte del fratello e del padre. In pratica una schiava, ma lei accetta il sistema, salvo poi, dopo l'arresto cedere al desiderio di rivedere i propri figli.

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  10. Ciao Luz, sì, ho seguito la storia di Lea Garofalo sui giornali e anche perché ne parlarono molto all'epoca, essendo stata uccisa a Monza, a poca distanza da dove abito io. Mi ripropongo di vedere almeno il film. Parliamo molto della disparità di trattamento che subiscono le donne in alcuni paesi extra-Italia, per motivi soprattutto religiosi, ma la mancanza di libertà di queste donne prigioniere del loro clan familiare fa impressione. Coloro che si ribellano devono fare uno sforzo prima di tutto sopra se stesse, quindi di tipo culturale, e poi nei confronti del mondo che le circonda. Impiegare la parola "eroine" non è retorico.

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    1. Sì, quello che deve far riflettere è la possibilità di considerare storie che ampliano il nostro sguardo e permettono di individuare realtà quasi totalmente ignorate, subculture vissute a pochi passi da noi.

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