Incipit: Ehi, guarda quell'uomo. Aspetta, fa' come se niente fosse, continuiamo a chiacchierare... Se si voltasse potrebbe vedermi, e io non voglio che mi saluti. Ecco, adesso puoi guardarlo... Quello basso, tarchiato, con il cappotto dal collo di martora? Ma figurati! Quello alto, pallido, con il cappotto nero, che sta parlando con la commessa. Si fa incartare della scorza d'arancia candita. Strano, a me non l'ha mai comprata, la scorza candita.
Come mi ero ripromessa, dopo l'esperienza di Le braci ho letto un altro dei libri di Márai, fra i suoi tre più noti.
Avevo sentito di questo romanzo una recensione molto appassionata in tv, a cura della scrittrice Michela Murgia. Da lì ero partita poi con la prima esperienza di lettura dello scrittore ungherese, per poi approdare a questa monumentale narrazione divisa dapprima in due e poi, in successive edizioni, in quattro parti. In una nota leggo che la prima versione, apparsa in Ungheria nel 1941, era intitolata "Quello giusto", con valore neutro. Otto anni dopo il romanzo viene pubblicato in Germania integrato dall'autore con una terza parte. A sua volta questa terza parte rielaborata nel 1980 fu data alle stampe con l'epilogo. Dalle diverse stesure, si direbbe che Márai abbia considerato questo il suo capolavoro, ma non ne sono tanto certa.
Continuo a preferire nettamente Le braci, al quale Márai deve la sua fama, ma non si può negare che La donna giusta sia imperdibile per chi voglia percorrere la scrittura di questo autore raffinato.
Alla base dell'intreccio troviamo la più classica e inflazionata delle storie: un intreccio amoroso. Lei ama lui, lui ama l'altra.
Difficile crearne una trama così originale, però, perché la stessa storia viene narrata proprio dai tre, secondo i loro tre punti di vista differenti.
Già solo per questo dettaglio varrebbe una lettura. Spiazzante, perché al realismo si aggiunge uno scandaglio psicologico innegabilmente interessante. La prima delle tre voci è quella della moglie tradita, Marika, e il lettore non può che schierarsi con lei, ne ammira la compostezza, le scelte, comprende l'inevitabile epilogo. Nella seconda voce, quella di Peter il marito fedifrago, l'autore mette il lettore nelle condizioni di comprenderne le ragioni, guardare agli eventi da un'altra angolazione, capire l'ineluttabilità del compiersi di quella relazione.
Fino a quel momento, l'altra è sullo sfondo. Il lettore la percepisce come oscura e impenetrabile, come da copione è la guasta-famiglie, quindi eticamente riprovevole. Invece il gioco fra le parti sta tutto lì, lo spiazzante punto di vista, il terzo, dell'amante poi moglie del protagonista, e non si può fare a meno di comprendere anche lei, parteggiare per ogni suo atto.
Nella voce narrante di Judit, l'altra, si svela il vero intento di Márai: la feroce critica della borghesia e della civiltà delle macchine. E Judit rappresenta la cuspide in questo triangolo in cui l'amore non trova reale spazio.
Sì, perché l'amore di Marika è morboso, nei modi perfettamente in linea con il perbenismo alto-borghese in cui i coniugi si muovono, nel segreto di ogni gesto è una ricerca disperata del motivo per cui Peter non ricambia i suoi sentimenti.
L'amore di Peter per l'altra è in realtà una sorta di attrazione fatale, una forma manifesta di opposizione ai canoni sociali, perché Judit è una cameriera - arrivò con un fagotto in mano, come le fanciulle delle fiabe popolari - e amarla significa frantumare ogni possibilità di accettazione da parte del bel mondo.
Judit prova amore anzitutto nei riguardi di se stessa, perché vede nella propria bellezza e seduzione la possibilità di un riscatto per sé e di un attacco programmato alla classe sociale cui Peter appartiene.
Sullo sfondo, il disfacimento della città di Budapest sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale e con esso il disfacimento di quel capitalismo che sarà spazzato via dal comunismo sovietico.
Márai si conferma un autore di grande pregio. Alcune descrizioni sono la sua stessa voce, c'è molto del suo autore in questo romanzo. Ha anche il pregio di scegliere la narrazione in prima persona a un interlocutore immaginario. Qualcosa molto vicino al monologo-soliloquio, qualcosa di teatrale.
Affida a Peter una lucida critica dei "tempi moderni":
È come se il fuoco della gioia si fosse spento sulla terra. A volte, per qualche istante, qua e là arde ancora. In fondo all'animo umano vive il ricordo di un mondo felice, solare, giocoso, nel quale il dovere è al tempo stesso divertimento, e ogni sforzo è gradevole e sensato. Forse i greci, ecco, loro saranno stati felici. Si ammazzavano l'un l'altro allo stesso modo in cui massacravano le genti straniere, [...] e tuttavia possedevano un gioioso e straripante senso della comunità, perché erano colti, nel senso più profondo. Noi invece non viviamo in una vera cultura, la nostra è una civiltà di massa, meccanizzata ed enigmatica. Tutti hanno la loro parte, ma nessuno ne trae vera gioia.
Nella visione di Peter, essere borghesi richiede uno sforzo continuo.
Peter descrive Judit:
E siccome era bella da togliere il fiato, di una bellezza così fiera, virginale e selvaggiamente compiuta, un perfetto esemplare della creazione divina, che la natura riesce a disegnare e a fondere con tanta perfezione un'unica volta, la sua bellezza prese a influenzare pian piano l'atmosfera della casa e la nostra vita come un sordo e continuo sottofondo musicale.
Judit, personaggio chiave, al suo turno di narrazione si rivela molto legata all'amico di Peter, il "testimone", colui che del protagonista tutto sa e tutto comprende. Lázár è lo scrittore, un metaforico "avvocato difensore" di Peter, una figura simbolica che incarna la visione della letteratura per l'autore. Non riporto i numerosi passaggi riguardanti questo aspetto, ma sono davvero notevoli.
La quarta e ultima parte, che racchiude la narrazione del batterista, ultimo amante di Judit, è a mio parere una ridondanza e non l'ho apprezzata granché. Le tre voci del romanzo sono esaurienti a tracciare il ritratto di tre anime e dell'epoca in cui si muovono.
Non resta che leggere il terzo dei romanzi più noti di Márai, Divorzio a Buda.