martedì 7 dicembre 2021

Perché parlare di parità di genere è fondamentale, soprattutto a scuola.

Sapevate che la parità di genere è uno degli obiettivi più importanti di questo decennio? 
Non è il solito slogan "necessario", ma un dato di fatto: la gender equality è il quinto goal dello sviluppo sostenibile, il grande progetto afferente alle Nazioni Unite. 

La narrazione dei social media attorno a questo tema fondamentale lo sminuisce e lo confonde ad esempio con i diritti civili per i quali combatte il mondo LGBT e relative appendici, tema anch'esso sacrosanto, chi mi conosce sa quanto lo sostengo da sempre. 
Oppure siamo abituati a pensare che la causa sia tutta nei diritti del nuovo femminismo, anche e soprattutto in quello urlato, che si mescola al politically correct nelle sue forme estremizzate.
C'è un errore di fondo, perché  si dimentica che la parità di genere tocca oltremodo un macrocosmo molto più complesso, globale, comprendente in toto le problematiche della discriminazione sessista a tutti i livelli, con un focus particolare su tutte le realtà nel mondo in cui alle donne è precluso ogni basilare diritto. 

Dicevamo, è uno degli obiettivi dell'Agenda 2030 elaborata dalle Nazioni Unite, un progetto molto vasto con sotto obiettivi che toccano i principali snodi da risolvere. 
Alcune cifre registrate nel mondo: due terzi dei paesi in via di sviluppo hanno raggiunto la parità di genere solo per l'accesso all'istruzione primaria. In Africa subsahariana, Asia occidentale e Oceania le ragazze ancora non accedono all'istruzione secondaria. Sono solo due esempi del forte sbilanciamento fra maschi e femmine nelle aree del mondo in cui si fa ancora molta fatica anche solo perché il problema venga preso in considerazione.

Il dibattito attorno alla parità di genere come contenuto da diluire nelle varie discipline scolastiche è spesso guardato con sospetto, un po' trascurato, perché viene confuso con altri aspetti della differenza di trattamento riservato a maschi e femmine nella società occidentale. 
Eppure le cifre del nostro mondo occidentale e "avanzato" sono anch'esse preoccupanti: la percentuale di donne che occupano ruoli dirigenziali in ambito politico, industriale, scientifico è ancora minima, la disparità di trattamento fra uomini e donne in molti ambiti lavorativi ancora un problema irrisolto, per non parlare del preoccupante fenomeno del femminicidio, che non guarda né a livello sociale né a latitudine per falcidiare un numero crescente di donne ogni anno. 
A onor del vero, non viviamo in una società equa, come dimostra un dato oggettivo, desunto da Invalsi, il sistema di valutazione degli apprendimenti annuale. 
I dati Invalsi del 2019 per esempio hanno rivelato un livello di competenze in matematica molto maggiore nei maschi rispetto alle femmine. Le conseguenze diventano poi dati evidenti: per esempio, 1 maschio su 4 intraprende la carriera medica - quindi pertinente il campo scientifico - a fronte di 1 femmina su 9. 
Dati scientifici ormai anche obsoleti hanno confermato che nell'apprendimento della matematica le capacità intellettive dei maschi non hanno nulla di differente rispetto a quelle femminili. E allora che succede?
Succede che la maggior parte delle femmine nel nostro sistema sociale occidentale e avanzato sono vittime di un "pregiudizio inconsapevole", qualcosa che riguarda il contesto anzitutto familiare e poi scolastico e sociale. Le femmine sono portate a pensare di non essere competenti quanto i maschi in matematica da tutta una serie di comportamenti sociali. 
Immaginate quanto sia fondamentale il ruolo della scuola?



Cosa può fare la scuola.
La scuola, basata sul principio dell'offrire a maschi e femmine pari opportunità di apprendimento, ha il compito di intervenire su pregiudizi e stereotipi. Deve smantellare gli stereotipi di genere che ledono l'autostima delle studentesse. 
La missione del docente è impegnativa a riguardo - esiste comunque una missione non tale? - perché deve essere in grado di andare oltre l'apparenza, la superficie, per svelare, smascherare il pregiudizio
Il fine è per lo studente l'acquisizione di strumenti critici, saper leggere il reale, intervenire per raddrizzare la rotta. Giacché tutti siamo portatori di pregiudizi, volenti o nolenti, bisogna essere in grado di riconoscerli e renderli materia di discussione. 
Se penso al metodo giusto per portare una classe di 14enni su questi importanti temi, mi viene in mente un'attività molto in voga oggi: il debate. Eh sì, pronunciato all'inglese, perché è attività tipica dell'istruzione anglosassone. Io ovviamente lo chiamo "dibattito", spesso anche "classe rovesciata" - rinunciando all'inglesissimo flipped classroom. Se c'è una cosa che mi piace in modo particolare dei ragazzi è la loro voglia di discutere in classe. I ragazzi adorano la discussione. 
Durante il dibattito ci muoviamo attorno alla problematica con esempi desunti dalla realtà, dall'esperienza personale, dall'idea che ci siamo fatti finora del mondo. 
Se siamo fortunati, avremo anche testi che ci aiutano a riguardo, ma su questo ci sarebbe da aprire un capitolo a parte.

Vi porto l'esempio del nostro manuale triennale di grammatica e sintassi, autrice Rosetta Zordan. 
Ebbene, nelle nuove edizioni la nostra ha dovuto rivedere accuratamente tutto l'apparato di frasi da analizzare, perché le piaceva un sacco la discriminazione sessista. Nella mia attuale seconda, alunni con vecchia edizione si ritrovano dinanzi frasi del tipo: "Maria è troppo grassa per indossare quella gonna". Oppure: "Gaia sparecchia, mentre suo fratello gioca alla playstation". O ancora: "La mamma ha pulito il terrazzo e il papà ha sporcato subito dopo, così si è molto arrabbiata". 
Insomma, frasi esemplari di un concetto sessista e molto fastidioso, pericoloso pure, se pensiamo che questo fa parte della nostra cultura, del modo di concepire ancora oggi la bambina, la ragazza, la donna.
Se questa battaglia deve smantellare le fondamenta del problema, ebbene, partire dalla famiglia e dalla scuola diventa necessario, il solo strumento possibile. 
La mamma lava e cucina, il papà lavora, come se si fosse dinanzi a testi degli anni Cinquanta.

[Sapevate che questa battaglia toccò la lingua italiana fin dal 1987, con la partecipazione di Tina Anselmi? Ma questo meriterà un approfondimento a parte].

La scuola, quando è vera scuola, riesce a fare da "ponte" fra il dentro e il fuori, il mondo. Stando anche bene attenti a non far passare la problematica per una battaglia sulle donne e per le donne che non prenda in considerazione la donna come risorsa per il mondo. 
La disuguaglianza è una perdita di risorse per il mondo, per l'umanità. 
Portare i ragazzi a elaborare consapevolezza attorno al problema e porsi dinanzi al problema affilando il proprio senso critico, ecco l'obiettivo vero. Parlarne, discutere, problematizzare. 
I miei ragazzi sono ancora molto giovani, ma tanto si può già fare nelle terze, sperando che alle superiori trovino terreno fertile per continuare a entrare a fondo nella questione. 
Mi fermo qui, lasciandovi a questo video sui traguardi dell'obiettivo n. 5. 




Cosa pensate della parità di genere? In che tipo di ambiente avete formato il vostro pensiero? Avete avuto esempi di vita importanti a riguardo? 

17 commenti:

  1. Ieri sera ho tentato in ogni modo di commentare, ma niente. Ogni volta il mio commento veniva divorato dal web! Riproviamoci ora.
    Ovviamente concordo con ogni singola parola che hai scritto. Oltre tutto la pandemia ha notevolmente peggiorato la situazione italiana perché la maggior parte dei posti di lavoro persi sono femminili e la maggior parte delle assunzioni dell'ultimo periodo sono maschili. A scuola ho dovuto improvvisare un momento di recitazione per far capire ai miei alunni che se una donna viene licenziata perché incinta i maschietti che le stanno intorno e la società in generale non ci guadagnano, anzi. Tuttavia mentirei se dicessi di essere sicura di aver acceso luci di consapevolezza. Il pensiero a cui sono arrivata, tuttavia, è che bisogna lavorare anche o principalmente sui maschi. Quando loro capiranno che ci perdono in prima persona per questa mancanza di pari opportunità, allora, forse, le cose inizieranno a cambiare.

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    1. Come sai, il tuo intervento è per me prezioso perché parte dall'esperienza diretta da insegnante. Il confronto fra noi è necessario. Ecco, tocchi un punto importante, di cui accennavo. Arrivare agli alunni, in particolare ai maschi, non è semplice. A volte sembra che questi argomenti cadano nel vuoto. Ecco perché penso che la famiglia in primis non faccia un lavoro di smantellamento di quei pregiudizi. Nel caso di ragazzi molto giovani, è evidente che non si tratti di pregiudizio, ma di abitudini e tendenza acquisite nel luogo d'origine.
      Molti maschi, per fortuna non tutti, si esprimono con parole e atteggiamenti discriminatori fin da piccoli. Noto però, come certamente anche tu, che le femmine dall'infanzia fino almeno all'affacciarsi all'adolescenza, "sanno il fatto loro", sono sveglie, attive, veloci, ambiziose, a volte vere e proprie bullette di professione. Perdono più in là questo controllo della situazione per piegarsi a logiche che acquisiscono spontaneamente, come se l'adolescenza prima e poi la giovinezza, l'età più matura, le mettessi dinanzi a una posizione subalterna inevitabile. Che ne pensi?

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    2. Rispondo dopo secoli, ma come sai è tempo di colloqui e open-day. Qui in paese è forse diverso. Ci sono alcune ragazze molto focalizzare sui loro obiettivi (ho in classe una piccola campionessa di moto cross e un'aspirante mangaka), ma per la maggior parte il sogno è il principe azzurro. Perché si è sempre fatto così, perché quelli sono i modelli che recepiscono e metterli in discussione non è neppure pensabile. Le donne non sognano altro che tanti bambini, no?

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  2. Per il discorso lavorativo, posso dire che io sono cresciuto - per motivi anagrafici - in un contesto in cui la diseguaglianza di genere era più evidente di oggi, eppure nella vecchia generazione della mia famiglia tutte le donne lavoravano. Il mondo di oggi è molto diverso, ma mi pare che ci sia un uso troppo disinvolto di slogan e frasi fatte da parte di una certa politica che ha tutto l'interesse (non disinteressato ovviamente) a creare un clima di contrapposizione per motivi ideologici.
    Sul discorso delle violenze domestiche credo che lo stato dovrebbe fare di più a livello di giustizia penale. Io non sono un ottimista, non sono così fiducioso. Pensare che una persona violenta sia solo uno che non abbia ricevuto la "giusta educazione" mi pare troppo semplicistico, trovo molto più funzionale la recente proposta (che spero venga approvata) di partire subito con l'arresto preventivo e utilizzare il braccialetto elettronico.
    Se parliamo di altri paesi, non c'è dubbio che in altre nazioni, soprattutto non occidentali, il divario è ancora notevole. Ma mi chiedo se abbia senso credere di poter cambiare le cose in quelle nazioni intervenendo sul piano "ideologico" se poi, al tempo stesso, si evita di mettere in discussione (e anzi, si elogia) la cultura religiosa che è il sostrato ideale di quel divario e che in molte nazioni blocca il concetto di "stato laico". Senza contare che, per (ahinoi) inevitabili motivi di realpolitik, con i più oltranzisti di quei paesi i rapporti diplomatici sono ottimi e improntati alla totale mancanza di critica.

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    1. Concordo sul fatto di intervenire risolutamente già sul denunciato di stalking, proprio là dove ancora le cose non siano degenerate del tutto. Perché di fatto tutti o quasi i casi di femminicidio riguardano relazioni in cui il lui di turno era stato denunciato, o dovremmo anche guardare al fatto che è impossibile che famiglia, amici, conoscenti, ignorino situazioni di violenza anche solo verbale, casi di vessazioni che sono gravi molto prima di diventare omicidi.
      C'è uno stato che non protegge la vittima, ma c'è anche un'omertà estesa, come se questi fatti gravi dovessero restare nel privato per un pudore, per timore, per reticenza, o semplicemente per indifferenza.
      Riguardo ai paesi non occidentali e tutto quello che riguarda le vessazioni femminili - matrimoni di minori, infibulazione, abuso e degrado estremi e accettati per uso consolidato - ecco, lì come scrivi è davvero molto difficile, e anch'io subodoro una certa ipocrisia di base nell'ipotizzarne una risoluzione che prescinda dai rapporti strategici di natura economica in primis. Forse vale comunque il fatto che se ne parli, che si ponga come problema. Almeno non significa ignorare.

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  3. Carissima hai toccato l'argomento più difficile e più ostico del momento.

    Inizio dicendo che tutto ciò che è stato fatto in passato (ed è stato fatto molto) è chiaro che alla luce di quel che leggiamo oggi non è bastato. Bisogna fare di più e per prima cosa sarebbe importante iniziare da un cambiamento culturale, oltre che legislativo. E' parte della cultura odierna quella di oltrepassare il limite dei rapporti dove l'altro non conta più niente (addirittura chiunque esso sia uomo o donna). E quindi c'è una forma distruttiva di egoismo che non guarda in faccia nessuno, ma soprattutto le donne.

    Penso anche che l'ambiente politico e reazionario di oggi (e non solo in Italia, guardiamo ad esempio anche cosa ha fatto Trump in America e l'idea che ha lui della donna) abbia facilitato e incoraggiato persone prepotenti, arroganti e il peggior maschilismo a venire a galla. Costoro si sentono, come dire, autorizzati a fare della donna ciò che vogliono. Il web ha dato a molti di questi uomini violenti "il mezzo" per portare a termine un vero e proprio delirio in varie forme dallo stalking, al ricatto sino alla violenza più incredibile.

    Il principio da capire è: perché l'uomo si sente autorizzato a picchiare o uccidere una donna? Il fatto di non accettare di essere lasciato (ad esempio) è il motivo scatenante ma dietro c'è dell'altro. Penso ad esempio a "Padre Padrone" dei fratelli Taviani per iniziare per poi giungere a qualcosa che sta' più in fondo, dentro l'uomo violento. Con la mia mania degli aforismi Isaac Asimov sosteneva che "La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci"...ed è proprio così. L'incapace non è capace di trovare una soluzione pacifica, non gli va e non gliene frega niente dell'altro e quindi ti faccio del male o ti sopprimo.

    Le discriminazioni economiche a scapito delle donne, i ricatti vari o il non assumere una donna incinta sono autentiche vigliaccate che disonorano l'uomo. Ma vedo con fiducia che in molti paesi europei (certo, paesi nordici) molte donne sono arrivate a cariche importanti come anche Premier di un governo, ma in Italia i nostri politici hanno ancora molta strada da fare...

    Un salutone e bel posto con una analisi profonda che mi ha dato molto su cui riflettere.
    Un salutone

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    1. Grazie come sempre per la tua stima.
      Se la violenza è uno dei problemi più difficili da risolvere (l'ultimo femminicidio, l'ennesimo solo di quest'anno, è di poche ore fa), esiste poi una discriminazione molto più indistinta e di cui i più non sanno. Ascoltavo proprio stamani l'intervista di una regista e pittrice che illustrava il dislivello di retribuzione anche nell'ambito dell'arte e dello spettacolo. Sappiamo di questo dislivello in cariche pubbliche e private, ma pure in un "luogo" in cui si crea, si manifesta il talento, ecco, lo trovo davvero aberrante.
      Come rispondi anche tu, il problema è culturale. E tutto ciò che è radicato nella cultura è difficile da estirpare.

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  4. Purtroppo non ho avuto esempi femminili positivi a cui ispirarmi durante la mia infanzia e adolescenza. Ho vissuto molto la situazione di disparità nella mia stessa casa quando c'ero io, unica figlia femmina, che già a 10 anni mi dovevo occupare di cose come sparecchiare e spolverare in casa perchè "queste cose le devi fare tu perchè sei femmina" detto da mio padre in risposta al mio perchè con mia madre che annuiva accompagnando. E' abbastanza triste come cosa ma penso di non essere l'ultima nata in questo clima. A scuola non ho mai assistito ad un dibattito vero e proprio sull'argomento, che io ricordi. Mi sono avvicinata a questo tipo di temi e al femminismo in generale solo di recente, nei miei vent'anni il che è un peccato perchè se a scuola mi avessero insegnato che non esistono colori da femmine e da maschi o giochi o ruoli forse sarei cresciuta con più consapevolezza! Ma sono molto contenta di vedere che il tema sta finalmente emergendo e che le lotte per la causa stanno avendo un riscontro non solo nei media e nelle alte sfere della politica ma soprattutto nella quotidianità di ognuno di noi e che finalmente si può aspirare ad un futuro in cui vedere il cambiamento è possibile. Ho molta fiducia in un domani a misura di persona, maschio o femmina o altro che sia.

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    1. La mia situazione è stata molto simile alla tua. Noi siamo un figlio maschio, il primo nato, e due sorelle. La terza nata, mia sorella minore, è stata da sempre negata a provvedere alle faccende domestiche, io invece ero quella di mezzo, quella "giudiziosa". Non ricordo che mio fratello abbia mai apparecchiato o sparecchiato la tavola, o si sia rifatto il letto. Mia madre è la classica madre del sud, mio padre pure lo era, così il primo figlio e per di più maschio era naturalmente sollevato da tutte le incombenze domestiche. Ricordo che non si stavamo neanche a pensare e io stessa non credo di avere mai neppure sollevato la questione, era così e basta. È un fatto culturale, radicatissimo in particolare al sud, ma evidente anche a tutte le latitudini, almeno nei paesi latini.
      Il problema sorge quando si va oltre le incombenze domestiche, il maschio si sente fin da subito insignito di un ruolo nettamente diverso, il che produce l'effetto domino che in certi casi tristemente conosciamo.

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  5. Io ti ammiro perché punti molto sul debate. Durante il dibattito i ragazzi imparano molto perché si confrontano. In classe si discute sempre troppo poco, la scusa è sempre la stessa: viene prima il programma. Almeno questa è stata la mia esperienza, soprattutto alle superiori. Il tempo era tutto per le materie, soprattutto latino e greco. Certi argomenti non si toccavano proprio. Per fortuna alle elementari ho avuto una maestra che dava al dibattito un’importanza enorme e si affrontavano vari temi e discussioni, molti i temi sociali trattati e abbiamo imparato tanto proprio dal confronto e dagli insegnamenti che la nostra maestra ci impartiva. Sono i momenti che i ragazzi apprezzano di più, quelli in cui sono meglio disposti all’ascolto e quindi all’apprendimento. Purtroppo la disuguaglianza di genere è una piaga che non si riesce a curare, per me bisogna puntare sull’educazione. La nostra educazione si basa su pregiudizi, faccio un esempio: molto spesso si dice ai bambini maschi di non piangere perché piangono solo le femmine, i maschietti sono forti, piangere è da deboli. Ecco, con questa frase banale si associa la debolezza alla figura femminile e lo si insegna ai bambini. Così si diffonde il pregiudizio e tutta una serie di cose che portano il maschio a sentirsi superiore. Queste idee vanno completamente superate altrimenti non se ne esce. Abbiamo bisogno di un radicale cambiamento culturale e la scuola deve fare tanto in questo senso.

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    1. Sono contenta di sentir parlare di tanto in tanto anche di quanto possano fare le scuole elementari. Sì, anche i bambini sono aperti al dibattito e anzi sono ancora in quella tenera età in cui tanto puoi fare per trasmettere valori veri.
      Alle medie subentra una consapevolezza diversa e loro sono ancora, nonostante tutto, creta da plasmare. Ma poi vedi che nelle famiglie non fanno un lavoro in linea con i tuoi contenuti. Raramente vedo i padri confrontarsi con noi insegnanti, segno che anche i colloqui "sono cose da donne". Per non dire dell'atteggiamento di tanti alunni, anche se, come ho scritto più sopra, si tratta di un'età in cui le femmine sanno il fatto loro, cosa che poi con l'adolescenza tendono a perdere, perdendosi appunto dietro amorazzi e un'immagine del maschio vicina al "principe che salva".

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  6. Io ho avuto un'educazione praticamente neutra e devo dire che soprattutto in questa fase della vita sono arrivata a concepire uomo e donna come se non avessero nessuna differenza. Cioè, le differenze le fanno le persone singole con la propria individualità, ma alla fine un corpo da uomo e un corpo da donna sono fatti per fare praticamente tutto quello che si vuole fare.

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    1. È esattamente e semplicemente così. Tutta sovrastruttura culturale.

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  7. Tema attuale e complesso sul quale siamo ancora molto indietro. Credo si debba puntare soprattutto sulla cultura, finché la mentalità sarà quella di “tu lavi i piatti e cucini perché sei femmina” non sarà facile superare questo divario. Io sono cresciuta in una famiglia in cui le donne non avevano il giusto spazio, pensa che io sono la terza di tre figlie femmine, mia madre mi diceva sempre che sarei dovuta essere un maschio, ma sono nata io. Questo concetto che mia madre poverina, nella sua ingenuità, mi ripeteva sempre, mi ha fatto incazz...ehm mi ha spronato a studiare e realizzarmi nel lavoro, sono la prima della mia famiglia che si è laureata e con il mio lavoro ho anche dato una mano alla famiglia. Riguardo alla violenza sulle donne anche qui credo sia fondamentale il lavoro, una donna che dipende economicamente dall’uomo, se questo diventa il suo aguzzino, non potrà mai difendersi realmente, oltre al fatto che la dipendenza economica diventa anche dipendenza psicologica...

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    1. Mi piace il tuo percorso di vita, perché è nato e si è sviluppato in reazione a qualcosa che sentivi fortemente ingiusto. Capiti che le madri, in particolare le donne di un tempo (e torno a dire, del sud) esprimano molto apertamente come secondo loro doveva essere. Si tratta di ingenuità, hai ragione.
      La dipendenza economica è una delle cause più rovinose del rapporto sbilanciato, violento, di tante coppie. Importante la formazione culturale, importantissimo essere indipendenti e autonome, avere la possibilità di scegliere, di prendere una direzione. Tante donne subiscono vessazioni perché terrorizzate all'idea di restare sole, senza fondi per vivere. Questo è davvero inaccettabile.

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  8. Sono molto pessimista in questa materia (e sai che non è da me). Purtroppo osservo costantemente che il peggior nemico della donna è... la donna stessa. Ogni maschio su questa terra ha una madre biologica e, quando è coinvolta nell'educazione del figlio, dimentica di essere donna. Peggio: vedo pure madri indottrinare le proprie figlie femmine, ancora oggi, a sottostare a certi ruoli precostituiti. Non occorre nemmeno scomodare i paesi stranieri e certe religioni, alcuni atto scellerati accadevano ancora qui da noi negli anni 70. L'ignoranza di alcuni ambienti produceva padri che abusavano delle proprie figlie femmine con il muto consenso delle mogli, le madri di quelle povere creature abusate, che così si toglievano la triste incombenza dei doveri coniugali. Peggio ancora: i frutti di tale abuso venivano nascosti con l'aiuto e l'ipocrisia del clero locale. La vittima era condannata, su tutti i fronti, il carnefice veniva assolto.
    Si potrebbe pensare che da quelle situazioni ne esca una donna desiderosa di riscatto per la propria prole... e invece no. Cambia la forma dell'abuso, da fisico a psicologico, ma abuso resta. Il percorso è davvero arduo, l'istruzione e il lavoro sono le uniche armi di difesa. :(

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    1. Io la penso esattamente come te, Barbara. Tanto più che provengo da un ambiente, quello meridionale, in cui questa cosa è acuita, assume proporzioni importanti. E non è neppure un fatto che salti tanto agli occhi, è talmente sedimentato da sembrare del tutto normale.
      Le donne sono le principali fautrici di questo, è esattamente così. Mia madre venera mio fratello e aveva un timoroso rispetto nei riguardi di mio padre, mia nonna venerava il suo ultimo figlio e il primo, i due maschi. Ho una cognata che venera suo marito, per non dire di zie che hanno praticamente permesso tutto ai loro mariti, senza che questi abbiano partecipato minimamente all'andazzo domestico.

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