Fra i miei intenti di quest'anno, regolato sul principio del "fiorire", mi ero ripromessa di prendere in seria considerazione un sostanzioso corso di aggiornamento, un master che potesse darmi nuove chiavi per il mio mestiere di insegnante.
La scorsa estate mi sono imbattuta nella proposta di un corso di 50 ore, accreditato dal Ministero dell'Istruzione, dal nome "Intelligenza emotiva negli ambienti di apprendimento" e ho colto l'occasione.
Il loro sito è questo.
Si tratta di uno dei tanti corsi online che l'utente può gestire a proprio piacimento quanto a tempistica, e oltretutto con un consistente sconto destinato a noi insegnanti.
Mi interessava molto entrare in questo particolare campo - in un'epoca in cui si parla fin troppo di Intelligenza artificiale - e comprendere cosa fosse l'intelligenza emotiva e come potesse essere spendibile nel campo dell'insegnamento.
Ebbene, si è dischiuso uno spazio ampio di osservazioni e approfondimenti e, soprattutto, mi sono giunte tante, tantissime conferme riguardo al mio modo di fare l'insegnante.
L'intelligenza emotiva è un aspetto dell'intelligenza teorizzato nel 1990 da due psicologi americani, Salovey e Mayer, e poi diventato celebre con il testo del 1995 di Daniel Goleman, in Italia tradotto nel 1997 col titolo Intelligenza emotiva, che cos'è e perché può renderci felici. La fonte di tutti questi studi è però la teoria delle "intelligenze multiple" di Howard Gardner, teorizzata nei primi anni Ottanta.
Gardner fu il primo a comprendere che l'intelligenza nell'essere umano non poteva essere semplificata nella misura del Q.I., poiché questa teoria ne offre una visione limitata e non dinamica.
Gardner teorizzò, in seguito a studi e ricerche su un largo numero di individui anche affetti da disturbi psichici, la presenza di ben nove tipi di intelligenza nell'essere umano:
- linguistico - verbale
- logico - matematica
- filosofico - esistenziale
- musicale
- corporeo - cinestetica
- visivo - spaziale
- naturalistica
- intrapersonale
- interpersonale
In pratica, un essere umano può essere intelligente in diversi modi, può possedere una parte di queste intelligenze come essere in grado di utilizzarne, a seconda delle circostanze, uno o più tipi diversi.
Le ultime due riguardano la socialità, il saper creare un ambiente favorevole, l'essere empatici, sono proprio le "intelligenze emotive".
Possedere intelligenza emotiva nell'esercitare il mestiere di insegnante significa tante cose. È in pratica la parte necessaria, indispensabile al nostro mestiere. Senza intelligenza emotiva non si dovrebbe essere insegnanti e forse questo spiega tante cose riguardo al fallimento di molti insegnanti e al mancato rapporto con i loro studenti.
Vediamo più da vicino che significa. Può interessarvi, perché sono tutti principi che esulano dall'insegnamento, ovviamente, per essere applicati a qualsiasi persona.
Curriculum della persona con intelligenza emotiva, i tratti salienti da possedere:
- Autoconsapevolezza nel riconoscere le proprie emozioni
- Controllo emozionale (attitudine a correggere i messaggi contraddittori)
- Abilità a controllare lo stress
- Ascoltare attivamente, empatizzare
- Collegare bene e agevolmente pensiero ed emozione
- Apertura agli altri, costruzione di rapporti sulla fiducia
- Possesso di "perspicacia emotiva" (abilità che permette di riconoscere e decodificare)
- Accettarsi e saper ammettere le proprie debolezze
- Essere autoironici
- Sentirsi responsabili
- Saper reagire dinanzi a una crisi, essere sereni
- Saper instaurare rapporti di sana collaborazione e saper stare in gruppo
- Essere creativi
Perché diversi di questi aspetti sono una conferma per me? Anzitutto perché ho compreso, finalmente, che le emozioni non solo non vanno mascherate ma addirittura sono strumento indispensabile per un educatore. Personalmente non ho mai vestito l'abito istituzionale della professoressa, come se dovesse essere qualcosa di diverso rispetto al mio essere altrove. Sono e resto quella che sono ovunque.
Ritengo poi di possedere empatia, decodifico e ascolto in maniera attiva i miei alunni e alunne.
Mi piace instaurare rapporti di fiducia, purtroppo però sono poco collaborativa. Lo sono cioè se proprio sono costretta, sono un cane sciolto. E questo è un aspetto sul quale devo lavorare.
Sono propensa a mostrare le mie debolezze. Per esempio mi capita di parlare in classe del perché un famoso libro proprio non mi è piaciuto, ma lo presento come limite mio.
Mostro la mia stanchezza, patteggio sempre un rispetto reciproco e li guardo, li guardo uno a uno sul serio.
Mi dispongo ogni volta a essere costruttiva, sono una moderatrice nata. Mi piace anzi aiutare due alunni nella loro riconciliazione, non attraverso una banale stretta di mano, ma inducendo a parlarsi, a capirsi, a conoscersi meglio.
L'autoironia è uno dei miei mood tipici in cattedra. Mi piace che mi si conosca per quella che sono.
La creatività è uno dei miei cavalli di battaglia. E ovviamente in questo ambito sfrutto le mie prerogative di maestro di laboratorio teatrale.
Tutti aspetti che mi appartengono e sono fra i capisaldi di questo tipo di intelligenza.
Passando al "fare" servendosi dell'intelligenza emotiva, apriamo un altro capitolo importante.
La scuola, come sappiamo, oggi è in forte crisi. Crisi di credibilità, perdita del ruolo educativo, aspetti molto gravi e sui quali bisogna lavorare molto. Lo avevo scritto nel post precedente, oggi essere insegnanti non può limitarsi alla trasmissione di concetti e contenuti, ma significa ben altro.
Oggi insegnare significa insegnare l'autonomia, guidare verso un'identità, fare un profondo lavoro di educazione al riconoscimento e alla gestione delle proprie emozioni.
La famiglia ormai latita in questo ruolo importante. Nella maggior parte delle famiglie è assente del tutto il confronto, l'ascolto vero, lo scambio e la condivisione. I ruoli sono sovvertiti, sbilanciati.
La scuola, per riappropriarsi del proprio ruolo, per essere creduta il luogo dell'apprendimento e preposto alla costruzione di relazioni significative e gratificanti per tutti, deve cambiare. In termini pratici, la scuola deve aiutare i ragazzi ad appropriarsi delle parole.
La parola ha un ruolo fondamentale per l'essere umano. La parola è tutto. Oggi i ragazzi possiedono un vocabolario molto più limitato rispetto a 20 o 30 anni fa. È uno dei mali del nostro tempo.
Se mancano le parole, manca il filtro che permette di evitare l'aggressione, è stato detto. E la comunicazione oggi è monopolizzata dai social e dai linguaggi violenti di alcuni tipi di narrazione.
L'impoverimento linguistico ha effetti devastanti sul mondo degli adolescenti. Da insegnanti, se non ci rendiamo conto anzitutto noi di questo, non ci sono speranze. Uscire dall'insegnamento stereotipato, tradizionale, per incontrare un modo nuovo di insegnare, che tenga conto delle individualità, è la sola chiave che possa permetterci di uscirne.
Sono certa che tanti insegnanti direbbero "ma noi lo facciamo già". Io però non ne sono certa. Se è vero, come è vero, che da molti anni esistono programmi e progetti volti all'inclusione, qualcosa non sta funzionando se ancora accadono cose come la ragazzina che si porta dietro un coltello da cucina e lo usa contro un compagno di classe che ha denunciato alla prof il suo compito scopiazzato. È successo a Marino, qui vicino Roma, proprio ieri. Solo perché è l'ultimo fatto di cronaca noto.
I ragazzi non sono in grado di preferire il silenzio, non sanno aspettare, sono bombardati da immagini e modelli fittizi, fuorvianti, pericolosi. Nel loro stare al mondo prevale il mondo finto dietro gli schermi, e questo non può e non deve essere accettato.
Qui una scena dal film "Detachment" con Adrien Brody nel ruolo del professore.
L'apprendimento è fortemente condizionato dallo stato emotivo. Sono certa che possiate fare molti esempi a riguardo. Quanti ricordi possediamo legati a una particolare, e intensa, emozione? Sono i ricordi più nitidi, la nostra memoria non li ha scartati perché le emozioni li hanno fatti sedimentare.
Un apprendimento esclusivamente tecnico, non significativo sul piano sensoriale, è una forma elementare di apprendimento, è per così dire depotenziato.
Quando ci troviamo dinanzi a un maestro che propina una lezione stereotipata, ascoltiamo e prendiamo appunti, magari saremo molto preparati per l'interrogazione, ma quei contenuti sono destinati a svanire. Al contrario, un apprendimento "multisensoriale" e creativo permette di incamerare e conservare le informazioni. Non tutte, non possiamo illudercene, ma la maggior parte.
Si tratta di un apprendimento creativo che si ripercuote anche sulle relazioni, perché è un atto che influenza i vissuti emotivi. Non è un caso se le materie insegnate dai professori con cui avevamo più feeling tendenzialmente ci sono rimaste più impresse.
Il lavoro di noi insegnanti sarà sempre quello di individuare il modo per creare gradimento verso la disciplina che insegniamo. Ciò è possibile solo attraverso un insegnamento creativo, dinamico, che si discosti dalla tradizionale lezione fredda, frontale. La capacità di ascolto degli alunni oggi ha davvero soglie labilissime, dobbiamo fare i conti con questo aspetto.
Bisogna essere insegnanti che possiedono carisma e sanno sorridere.
Mi fermo qui, non voglio essere prolissa. Penso che si sia compreso il senso di questo post. Immaginate solo tutto il resto, quanto si possa dire e scrivere sull'intelligenza emotiva.
Per quanto mi riguarda, si apre dinanzi a me una strada nuova, in cui le conferme devono unirsi a quanto posso imparare sul campo, a quanto posso continuare ad apprendere assieme ai ragazzi.
Chiudo con un bellissima scena tratta da L'attimo fuggente, una pietra miliare del racconto del prof carismatico. Questo personaggio ha incontrato anche lo sfavore di certa critica, eppure è talmente travolgente e puro da lasciare ogni volta incantati.
Cosa pensate dell'intelligenza emotiva? E delle intelligenze multiple? Dove vi posizionate?
Carisma, empatia, sorriso.. credo che facciano parte di un'intelligenza Unica, senza troppi distinguo. Così quando si ama discernere tra emozioni negative e positive. Ci addentriamo in mini categorie che parcellizzano il nostro modo di essere, adeguandolo di volta in volta, che non è sbagliato del tutto, ma rischia di negare medesime ipotesi di crescita a tutti. Dobbiamo apprendere, abbeverarci di emozione universalmente, insegnanti su tutti, ma anche noi altri, ognuno nel proprio ruolo, che sia di lavoratore, amico, amante (non in quel senso..monella!). Quindi mi posiziono dal lato dell'intelligenza generalizzata, della sensibilità evoluta, della consapevolezza obiettiva. Hai detto niente!.. ;)
RispondiEliminaA me le teorie di Gardner hanno aiutato a capire meglio me stessa. Da ragazzina non mi ritenevo un granché (la solita sindrome dell'impostore), soffrivo per le mie carenze nelle materie logico-matematiche, non riuscivo a emergere con la mia attitudine alle parole, ero troppo timida. Mi sono tagliata per via della timidezza molte opportunità di emergere. Nessuno mi aiutò. I professori non si curavano di questo aspetto degli alunni, la mia fioritura è stata lenta e a volte faticosa. Ero fortissima nei temi e nel disegno, questo oggi lo chiamo possedere intelligenza linguistico-verbale e visivo-spaziale e penso di avere da sempre posseduto intelligenza interpersonale e intrapersonale. Ma lo scopri da adulta, quando molti anni dopo comprendi che non ti sei persa nulla. :)
EliminaSembra che io sia proprio una persona con intelligenza emotiva: ne ho letto i tratti e direi che mi appartengono chi in misura maggiore chi minore. Empatizzo molto, sono aperta alla costruzione di rapporti di fiducia, sono autoironica, so stare in gruppo, sono creativa ... Nel mio piccolissimo, ho sperimentato il ruolo di "educatrice" quando ho fatto la catechista, esperienza terribile (forse dovrei parlarne), però ho speso molte energie per cercare di coinvolgere, mi sono inventata di tutto, pure dei giochi per agevolare la memoria dei comandamenti o di altri contenuti religiosi. Una fatica immane, ma l'ho fatto con l'idea di sperimentare qualcosa di innovativo che potesse essere utile a questi ragazzi svogliatissimi (risultati molto deludenti, tuttavia!).
RispondiEliminaIl discorso del prof di Detachment bellissimo, l'Attimo Fuggente che te lo dico a fa'! E l'età di quella baby killer, a scuola, che per miracolo non è riuscita a uccidere, ma potenzialmente era lì lì per farlo? Quante responsabilità la società, la scuola, la famiglia: non so cosa serva, ma davvero bisognerebbe trovare al più presto un rimedio, perché tra poco tutto sarà irrecuperabile (se già non lo è).
Concordo, ti riconosco in diverse intelligenze e rivedo nel tuo commento molta parte di te. Alla base tu sei generosa, sei sensibile, sei ancorata a valori concreti, sei riuscita a ritagliarti un ruolo molto importante con i tuoi figli, insomma, vai alla grande. :)
EliminaRiguardo alla speranza per il futuro, voglio coltivarla, voglio essere non dico ottimista ma perlomeno non abbandonarmi al pessimismo senza rimedio. Il ruolo degli educatori oggi è molto più difficile, non puoi semplicemente essere un professore e basta, devi saper arrivare, fra competenze tecniche e competenze emotive. Insomma, una missione.
Diciamo che, più in generale, le emozioni vanno lasciate libere di esprimersi pur senza farle andare fuori controllo. Purtroppo in certi contesti si tendeva (e forse si tende ancora) a deriderle. Un sano pianto liberatorio, un momento di gioia ingenua di tipo infantile, spesso vengono fraintesi, presi in giro. Così uno tende a autocontrollarsi, a lasciarsi andare solo nel privato, con risultati talvolta sgradevoli per il proprio equilibrio interiore.
RispondiElimina"L'attimo fuggente" lo ricordo bene, allora mi incantò, rivedendolo più recentemente sono riuscito a capire anche le perplessità che ha suscitato in alcuni critici, resta comunque un film iconico.
Nel corso si è parlato molto anche della sensibilità che porta al pianto. Ti dico solo questo: quando leggo alla classe l'Addio monti di quel mirabile capitolo dei Promessi Sposi (lo leggo e in parte lo recito perché ne conosco a memoria un bel po') io mi commuovo ogni volta e non me ne vergogno. I ragazzi restano muti e incantati dinanzi a quelle parole, sono attenti. E questo denota speranza, possiamo arrivare a toccare le loro coscienze, il cuore, le anime. Ma dobbiamo saperci fare. Quello è lo snodo.
EliminaSono una donna emotiva che non teme le sue emozioni (il blog è pieno di riflessioni in tal senso). Ho scoperto per modo di dire l'intelligenza emotiva qualche anno fa leggendo Goleman e il suo omonimo testo, super citato nei miei corsi per ottenere il master in coaching evolutivo e ne sono rimasta colpita soprattutto perché è riuscito a dare un nome a qualcosa che percepivo di me senza poterle dare un nome, un senso, un significato. Dunque penso le meglio cose si direbbe e la riconosco negli altri, apprezzandola e beneficiandone sempre. Non bisogna secondo me fissarsi troppo su queste definizioni. Sono utili per capire cose di noi che sono lì da sempre ma cui non sappiamo dare un nome. Ma avendo conosciuto persone che nel linguaggio e nel tentativo di simulazione degli intelligenti emotivi finivano per scimmiottare sé stessi, la guardo con estremo rispetto. La cosa pià importante che mi ha regalato questa consapevolezza è poter percepire , dare un nome, alle emozioni e ai comportamenti conseguenti degli altri. E' rivoluzionario conoscere questi aspetti che fanno luce su lati della personalità altrimenti incomprensibili
RispondiEliminaPenso anch'io che le teorizzazioni servano a chiarire i molti e complessi aspetti del nostro pensiero, delle emozioni e della nostra capacità di governarle. È importantissimo oggi parlarne, per il vuoto di valori e la pericolosa deriva che ne sta venendo fuori.
EliminaSì, ricordo bene che frequenti con molta partecipazione e onestà a questi temi. :)
RispondiEliminaHo letto il libro di Goleman parecchi anni fa e l’ho apprezzato molto, ritrovando in me molti dei tratti che descrive. Credo di avere una buona empatia, una qualità importante per un insegnante, e trovo giusto che tu la metta a servizio dei tuoi alunni: i giovani hanno bisogno di stimoli, incoraggiamenti e riconoscimenti al momento giusto. Col tempo, però, ho imparato a ‘dosare’ queste attitudini. Nel mio lavoro mi sono resa conto, infatti, che una certa emotività può rivelarsi un’arma a doppio taglio, specialmente in ambienti professionali complessi, dove è essenziale essere cauti. Questa consapevolezza è maturata attraverso esperienze difficili sul lavoro che mi hanno cambiata.
Ci sono ambiti di lavoro in cui l'uso delle emozioni è essenziale, come nel campo educativo, in altri come tu scrivi è meglio restare cauti. È proprio uno dei mali dell'opinione attorno alle emozioni: mostrarne è indice di fragilità e peggio ancora debolezza, quindi può diventare strumento che si ritorce contro. Peccato. :(
EliminaTutto molto interessante. Grazie Luz. Ho aspettato a commentare perché volevo leggere bene.
RispondiEliminaL'intelligenza emotiva è in noi tutti solo che spesso non lo riconosciamo o pensiamo di esserne privi o non averne abbastanza.
La forza secondo me non è considersarci sufficientemente dotati di tale caratteristica ma di come e quanto ne facciamo effettivamente uso. Spesso crediamo di averne tanto mentre invece per chi ci osserva non è così. Comunque quel che conta è provarci e sperare di saperla incanalare nel nostro quotidiano.
Ti abbraccio forte e buona giornata. Ciao.
Grazie a te per aver apprezzato questo post. In questi giorni sto riflettendo su quanto, se siamo dotati di intelligenza emotiva, questa possa aiutarci ad affrontare quelle crisi dinanzi ai rapporti non proprio idilliaci con l'altro, in particolare con un collega di lavoro. Il rapporti fra colleghi, in particolare in ambito educativo, è di fondamentale importanza. Io mi trovo spesso a sforzarmi di tollerare diversi atteggiamenti altrui poco consoni al mestiere. Ebbene, è davvero difficilissimo.
EliminaIn effetti Luz in ambito lavorativo è molto difficile. Spero tu riesca a trovare punti d'incontro con questo tuo collega, ignorando ciò che non vi accomuna. Ciao carissima.
EliminaParto da quello che mi ha colpito, da te qui citato: il caso della ragazzina dodicenne andata a scuola col coltello da cucina per vendicarsi del compagno, perché "aveva fatto la spia". Mi stavo ancora chiedendo perché (poco dialogo in famiglia? modelli sbagliati tra televisione e social media? magari anche letture sbagliate? pochi ceffoni ricevuti rispetto alla mia generazione?!) che esce la notizia del capotreno di Genova accoltellato da due giovani (21 e 15 anni credo) senza biglietto. In contemporanea, nel mio quartiere si discute dei ragazzini che escono da scuola in bicicletta e si muovono per strada senza prestare attenzione alle auto, concentrati sullo schermo del telefonino e isolati dalle cuffie con musica a palla. E dall'altra parte della confusione creata da altri genitori che si precipitano con suv sempre più voluminosi davanti la scuola, ancora più pericolosi quando imbestialisti non trovano parcheggio. Hai voglia a parlare di intelligenza emotiva in quei momenti lì. Regrediscono tutti instantaneamente all'età della pietra. La mia cattiva vocina interiore suggerisce che non manca la famiglia, no no, la famiglia c'è, il problema è che la famiglia non sta più insegnando determinati valori, ma altri. Magari a parole si insegna bene, ma poi nei fatti l'esempio è un altro.
RispondiEliminaNon so quanti di quei punti mi appartengono per l'intelligenza emotiva, in alcuni mi riconosco, in altri meno, nonostante amici e colleghi attestino le mie qualità in merito. Diciamo che ci lavoro duramente tutti i giorni, anche perché sono un'introversa di indole e ho bisogno dei miei spazi, quei momenti chiusa nella caverna a pensare, ecco. :)
Forse c'è proprio un filo conduttore che lega tutti i casi degli ultimi anni, perché in certo senso tendono ad assomigliarsi tutti. Se ci sforziamo a trovare cosa li rende affini, simili, io ci vedo la superficialità e la totale incapacità di distinguere il bene dal male. Stamattina ho affrontato coi ragazzi una lezione di orientamento di due ore. Doveva essere di una, ma abbiamo sforato perché avevano proprio sete di parole, fame di comprensione, esigenza di aprirsi, di dire e raccontarsi. Non me ne stupisco, perché è lì il punto: chi si occupa veramente della crescita degli adolescenti? Essere lasciati soli, ma soli veramente, è un danno colossale. Il corto circuito di emozioni che si incrocia con la tempesta ormonale dell'adolescenza, la pubertà, li rende vulnerabili da una parte e dall'altra. Quando li si ascolta, quando si parla con loro, ti guardano con occhi diversi, si aprono, prendono fiducia, ti vengono incontro. Ora, i miei alunni e alunne sono tutti provenienti da famiglie sane (tutti o quasi) e non siamo una scuola di periferia. Eppure questi figli e figlie così coccolati della buona borghesia dei castelli romani, con genitori grosso modo sempre presenti (e tu dici bene, presenti sì, ma come?), sono fragilissimi, tendono a fare cavolate senza rendersene conto. Piccole cose ma messe tutte insieme uno stillicidio che ci costringe a far loro discorsi e richiamarli e parlare, ecc. Alla fine capisci, da educatore e insegnante, che è tutto lì: le parole. Le parole non dette, la disattenzione nei loro confronti, la scarsa propensione a essere dei punti di riferimenti per loro (e mi riferisco a genitori e insegnanti), sono IL problema.
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