martedì 21 dicembre 2021

L'incubo di Hill House - Shirley Jackson

Incipit: Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant'anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi, e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva sola.

Erano molti anni che non leggevo un romanzo horror. Ma davvero tantissimi. Gli ultimi negli anni universitari, quando mi ero gettata su King e alcuni suoi racconti celebri.
Sarà perché non è uno dei miei generi prediletti? Eppure, quando è ben scritto, un horror è davvero coinvolgente. Questo è stato un libro da cui non mi sono staccata dall'inizio alla fine, anche se...
Andiamo per gradi. 
Di questa scrittrice statunitense, scomparsa negli anni Sessanta, due romanzi vanno per la maggiore in Adelphi: questo e Abbiamo sempre vissuto nel castello, dal quale è stata tratta la serie tv Netflix. Mi sono ripromessa di leggere anche questo, che a detta di molti è decisamente più riuscito. 
Qui abbiamo l'esempio di un horror non proprio in stile King - il re è sempre stato un grande estimatore della Jackson, credo anzi che abbia imparato alcune cose da lei - ma che strizza l'occhio al genere gotico ottocentesco. Questo ingrediente offre alla narrazione un elemento classico e senz'altro "attraente". 
Siamo insomma calati in un horror, ma dal sapore "vintage", dopotutto il romanzo fu pubblicato nel 1959. Il modo migliore per apprezzare davvero le sue narrazioni è collocarle nell'epoca in cui furono scritte. Vale per tanti scrittori e scrittrici. 
L'occhio umano non può isolare l'infelice combinazione di linee e spazi che evoca il male sulla facciata di una casa, e tuttavia per qualche ragione un accostamento folle, un angolo sghembo, un convergere accidentale di tetto e cielo, facevano di Hill House un luogo di disperazione, tanto più spaventoso perché la facciata sembrava sveglia, con le finestre vuote e vigili a un tempo e un tocco di esultanza nel sopracciglio di un cornicione. 

 

Shirley Jackson (1916 - 1965)

Tra fiaba e incubo

Il tocco femminile della Jackson infonde al romanzo, almeno per tutto il primo terzo, una nota "fiabesca". La Eleonor protagonista chiude col suo passato di badante della madre, morta poco tempo prima, e si apre a un'esperienza nuova e affascinante: viene contattata da uno studioso del paranormale per trascorrere assieme ad altri due un periodo a Hill House - qui già scatta il brividino, anche se è un cliché. [Shirley Jackson disse: "Io amo le case. Amo la loro solida presenza, e in particolare amo le case vecchie, grandi, e stravaganti. Mio nonno era un architetto, come suo padre e il padre di suo padre"] 

Eleonor è come un'Alice di Carroll, una Cappuccetto Rosso, che si avventura per strade e sentieri verso la casa, assaporando il gusto della libertà e immaginando una nuova vita piena di promesse. 
Se in apparenza Hill House è la protagonista del racconto, quella terribile dimora tanto bene descritta, comprendiamo che Eleonor è una sorta di eletta dalla casa, la prescelta perché uno degli ospiti attinga al proprio irrazionale per arrivare al disfacimento, la distruzione di sé. 

Quasi ogni casa, colta di sorpresa o da un'angolazione bizzarra, può volgere uno sguardo profondamente burlesco su chi la osservi; persino un comignolo dispettoso, o un abbaino che sembra una fossetta possono suscitare nell'osservatore un senso di intimità; ma una casa arrogante e carica d'odio, sempre in guardia, non può che essere malvagia. Quella casa, che sembrava quasi aver preso forma da sola, assemblandosi in quel suo possente schema indipendentemente dai muratori, incastrandosi nella struttura di linee e angoli, drizzava la testa imponente contro il cielo senza concessioni all'umanità.  
Proprio quel primo terzo del romanzo a mio parere è riuscito, perché la fase di "preparazione" a quello che accadrà dopo, la sapiente capacità di narrare creando nel lettore quell'accumulo di adrenalina, è frutto di talento, pur nella semplicità e linearità dello stile di questa scrittrice. 
Eleonor è un'Alice di Carroll, forse per un pezzetto è anche una delle ragazze di Picnic a Hanging Rock, ma la Jackson non si mostra all'altezza di sostenere una cosa come questa e purtroppo sgonfia la narrazione rendendola pasticciata e inserendo due personaggi a mio avviso fuori luogo, virando verso il grottesco e il comico. 
Restano l'horror - una lunga scena cliché e un paio di trovate invece molto azzeccate su cui si sarebbe potuto lavorare - e il finale tragico, non possono mancare, ma nel complesso il romanzo è per me un'occasione mancata. Si coglie l'idea della Jackson, il forte legame fra Eleonor e la casa, ma il compimento dell'idea nell'intreccio non è del tutto riuscito. 

Non aprite quel cancello (!)
Di questa casa spaventosa, Hill House, mi sono piaciuti alcuni aspetti, ma dividiamoli in cliché e buone trovate:
Cliché
  • il cancello all'inizio del sentiero, con tanto di catenaccio arrugginito e guardiano con faccia poco raccomandabile, che si accompagna alla moglie-governante fredda e misteriosa, che ovviamente non vuole restare nella casa dopo il tramonto;
  • le porte che misteriosamente si chiudono sempre anche se le hai lasciate aperte e con fermi pesanti;
  • le stanze da letto ampie e con baldacchino consunto;
  • spifferi ovunque e voci notturne, ecc. 
Buone trovate:
  • la casa non ha una pianta regolare ma concentrica, anche se dall'esterno la cosa non si coglie;
  • i diversi piani, anche se non sembra, sono inclinati; 
  • fuori dalla casa c'è una torre che il lettore fa fatica a immaginare, volutamente descritta secondo due punti di vista differenti;
  • a notti da incubo si susseguono notti in cui il silenzio è assoluto;
  • il gruppo marmoreo in una delle stanze, un'enorme scultura che avrebbe potuto dare molto alla narrazione.
Ottimi ingredienti su cui si sarebbe potuta costruire una cattedrale, non trovate? 
Eppure il romanzo ai tempi ebbe un successo notevole, ancora oggi viene indicato come uno dei capolavori della letteratura inglese horror. 
Se ne trasse un film nel 1963, diretto dal quattro volte premio Oscar Robert Wise, che ne fece un'ottima pellicola, e poi nel 1999 con il flop Haunting

Stephen King ha espresso diverse volte il suo apprezzamento verso Shirley Jackson, dichiarandola la sua "icona", e questo romanzo è ritenuto dal re dell'horror "il più formidabile racconto inquieto scritto nell'ultimo secolo di letteratura inglese". Ne L'incendiaria, King le fa una dedica: "A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce". 
Manca dunque qualcosa nella traduzione italiana? Può verificarsi una mancata resa nell'edizione di un altro paese, come si spiegherebbe altrimenti? Ci saranno sfumature di lingua che in italiano non cogliamo, o che perdono del tutto la loro forza? Chi lo sa. 

Ora la parola a voi: vi piace il genere horror? Avete letto i grandi classici di questo genere o autori contemporanei?

7 commenti:

  1. Personalmente l'ho trovato ultra noioso, a un certo punto non ce l'ho fatta più e l'ho mollato. Non so davvero perché sia tanto acclamato. Forse nel mio giudizio sono stata condizionata dall'aver visto la serie omonima che è totalmente diversa dalla trama del libro e dal confronto quest'ultimo ne è uscito malissimo. Di horror con case misteriose e infestate ce ne sono decisamente di meglio, a mio avviso.

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    1. Credo che tu ti riferisca alla serie tv tratta dall'altro suo romanzo: Abbiamo sempre vissuto nel castello. L'ho appena ordinato e non vedo l'ora di leggerlo. A detta di tanti, riuscito molto meglio rispetto a questo.

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    2. No, mi riferisco proprio a questo romanzo. La serie si chiama The Haunting e la prima stagione è ispirata a Hill House. https://it.wikipedia.org/wiki/The_Haunting_(serie_televisiva)

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  2. Sarà che lo lessi più di una decina di anni fa, ormai, ma io ne rimasi folgorata. Mi sembrò geniale e continuo a preferirlo ad Abbiamo sempre vissuto nel castello, per quanto riesca a concordare con chi lo ritiene più riuscito.

    I cliché, in tutta onestà, non credo fossero poi così tanto dei luoghi comuni all'epoca.

    Per quanto riguard Stephen King e le produzioni cinematografiche e televisive, secondo me, lo stesso King prese a prestito alcune trovate della Jackson nella sceneggiatura di Rose Red (2002).

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    1. Forse in un'altra mia epoca da lettrice avrei potuto apprezzarlo ben di più. Dopotutto il primo terzo è davvero avvincente e i punti di forza sono forti. La parte molto debole è il finale, e poi qualche personaggio di troppo.

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  3. Questo titolo ce l'ho in lista degli acquisti da un bel po', proprio perché Stephen King lo considera un capolavoro e ha una stima assoluta della Jackson. Dici che potrebbe esserci un problema di traduzione? Ho provato a guardare, ma l'edizione italiana è solo una, della Adelphi con varie copertine, ma stessa traduzione di Monica Pareschi (per altri romanzi, capita di trovare edizioni e traduzioni diverse, ci ho provato). Me lo tengo lì, perché ho il tavolino ancora traballante di libri, ma potrebbe essermi utile per la mia serie di Halloween. ;)

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    1. Non so se è questione di traduzione, potrebbe darsi.
      La traduzione scorre a meraviglia, le incongruenze sono a mio parere nella trama. Può darsi che a te farà tutt'altro effetto, eh. Sono anzi curiosissima di sapere cosa ne penserai una volta che lo avrai letto.

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