martedì 21 dicembre 2021

Amatissima - Toni Morrison

Incipit: Il 124 era carico di rancore. Carico del veleno d'una bambina. Le donne lo sapevano, e così anche i bambini. Per anni ognuno aveva cercato a modo suo di sopportare il rancore di quella casa ma, nel 1873, le uniche vittime rimaste erano Sethe e sua figlia Denver. La nonna, Baby Suggs, era morta e i due ragazzi, Howard e Buglar, erano scappati via a tredici anni, non appena, al solo guardarsi nello specchio, questo si era frantumato (il segnale per Buglar), non appena erano apparse sulla torta le due minuscole impronte di una manina (il segnale per Howard). Nessuno dei due aveva aspettato di vedere altro: l'ennesima pignatta di ceci fumanti rovesciata sul pavimento, le gallette in briciole sparpagliate a terra lungo una linea parallela all'uscio di casa. 

Questa è una di quelle rare volte in cui mi domando se sia realmente possibile recensire un libro particolare. Un racconto che mi ha sconvolto e mostrato il campo lungo della Storia, una delle più vergognose e sofferte, quella della schiavitù nei campi di cotone. 
Partiamo però dalla sua autrice, la straordinaria afroamericana Toni Morrison vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1993, scomparsa nel 2019.
Mea culpa, non sapevo dell'esistenza di questa scrittrice e del solco profondo che ha scavato nella letteratura americana contemporanea fino a qualche anno fa. L'ho scoperta in una bella trasmissione andata in onda su Rai5, in cui un giornalista viaggia in lungo e in largo fra America ed Europa andando a intervistare i più grandi nomi della narrativa ancora viventi (fra questi anche Paul Auster, Jonathan Franzen, William Boyd e altri). 
Toni Morrison è fra le pochissime scrittrici intervistate, ma è come un gigante durante l'incontro. Si parla dei suoi romanzi maggiori, fra cui Amatissima, che riceve il Premio Pulitzer nel 1988
Fra giornalista e scrittrice c'è come una reticenza nelle parole, perché il tema è fragilissimo, difficile parlarne ricorrendo a termini consueti, ancora più arduo riassumerlo. 
Ne resto colpita, mi riprometto di leggerlo. Averlo fatto in questi giorni - volevo una storia bella forte che non mi facesse pensare troppo a quanto mi abbia stancato questa estate - è stata una bella esperienza. 

Il dovere della memoria.
La tragica storia della schiavitù, comparsa in Nordamerica agli inizi del XVII secolo e protrattasi fino al XIX, costituisce la base di molti romanzi, celebri e meno noti. Dai classici per ragazzi La capanna dello zio Tom e Huckleberry Finn, fino a Radici (indimenticabile la serie tv degli anni Settanta), l'autobiografia di Solomon Northup 12 anni schiavo, La ferrovia sotterranea (ne sto vedendo la straordinaria miniserie) e molti altri. 
Raccontare il fenomeno della schiavitù e le sue tragiche conseguenze fra deportazione e condizioni di vita ai limiti dell'umano, fa parte di quel dovere della memoria che a mio parere è stato piuttosto trascurato dalla narrazione occidentale. Conosciamo bene i campi di sterminio, nei quali furono falcidiati circa 15 milioni di persone inclusi i 6 milioni di ebrei - considerando per un attimo ammissibile il paragone - mentre non sappiamo tutto di schiavitù, anzi la nostra conoscenza di questi due terribili secoli di Storia è molto limitata. 
Se si entra idealmente in questa memoria, non solo se ne scoprono dettagli e aberrazioni molto più gravi e intollerabili di quelli che sappiamo già, ma possiamo riceverne un quadro più completo, chiarircene i contorni e la portata. Riassumo da notizie reperite in rete.

Bene, anzitutto i numeri, di cui si parla pochissimo o nulla. 
Secondo le stime, in una prima fase furono deportati dall'Africa (in particolare da Senegambia e Sierra Leone) circa 12 milioni di individui. Dapprima nella condizione di "servitori in debito", poi dichiarati "proprietà" personale. Le leggi inglesi di tutela della servitù non li toccavano, poiché non erano nativi inglesi, il che li rendeva alla totale mercé dei loro possessori. 
Fuori da questo tipo di tutele anche i nati da unioni miste - lo stupro di proprietari terrieri e guardiani ai danni delle donne nere era comunissimo - venivano considerati schiavi anch'essi con una legge del 1662, che escludeva dalla discendenza maschile il nato da questo tipo di "unioni". 
Non si creda che la schiavitù fosse praticata solo nelle colonie del sud, perché anche se in percentuale minore nelle colonie a nord gli schiavi si occupavano di lavori differenti, ma erano presenti. Vero è che l'abolizione della pratica entrò in vigore a nord molto prima (seguita da una guerra fratricida che ebbe la schiavitù come asse ideologica portante). 

Asta di schiavi 

Sul finire del Settecento, in anni di Rivoluzione americana, la causa schiavista fu "usata" dalla madre patria Inghilterra per destabilizzare le colonie, con la promessa di libertà agli schiavi che si fossero ribellati al padrone e uniti all'esercito regio. Non ci saranno grandi numeri, si parla di 20.000 ex schiavi che beneficiarono del passaggio alla fazione inglese, lasciando il Nordamerica e giungendo anche in Europa. 
Com'è noto, la rivoluzione fu vinta dagli americani, che nella loro Costituzione - in cui si parla di "diritto alla felicità" - ribadirono la schiavitù come pratica legale. Alla faccia della coerenza. 
Vero è che negli stati a nord dell'Unione cominciarono ad affermarsi movimenti abolizionisti che nei primi decenni dell'800 diventarono aperto attivismo, l'Unione fu come spaccata in due, col fiume Ohio come linea di demarcazione fra stati schiavisti e stati abolizionisti. 
Qui arriva il momento clou della tratta, mentre illusoriamente la schiavitù doveva avviarsi verso una sua estinzione. La coltivazione di cotone diventa il grande affare in tutti gli stati del sud e la richiesta di manodopera cresce in maniera esponenziale. 

Dinanzi alla forte domanda, non c'è percorso di emancipazione che tenga. È la seconda fase più brutale dopo le grandi deportazioni di massa di due secoli prima
Gli stati schiavisti, assieme a compagnie di navigazione negriere prive di scrupoli, ricominciano le deportazioni, mentre fra i milioni di neri presenti sul suolo americano seguita lo straziante fenomeno dello smembramento delle famiglie, con la deportazione forzata da stati dove la domanda è più bassa. Una movimentazione di 600.000 persone in un cinquantennio. 
È il cosiddetto "Second Middle Passage", il secondo capitolo del commercio schiavista. 
Quello che accadde dopo ha il proprio culmine nel processo di emancipazione promosso da Abraham Lincoln, che fece dell'abolizione della schiavitù il nucleo nevralgico della sua politica. 
La Guerra civile ne fu l'inevitabile conseguenza, perché lo schiavismo era il fondamento su cui gli stati confederati e l'impero del cotone seguitavano a basare la propria ricchezza e autodeterminazione. 
Liquidare questa lunga fase in due righe è necessario per non sovraccaricare questo articolo, basti sapere che l'abolizione della schiavitù conobbe più fasi e momenti alterni di fortuna e disfatta. Se a questa uniamo la segregazione e il razzismo di cui furono e sono ancora oggetto gli afroamericani, avremo una vaga idea del quadro completo. 

Toni Morrison (1931 - 2019)

Beloved.
Chi è l'amatissima di questo romanzo, per il quale la premessa storica era doverosa? È una bambina/ragazza senza nome, sua madre le toglie la vita brutalmente, tagliandole la gola in un momento di paura e disperazione. Una protagonista insolita, che emerge imperiosamente in un racconto surreale.
Il surreale è strumento di narrazione adoperato da Morrison per rappresentare una realtà impossibile da narrare con gli strumenti propri della narrazione storica. Perché, di fatto, questo può essere definito anche "romanzo storico", a dispetto dell'elemento fantastico. 
Sethe, la madre, è una giovane donna nata schiava, spettatrice e protagonista di azioni brutali che paiono inverosimili perché disumani. L'uomo bianco/padrone si concretizza nel signor Garner, che pare aperto verso i propri schiavi, permette loro di comprare la libertà, eppure non esita a trarne profitto, a chiamare a sé il Maestro, l'altro uomo bianco/padrone che è il suo esatto opposto. 
Il Maestro è un "senza pelle", un bianco incolore che si staglia sulla moltitudine dei provvisti di pelle perché neri, concreti, stabili nella loro misera e disperata condizione. È capace di aberrazioni terribili, perché alla base, come Sethe udrà casualmente, ritiene i "negri" non umani ma assimilabili all'animale. Utili, sfruttabili fino ai limiti della sopravvivenza, carne da sperimentare nell'uso più estremo. 

I negri devono restare ignoranti e non alzare mai lo sguardo. Devono "figliare" quando e come il padrone decide, vivere in condizioni di totale mancanza, senza dignità né speranza. È così che li vuole il Maestro. Il quale si ritiene libero di ucciderli se troppo arditi o peggio disobbedienti. Per dare il buon esempio, anche le donne vengono arse vive, così Sethe vedrà morire sua madre. 
Nella piccola comunità di schiavi dalla quale Sethe prende le mosse, c'è un barlume di progetto perché le viene concesso di sposarsi, sebbene ai neri non sia permesso di farlo in modo formale. Sethe sceglie il proprio uomo col quale genera due maschi e due femmine, una di queste è la bambina/ragazza senza nome. Infaticabile e altera, Sethe accetta il proprio destino umilmente, fino a quando subisce due abusi molto gravi. 
Il corpo di Sethe è un territorio percorso dalla sua stessa storia. Sulla schiena campeggia un "albero". Viene narrato come un tronco che esce dalla sua schiena e si sviluppa in rami e foglie. Come se la frusta che percuote brutalmente avesse realizzato un disegno, anzi un capolavoro. 
Brutalizzata dalla frusta, subisce successivamente l'ignominia del furto del suo latte, direttamente dai suoi seni di puerpera, con bocche fameliche e cattive di bianchi furiosi e desiderosi di farla giungere al massimo grado dell'umiliazione. Curiosamente, Sethe non verrà stuprata prima della scena accanto alla lapide, perlomeno la storia non lo lascia intendere. O forse lo stupro lo ha subito più volte, prima di allora, ma ciò che la travolge sono proprio queste due azioni brutali, sulla schiena e sul suo seno
Da lì Sethe cambia senza possibilità di ritorno. Gli eventi la portano a fuggire, a dare alla luce l'ultima figlia sulle rive di un fiume, a toccare il fondo in ogni senso, mentre la lotta per la sopravvivenza la porta fino a Baby Suggs, altro personaggio straordinario. 



Non racconterò altro, se non facendo un riferimento proprio all'amatissima figlia che muore uccisa dalla madre in un impeto di rabbia, per sottrarla a una vita da schiava. 
L'amore negato alla figlia amatissima, donato a Denver, la nata sulle rive del fiume Ohio (quella linea di demarcazione di cui sopra), è destino che debba essere rivendicato. 
Beloved dunque è come un'immanenza, un'energia alimentata dall'amore distrutto. Beloved non ha la vita in sé, è tutto spirito, è il concretizzarsi di quell'amore che la donna/madre/nera non può permettersi. 
Per una ex schiava amare a quel modo era pericoloso, soprattutto se l'oggetto dell'amore erano i suoi figli. La cosa migliore da farsi, lo sapeva, era amare un poco, amare tutto, però solo un poco, così quando gli spezzavano la schiena o lo ficcavano in un sacco di iuta, beh, forse restava un po' d'amore per chi veniva dopo. 
È proprio Sethe a rendere apparentemente viva Beloved, visibile e concreta come è concreto il suo amore straziato per lei. Beloved risucchia da Sethe forza e vitalità, la riduce pelle e ossa mentre di contro il proprio corpo si espande. L'amore di Paul D, l'ex schiavo che bussa alla sua porta, non è più sufficiente. Quello che mettono in scena Sethe e Beloved diventa lo spettacolo dell'amore rivendicato, ha in sé l'impeto di violenza che servì a Sethe per togliere la vita alla bambina, ma mille volte accresciuto. 
Lo spettacolo tragico e surreale di una distruzione, una devastazione che ha trovato modo di manifestarsi dopo anni in cui il suo urlo è stato udito, come un fantasma che impesta la casa, il 124. 
Ho trovato straordinario tutto in questo libro. Lo stile di narrazione, mai lineare, una scrittura fatta per campiture, bellissima e pura. Lo consiglio. 

Dal romanzo fu tratto un film che in Italia a quanto pare non è mai arrivato. Eppure si tratta di una produzione importante, del 1988, con Oprah Winfrey nel ruolo di Sethe e Danny Glover in quello di Paul D, diretto dal talentuoso Jonathan Demme (Il silenzio degli innocenti, Philadelphia). 
Qui il trailer. 



Conoscevate questa autrice? Avete letto romanzi sulla schiavitù in Nordamerica o visto qualche narrazione sul grande e piccolo schermo? 

4 commenti:

  1. Mi sembra un romanzo bello tosto da leggere. Io ho visto lo sceneggiato tv Radici che ha mostrato davvero in modo realistico la tratta degli schiavi in America, in Puglia ho anche il libro, ma non ricordo di averlo letto tutto, l’autore del romanzo si è ispirato alla storia della sua famiglia dove Kunta Kinte, il capostipite, era suo trisavolo. La schiavitù legalizzata é una delle grandi macchie della “democratica” America, non che oggi con il razzismo imperante si stiano riscattando, ma da un po’ da pensare questa idea...

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    1. Ricordo anch'io benissimo Radici. Fu sconvolgente. Ero una ragazzina e mi si impressero tutte le scene nella memoria, alcune scioccanti. Fu una storia diretta, molto chiara su quanto accadde, senza filtri. Così come doveva essere.
      Amatissima potrebbe piacerti molto, è una storia straziante e mi piace come l'ha raccontata la Morrison.

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  2. Lessi questo romanzo anni fa, e mi ha straziato il cuore: è una rappresentazione terribile e altamente realistica di quello che era la schiavitù. Vite che non erano vite, persone trattate peggio degli animali. Detto questo, è un romanzo che bisogna assolutamente leggere anche per lo stile con cui la storia viene raccontata, la grande capacità di immersione dell'autrice in una realtà cruda e violenta, e nello stesso tempo pervasa di amore.
    Nella Costituzione americana in effetti c'è questa grande contraddizione sulla libertà e l'eguaglianza consentita a tutti gli uomini, ma si tace della condizione degli schiavi presenti sul territorio: un nodo irrisolto che poi esploderà nella guerra civile. La schiavitù, come la Shoah, è un argomento immenso e tremendo, all'esame di Storia Moderna portai una monografia sulla storia della schiavitù: penso che sia stata una delle più grandi operazioni di deportazione della storia, se non la più grande, e finì soltanto perché non era più conveniente a livello economico, e non solo per le pressioni dei gruppi per l'abolizione, o l'opinione pubblica.

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    1. Sì, straziato penso sia il termine più appropriato, cara Cristina.
      Riguardo alla schiavitù come questione irrisolta, c'è da sempre un dubbio in me riguardo alla Guerra Civile come occasione di "sbocco" della grave questione. In fondo, mi domando, davvero agli stati unionisti interessava la causa dei popoli oppressi? Non sono stati comunque quegli stessi americani a compiere quel genocidio vergognoso dei nativi? Insomma, magari Lincoln era un uomo realmente retto e deciso a porre fine a questo abuso, ma per il resto pare che la schiavitù sia stata solo un buon pretesto per motivare una guerra fratricida.

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