martedì 5 aprile 2022

Manuale di lettura creativa - Marcello Fois

Incipit: Io sono un lettore compulsivo. Il che, presumo, sia una specie di malattia. I sintomi sono chiarissimi: a casa mia ho tolto dei mobili fondamentali per far spazio ai libri; abito in un appartamento dove ci sono circa 4500 volumi; e sono uno che, se si dimentica di prendere un libro per andare in bagno, legge tutte le indicazioni per l'ammollo dei detersivi e tutte le composizioni degli shampoo

Se ogni lettore si sente a proprio agio in particolare nella narrativa, leggere ogni tanto un libro sui libri può giovare e non poco. Non trovate che questo tipo di libro sia stuzzicante? 
Già ne avevo fatta esperienza con Recalcati e un suo tomo su come ogni vita di lettore si amalgami ai propri libri. Per chi volesse andare a curiosare, è qui: A libro aperto. Una vita è i suoi libri.
Se Fois si pone la domanda di quale lettore ideale ci sia per ogni libro, quaestio discussa oltretutto in questo post, il nostro spazia in realtà fra autori irrinunciabili, doveri dello scrittore, definizione di "romanzo classico". Spunti di riflessione interessanti.  

Qui sopra è riportato l'incipit dell'introduzione, dove, dopo essersi dichiarato lettore compulsivo, Fois si affretta ad aggiungere che ogni vero scrittore "ha il dovere assoluto di leggere", ossia di concretizzare dentro di sé, in fieri, delle fondamenta salde su cui possa costruire la propria scrittura. Dall'altra parte deve poter trovare un lettore creativo, il lettore ideale di ogni vero scrittore. Vediamo com'è fatto, ma partiamo da una constatazione inevitabile. 
Fra le righe, o in maniera palese, Fois ci dice che lo scrittore vero è quello che non si sottopone alle regole del marketing editoriale. Guardiamoci attorno. È pieno di scrittori e scrittrici che strizzano l'occhio ai propri lettori fidelizzati o potenzialmente tali. 
Lo scrittore vero non si presta a scrivere quanto il lettore si aspetta, perché il lettore creativo, anzi, vuole trovarsi dinanzi a qualcosa di non percorso, di nuovo, vuole essere stupito. "Amare il libro che non si aspetta". 

Il lettore creativo troverà il suo scrittore ideale in colui che anzitutto non avrà ceduto al proprio istinto narcisistico, e piuttosto avrà costruito la propria scrittura cosciente della propria competenza. Essere competenti significa saper "semplificare", ossia puntare su un andamento "lineare", senza sforzarsi, inutilmente, di essere originale, giacché l'originalità non può esistere. 
I secoli di scrittura che ci hanno preceduto rendono impossibile essere realmente originali. 

Altro punto su cui riflettere: una letteratura squisitamente "attuale" e "moderna" non può esistere. Innanzitutto perché l'attualità è transeunte, e in questa accezione la narrativa è come acqua che scorre, rendendo l'autore più noto di quello che scrive. 
La scrittura "attuale" [...] è un vuoto a perdere. Spesso millanta un rigore che non possiede se non in termini di audience e di target assimilabili a quelli televisivi. È scrittura per adolescenti pubescenti, per lettori che non vogliono niente di impegnativo.
L'editoria ridotta sempre più a mercato che obbedisce a leggi sedimentate, legate al banale principio di domanda e offerta, ha imposto una narrativa di consumo molto lontana da una vera letteratura, tale se dura nel tempo e non necessariamente se scala le classifiche. 
Mi viene in mente una scrittrice rifinita come Melania Mazzucco (della quale sto terminando L'architettrice): i suoi libri sono campioni di resistenza e probabilmente resteranno nel novero della letteratura italiana. Non sono mai stati campioni d'incasso, perché sono letteratura, ossia richiedono un lavoro di lettura, sono solidi, libri in cui l'autrice si annulla, sparisce dietro a una scrittura non complessa ma ricca, documentata, coerente, coinvolgente. 
Il lettore medio legittima il proprio diritto di leggere quello che vuole - non intendo allinearmi del tutto con Fois e la sua visione tranchant rispetto a tanta narrativa pubblicata - ma è innegabile che esista letteratura e narrativa di consumo, due realtà diverse e spesso opposte. 

Ma cos'è la letteratura?
Fois ci dice in pratica: la letteratura si sostanzia nella forma del romanzo, "un dispositivo narrativo attraverso il quale si rende straordinario l'ordinario e stupefacente l'ovvio". Un dispositivo che, altresì, non tratta di felicità, perché nella sua ricerca di verosimiglianza non può incarnarla pienamente. 
La letteratura, per essere tale, deve "generare inquietudine". Lo scrittore attinge al proprio vissuto e alle proprie zone d'ombra per sostanziare il racconto. 
Oltre a ciò, non può generare lettori pienamente concordi sul suo contenuto, quanto piuttosto procedere smuovendo discussioni, spingendo al confronto. 

Questa parte mi fa pensare ai tanti che ritengono "intoccabile" la letteratura di giganti come i Tolstoij o Dostoevskij, Hugo, Goethe, ecc. Se è vero che un lettore inesperto e poco allenato, spiazzato dinanzi a Delitto e Castigo al punto da ritenerlo noioso e pesante, non è legittimato a bollarlo come "sopravvalutato" (ci sono discussioni sui social da far rabbrividire), è altrettanto vero che un lettore allenato ed esperto, che sa riconoscere la letteratura dei grandi autori, può trovarsi a proprio agio con Dostoevskij e molto meno con Hugo, per dirne una. Dovrà essere in grado di discernere perché ne avrà le competenze, ma anche il diritto di non riconoscere la straordinaria capacità di coinvolgimento del lettore di un grande scrittore, proprio perché non riesce ad armonizzare con questo. 

Riecco Carver!
Fra gli ultimi capitoli, compare un inevitabile Carver, paradigma del buono scrittore che sa quel che fa. Finora, come ho scritto in uno dei post citati all'inizio di questo, io e Carver non ci siamo piaciuti
Non oserei comunque dubitare della competenza altrui nel ravvisare nella sua scrittura quella perfezione e misura che in me ha suscitato noia nell'unico libro di racconti finora letto. 
Carver ci insegna, dice Fois, che il vero scrittore conosce il modo per generare un "punto di rottura", una tensione, che nasce però da un prerequisito, saper narrare l'ordinario
Carver insomma, conosce il modo per tenere alta quella tensione pur facendo gravitare il lettore in un ordinario che è realmente tale e non apparente. Il tutto attraverso una tecnica identificata come "minimalista" ma che in realtà sottende un grande lavorio di costruzione. Ecco, quello che ho trovato mortalmente noioso è proprio questa capacità di "ribadire l'ovvio", insomma, non ha funzionato. 

Mi fermo a questa sintesi di un piccolo volume prezioso, che offre molti altri scenari su cui riflettere. 
Preziose, ad esempio, le pagine riguardanti I Promessi Sposi, punto cardine della letteratura italiana assieme a Pinocchio, "favola atroce", e Cuore, il terzo grande romanzo popolare italiano. 

Leggete libri sui libri? Cosa pensate di queste riflessioni di Fois?

12 commenti:

  1. Sono molto d'accordo con Fois. La narrativa oggi è mainstrean nel senso non del genere ma nella sostanza che accomuna molte storie sostanzialmente uguali luna all'altra ma nel flusso dei bisogni dei lettori e dunque di successo. Un esempio? Sono stramazzata di fronte al numero impressionante di storie e di autrici che narrano le vicende di giovani bambine e ragazze dei tempi che furono alla prima persona e strappalacrime. In questo contesto l'idea che l'originalità non sia possibile, sono certa che lo è ma occorre sperimentare, uscire dagli schemi, avere il coraggio di percorrere strade nuove. Sono temi su cui mi sono interrogata nell'ultimo articolo pubblicato e che sostanzialmente riguardano noi stesse attraverso la nostra scrittura. Singolare poi il richiamo ad attenzionare il nostro narcisismo come autrici. Mi sembra che Fois, correggimi tu che lo hai letto, parli di narcisismo come pienezza di sé, supponenza ed eccessiva fiducia nella propria scrittura. Mi è capitato di percepirlo qualche volta, come lettrice intendo, ma non è realmente ciò che mi ha infastidito. Mi allontana la noia, la ripetizione, il mainstream come da me ridefinito. Dostoevskij non mi ha mai trasmesso tutto ciò, Carver un pò si. Ma li adoro entrambi. Per me la cosa importante è quella che dici a un certo punto : generare inquietudine. È interessante come ancora una volta, ognuna a suo modo, si rifletta sulla stessa faccia della stessa medaglia ☺️. Comunque questo articolo mi ha rincuorata. Pensavo di avere una brutta nevrosi invece leggere le etichette è sintomo solo di una compulsiva dipendenza. Meno male!

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    1. Riguardo al tema narrazione in prima persona, storia al femminile, dramma umano, redenzione, concordo pienamente. Penso stia fiorendo un nuovo filone, quasi un genere a sé che ripete incessantemente lo stesso schema. Questo tipo di narrazione raccoglie folle di lettrici amanti del genere, che non si stancano mai della formula ripetuta. È legittimo, voglio pensare. Dopotutto molta parte di questo tipo di narrativa contemporanea (lungi da me definirla "letteratura) stipula una specie di patto con il lettore, che sa cosa aspettarsi. Negli ultimi dieci anni sono emerse scrittrici di questo particolare genere che vendono, sono molto stimate e apprezzate e ben venga, se in fondo questa è narrativa di qualità. Personalmente tendo a stancarmi in questa formula, anche perché sento che manca quel coraggio che tu stessa citi, lo spingere su una narrazione più verosimile, che non teme di "sporcarsi le mani" o di toccare nervi scoperti. Mi sembra tutto molto edulcorato, solo appena sfiorato. Fra le varie storie che ho letto di questo genere - Addio fantasmi e Trema la notte di Terranova, L'acqua del lago non è mai dolce di Caminito, Oliva Denaro di Ardone, L'arminuta di Di Pietrantonio e per certi aspetti Le assaggiatrici di Postorino (mettendoli insieme scopro che ne ho letti un bel po') - nessuna mi ha fatto pensare "wow, sono sconvolta".
      Sono autrici che entrano nel merito ma poi si fermano sempre un passo indietro, alcune sono brave narratrici ma alcuni punti delle loro storie sono poco credibili, ecc. C'è come uno slegamento fra la materia narrata, che pure la si sceglie forte e da far scuotere le coscienze, la capacità di narrare e il prodotto finale. Per carità, questa è la mia personalissima opinione, poi migliaia di altre lettrici potranno gridare al capolavoro legittimamente.
      Riguardo al narcisismo dello scrittore, non c'è niente da fare, si percepisce. E i veri grandi narratori sono quelli che si annullano nella materia narrata.

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  2. (Poi mi fai sapere cosa pensi de L’Architettrice)
    È così: ormai chi scrive sa che per avere un minimo di evidenza (il successo è riservato sempre ai soliti pochi) deve abbracciare tematiche calde, fa notizia un bel romanzo che parli di animali o coppie gay, meglio se c’è qualche conflitto generazionale o lo spunto per parlare di immigrazione... tutto scontato, ma attuale. Purtroppo, le mie esigenze vanno in altre direzioni, come scrittrice e come lettrice. La narrativa di consumo mi incuriosisce poco, resto molto legata alla letteratura classica e trovo raramente l’originalità negli scrittori che oggi vanno per la maggiore. Che poi, magari, raccontano pure storie belle e scritte bene, ma quel senso di inquietudine (se c’è) di cui parla Fois dura un giorno, poi queste sono letture che dimentico facilmente.
    Carver o piace tanto o non piace per niente: non credo che per lui esistano le mezze misure. A me piace, non tutto, ma ne capisco il successo. A modo suo ha creato una narrativa unica, molto imitata, ma con risultati non all’altezza dell’originale. In giro ci sono tante brave scrittrici e tanti bravi scrittori,ma lasciare il segno è un’altra cosa.

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    1. Non concordo del tutto sulle tematiche da te citate. Se è vero che sempre di più si narra di amori omosessuali, è altrettanto vero che storie stupende come Danish Girl di Ebershoff, Chiamami col tuo nome di Aciman, Carol di Highsmith sono diventati famosi per i film che ne sono stati tratti (all'altezza dei romanzi), che rifuggono il mainstream perché sono realmente ben scritti e le storie sono credibili e molto "classiche". Non si faccia l'errore di classificare come libri che strizzano l'occhio al pubblico se poi il prodotto è davvero d'eccezione. Ragion per cui la letteratura in merito (e la chiamo tale perché lo è) è realmente ridotta, ben diversa dai romanzucci che cavalcano l'onda.
      Quanto all'immigrazione, sto aspettando il grande romanzo, ma davvero. Non solo per il tema così importante e impossibile da ignorare quanto perché sono certissima che ci siano davvero storie straordinarie da raccogliere e raccontare. Anche qui, ben diverso dai millemila librini che gravitano soprattutto in ambito scolastico e che però sono necessari ai nostri percorsi educativi.
      Sul resto, concordo in toto, la letteratura vera, classica (intendendo con questo termine anche tanta contemporanea dei giganti che apprezziamo dal momento in cui li abbiamo scoperti) è quella vetta molto molto difficile da raggiungere. I lettori di questo tipo di letteratura fanno poi fatica ad apprezzare realmente altro. Io cerco di pormi in maniera equidistante, ogni cosa deve poter essere vista nell'ambito in cui si sviluppa, poi c'è un livello di giudizio che riguarda la qualità effettiva.

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  3. A proposito del fatto che “La letteratura, per essere tale, deve "generare inquietudine". Lo scrittore attinge al proprio vissuto e alle proprie zone d'ombra per sostanziare il racconto” è un concetto che ho già sentito e in cui mi sono ritrovata. Anni fa in una intervista a Ken Follett (credo lui ma non ci metto la mano sul fuoco, ricordo bene il concetto però) disse che la vera letteratura deve “disturbare” cioè esprimere dei concetti o delle storie che non facciano dormire il lettore, nel senso letterale del termine (leggi un libro e la storia ti fa indignare oppure inorridite oppure ti fa pensare e ripensare, perché quello che racconta “disturba” l’anima), rimasi molto colpita da questo concetto, mi trova abbastanza d’accordo.

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    1. Anch'io mi trovo d'accordo con questo. E forse non è neppure opinabile la cosa, perché la letteratura è realmente questo. Un romanzo che mi ha letteralmente sconvolto - in senso positivo - è stato Lolita. Per me quello è un romanzo fuori da ogni schema, un capolavoro assoluto. Contiene tutti gli ingredienti della letteratura che è pure disturbante. Essere riusciti a comporre una storia come quella ha dello straordinario. Sono tentata di leggere romanzi come "Uomini che odiano le donne", con questo titolo così provocatorio, ne immagino le pagine, ne resterei sconvolta ma il disturbante è proprio in ciò, che dopo la lettura non si è più quelli di prima. Ecco l'autentica letteratura. Entro questo mese conto di leggere "Educazione siberiana" di Lilin, che aspetto mi sconvolga, ecco. :)

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  4. Io sono una lettrice che sogna di avere in casa 4500 volumi, ormai in libreria non ho più spazio per i nuovi acquisti. Comunque concordo con l'autore sul fatto che lo scrittore creativo non dovrebbe seguire le regole del mercato, ma quello che sente dentro. Forse uno scrittore per essere davvero tale dovrebbe essere prima di tutto egoista, deve scrivere quello che gli piace senza seguire regole e temi attuali. Lo deve fare per passione prima che per avere successo. Il problema è che ormai il mondo del business ha conquistato ormai ogni campo e purtroppo anche quello letterario, così molti scrittori scrivono quello che " va di moda", lo fanno per guadagnare. Questo ormai succede anche nella musica che diventa sempre più commerciale ( per dire non si sente più una composizione musicale come quella che potevano fare i Dire Straits, per dire). E purtroppo anche la letteratura ne è stata investita. Il problema è che il lettore creativo è quasi in estinzione e ciò è anche da collegare all'ondata di superficialità che ha investito la nostra società e che ha preso piede soprattutto con l'avvento del mondo digitale.

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    1. Il punto sarà sempre più contrastare questa ondata di superficialità, anche a costo di navigare contro corrente. Salvare quello che vale davvero e parlarne, e dirne in giro per dargli lo spazio che merita.

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  5. "lo scrittore vero è quello che non si sottopone alle regole del marketing editoriale"
    Da lettore non posso che essere d'accordo, i miei autori preferiti sono quelli che non seguono mode e che mantengono un loro stile di scrittura indipendentemente dal mercato.

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    1. Di certo io mi perdo tanti autori e autrici fuori dalla corrente del mercato editoriale e me ne dispiace.

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  6. Sarà la trentesima volta che apro questo post per commentarlo e ogni volta vengo distratta, devo rimandare, devo scappare altrove, uffa. Vediamo se sto giro riesco! :D
    Dunque: intanto mi sono segnata i due titoli, questo e quello di Recalcati che mi ero persa nel tempo, adesso sono dentro la Moleskine, lista dei futuri acquisti/letture.
    Sono d'accordo con Fois che ogni vero scrittore "ha il dovere assoluto di leggere" e mi stupisco di chi scrive e pubblica romanzi, ma dichiara di leggere poco. Qualche volta lo si capisce dalle quarte di copertina o dagli incipit, sono focalizzati sulla trama e poco sulla forma, incespicando sulle ripetizioni a distanza di poche righe. Non so nemmeno come si possa scrivere e non leggere, sento molto più la dipendenza della lettura che della scrittura.
    Però non sono d'accordo sul suo concetto di letteratura, distante dal marketing editoriale e dunque (dato che il marketing sta dietro a soddisfare i bisogni del mercato, delle richieste del consumatore, cercando un pubblico più ampio possibile) per pochi eletti. Se poi cita I promessi sposi mi pare si contraddica da solo: il romanzo di Manzoni deve il suo successo per la scelta dei protagonisti, gli umili, la gente comune, e dunque per aver ampliato il pubblico interessato alla sua lettura (c'è del marketing in questo). Lo stesso Manzoni ha affermato "che la poesia, e la letteratura in genere debba proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto, e l'interessante per mezzo" (c'è del marketing anche in questo).
    Confermo che uno scrittore debba scrivere solo ciò che sente, e pazienza se quello che scrive non incontra il favore del mercato. Ma questo non perché considerare il mercato sia "svilente" per lo scrittore, piuttosto perché scrivere "sforzando" se stessi è una pessima scrittura, non è vera, non è emozione, non arriva al lettore, non tanto da lasciarvi una traccia.

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    1. Manzoni mirava a un pubblico di lettori ampio, questo è certo, ma i I Promessi Sposi diventano un classico per altri motivi, legati al pregio dello stile, l'intreccio, alcune intuizioni astute su come stabilire un dialogo con il lettore. Fois cita Manzoni fra i grandi classici che non hanno tempo, il marketing è relegato al tipo di manovra che si attua oggi, tutta orientata verso la sovraesposizione, il ripetere una stessa formula a un determinato preciso tipo di target, ecc. Se Manzoni è stato uno scrittore da marketing ante litteram, chissà se si sarebbe prestato oggi alle stesse dinamiche. Certo la tua osservazione regala spunti per riflessioni aggiuntive.

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