Emergo dall'aver ultimato la visione delle 7 stagioni di questa serie televisiva prodotta da Netflix.
Una lunga maratona iniziata a fine agosto, che mi ha catapultato in un "luogo" di cui non si possono immaginare confini né dinamiche: un carcere federale femminile.
Ogni buona storia che si rispetti attinge a piene mani dalla realtà e si fregia anche di uno stile realistico, ruvido. OITNB è una di quelle serie dove trovate la realtà più cruda, senza filtri né inganni.
La serie, che ha riscosso negli Stati Uniti un grande successo di pubblico e critica, con tanto di premi a sceneggiatura e cast, è ispirata alla storia vera di Piper Kerman, che scrisse il memoriale omonimo, un racconto dettagliato della sua esperienza in una prigione femminile, con periodi trascorsi anche in massima sicurezza. Il libro diventa un caso editoriale e viene notato da alcuni produttori che affidano la sceneggiatura alla talentuosa Jenji Kohan, già autrice di Weeds.
La scrittura vincente, un cast praticamente perfetto e un montaggio da manuale compongono una storia che ha il merito di svelare molta parte di una realtà ignorata dai più.
Immaginate un luogo di detenzione femminile in cui si mescolano etnie e classi sociali differenti, età differenti, orientamenti sessuali differenti, aggiungete tutto uno staff di direttori e guardie penitenziarie senza scrupoli e con il gusto dell'abuso, e ne avrete un quadro abbastanza fedele.
La visione di OITNB richiede uno sguardo smaliziato sulla realtà e una buona dose di stomaco in certi frangenti. È lo spettacolo della cattiveria più profonda, ma anche della più alta umanità, per questo lo ritengo un capolavoro di narrazione.
Il lungo racconto, che ha Piper come snodo iniziale, si raccoglie attorno ad alcuni nuclei narrativi costruiti anche con la tecnica del flashback. Piper all'inizio è lo sguardo col quale vediamo questa realtà, un filtro che gradualmente si annulla nel racconto di mille altre vite.
Nella prigione c'è una gerarchia cristallizzata, regole non scritte ma ferree anche fra le stesse detenute. Le donne che popolano Litchfield non sono buone-belle-brave, anzi. Questo non è il racconto di eroine sfortunate, ma l'epopea dell'ineluttabilità dei destini di chi nasce "dalla parte sbagliata".
Il penitenziario raccoglie la parte peggiore della società contemporanea americana, la crema della delinquenza organizzata, nella quale in primissimo piano c'è lo spaccio di droga e i suoi effetti devastanti. La stessa Piper, e la sua amante Alex, sono dentro per riciclaggio di denaro sporco, proveniente dai grandi cartelli della droga.
Poi c'è il racconto simultaneo di drammi diversi, di donne reiette che una lunga serie di sfortunati eventi ha portato a cadere e ancora il racconto di chi ha commesso un reato gravissimo senza volontà alcuna, infliggendo il male alle vittime e a se stesse.
Ciò che accomuna le detenute è l'impossibilità di tracciare un altro orizzonte, guardare appena più in là oltre il perimetro del carcere e della propria vita spezzata. Non appena si schiude una vaga possibilità, il caso riporta tutto in un caos inevitabile, in un rewind di disperazione.
Le maschere di Litchfield.
Uno degli aspetti vincenti della stagione è la forte caratterizzazione di ogni personaggio. Se Piper e Alex restano sfocate, spesso sullo sfondo, poiché spesso devono lasciare il passo a storie più forti e in fondo perché non hanno molto in comune con le altre detenute se non il condividere una pena, emergono dalla storia le struggenti vicende di Red, Nicky, Suzanne, Lorna, e tante altre.
Ne prendo a esempio alcune.
Red (Kate Mulgrew) |
Il suo sogno è realizzato per metà, perché in effetti apre un negozio di generi alimentari assieme a un buon marito, ma poi incrocia i passi con la mafia russa ed è costretta a entrare in un losco giro di spaccio e riciclaggio di denaro, con tanto di cadaveri che deve far sparire nella cella frigorifera. Red non è una criminale per scelta, ma è una vittima del sistema, che la stritola nelle maglie di un processo di distruzione.
Nella prigione Red esercita un potere, è un capo rispettato e temuto, fa fatica a conservare la sua posizione, che deve difendere quando una nuova leader mette piede a Litchfield. Ha un alto tasso di resistenza.
Nicky (Natasha Lyonne) |
Nicky, uno dei personaggi più sfaccettati e complessi, direi una delle mie preferite per come si evolve fino alla fine. Omosessuale, figlia dell'alta borghesia ebrea, cade nella tossicodipendenza e l'appartenenza a giri di spaccio la porta a scontare una lunga pena.
A primo impatto aggressiva, in realtà possiede un'intelligenza e un acume rari, è perfino colta. Segnata da bambina da genitori anaffettivi che la coprono di indifferenza, il suo precipitare nella droga diventa la fuga in cui può non pensare. Nicky trova in Red la sua madre ideale. Possiede un alto senso della solidarietà.
A primo impatto aggressiva, in realtà possiede un'intelligenza e un acume rari, è perfino colta. Segnata da bambina da genitori anaffettivi che la coprono di indifferenza, il suo precipitare nella droga diventa la fuga in cui può non pensare. Nicky trova in Red la sua madre ideale. Possiede un alto senso della solidarietà.
Suzanne (Uzo Aduba) |
Suzanne (Occhi Pazzi), fa parte della compagine afroamericana, ma sembra appartenere a un mondo del tutto immaginato da lei.
Suzanne soffre di un disturbo del comportamento che la fa oscillare fra momenti di lucidità e momenti di psicosi ossessiva. Anche lei non è una criminale per scelta. La sua detenzione è frutto dell'omicidio non voluto di un bambino, portato nel suo appartamento perché Suzanne voleva solo giocare e perché lei per il suo disturbo è in fondo come una bambina mai cresciuta.
Suzanne ha una percezione distorta della realtà, questo permetterà a chi detiene il potere, durante un interrogatorio, di portarla ad accusare una innocente per un omicidio non commesso.
È come un fool, un villain detentore della Verità, ma è vittima di manipolazione, non ha strumenti di lettura della realtà.
Gloria (Selenis Leyva) |
Gloria è una madre che soffre per la separazione dai propri figli, ormai adolescenti e non più sotto il suo controllo. Lei sa quanto è difficile per i "latinos" trovare un lavoro onesto, non precipitare nella spirale di droga e spaccio, per cui ogni sua azione è orientata verso la salvaguardia dei propri figli.
Uno dei migliori aspetti di Gloria è il prendere sotto la propria ala Daya, detenuta e figlia di una detenuta, nel momento in cui la madre ottiene il rilascio. Gloria cerca di onorare la promessa di proteggere Daya, ma il destino ha un disegno diverso per la ragazza.
La straordinaria Tasha "Taystee", il simbolo della discriminazione razziale.
Ho adorato questa giovane afroamericana. Avete presente quando finite per affezionarvi a un personaggio immaginario, talmente la sua storia riesce a "sintonizzarsi" con voi?
Vi racconto a grandi linee di questa vittima del sistema (contiene spoiler).
Taystee è il ruolo in cui si concretizza una realtà incontrovertibile, il destino di chi, pur dotato di intelligenza e maturità, lotta nel fango di un sistema che a prescindere lo schiaccia. La vita le infligge fin da piccola tutta una serie di "punizioni".
Nasce da un'adolescente che l'abbandona, viene presa in carico dall'assistenza sociale che la scarica da una famiglia affidataria all'altra. La madre la rintraccia molti anni dopo, ma non la include nella famiglia che si è costruita, se ne vergogna.
Eppure Taystee ha un'intelligenza brillante, una parlantina sciolta, si intende di numeri, è una leader nata, ha spirito di iniziativa, sente in sé il dovere di lottare per se stessa e per gli altri. Nel sistema non c'è spazio per una ragazza di colore che abbia tutte queste qualità. A maggior ragione perché a lei non è offerto l'accesso all'istruzione, tutto quello che sa lo impara da sola, con l'istinto e la sagacia.
Taystee finisce in un giro di affari sporchi perché il sistema le nega ogni opportunità. Cerca di restare pulita, con un lavoro onesto, ma è come se una corrente la trascinasse verso una sopravvivenza possibile solo a rischio della propria fedina penale. E lei finisce in prigione. Ci finisce due volte, perché quando esce il sistema la espelle assieme al suo marchio di ex detenuta.
Di nuovo dentro, Taystee è destinata a incarnare l'atavica lotta dei neri di ottenere giustizia. La sua migliore amica muore per mano di una guardia (destino vuole che la uccida per puro incidente) e da lì, lei si ritaglia una leadership con cui esercita il suo desiderio di rivalsa, il suo grido di lotta, ma, inconsapevolmente, anche la sua discesa nell'inferno.
La Taystee leader e quella che invece è vittima della mancata giustizia dei tribunali sono due ruoli che le tocca "giocare", appesa al filo sottilissimo di una verità che non interessa a nessuno.
Taystee è innocente, eppure l'attende l'ergastolo, lei che diventa il capro espiatorio di un grave omicidio ai danni di una guardia, così da leader dei diritti dei neri le viene apposta l'etichetta di carnefice, senza aver commesso il delitto. È un paradosso, un nonsense, lo spettacolo tragico di una sconfitta.
L'interpretazione di questa giovane attrice è straordinaria. Ho pianto lacrime vere.
... infine, il tempo.
Un racconto realista non può contenere "infiocchettamenti", e questa serie ha il merito di mostrarci come vanno le cose là fuori e come si inaspriscono in ambienti come una prigione.
È un racconto di donne, contiene tutti gli archetipi femminili, è il racconto dei comportamenti umani, degli istinti e dell'abbrutimento umano. Ricorda, anche se solo vagamente, l'insieme dei comportamenti raccontati dai sopravvissuti dei campi di lavoro, orientati verso un istinto di sopravvivenza e dei codici accettabili solo in quella realtà. Non ci sono eroi né eroine, ogni buon sentimento proviene anche da tutta una serie di vantaggi ottenuti.
Le detenute di Litchfield non vogliono essere "corrette", perché non intendono questo linguaggio, sono scettiche, rifiutano l'offerta di programmi di "recupero", perché sanno che dietro ci sono i maneggi di un sistema avvinghiato a politiche che usano le carceri per pura propaganda.
La giostra di umanità insegue un modo per ottenere rispetto e vincere l'idea di un tempo troppo vasto e dilatato. In questo tempo-non tempo in cui ogni giorno è uguale all'altro, le aree sono condivise, il "fuori" è un campo recintato in cui eccezionalmente è permesso andare, ciascuna ha un proprio personale "progetto".
La direttrice Linda Ferguson (Beth Dover) |
Anche le donne non recluse partecipano di questo tempo e ritmo, ma dalla parte opposta, da guardie o direttrici del penitenziario, incarnando spesso ruoli da carnefici, scegliendo di ritenere le detenute come individui irrecuperabili o strumenti per ottenere una posizione di potere.
La rappresentazione di un mondo spietato e disincantato, nel quale di tanto in tanto si accende una fiammella di amore, attaccamento, solidarietà.
Significativo il passaggio all'epoca Trump, narrato nella stagione conclusiva con un particolare focus sulle leggi di contenimento ed espulsione degli immigrati.
Eccovi il trailer della prima stagione:
Serie, romanzi, film ambientati in una prigione ce ne sono molti, è un genere che mi piace.
Voi che ne pensate? Ricordate qualcosa in merito?
Io ho un ottimo ricordo del bellissimo "Le ali della libertà".
Cara @Luz, questo post mi fa rimpiangere di non avere Netflix. Ho visto e apprezzato molti film ambientati in carcere, da quello che citi tu, "Le ali della libertà", ammetto di essere letteralmente innamorata di Tim Robbins, un grande attore e un grande uomo, al mitico "Papillon" - posso aggiungere qualcosa a questo titolo? Fantastico - a "Fuga da Acatraz" "Il miglio verde", al visto e rivisto "Fuga di Mezzanotte" e potrei continuare. Sì, amo la cinematografia sul genere ma, come avrai potuto notare, si tratta di Film e di Film con protagonisti uomini. Per questo mi ha colpito questa serie, perché racconta una realtà che per me finora era estranea, anche nella letteratura e nella filmografia. Cosa mi colpisce di questa recensione appassionata? Ciò che ha colpito te: la caratterizzazione dei personaggi, che capisco con la tecnica del flash back diventano per noi elementi centrali e familiari della storia, e la denuncia sociale che sottendono. Sono temi a me cari, come sento sono per te. Qui mi piace l'idea, almeno questo mi trasmette il trailer, che ci sia una sorta di velato ottimismo. Nel pagare il proprio scotto c'è una possibilità di cambiamento, qualcuno direbbe "redenzione". ecco, questo messaggio positivo è necessario, per battere l'orrore del carcere che altrimenti da luogo di riabilitazione diventa soltanto più un ghetto dove nascondere le contraddizioni della società che non siamo in grado di affrontare, né individualmente, né collettivamente. Un abbraccio
RispondiEliminaCara Elena, Netflix mi ha aperto un mondo, io che pensavo di potermi fare bastare Sky (di cui ho disdetto l'abbonamento). Mi ricordo di quei film, "Papillon" uno dei grandi film ormai classici, fino agli altri che citi.
EliminaLe dinamiche all'interno di una prigione, in particolare se trattasi di un ambiente femminile, sono del tutto particolari. Sulle prime ho pensato che fosse una serie perfino molto più ironica, magari tutta incentrata sui buoni sentimenti, sulla solidarietà femminile, e invece... mi sono trovata dinanzi un romanzo realista contemporaneo, senza filtri, una cosa che ti getta in faccia una verità amara. Non so perché non abbia avuto un grande successo in Italia, per esempio non l'ho mai vista comparire nelle discussioni sui social come invece capita con mille altre serie. Penso che sia un capolavoro di "teatro tragico", un affresco del tutto onesto, un racconto di verità che non teme l'impopolarità.
Alla fin fine, la protagonista così patinata diventa insignificante, ci si addentra in snodi e intrecci che sconvolgono e svelano come stanno le cose veramente. Ma poi i dettagli. Per esempio, in un dialogo viene fuori quello che fanno le guardie corrotte, che fanno entrare droga nella prigione e abusano delle detenute con richieste particolari, ricattandole e tiranneggiandole. Ok, questo è, ma poi una delle donne dice una cosa del tipo: "di che ti stupisci? credi che se fossero persone perbene sarebbero state in questo posto di m*?". Il che svela esattamente come va il mondo. Ognuno è nel posto dove deve stare, quell'atteggiamento è un requisito imprescindibile, il fallimento dietro quel mestiere è esattamente quello che ci vuole. Vite fallite e poi riciclate in quel sistema sporco e corrotto.
Io ricordo bene Ruby Rose ;)
RispondiEliminaPersonaggio che avrebbe meritato più spazio, senza dubbio.
EliminaIo non ho netflix, ma mia figlia l'ha vista con una sua amica che ce l'ha e me ne ha parlato bene, ha detto che è molto ben girata.
RispondiEliminaDi film ambientati in carcere, ho apprezzato anch'io "Le ali della libertà". Ricordo anche un film con Alberto Sordi insolitamente drammatico, "Detenuto in attesa di giudizio", una forte denuncia sociale contro la lentezza esasperante del sistema giudiziario italiano.
Non ricordo questo film di Sordi, non credo di averlo mai visto.
EliminaDe "Le ali della libertà" ricordo due momenti: la scena in cui il protagonista fa coincidere il suono del martello picchiato sulla conduttura in ferro durante la fuga al tuono di un terribile temporale. E poi ricordo lo sguardo di Morgan Freeman quando, dopo il suo rilascio, va sul luogo indicato dall'amico, lo sguardo mentre si guarda intorno timoroso che qualcuno lo veda. Indimenticabile.
Questa serie l'ho sempre sentita solo di nome, ma giuro che credevo che fosse una cosa molto light, non so, sarà per il tipo di foto di gruppo, o anche il titolo. Avevo veramente tutta un'altra idea, invece è una cosa molto forte, da quello che capisco.
RispondiEliminaE' triste, sì, ci sono certe situazioni di ingiustizia così estrema e ambienti in cui è praticamente impossibile sottrarsi all'ingiustizia e all'illecito. Ma quindi il personaggio di Taystee non finisce tanto bene?
Ti fa la stessa impressione che faceva a me, sì. Non potevo immaginare che avesse uno forte impronta drammatica.
EliminaTaystee è destinata a subire una pena che il sistema giudiziario le impone, ma dopo un periodo di forte crisi, in cui appare molto cambiata, fa terra bruciata attorno, pensa alla consolazione delle droghe, tenta di suicidarsi, una serie di circostanze le fanno ritrovare la Sé stessa sepolta e mai del tutto morta. Lei si sente morta dentro, ma trova un modo per rendersi ancora una volta utile e soprattutto di aiutare chi viene rilasciata. Si inventa un programma di prestito a fondo perduto per le ex detenute che vogliono intraprendere un progetto di vita, trovare un lavoro, cambiare. E la serie termina proprio con questo lampo di speranza per lei, pur condannata per sempre. Molte altre invece soccomberanno in modo terribile, molte se la caveranno alla bell'e meglio. Insomma, anche nel grande finale, molto realismo.
Me la sono segnata. Per ora sono alle prese con Black Mirror (angosciante, ma bello). Ho visto il trailer della serie di cui parli con quella solita capacità di convincere chiunque e adesso sono curiosa; tra l'altro, più le storie sono drammatiche più ci vado a nozze. Non è dello stesso avviso mio marito, ma se le storie coinvolgono, riesco a portarlo dalla mia parte :)
RispondiElimina(Fino adesso, comunque, la serie più bella che abbiamo seguito resta "Breaking bad". L'hai vista? Merita.)
Ho visto una decina di puntate di Black Mirror, preferibile perché sono autoconclusive e non è vincolante. Alcune le ho trovate geniali. Dovrò riprenderlo, prima o poi. Riguardo a Breaking bad, sono arrivata alla quarta stagione fino a luglio scorso, subito dopo il trasloco, poi l'ho persa di vista, ma conto di tornarci. Decisamente forte anche questa. Adoro queste sceneggiature.
EliminaCome serie tv non l'ho vista, ma la conosco per tutti i premi che ha incassato in questi ultimi anni. Ho sicuramente visto qualche film ambientato in carcere, parzialmente in qualche thriller o completo per evasioni, o per ambientazioni futuristiche, ma non mi pare in carceri femminili. Chissà perché mi è venuto in mente così Out of sight, dove George Clooney in carcere riesce pure a concludere affari. :D
RispondiEliminaIn quanto a racconti, c'è il bellissimo "Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank" dentro l'antologia "Stagioni diverse" di Stephen King, altro che horror, è pure a tratti comico!
Me lo ricordo bene! Mi è piaciuto molto quel racconto, e direi che la trasposizione cinematografica, che lo ha ampliato facendone una bellissima e indimenticabile storia, ne è il giusto completamento.
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