lunedì 1 aprile 2019

A libro aperto. Una vita è i suoi libri - Massimo Recalcati

Incipit: Da quando ho cominciato a leggere seriamente - dalla terza media in avanti - tutta la mia vita è trascorsa fra i libri. Alcuni si sono rivelati dei veri e propri incontri. È possibile che un libro diventi un incontro? Se l'incontro è qualcosa che modifica il corso di una vita, che la riorienta, se l'incontro è un evento che offre senso alla vita aprendola a una nuova immagine del mondo, allora un libro, indubbiamente, può essere un incontro. 

In questo inizio c'è tutto il senso di questo bellissimo saggio di Recalcati, che non delude mai nelle sue osservazioni sulla vita e il mondo. Ne avevo letto il saggio sulla scuola, che ho recensito qui.
Questa volta il noto psicoanalista si interroga sulla presenza dei libri nella vita di un lettore, giungendo alla conclusione espressa nel sottotitolo: Una vita è i suoi libri. 

Questa massima può valere per chi ha fatto dei libri un elemento fondamentale della propria vita, è innegabile, ma può valere anche per un lettore non "forte". 
Sì, perché in sostanza anche un solo libro può cambiarci la vita, modificare il corso della nostra comprensione di noi stessi. Siamo nel campo della psicoanalisi applicata, sia chiaro, quindi se a prima vista può sembrare una conclusione romantica e un po' edulcorata, leggendo questo saggio si può facilmente arrivare a crederci davvero. 

Ma come un libro può avere questo potere su di noi? 
La lettura di un libro è annoverabile nel campo dell'esperienza. Ci sono libri che non restano nella nostra memoria, altri che non riusciamo a dimenticare. Desideriamo rileggerli, anzi. Ritrovarli, e riscoprirli, a distanza di tempo. Sono quei libri che si sono inseriti non solo nella nostra esperienza sensibile ma nelle pieghe del nostro Io più profondo. Vediamo come. 


Un libro è un coltello. 
Un passaggio complesso, ma davvero interessante. L'immagine del coltello è forte, ma rende l'idea. L'incontro con un libro significativo è talmente forte in noi che il libro diventa come un coltello che ci modella. 
Nella lettura il padrone del libro non è il lettore. Il libro è il coltello e noi, lettori, casomai, siamo il suo burro. Leggere significa infatti incontrare nel libro qualcosa che taglia, [...] significa innanzitutto disarmarsi di fronte al libro; per entrare in un libro devo essere disposto a farmi raggiungere, toccare, tagliare, appunto. 
Un libro è un corpo. 
Nella sua materialità il libro è come un corpo "erotico", lo possiamo vedere, toccare, annusare. E fa bene qui Recalcati a citare la Scuola (scrive questa parola sempre con la maiuscola, è significativo): fra i banchi può avvenire, grazie a insegnanti particolarmente versati nel mestiere, un incontro "erotico" con un libro coinvolgente, che fa scattare nei ragazzi la volontà e il desiderio di essere lettori per sempre. Chi legge ai discenti, però, deve avere cuore, deve leggere col cuore. 
Mi vengono in mente i vari momenti in cui mi coglie una certa esaltazione nel leggere ai ragazzi un brano. L'Addio, monti di Manzoni, L'infinito di Leopardi, La pioggia nel pineto di D'Annunzio, ma anche alcuni passaggi della migliore letteratura verista... a mio avviso, sono proprio come li descrive Recalcati: erotici. C'è una sorta di godimento irrinunciabile nel leggere e rileggere molta letteratura.  

Un libro è un mare. 
In questa terza metafora si esprime l'apertura del libro. Un libro chiuso perde di senso. Nella sua apertura c'è l'essenza del libro, del suo contenuto. Il libro si offre al lettore, aprendolo al mondo. 
In tal senso, il libro si contrappone alla metafora del muro, che circoscrive, chiude, impedisce. 
Nella sua apertura e nel suo rappresentarla, un libro apre a infinite possibilità di interpretazione di un contenuto, attraverso un'azione di interiorizzazione (mirabile passaggio che lo rende simile al teatro, a mio avviso!), di osmosi fra il suo contenuto e chi lo fruisce. 
Ed è così che arriviamo al lettore. 

Cos'è il lettore?
Qui c'è il passaggio più stuzzicante. Ebbene, Recalcati teorizza una figura nuova di lettore: colui che viene letto dal libro. Oddio, che vorrà significare, mi sono chiesta appena mi sono imbattuta in questo principio. È presto detto. Nel leggere, il lettore "si espone alla lettura del libro" e si lascia leggere dal libro come per un principio di vasi comunicanti. 
Quante volte abbiamo detto o sentito "quella persona è come un libro aperto"? Questo perché la metafora della pagina scritta esprime bene la natura complessa dell'essere umano. Noi siamo una lingua che abbiamo interiorizzato da quando siamo venuti al mondo, che ci descrive, ci caratterizza, che è solo nostra. L'incontro con un libro è come l'incontro fra due lingue, noi e quella contenuta nel libro. 
È pura filosofia e psicoanalisi e può sembrare incomprensibile, ma pensiamoci. 
In sostanza, l'incontro con il libro, questo coltello/corpo/mare è travolgente perché ci spinge a fare riemergere l'insieme di tracce e memorie di cui siamo composti. 
Non ci sentiamo così quando leggiamo un libro che ci piace profondamente? Come se quel libro ci "parlasse" (può capitare anche con una canzone o un film), andasse a sollecitare quel substrato inconscio di cui siamo fatti e che talvolta può riemergere, annusando un particolare odore, vedendo un particolare paesaggio, ritrovandoci in un particolare luogo. 

Ecco che una libreria diventa una parte di noi stessi. Un organo vitale. Non è un caso che, guardando la libreria di qualcuno, si comprenda perfettamente come quel qualcuno sia fatto, giusto?

A simbolo di tutto ciò che è contenuto in questo saggio, val bene citarne il passaggio in cui l'autore parla dell'opera L'impatto di un libro, dell'artista messicano Jorge Méndez Blake. 
Il muro è invalicabile, eppure un piccolo libro ne sovverte forma e imponenza. È un elemento "disturbante", che spezza l'equilibrio inflessibile del muro e lo minaccia, lo modifica. 



Se mi interrogo su quali libri mi hanno "letto", quali libri siano stati per me coltello/corpo/mare, la mia memoria non fatica a ricordarne alcuni, magari i primi cinque. 

1. Cecità, di José Saramago
2. Paula, di Isabel Allende
3. Jane Eyre, di Charlotte Brönte
4. Ethan Frome, di Edith Wharton 
5. Mastro-don Gesualdo, di Giovanni Verga

Ce ne sono molti altri, ma mi fermo a questi, testimoniano l'essere libri che hanno suscitato in me un'emozione diversa, profonda, per certi aspetti sconvolgente. 
Devono aver portato in luce quei frammenti, odori, ricordi, di cui è composta la mia personalità, il mio subconscio. 

Concordate con Recalcati riguardo a questo potere del libro? 
Vi viene in mente qualche libro che vi ha travolto, coinvolto, da restarne come spossati dopo? 

22 commenti:

  1. Bellissimo questo post, tre similitudini davvero azzeccate quelle elencate, ma ancora di più è bello il pensiero su cosa sia il lettore, un ruolo che ogni autore deve ben ricordare, per dare il meglio nella sua storia, perché davvero un libro può colpire l'attenzione e le emozioni di un lettore. Quello che nella mia vita ha avuto un valore indiscusso è stato Il conte di Montecristo. Odio le ingiustizie e amo quel libro, ho sempre idealizzato molto per merito-colpa sua.

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    1. Il lettore infatti è come lo spettatore per il teatro: non esiste libro senza il suo lettore, non esiste teatro senza lo spettatore. Sarà brutale, ma è così.
      Il successo di un libro è direttamente proporzionale a quanto quel libro abbia da "dire" al suo lettore, se arriva, dicendola alla Recalcati, a "leggere" il suo lettore. :)

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  2. Bellissime le metafore di Recalcati, mi sa che vorrò leggere tutto il libro. Mi sono data a letture eclettiche, nell'ultimo periodo e io che mi sono sempre dichiarata distante dai saggi sto cominciando a rivalutarli. Concordo con "Cecità" capolista e aggiungo il primo che mi viene sempre in mente quando penso al potere su di me di un libro: "A oriente del giardino dell'Eden" di Israel J Singer. E i classici... Proust, Proust a me m'ha stregato, tanto da crearmi quasi una dipendenza.

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    1. Devo avvertirti: molta parte del libro è filosofia pura, praticamente dopo i primi succulenti capitoli diventa una sua storia di lettore, cioè racconta quello che è avvenuto sulla sua pelle e comincia lunghe dissertazioni di filosofia. Il titolo, in tal senso, è un po' fuorviante, perché il contenuto è per un solo terzo dedicato a queste mirabili questioni. Magari te lo presto io, non comprarlo.
      Devi parlarmi del secondo libro che ti ha stregato! E poi Proust... quel poco che ho letto è difatti ipnotico.

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  3. Mi piace molto il paragone tra il libro ed il coltello, davvero molto azzeccato.
    Ciao!

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  4. un coltello è Camus, che sto rileggendo in questi giorni: è affabile nello scrivere, ma va diritto al cuore e tratta temi importanti (lo straniero Meursault, che spara "per caso", solo perché si è trovato una pistola in mano, è materia di questi nostri giorni). Per il mare mi viene in mente il Colombre di Buzzati, un corpo sono gli scrittori "difficili" con cui bisogna sempre un po' lottare, cioè quasi tutti i più grandi: Gadda, Joyce, i classici greci e latini, che poi sono anche coltelli affilatissimi e mari in cui navigare. :-)
    (però poi ognuno di noi ha la sua vita e i suoi percorsi personali: io aggiungerei i libri che ti fanno crescere, Calvino e Primo Levi per me sono stati fondamentali)

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    1. Bella la tua carrellata, hai capito perfettamente il senso di queste metafore.
      Ho "Lo straniero" di Camus in trepidante attesa sullo scaffale.

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  5. Ne manca una, secondo me: il libro è uno specchio. Tu leggi e lui ti legge, perché tu mntre scorri le pagine, vedi te dentro sempre al posto di un protagonista, o il cielo, o la terra o l'aria che da esso sale e che ti dá il respiro.
    Tutto o libri che voracemente ho letto, da quelli sublimi a quelli meno mi hanno riflesso pagina dopo pagina, mi ci sono mischiato, ovvero "ammischiato" cioè impastato dentro, insieme alle lettere ed alla punteggiatura. Quando questo feeling non funzionava mai ho finito il libro; e quando scrivo mi ci devo impastare perché se non funziona lo pianto lì e non lo finisco più.
    D'accordo su Cecità, ancora di Saramago "il vangelo secondo Gesù"; Il vecchio e il mare;
    Addio alle armi; Cento anni di solitudine; L'inferno di Dante, di cui al tempo del liceo potevo quasi, sono onesto soltanto quasi, recitare a memoria tutti i 34 canti da "Nel mezzo del camin di nostra vita...fino al...e quindi uscimmo a riveder le stelle.
    Ciao e grazie del bellisimo post.

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    1. Grazie a te, Enzo!
      Sulla metafora dello specchio che tu proponi: in sostanza lo dice nel momento in cui teorizza questa "lettura" che il libro opera su di noi, quando fa emergere quella Lingua ancestrale che abbiamo appreso fin da quando siamo venuti al mondo e che è fatta di frammenti, ricordi.
      Il farsi "leggere" da un libro è come ritrovarsi in esso, quindi questo rapporto speculare c'è tutto. :)

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  6. Così di primo acchito quasi senza pensarci mi vengono in mente "Tabù" di Piers Paul Read, "Il mio paese inventato" di Isabel Allende e poi,questo sicuramente più noto, "1984" di Orwell. E poi molta poesia ma qui parliamo di narrativa quindi mi fermo :-)))

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    1. Ciao, Daniele!
      Non ho mai letto quel libro della Allende, ne sono stata una grande appassionata negli anni Novanta, non è un caso che "Paula" compaia fra i libri "forti" che ho letto.

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  7. Questo saggio esprime e delinea secondo me quel che ogni lettore "sa" e "sente". Solo chi ha amato e si è fatto amare anche da un solo libro nella vita può capire.
    Senza pensarci troppo i miei "libri coltello" sono stati "Cime tempestose" ,"Venuto al mondo" della Mazzantini, "D'amore e ombra" dell'Allende, "Le ore sotterranee" della De Vigan.

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    1. Hai capito perfettamente questo legame simbiotico con un libro che riesce a essere per chi lo legge un "coltello". :)
      Non conosco la De Vigan.

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  8. Davvero affascinante come Recalcati delinei il rapporto del lettore con il libro, e viceversa, aprendo anche nuove interpretazioni. Di primo acchito ho trovato inquietante il fatto che il libro legga il lettore, ma approfondendo sì, è del tutto vero: è come una seduta psicanalitico che ci squaderna.
    Probabilmente la nostra immortalità più autentica è data da queste nostre tracce di scrittura che continuano ad agire e circolare anche dopo di noi, se scriviamo; ma anche come lettori possiamo continuare a nutrire i libri che leggiamo.

    Per quanto riguarda i miei libri-coltello, ecco:
    1. "Il rosso e il nero" di Stendhal
    2. "Jane Eyre" di Charlotte Brontë
    3. "Orgoglio e pregiudizio" di Jane Austen
    4. "L'idiota" di Fëdor Dostoevskij
    5. "Una stanza tutta per sé" di Virginia Woolf
    ...

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    1. L'aspetto dell'essere "letti" dal libro, è una metafora che semplifica assai bene il concetto.
      Il libro ci legge perché noi ci predisponiamo a permettere ciò. E lo facciamo inconsapevolmente, nel momento in cui quelle parole entrano in contatto con la nostra Lingua originaria. È innegabilmente vero.
      Bellissimi gli esempi dei tuoi libri/coltello. Mi fa piacere che vi campeggi "Jane Eyre". :)

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  9. Interessante il punto di vista di Recalcati, e molto credibile. Basta pensarci un attimo per riconoscere in noi gli effetti di ogni lettura che è una pietra miliare, o che semplicemente ci ha colpiti.

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    1. Sì, le metafore possibili potrebbero essere tante. :)

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  10. Concordo al punto che mi sembrano quasi ovvietà, ma sarà che al gruppo di lettura spesso ci ripetiamo queste cose. Sono tanti i libri che mi hanno travolto, scoperto, rivoltato. A volte non sono stati neppure grandi libri, ma solo quelli in grado di toccare qualcosa in me in quel momento (sia eterna lode al romanzetto di fantascienza che mi ha aperto gli occhi sulla relazione che stavo allora vivendo e mi ha probabilmente salvato la vita)

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    1. Addirittura un romanzo di fantascienza ha avuto questo potere su di te? Stupefacente. :)
      Comunque, sì. I libri possono rivoltarci, come scrivi tu.

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  11. Il libro è un incontro. Con l'autore, con i personaggi, con l'ambiente, con gli altri lettori. (Nooo, non lo dirò il nome di quel libro là, dai, suvvia, basta! :D )
    Anch'io ho letto Paula della Allende, un libro pieno d'amore, rabbia e tristezza. Ci ho pianto sopra quel libro, l'ho poco dopo che era uscito, quindi quasi alla stessa età di Paula. Un incontro che mi ha segnato, ma che non credo riuscirei a rileggere.

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    1. Anche tu ne hai un ricordo così forte? Io mi riprometto di rileggere. Dopo quasi trent'anni ho voglia di riscoprirlo e sentirmene travolta come fu quella volta.

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