Per la prima volta collaboro con Cristina Cavaliere a un
progetto che ha entusiasmato entrambe, quindi lasciate che le esprima anzitutto
i miei ringraziamenti. Eccoci arrivate a uno dei "guest-post
gemellari" che stavamo meditando da tempo, unite dalla comune passione per
i nativi americani. A te, Cristina.
Innanzitutto
ringrazio tutti i lettori che vorranno leggere questo mio articolo, e il
corrispettivo di Luz che apparirà sul blog Il manoscritto del cavaliere. L’idea è stata originata dalla
scoperta di una comune passione rispetto ai nativi d’America: Luz ha svolto la
sua tesi di laurea imperniandola sulla condizione della donna, mentre io ho
ambientato una buona parte del mio romanzo Gli
Immortali nel Nuovo Mondo, e nello specifico presso la tribù dei Lenape.
Per quello che mi riguarda, ero partita con l’idea
di occuparmi dei nativi in un post a tutto tondo, ma ho dovuto ben presto
ridimensionare le mie ambizioni. Parlare dei rituali, delle consuetudini, delle danze e della cosmogonia dei nativi d’America nello spazio di un
breve articolo avrebbe significato scriverne in modo prolisso oppure
elementare. Ad ogni modo, anche isolare e sviluppare un solo argomento è come
immergere il classico cucchiaino nell’immensità di un oceano. I rituali dei
nativi, suddivisi in costellazioni di tribù, erano l’espressione di una cultura semplice e complessa a un tempo, fittamente intrecciata con
la natura che li circondava; e nei
confronti di tale cultura i coloni venuti
dall’Europa ebbero un atteggiamento aggressivo e molto spesso equivocante.
La pietra dello scandalo spesso atteneva a rituali magici incomprensibili o che erano
sbrigativamente giudicati come mere opere
di ciarlatani. Una di queste cerimonie di guarigione, di cui ho avuto modo
di leggere nel voluminoso trattato Utet Riti e misteri degli Indiani d’America,
era chiamata con il suggestivo nome di Tenda
Tremante, e veniva praticata dagli sciamani della tribù Ojibwa.
Gli
Ojibwa o Chippewa appartengono alla
famiglia linguistica algonchina, uno
dei gruppi indigeni più popolosi di tutta l’America settentrionale. Le loro
comunità erano distribuite su una vasta area intorno alla regione dei Grandi Laghi, che andava dalle province canadesi
dell’Ontario e del Saskatchewan agli stati del Michigan, Wisconsin, Minnesota e
North Dakota. All’epoca
erano cacciatori, raccoglitori di riso selvatico , il loro cibo principale, e coltivatori di mais.
Il
mondo religioso degli Ojibwa era ricco di entità
spirituali chiamate manito, che
abitavano ovunque e si manifestavano negli alberi, nelle rocce, nei fenomeni
della natura, negli astri e in ogni genere di animali. Alcune vivevano nel
cielo, altre sulla terra e altre ancora nel mondo sotterraneo, secondo una tripartizione cosmica ampiamente
diffusa in tutto il mondo nativo americano. Tra le entità spirituali grande
importanza assumevano il sole, la luna e i tuoni, a tal punto che questi ultimi prendevano l’aspetto di
esseri spaventosi chiamati Uccelli del Tuono. Su questo universo variegato dominava
il Grande Spirito, o kicci-manito’, una figura monoteista
forse derivante da influenze cristiane. Ciascun individuo della tribù coltivava
un rapporto personale con uno spirito
in particolare, cui destinava invocazioni e preghiere per assicurarsi una vita
prospera e sana. Quando tuttavia questa relazione risultava compromessa e,
magari, si desiderava ritrovare la salute perduta, la persona ricorreva ai poteri dello sciamano: colui che era
in grado di attraversare il confine tra il visibile e l’invisibile e comunicare
con gli spiriti dei defunti onde investigare sulle cause della malattia.
Un villaggio Ojibwa in una stampa d'epoca. |
Presso gli Ojibwa e gli altri popoli di lingua algonchina si trovava un particolare tipo di sciamano,
chiamato jessakid, djasakid o tcisaki, che aveva il compito di mettersi in contatto con le
potenze spirituali non soltanto per intraprendere un percorso di guarigione, ma anche per ritrovare ciò che era nascosto o perduto, come persone oppure
oggetti. Per far ciò, lo sciamano si avvaleva della cerimonia della Tenda Tremante. Il rito si svolgeva nell’oscurità
della tenda, dove gli spiriti invocati
si manifestavano, scuotendo l’abitazione con rumori, suoni e voci. Non
tutti gli sciamani, tuttavia, avevano uguali poteri, e la dimostrazione pubblica del rituale aveva lo scopo di incantare e
atterrire l’uditorio e dimostrare le proprie capacità. Esistono diverse
testimonianze sui risultati di questa manifestazione che, proprio per la sua
natura, poteva divenire una “baracconata” a mezzo di un falso sciamano. In
alcuni casi, viceversa, i risultati erano così impressionanti da lasciare
quantomeno un dubbio in chi vi assisteva.
Nell’opera di M.I. Hilger, Chippewa Child Life and Its
Cultural Background del
Government Printing Office di Washington, pubblicata nel 1951, viene infatti
riportata la testimonianza di un
anziano della comunità di Lac Courte Oreille, che narra di due episodi diametralmente opposti cui aveva assistito quand’era un
ragazzino. Nel primo lo sciamano in questione era un fratello del nonno, un falso uomo di medicina. Un giorno
gli era stato chiesto di scoprire se una
bimba malata sarebbe sopravvissuta o meno. Egli aveva risposto di costruire
un tipi
o tenda e tra i costruttori c’era il narratore. Essi lo avevano costruito
legando insieme dei pali leggeri alti sette piedi e del diametro di un piede; e
per finire avevano ricoperto il tipi di
coperte. Accanto al tipi era un
focolare attorno a cui erano seduti alcuni uomini che avevano preso a battere il tamburo. A metà strada sedeva
l’uomo di medicina, intento a fumare una lunga pipa. Dopo qualche tempo egli si
era ritenuto pronto per entrare nel tipi e
iniziare il rituale. Era entrato e
in pochi minuti le cose, come campanelle appese, avevano cominciato a tintinnare. Non appena questo era
avvenuto, il tipi era andato in pezzi. Il narratore aveva specificato che
lui e gli altri ragazzi avevano costruito il tipi senza alcuna cura proprio per indispettire il vecchio – e qui
ci sembra di cogliere il sorrisetto malizioso tipico di tutti i discoli del
mondo quando vogliono prendersi gioco degli anziani con qualche tiro ben
assestato. Lo sciamano si era messo di malumore e aveva preteso che si
costruisse un’altra tenda, stavolta
a regola d’arte.
Figura 1 |
Il giorno successivo i ragazzi avevano impiegato pali così robusti che a stento erano
stati in grado di piegarli per farli stare insieme. Nonostante questo, la
cerimonia era stata un fallimento e
gli oggetti avevano appena tintinnato. Lo sciamano era uscito dalla tenda e
aveva sostenuto: “Gli spiriti non vogliono venire.”
Era stato così chiamato un altro sciamano
lì nei pressi, che all’inizio si era mostrato recalcitrante. Era entrato nella
tenda e questa aveva preso a scuotersi
con tale violenza che, quasi, era stata abbattuta. Il narratore assicurava
che lo sciamano non era fisicamente forte e non avrebbe potuto scuoterla a quel
modo e tantomeno abbatterla; i ragazzi che l’avevano costruita, tra cui lui
stesso, avevano tentato di scuoterla e non erano nemmeno riusciti a muoverla.
L’uomo era uscito e aveva detto che la bambina sarebbe vissuta; difatti dopo
due giorni era di nuovo in giro. “Il fratello di mio nonno aveva fallito perché
era fasullo. Ma il secondo era un
potente uomo di medicina,” sentenzia il narratore a mo’ di conclusione.
Figura 2 |
Una seconda, interessantissima testimonianza viene fornita da un anziano Ojibwa della
riserva di L’Anse sulla riva meridionale del Lago Superiore, sempre raccolta da
Hilger nel suo libro. Il testimone aveva raccontato che durante un inverno
aveva sentito che il padre di sua madre era malato. Sua madre era preoccupata,
ma non poteva andare a trovarlo perché faceva freddo, la neve era alta e non
c’era alcuna pista. Un vecchio uomo di
medicina aveva detto alla madre: “Dammi del tabacco e io troverò come tuo
padre se la passa.” Egli aveva ordinato ai ragazzi di costruire un wigwam – altro nome per indicare la tenda. Ne
avevano costruito uno molto solido, con dodici pali posti in cerchio, circa due
piedi dentro il terreno; poi avevano legato altri pali attorno a questi e
coperto il tutto con della tela. L’uomo di medicina era entrato e aveva preso con sé un tamburo di pelle di daino. Gli anziani erano seduti attorno al wigwam, ma i ragazzi dovevano stare a
circa cinque piedi di distanza. Intorno alle nove di sera l’anziano sciamano
aveva incominciato a cantare. I
ragazzi avevano incominciato a ridere, ma la madre li aveva zittiti. Presto la tenda aveva cominciato a scuotersi,
prima lentamente e poi in maniera sempre più veloce, oscillando da un lato all’altro; infine si era fermata con un tonfo. Si udivano diverse voci provenire dall’interno
della tenda. Una chiedeva al vecchio: “Perché mi vuoi?” Dopo poco la tenda
aveva cominciato di nuovo a scuotersi
come prima, e di nuovo si era arrestata con un tonfo. Allora i presenti
avevano sentito la voce del nonno
che parlava in tono debole e affamato. Alcuni ragazzi del gruppo si erano
rivolti all’amico, dicendo: “È tuo nonno.” Allora la tenda aveva tremato ancora
come prima, e questo fu quando lo spirito se ne era andato.
Purtroppo lo stralcio dal libro di Hilger finisce qui, e quindi non sappiamo che cosa ne
fu del nonno lontano che, a quanto pare, aveva fatto sentire la sua voce sotto
la tenda. In qualsiasi modo la pensiate, ritengo comunque queste testimonianze
molto interessanti poiché relative a manifestazioni
a volte inspiegabili per via di uomini che non avevano la forza fisica per
scuotere la tenda così come è stato raccontato, oppure la capacità di
riprodurre diversi timbri vocali in contemporanea.
Per concludere l’articolo vorrei offrirvi un’immagine
della Tenda Tremante, davvero suggestiva e che bene esprime il vortice di
energia e di presenze evocato a mezzo di uno sciamano capace. Il titolo
dell’opera è Shaking Tent di Glenna Matoush realizzata con tecniche miste.
Il sito dove potete ammirare altre opere di questa artista contemporanea che si
ispira alla cultura degli Indiani nel North Quebec è: http://www.gevik.com/matoush/
Shaking Tent di Glenna Matoush |
Fonti per il testo:
Riti e misteri degli Indiani d’America – edizione Utet
Wikipedia
Fig.1 Uno sciamano Chippewa di fronte alla struttura della sua Tenda Tremante (Milwaukee Public Museum, neg. n. 50113)
Fig.2 Illustrazione della Tenda Tremante, tratta dal sito
Direi che la tenda tremante è un'antesignana della seduta spiritica moderna.
RispondiEliminaCiao, Marco. In effetti fa venire in mente in parte la seduta spiritica, con la differenza che questa era a scopo terapeutico e conoscitivo, anche perché implicava la costruzione di una tenda con pali di legno e quindi un certo dispendio di energie. Poi naturalmente, come raccontano i narratori, ci potevano essere dei ciarlatani.
EliminaCi sono molte testimonianze riguardo a fatti inspiegabili presso i nativi. La Tenda Tremante ne è un perfetto esempio.
EliminaSolitamente si annovera la Capanna del sudore fra le costruzioni sacre in cui "cercare" lo Spirito. Ringrazio Cristina anche per avermi fatto conoscere questa Tenda.
Molto interessante! Ho in comune con voi l'interesse per la cultura dei Nativi d'America, perciò grazie a entrambe.
RispondiEliminaPrego, Grazia! Sono contenta che ti sia piaciuto. Riprendendo in mano il libro da cui ho attinto le notizie, mi sono ricordata di quanto vasta sia la cultura dei Nativi d'America, e quanti rituali affascinanti erano praticati da questo popolo.
EliminaInteressante scriverne, perché si scoprono aspetti inediti e anche tante persone affascinate da queste culture.
EliminaBeh sono pratiche piene di fascino, anche se si è scettici. Personalmente non escludo nulla a priori, certamente si trattava di esperienze forti e con funzione "conoscitiva". La serie (si tratta di più post, oppure ho capito male?) che avete intenzione di realizzare è meravigliosa, non credo si conosca a sufficienza la cultura o le culture - forse è più corretto - dei nativi ed è un peccato. Penso all'amore e al rispetto verso la natura e le creature viventi, al senso di appartenenza rispetto all'ambiente stesso.
RispondiEliminaBellissimo il post! *_*
Ciao, Glò, grazie per il commento. ^_^ Si, hai capito bene, si tratta di una serie di post... non poniamo limiti di durata.
EliminaHai ragione quando parli di culture, infatti si può dire che ogni tribù avesse propri riti e consuetudini, molto legati anche al territorio e al clima in cui vivevano. I nativi dei Grandi Laghi avevano rituali differenti dai Navaho, ad esempio. Il denominatore comune era una forte spiritualità e un grande rispetto per la natura, a partire dagli animali che cacciavano. Quando avevo scritto il post sull'orso, avevo riportato come si rivolgessero a lui con ammirazione e timore, e nessuna parte dell'animale abbattuto andava sprecata.
Lo stesso accadeva per le culture delle praterie, che cacciavano il bisonte. Ecco, anche questo potrebbe meritare un post a sé, perché la caccia è a pieno titolo fra gli aspetti più complessi dei nativi americani. Insomma, Cris, solletica i polpastrelli questa scrittura condivisa. :-)
EliminaCaspita se solletica i polpastrelli, Luz. Mi sa che abbiamo scoperchiato il vaso di Pandora! :-)
EliminaScenari che si aggiungono a scenari... un gioco a scatole cinesi. Tanto da raccontare!
EliminaAnche questo, che bel post!
RispondiEliminaHo pensato la stessa cosa di Marco: questi riti richiamano un po' il ruolo dei medium e le sedute spiritiche, anche se capisco bene che avevano presupposti diversi.
La figura degli sciamani ha esercitato sempre un grande fascino.
Bene, bene, mi piace. alla prossima. ;)
Cara Marina, grazie per aver letto anche questo mio contributo.
EliminaAllora anch'io rinnovo il mio invito: al prossimo appuntamento! :-)
Forse tutto il mondo dello spiritismo in qualche modo ha delle congiunture, delle somiglianze. L'uomo ha scoperto rituali e modi per suscitare l'interesse di quel mondo "impalpabile" e spesso culture diverse appaiono molto simili fra loro.
EliminaStupendo post, Cristina, che insieme a quello di Luz sul ruolo della donna, ci fornisce un bel quadro di una cultura in sintonia con lo spirito della Terra. Consola un po' pensare che la spiritualità magica e i percorsi sciamanici di guarigione dell'anima e del corpo sopravvivano ancora, in parte, nelle pratiche dei curanderos. Il grande rispetto della natura e degli esseri viventi, compresi gli animali cacciati, mi fa pensare ai nativi australiani , altra cultura che mi piacerebbe conoscere.
RispondiEliminaGrazie per l'apprezzamento, Stella. In fondo i nativi sono il "vero" popolo americano, quello originario; e le manifestazioni della loro cultura sono semplicemente straordinarie.
EliminaConosco molto poco la cultura degli aborigeni australiani... più che altro tramite le pagine di Culture dei corsi in lingua inglese che seguo, e gli articoli di giornale che ricordano il pessimo trattamento inflitto loro dai coloni europei. Avevo anche letto il romanzo-testimonianza "E venne chiamata due cuori", che però non è un resoconto di un'aborigena, ma di una donna americana... quindi non so quanto sia rappresentativo.
Ciao, Stella. Chissà, io e Cristina, col tempo, potremmo sviluppare un altro filone di interesse etnologico verso le culture aborigene. Sarebbe bello.
EliminaNon posso che ripetere cosa ho scritto da Cristina. Siete grandi!
RispondiEliminaPsscusa il ritardo ma ieri ho dovuto chiudere presto
Ciao Patricia! Grazie di essere passata anche da queste parti. Un salutone!
EliminaGrazie come sempre di non far mancare un tuo passaggio, Patricia!
EliminaAdoro questi post! ne voglio ancora, ancora e ancora.
RispondiEliminaSono molto contenta che ti sia piaciuto il post. Vedo che sei una lettrice famelica... bisognerà accontentarti in fretta! :-)
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