martedì 14 febbraio 2023

Di slittini, caccia ai granchiolini, capanne e altri giochi da monelli.


Questo post mi è stato ispirato da Marina, che qui si racconta un po' rievocando alcuni fra i momenti migliori della sua infanzia. Mentre la leggevo, sfilavano dinanzi ai miei occhi decine di momenti simili, forse più avventurosi, come fu la mia infanzia in effetti.
Se penso agli anni in cui, assieme a mia sorella e agli "scugnizzi" del mio rione, ero solita inventare giochi e travestimenti, mi vengono in mente tante cose davvero belle, curiose e dolci nel ricordo.
Oggi i bambini non si divertono come facevamo noi, è cosa risaputa. Non usa più farli giocare nei cortili, fra le strade attorno alle abitazioni, non li si perde di vista. Il mondo è cambiato, oggi probabilmente sarebbe impensabile. Un tempo era del tutto normale fare orecchio agli schiamazzi dei bambini del quartiere, era un rumore bianco tollerato e anzi mai ritenuto disturbante. 
Oggi avremmo la stessa tolleranza? Lo dico io per prima. No. 
È pur vero però che le abitudini sono del tutto diverse. In particolare noi, bambini del sud, avevamo madri casalinghe che a colpo d'occhio sapevano dove si trovavano i propri figli. C'era fiducia, tranquillità. È altrettanto vero, però, che facevamo giochi anche pericolosi. 

Intanto, fissiamo gli anni. Nata nel 1971, quindi fra i 7 e gli 11 anni significa tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta. Negli anni della mia infanzia abitavamo in un appartamento in affitto di una palazzina molto ampia, di cinque piani. Vivevo a Paola, un paesino affacciato sul mare in Calabria, sono la seconda di tre figli, una "bambina sandwich", come ho raccontato qui.
Il mare distava poco dalla palazzina, ma noi lo vivevamo dalla fine di maggio a metà settembre. Per il resto, il tempo era molto variabile, spesso ventoso. Le mareggiate non si contavano, d'inverno e negli autunni più rigidi potevano scatenarsi tempeste in cui anche camminare per strada veniva difficile. Un po' come la bora triestina. 
Dopo scuola, che finiva alle 12:30 (le elementari erano vicino casa e ci andavamo senza essere accompagnati, naturalmente), pranzo e poi compiti fino a circa le 16. Se c'erano cartoni animati appassionanti - erano gli anni del debutto di Candy Candy e Lady Oscar - aspettavamo la puntata e al termine uscivamo a giocare nel quartiere. 
Non eravamo tutti della stessa età. C'erano quelli nati fra il '70 e il '75, il mio gruppo, quelli più grandicelli, fra il '67 e il '69, che non ci si filavano di pezza (per un paio ebbi una delle mie cotte storiche), poi quelli piccoli, che noi a nostra volta nemmeno guardavamo. 
Il nostro spazio giochi era ampio e a scenari differenti. Sotto casa, il marciapiede, sul quale coi gessetti disegnavamo la scacchiera per giocare a "campana". La strada dinanzi non era asfaltata. Nonostante fossero costruzioni abbastanza recenti per l'epoca, non sistemarono mai e al passaggio delle macchine si alzava un polverone. Sì che era una strada secondaria, residenziale, per fortuna. 


Immagine dal web

Dinanzi alla palazzina c'era un'area libera ma delimitata da un muro alto un paio di metri. Era un deposito della Sitel, raramente oltrepassammo il muro, ma quando lo facevamo ci arrampicavamo sui rotoli di cavi, a cavalcioni. Cosa pericolosa perché erano molto alti e i cavi abbastanza lisci. 
Su un lato, una strada ripida, che si inerpica verso la collina, del tutto edificata negli anni Sessanta e Settanta. Lì aveva luogo una delle avventure più belle perché ci avventuravamo lungo la salita, per poi scoprire che finiva, dopo un paio di chilometri, in un canneto accanto a un fiumiciattolo. Le case sempre più rade lasciavano il posto a un viottolo che si diramava, da un lato verso una grande villa - che col tempo scoprii appartenere a una mia compagna di scuola figlia di un primario molto in vista - dall'altro nel nulla, appunto in questo canneto e in roveti intricati, di cui ho saggiato le spine un paio di volte. 
Nel piccolo torrente si muovevano granchiolini d'acqua dolce, una meraviglia. 
Ci procuravamo quella retina che dalle nostre parti regge i caciocavalli e andavamo a catturarli. Non ricordo che cosa ne facessimo, certo doveva essere una caccia virtuosa, perché ricordo che in un'occasione li liberammo in massa, ancora ho davanti agli occhi quel brulicare di zampette. 
Era un gioco pericoloso pure questo. A parte che eravamo abbastanza lontani da casa, il luogo era impervio, malsano per l'acqua stagna in cui cresceva il canneto. 
Quando andavamo a caccia di granchiolini si muoveva un gruppo di una quindicina, guidato dai monelli più grandi, che non riuscivano a impedirci di seguirli. Il leader era un certo Ortensio, una specie di Orzowei (ve lo ricordate?), di cui non seppi mai chi fossero i genitori. Era molto amato, rispettato. 
Una volta Ortensio si costruì da solo uno slittino a ruote e ricordo benissimo, con una stretta allo stomaco di nostalgia, il momento in cui lo attivò proprio su quella discesa ripidissima, con tutta la moltitudine di noi monelli ad andargli dietro correndo a perdifiato - e rischiando di romperci il collo. 

A pochi metri dalla palazzina e un po' più in alto si trovava il palazzo dei ferrovieri. Al sud questa usanza era molto diffusa. C'era il palazzo dei ferrovieri, dei postali, dei carabinieri. Imprese iniziate e terminate tra famiglie di uno stesso mestiere che davano mandato a una ditta di costruire un intero palazzo. Il palazzo dei ferrovieri - categoria molto importante in una cittadina di passaggio come Paola - era il più elegante, delimitato da un'alta cancellata, con un'ampio cortile asfaltato dinanzi. L'ideale per i nostri giochi a pallavolo. 
Accedere al palazzo dei ferrovieri, però, non era così semplice, perché era presidiato da una sorta di bullo di quartiere, Antonio, ragazzino robusto e biondo detto "capa ianca", figlio di uno di loro. 
L'intera sua famiglia era signorile, sorella e fratello dolcissimi, genitori cortesi. Lui era nato storto, sapeva essere di una cattiveria immane. Ricordo di essermi buscata un paio di calci da Antonio "capa ianca", un pomeriggio in cui voleva cacciare noi più piccoli dal cortile e io m'ero messa a fare la pasionaria. 
Meglio andò quando nell'unica area rimasta libera fra le palazzine cominciarono i lavori per un altro edificio. Si aprì l'epoca dei giochi nel cantiere. Ai tempi luoghi che non venivano presidiati. Gli operai smontavano dal lavoro alle 16:30 in punto e noi, in paziente attesa, ci fiondavamo fra i piani in costruzione non appena restava deserto. Non era pericoloso, molto di più.
Nel cantiere ci inventammo giochi davvero belli, tutti di ruolo. Una volta inscenammo una sorta di lotta fra popoli, costruendo una capanna con le frasche dell'area ancora non sgomberata. Fu un lavoro certosino, facemmo avanti e indietro decine di volte per il trasporto dei materiali occorrenti. 
Uno dei monelli del mio gruppo era però allergico, gli venne un attacco di asma. Una paura terribile. 
Quando il cantiere terminò, avevo compiuto i miei 12 anni. In settembre ebbi il mio primo ciclo, mi è rimasto impresso perché stavamo organizzando qualcosa e io mi trovai il pantaloncino giallo improvvisamente macchiato. Non so come, ma segnò la fine di un'epoca.



Lo fu anche perché in quell'autunno cambiammo casa, ci trasferimmo nel nostro appartamento più vicino al mare, ma un po' distante dal mio vecchio quartiere. Non fu facile mantenere le stesse amicizie, per quanto ci recavamo a giocare dai nostri vecchi amici più che potessimo. Era scomodo raggiungerli, così ci facemmo nuovi amici nel palazzo dove ci eravamo trasferiti. Lì non furono più giochi di quartiere ma proprio di cortile. Il palazzo era enorme, a ferro di cavallo, per la maggior parte vissuto in estate, quando decine di famiglie di villeggianti venivano al mare. Da settembre poi era il deserto, e restavamo noi, amici sullo stesso pianerottolo. Gente semplice, ma di cuore. 
I giochi si fecero sempre più radi, perché finii le medie e andai al liceo, in anni in cui nacquero nuove passioni, nuovi interessi. 
Eppure nulla è mai più stato come negli anni dei giochi del rione, di cui qui ho raccontato solo una piccola parte. Mai più c'è stata quella spensieratezza, la leggerezza di quegli anni, la semplicità, la genuinità nelle cose e nelle esperienze. In quella età "analogica" e fatta di cose forse banalissime ma che oggi risuonano nei ricordi in tutta la loro giocondità. 

E voi, ricordate i vostri giochi d'infanzia? Avete ricordi altrettanto belli? 

21 commenti:

  1. Niente. Tutto cancellato nella stanza della memoria.
    Diciamo il calcio, nei campi a rubare la frutta, le sfide con la fionda.

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    1. A me è rimasto tutto molto impresso. Forse proprio in questi anni più maturi anzi il passato lontano riaffiora con più nitidezza.

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  2. Ma che bello questo tuo tuffo nei ricordi cara Luz!
    Paola per quel che mi ricordo è un bel luogo di villeggiatura. Complimenti davvero perché ci hai riportato indietro nel tempo. In effetti molte le cose in comune. La campana, la retina che avvolgeva i formaggi, "capa ianca" un nomignolo che rivolgevamo anche noi a chi aveva i capelli bianchi. I palazzi particolari come quello dei ferrovieri (dove ancora oggi abitano i miei genitori), tra i più importanti della città ai tempi.
    È stato davvero un piacere leggerti. Grazie davvero. Ciao.

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    1. Grazie per averlo letto e apprezzato, Pia. Ma fammi capire, quindi tu conosci bene Paola e nel palazzo dei ferrovieri abitano i tuoi genitori? Perché sarebbe una coincidenza eccezionale. :)

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    2. Ahahah... no, hai ragione non si comprende ciò che intendevo dire. In realtà ho vissuto diversi anni in Calabria, quindi Paola la conosco per riflesso. Mentre nel palazzo dei ferrovieri ci sono nata ma è Benevento la mia città. 😉 Comprendo alcune dinamiche sociali molto simili a ciò che ho vissuto nella mia infanzia. Tutto qui. Abbraccio forte Luz e buon Giovedì.

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    3. Ah, ecco, ora è tutto chiaro. :) Eh sì, le dinamiche di questo nostro passato al sud si assomigliano. Pensa che quando guardavo la prima stagione di L'amica geniale in tv diverse cose dell'intreccio mi tornavano familiari, il rione, le famiglie tutte note fra loro, i giochi di quartiere.

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  3. Io ti ho seguita passo passo in questi giochi pericolosi ma pazzeschi. Bellissimo il tuo tuffo nel passato! Bello il tuo vivere in un posto di mare, con annesse avventure, bello il gioco della campana, belli Candy Candy e Orzowei... Noi abbiamo vissuto la stessa epoca e potrei aggiungere un mare di ricordi della mia infanzia, oltre quelli già raccontati (a proposito, grazie per la citazione), molto simili ai tuoi. Che mondo meraviglioso! Anni spensierati, anni in cui la “strada” era un luogo tranquillo e riuniva i ragazzi in comitive che si divertivano con poco. Sorrido, perché all’inizio ti cercavo tra i bambini della foto di copertina e poi mi sono accorta che sono le simpatiche canaglie (di cui non mi perdevo nemmeno una episodio). Ti dona parlare di te stessa: devi farlo più spesso ;)

    Marina

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    1. Mi capita di raccontare qualcosa ad Alessandro e si finisce sempre col dire... "ma quanto ci siamo divertiti rispetto a voi?". Perché la differenza se ci pensiamo bene è abissale. In quel tempo diverso, libero, spensierato, leggero, noi potevamo tutto. Anche andare verso il rischio senza viverlo col terrore. Non ricordo siano accaduti incidenti a nessuno, giocavamo come sapevamo e volevamo fare. Le nostre madri si conoscevano tutte. Una di loro, all'imbrunire, si metteva dal balcone e faceva un fischio acuto e lungo. Era il richiamo per Nicola e Angela (detta Angelita), i suoi figli. Poi non ho raccontato di un altro cantiere che dette forma a un residence di villini. Era la nostra passione perché tutto era preciso e allineato e comprendeva un piccolo parco giochi in cui noi ci infilavamo abusivamente. Ma quante ne potremmo raccontare? Davvero mi dona fare questi racconti? Io mi sentivo goffissima. :D

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    2. Assolutamente sì, ti dona! ;)

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  4. Ricordi ne ho tanti, ma più "solitari", non ero un bimbo che stava in mezzo al gruppo. Mi piaceva molto esplorare la campagna intorno alla casetta dove passavo alcune settimane in estate, lì qualche gioco pericoloso sono riuscito a farlo, tanto è vero che una volta sono caduto da una staccionata dove camminavo tipo equilibrista e un'altra volta mi sono fatto due tagli sulle dita con un coltellaccio che doveva servire a tagliare i rovi. Conseguenze non gravi per fortuna.

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    1. Mi hai fatto ricordare i due incidenti occorsi a mia sorella. Era piccola, poteva avere sette o otto anni. Una volta cercava di imparare ad andare in bici senza rotelle e appoggiandosi all'inferriata di quel cortile dei ferrovieri di cui sopra si è proprio squarciata il braccio vicino all'ascella. E poi quando è precipitata con la gamba in un tombino in cui i ferri erano divelti e perciò a gamba di una bambina ci passava eccome. Rimase incastrata. Tutto il quartiere attorno, con uno che diceva di prendere una sega e lei che aveva capito che intendevano segarle la gamba, che ridere!! :D

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  5. Il tuo post mi ha fatto venire in mente una marea di ricordi e pensieri. A Genova da bambino abitavamo in un quartiere limitrofo della città e tutti noi bambini avevamo a disposizione un bosco molto grande, con dentro un parco, che era diventato il nostro centro giochi. Facevamo una marea di cose. C'era anche una vecchia cava di ardesia abbandonata dove lo spiazzo centrale era diventato il nostro campo da calcio e ogni tanto da alcune buche spuntavano delle piccole talpe. Osservandole bene avevamo capito che una talpa fa la guardia e quando sente arrivare le persone (essendo cieche sentono le vibrazioni dei passi della gente, così ci spiegò un vecchio signore che abitava l' da noi) la talpa che fa la guardia lanciava un urlo di allarme per le altre e tutte scappavano via.

    Poi non ti dico i vari giochi fra di noi o con la parrocchia. Si perché ti parlo di una Genova degli anni '60 dove tutti noi bimbi giravamo in parrocchia anche se in quella via la maggior parte dei residenti erano tramvieri e portuali (e non erano tutti ferventi cattolici). Eppure non c'erano tensioni con nessuno e c'era una forma di rispetto reciproco nonostante le differenze, cosa che oggi mi sembra persa.

    Un salutone e alla prossima

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    1. Le parrocchie hanno rappresentato per decenni preziosi luoghi di aggregazione. Io non le ho frequentate da bambina, i miei genitori erano tendenzialmente laici. Dopotutto, i migliori spazi erano destinati ai maschi, fra calcetto e calcio balilla. Alle bambine non si concedeva un grande spazio, forse proprio per nulla. La cosa fu impedita anche dalla distanza fra il rione e la chiesa, che distava un paio di chilometri verso "la marina", come si chiama tutt'ora la parte adiacente alla stazione ferroviaria. Negli anni Novanta fu poi costruita una chiesa nella grande strada e tutto è cambiato.
      Belli i tuoi ricordi in quella vecchia Genova! Città che mi piace molto.

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  6. Ricordo bene i giochi della mia infanzia, il gioco della campana era il mio preferito ma facevamo anche tanti giochi pericolosi, per esempio dietro il mio condominio era ancora tutta campagna, ma subito dopo il palazzo c’era proprio un prato incolto pieno di sterpaglie e noi andavamo a giocare fingendo di essere nella giungla. Una volta una mia amica cadde e si ferì con una lattina arrugginita, ricordo che la portarono a fare una puntura di antitetanica...
    È vero si giocava per strada e soprattutto d’estate era tutto un vociare di bambini fino a sera. Oggi nel mio paese in quelle strade i bambini non possono certo giocare, ora c’è troppo traffico e via vai di auto. Tuttavia a Bologna dove abito adesso in estate i bambini del vicinato (c’è una banda di 5 o 6 ragazzini sotto i dieci anni) giocano in strada, ma si tratta di una strada chiusa, fanno anche un bel baccano ma io sono tollerante, preferisco il vociare dei bambini al rumore del traffico e poi mi ricordo di quando ero bambina io.

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    1. Ricordo anch'io un paio di occasioni ad alto rischio riguardanti tagli causati da ferro arrugginito. Abbiamo rischiato grosso. Fai bene a essere tollerante, io ci riesco poco. Forse urlavamo pure noi, ma noto che i bambini non sanno parlare a un volume di voce normale. Noi giocavamo anche a biglie e a figurine. Ci dedicavamo ore a queste infinite operazioni in cui si potevano vincere pezzi anche rari. Ma non urlavamo come ossessi, pensa che ci riunivamo pure in mezzo alle scale dei portoni e se avessimo ululato come fanno oggi ci avrebbero cacciato a pedate! :D

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  7. Dei giochi dell'infanzia ne ho scritto in un post a settembre, "Cosa si faceva d’estate quando non c’erano i social" se vuoi recuperarlo. Certo è che non potevo giocare in strada, ho sempre avuto una statale davanti casa, trafficata soprattutto di camion movimento terra (tra una cava e un cementificio). Proprio per quello, in assenza per altro di marciapiede, anche se la scuola era vicina spesso ci accompagnava un adulto, si organizzavano le mamme a turno. Il weekend, che i camion erano fermi, potevamo andare in parrocchia da soli, e lì noi giocavamo, tra le giostrine dei bimbi più piccoli, le collinette intorno alla chiesa, il campetto di pallavolo (in cemento, ahinoi!!) e il campo da calcio. Alle spalle di casa all'epoca avevo una bella salita in collina e in quinta elementare ci organizzavamo in gruppo ad andare su da soli, c'erano dei prati stupendi per quella collina e i proprietari non erano fastidiosi, come oggi, con i bambini. Ma abitavo comunque in un quartiere piccolo e senza altri bambini, mentre gli altri miei compagni, nel "quartiere nuovo", potevano sì giocare in strada, erano vie residenziali. Diciamo che in settimana giocavo da sola, dopo i compiti. Era il sabato per lo più quello dei giochi in compagnia.

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    1. Lo voglio recuperare senz'altro! Adoro questi racconti d'infanzia. Sì, il luogo è senz'altro parte integrante dei giochi di un tempo. Se il palazzo in cui abitavo non avesse affacciato su una strada residenziale, benché fosse una strada sassosa e non asfaltata, non avremmo potuto fare quei giochi. E anche la famosa salita verso i canneti era comunque una strada appartata, secondaria rispetto al traffico. È incredibile come i destini siano plasmati dallo spazio, è una cosa che mi fa pensare molto.

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  8. Un bel tuffo nei ricordi il tuo, bello come una foto del passato, in quel bellissimo mondo analogico a cui sono ancora molto affezionata. Io a dire il vero ero un po’ solitaria, non stavo nei gruppi, ma avevo degli amichetti che tra di loro non si conoscevano. Non ho mai fatto giochi pericolosi, forse ho avuto un’infanzia un po’ noiosa da questo punto di vista. Avevo un amichetto a cui ero molto affezionata e con lui ho i ricordi dei nostri giochi sulla neve, quando i nostri genitori ci portavano al Terminio, al mare, nel cortile dove lui abitava. Con lui mi divertivo a fare giochi maschili: calcio, biliardo, biliardino… ma mai giochi pericolosi. Forse non sarà un caso se ho smesso di giocare presto. A 10 anni già non giocavo più, e per il ciclo avrei dovuto aspettare altri due e anni e mezzo. Forse sono cresciuta un po’ troppo prima del tempo e pure se la cosa non rappresenta un peso per me, mi rendo conto che ho perso almeno due anni d’infanzia. Un abbraccio, Luz.

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    1. Anche a me piacevano molto i giochi ritenuti "da maschio". Era decisamente più divertente andare a caccia di granchi e fare la finta guerra fra popoli rispetto alle Barbie, che pure mi sono piaciute fino ad almeno gli 8 anni. Sempre bellissimi i ricordi di un passato molto lontano e vedo che lo sono anche i tuoi. :)

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  9. Che articolo meraviglioso!
    Io sono nata negli anni '90 e al nord, quindi un contesto molto diverso, ma ho anche io questa sensazione che un tempo i bambini venissero lasciati più liberi. Ovviamente era pericoloso, e noi neanche ce ne accorgevamo, però ho sempre pensato di essere stata fortunata a passare la prima infanzia in campagna.
    Il paese dove abitavamo era piccolo e c'erano sempre gli stessi bambini con cui giocare, e sempre gli stessi adulti che, se nelle vicinanze, davano sicuramente un'occhiata a quello che facevamo. Però capitava anche di essere fuori dalla vista di tutti e, guardacaso, il posto più interessante dove giocare era proprio vicino a una rimessa di camion, quindi noi giocavamo vicino ai mezzi che spesso e volentieri passavano e dovevano fare manovre per entrare, uscire, caricare eccetera. Inoltre c'era il ruscelletto che passava vicino alla casa di una mia amica e sbucava nei campi, e che noi saltavamo allegramente senza curarci di cosa potesse succedere se ci fossimo finiti dentro.
    Mi hai fatto ricordare avventure bellissime con questo post, leggerlo è stato un vero piacere!

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    1. Grazie, Patty! Oggi si dice "sbloccare i ricordi". La sensazione è proprio quella, ci sono cose che abbiamo sedimentato nella nostra memoria e rievocarle ci riempie di tenerezza per quella semplicità del passato. Certo, anche tu giochi piuttosto pericolosi, addirittura fra i camion in manovra! Ma che ne sanno i ragazzini di oggi? :D

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