lunedì 21 marzo 2022

Oliva Denaro - Viola Ardone

Incipit: La femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia, così dice mia madre.
Io ero più felice se nascevo maschio come Cosimino, ma quando mi fecero nessuno si curò del mio parere. Dentro la pancia noi due stavamo insieme ed eravamo uguali, però poi siamo venuti diversi: io con la camicina rosa e lui celeste, io con la bambola di pezza e lui con la spada di legno, io con la vestina a fiori e lui con le braghette a righe. A nove anni lui aveva imparato a fischiare, con e senza le dita, mentre io sapevo farmi la coda, sia bassa che alta. Adesso che ne abbiamo quasi quindici, lui è diventato dieci centimetri più alto di me e può fare molte cose più di me... [...]

Chiudo questo libro e mi vengono in mente due termini: bello e necessario. Il secondo grande successo di Viola Ardone, dopo l'acclamato Il treno dei bambini, è un percorso costruito su un'importante conquista dell'emancipazione femminile: l'abrogazione dell'art. 544 e dell'art. 587 del Codice Penale
Ma andiamo per gradi. 
Leggiamo anzitutto il testo dell'art. 544, la legge che rendeva accettabile lo stupro a patto che il torto venisse risanato attraverso il matrimonio - non a caso definito "riparatore". 
Il matrimonio, che l'autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo.
Attorno a questa legge offensiva e assurda c'è tutto un corollario di abusi riguardanti una giovane femmina dell'epoca, perché è abuso anche il giudizio della gente, la condanna, tutto quello che una ragazza doveva tollerare, diventando a sua volta sostenitrice del sistema.
Il sud, in modo particolare, ancora rurale e legato ad antichi rituali sociali molto rigidi, è il teatro ideale di questo abuso, come ad Alcamo, dove si dipanò, nel 1967, la storia di Franca Viola che ispira quella di Oliva Denaro. 
Franca Viola, stuprata a 17 anni dal boss del paese, si rifiutò di accettare il matrimonio riparatore. Oliva Denaro è molto simile a quella Franca, e in sostanza la scrittrice ne riscrive il tragico evento, modificando quel tanto che basta per far restare intatti gli elementi principali: il maschio prepotente che mette gli occhi su una ragazza del paese, che si arroga il diritto di impedirne il matrimonio con un buon partito, minacciando, modificandone i percorsi, manovrando le dicerie, fino a infliggere il male più insopportabile alla ragazza, il più vergognoso. E poi le voci, i "compaesani" che giudicano, additano, accusano, gettano discredito.
Insomma, una storia terribile. 

Lo stigma della vergogna.
Oliva è una ragazza semplice che si affaccia all'adolescenza con tutta l'innocenza dei suoi anni, si guarda e non si trova bella, cerca un suo posto nel micro-universo del paese, fra vecchie amicizie e comportamenti sedimentati. Sua madre è una donna affaticata e dura, suo padre - personaggio che ho amato moltissimo - un mite contadino che ha il potere, nella sua granitica riservatezza, di comprendere Oliva, e cerca di esserne il punto fermo, il tralcio. Altri due maschi riscattano il maschilismo rigido del paese, suo fratello e il suo amico d'infanzia. 
Oliva è obbediente e precisa, guarda alla sorella maggiore, la Fortunata sfortunatissima per un matrimonio infelice, consapevole di non volere il suo stesso sguardo. 
La madre della ragazza, calabrese trapiantata in Sicilia, è una dura roccia ligia ai doveri del paese, segue alla lettera le sue leggi non scritte, modella Oliva come una creta, instaurando con lei una vera comunicazione solo quando alla ragazza arriva la prima mestruazione. 

Oliva da quel momento è tutelata, come sotto una campana di vetro, e si appresta ad accettare un matrimonio che le viene naturalmente imposto. Nella ricerca di un buon partito c'è, costante, la volontà della madre di toglierla dal pericolo. 
Questo è uno degli aspetti agghiaccianti di questa storia. La ragazza matura sessualmente è di conseguenza una preda troppo facile. Se l'artiglio del malintenzionato si posa su di lei, lo stigma è eterno, lei deve assumersi le sue responsabilità, anzi diciamo pure le sue colpe. 
È quanto accade a Oliva, su cui pende per lungo tempo la minaccia del prepotente Paternò. Costui è un seduttore, incarna tutte le "virtù" del buon partito, benestante e bello, ma queste prerogative gli danno altresì il potere di disporre di una giovane vita e spezzarla per sempre. 
Il proprio corpo è qualcosa da cui Oliva sa di non poter prendere le distanze, nelle sue forme - neppure tanto belle, solo attraenti perché giovani e fresche, e proibite - lei vede prima la responsabilità e poi la colpa. Oliva, che è intelligente, sente palpitare la propria vita nel corpo, ma allo stesso tempo si domanda come sia possibile che in ciò debba risiedere l'attrazione e la colpa. 
Braccata e poi abusata.
Le regole del corpo sono: non gesticolare, non ridere a bocca aperta, non stare alla finestra. Le ho imparate fin da piccinna e le ho sempre seguite, eppure il mio corpo non lo conosco, è per me uno straniero, mentre lui sa cosa farne e così lo setaccia pezzo a pezzo per cavarne fuori il suo piacere, e io lo perdo per sempre. 
Oliva aveva imparato che "il femminile singolare non esiste". Lo sapeva da sempre, perché la femmina non può stare da sola, mai, specialmente quando può generare, quando attrae gli uomini. 
Le leggi non scritte del paese sono durissime e per lei significano condanna. Oliva è sì, vittima, ma nel senso proprio di un concetto che applica al maschio il diritto di cedere alla propria voglia di usarle violenza. Perché la carne è un richiamo potente e il maschio è un cacciatore. 
Paternò, secondo queste "leggi", è assolto per aver commesso un fatto comprensibile, accettabile, perché tale ritenuto dalla comunità, Oliva è colpevole perché è femmina, e la femmina seduce anche senza volerlo. 
Se a questo aggiungiamo che perfino la legge vera poteva assolvere il colpevole mediante il matrimonio riparatore, abbiamo il quadro completo. 

Viola Ardone

Vero è che Paternò è al contempo un anello del sistema, come la stessa Oliva constaterà in età adulta. La metamorfosi dello sguardo di Oliva, da ragazza smarrita a donna matura, ci dona una visione diversa dell'aguzzino, il reperimento di una fragilità nascosta, di una ineluttabilità.
Anche lui ha perso, anche lui è una vittima: dell'ignoranza, di una mentalità antiquata, di una mascolinità da dimostrare a tutti e a ogni costo, di leggi superate dal tempo e dalla storia, eppure ancora in vigore, almeno fino a ieri. 
In quest'uomo che "non merita di essere il suo avversario" c'è quanto Oliva ha perso e tutta la strada che ha percorso per ritrovarsi ed essere libera di una libertà ottenuta a caro prezzo. 

Tornando al matrimonio, questo era dunque ritenuto un "istituto" in grado di risanare la cattiva reputazione della ragazza, risarcire lei e la sua famiglia - che ovviamente precipitava nella vergogna assieme a lei - e procurare alla vittima un futuro dignitoso nonostante il maltolto. 
Pensiamo alle centinaia di ragazze che avranno accettato questa forma di risarcimento, mettiamoci nei panni di chi sposò il proprio violentatore. 
E pensiamo anche che solo nel 1996 la violenza sessuale è stata dichiarata reato contro la persona e non contro la morale. Agghiacciante, vero?
Il sistema patriarcale è ancora oggi molto difficile da estirpare, se nel caso di stupro sia legittimo chiedersi se la vittima aveva bevuto, se vestiva abiti succinti, se aveva un atteggiamento provocatorio.
Sì, perché la ragazza ubriaca, con abito corto e carattere aperto giustifica, attenua, e a volte depenalizza il caso di stupro. Come se a dire "no" avesse diritto solo la ragazza sobria e "seria", mentre tutte le altre, quelle diverse da questo stereotipo, dessero automaticamente a chiunque il diritto di abusare con violenza del suo corpo, come se questo estinguesse la violenza.
Agghiacciante, non c'è dubbio.
La società è retta ancora da questi comportamenti patriarcali. E tornando alle dicerie di paese, allo stigma della vergogna, in molte province del sud in particolare sono pratiche ancora applicate. 

A metà anni Novanta partecipai assieme alla mia famiglia al matrimonio di un cugino in Sicilia. Io e mia sorella avevamo 24 e 22 anni. Una parente chiese a mia madre come mai non fossi ancora sposata, nonostante fidanzata da anni e chiese come mai la mia sorella 22enne non fosse fidanzata. 
Questa parente si scandalizzò alle risposte di mia madre: io e il mio fidanzato avremmo trovato un lavoro prima di sposarci e mia sorella si era appena lasciata. Scandaloso. Lei ribatté che stava per far sposare la sua figlia più grande - mai sia che si fosse sposata prima la piccola - e che suo marito si stava incaricando di trovare un lavoro al fidanzato della piccola perché il matrimonio sarebbe stato imminente anche per quella. "Non sta bene che se ne stanno fidanzate, se la cosa è seria". 
Ed erano gli anni Novanta.
Si tratta del paese in cui, all'inizio degli anni Sessanta, mia madre arrivò da una città calabrese con i pantaloni alla caprese, quelli a metà gamba, e mia nonna, sua futura suocera, la fece cambiare in stazione imponendole di mettere una gonna, altrimenti in paese l'avrebbero presa "per una pulla", cioè una poco di buono. Mi auguro che per le ragazze del luogo non ci siano più quelle restrizioni. :)
Di fiori in casa per anni non ne ho voluti più: a coltivare le piante erano sempre state le tue mani, pà, il marrone sotto le unghie, i tagli più profondi e più sottili sui polpastrelli, un manuale su come tirare fuori la vita dalla terra. Piantare il seme e aspettare che germogli, anche io ho fatto così: mi sono inumata senza sapere se poi ritornava il tempo di mettere le gemme. Ero una zolla riarsa e isterilita, come il tuo campo guastato dall'acqua e dal sale, più niente sarebbe fiorito dal corpo mio sradicato. 
Franca Viola negli anni Sessanta

Lo stile di Viola Ardone.
Anche questa scrittrice sceglie la prima persona per narrare questa storia, ormai una cifra ampiamente accreditata fra le autrici italiane. Qui però non si ha il tempo di avvertire una posizione scomoda, perché Viola Ardone sa narrare, donando alla pagina passaggi e snodi mai retorici né "facili". 
Non trovo nella letteratura italiana contemporanea delle autrici slanci che mi emozionano, come nelle migliori traduzioni di grandi come Roth, McCarthy,  Lessing o Franzen, ma la sua pagina è viva, realistica, asciutta, la linea temporale narrata a campiture, è una scrittrice minimalista e credibile.
In una vecchia intervista Viola Ardone dice: "Ci sono romanzi di trama e romanzi di voce. Per me la voce è importantissima: è la prima cosa che mi spinge ad abbracciare una storia e a seguirla fino in fondo". 
Nella voce di Oliva Denaro, ragazza brutalizzata e in cerca di riscatto, c'è il dolore di una generazione e di quelle che l'hanno preceduta e seguita. 
Un romanzo che consiglio di leggere. 
Niente da qui in avanti potrà più toccarmi e, quello che ho perso, l'ho perso per sempre: correre a scattafiato con gli zoccoletti ai piedi, immaginare i nomi delle nuvole, girarmi nella mente i termini latini, raffigurare a carboncino le divinità del cinema, indovinare l'amore nei petali di un fiore. 

10 commenti:

  1. Sono affascinata dalle storie del sud,ma in questa trama, pur con le dovute differenze, posso rivedere tratti della mia esperienza di donna del nord. Quella legge fu un abominio cancellato dalle donne. Dalla deputata comunista Angela Bottaro,di Messina, ché dì storie come quella di Oliva ne aveva sentite troppe e soprattutto di Franca Viola,che affermò davanti al giudice che lei non era di nessuno e che il"delitto" non era della donna che rifiuta il matrimonio riparatore ma di chi usa violenza e sopraffazione. Un libro forse necessario per capire da dove arriva e come mai sia ancora così radicata la radice della violenza e del femminicidio. Quanto alla prima persona utilizzata, oramai è una moda. Questo editore l'ha ormai spostata appieno

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    1. Sì, in effetti problematiche e usi da scardinare validi a ogni latitudine. Al sud il patriarcato ha affondato radici profonde, il livello di istruzione ha aggravato la situazione. Ci sono personaggi nel romanzo tratti dalla realtà, donne come tu citi che diedero una svolta definitiva a leggi innegabilmente discriminatorie.
      In certo senso, questo romanzo è come un documento storico, io lo consiglio anche ai miei alunni.

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  2. Mi appunto il titolo di questo libro. Un libro che va letto perché offre uno specchio dell’assurda cultura patriarcale e maschilista che ha caratterizzato il nostro paese. Queste sono storie che si devono raccontare perché molto è stato fatto ma tanto c’è ancora da fare. Tanti stereotipi sono superati, ma altri in certe realtà ancora persistono. Purtroppo la mentalità maschilista ancora condiziona la mente di molte persone e, ahimè, anche di quella molte donne. Recensione eccellente.

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    1. Leggere questi libri aiuta a ripercorre parte della Storia, sconosciuta ai più. Cosa ci sia stato dietro quella lotta, le conquiste che noi donne di questo tempo viviamo senza renderci conto di cosa siano costate.
      Grazie come sempre per il tuo apprezzamento, Caterina. :)

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  3. Oltre alla legge che legittimava un reato odioso, la mentalità che condannava la donna come se fosse colpevole non era da meno. In parte la mentalità gretta nei confronti della donna permane ancora in certi ambienti sia al sud che al nord, c’è ancora un lungo lavoro da fare, sicuramente un libro da leggere...

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    1. Purtroppo sono fenomeni difficili da estirpare, a maggior ragione se pensiamo che sono spesso sostenuti dalle donne stesse. :(

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  4. Avevo seguito il caso di Franca Viola sui giornali, perché ne hanno poi parlato a più riprese anche in tempi recenti. L'obbligo alle nozze riparatrici è ancora una costante in certe società patriarcali, e ben vengano questi romanzi che non dimenticano che, solo poco tempo fa, vigeva anche in Italia. La donna è trattata come un oggetto, una cosa, non una persona.
    Scrivere un romanzo come queste dev'essere dolorosissimo, specialmente perché l'autore è una donna.

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    1. Sì, è necessario conoscere. La conoscenza delinea un percorso nella nostra coscienza. Che si parta da un romanzo, ben venga. Questo è uno di quelli di cui tendo a parlare proprio perché si arrivi a capire come sono stati certi meccanismi.

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  5. Più della legge era terribile la cultura, a volte perpetrata dalle stesse donne, madri di quei giovani maschi convinti di essere nel lecito. Anche qui al nord, come ha ribadito Elena, serpeggiava questa idea maschilista che la colpa fosse della donna, istigatrice anche quando ricoperta di panni, per il solo fatto di incarnare il fascino del proibito. Ancora più terribile era il clero, il prete del paese che fomentava questo sentimento di colpa della donna. Ero bambina, ma certi discorsi - per me assurdi, una fortuna - li ricordo bene. Purtroppo hanno segnato le nostre nonne e le nostre madri, per certi versi, anche noi. Ricordo la paura costante dei miei genitori ogni qualvolta cambiavo amicizie e frequentazioni. Quando sento in televisione le difficoltà delle donne nei regimi talebani non mi stupisco di nulla, pensando che in fondo non è passato molto da quando certi scempi avvenivano nelle nostre terre. Il diritto di voto in Italia le donne l'hanno avuto solo nel 1945, per dire.
    C'è un film che sul tema mi ha fatto ridere ma pure molto pensare. L'ho scoperto in occasione della morte di Monica Vitti, protagonista: "La ragazza con la pistola" di Monicelli del 1968. Ne avevo visti tanti della Vitti, la adoravo, ma questo proprio mi mancava. Lei insuperabile come sempre.

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    1. Non dirlo a me, che arrivo dalla cultura patriarcale e maschilista del sud. Poi mi sono scontrata, andando a vivere altrove, con realtà non molto diverse, anzi per certi aspetti più radicate, quindi ho dovuto sfatare quella certezza che mi diceva che solo al sud potevano esserci certe assurdità. Per fortuna sono cresciuta in una famiglia in cui il parentado allargato, costituito da tante donne e figlie femmine, non faceva sentire troppo il machismo, ma ho dovuto misurarmi con un fratello maggiore, maschio e per questo inappellabile. Purtroppo.

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