mercoledì 8 aprile 2020

Il caffè di Luz e Marina - La sindrome dell'impostore

Benvenuti a questa nuovissima rubrica, pensata da due amiche in omaggio ai nostri proverbiali incontri (che di solito durano dalle tre alle quattro ore di chiacchiere), da prolungare anche virtualmente.
Il caffè di Luz e Marina vi terrà compagnia un paio di volte al mese o a cadenza casuale, è tutto da inventare
Di volta in volta, affronteremo temi di vario genere. Uno spettacolo d'arte varia, insomma. 
Bene, cominciamo. 


Luz:  Benvenuta, amica mia. Tutto bene? Pronta a iniziare questa avventura? 

Marina:  Ciao Luana, sono prontissima. Ma il caffè lo hai preparato?

Luz:   Sì, eccolo qui. Con la moka classica, sono per un caffè tradizionale. Possiamo pure spizziculiare questo cornetto. Bene, vorrei cominciare con un argomento che mi sta particolarmente a cuore. La sindrome dell'impostore. Ne hai mai sentito parlare?

Marina:   La sindrome dell’impostore? Uhm, no, non la conosco. Di che si tratta?

Luz:   Ti spiego. Hai presente quando si ha quella sensazione di inadeguatezza, anche se facciamo una cosa che ci riesce bene? Insomma, può capitare che nonostante siamo capaci, incontriamo il favore e la stima delle persone, c'è sempre quel piccolo tarlo che ci dice "bah, sarà stata fortuna la mia", oppure "oddio, no, troppi complimenti, non me li merito!". È in certo senso legata all'effetto Dunning-Kruger, ne ho scritto qui, perché stai certa che gli incompetenti non ne soffriranno mai. Hai mai vissuto questa sensazione? Io sì, purtroppo. Ero così da adolescente, e ancora oggi questa sindrome affiora. 

Marina:  sì, ahimè, conosco bene questa sensazione (orribile, aggiungo), ma non sapevo avesse dato il nome a una sindrome. Cioè, ho sempre pensato che fosse banale insicurezza, alimentata da aspettative deluse o da fallimenti vissuti male, al limite causata da un complesso di inferiorità. Che dici, la sindrome dell’impostore non è un generico complesso d’inferiorità o hanno sfumature diverse?

Luz:   Il discorso è ampio, tocca alcuni elementi della personalità. La si può vivere sentendosi inadeguati o indegni di una premiazione, oppure con sfumature attenuate, magari vedendo nell'altro qualcuno più pronto, più abile. È una sindrome insidiosa che si sviluppa o per mancanze pregresse, come ad esempio gratificazioni mancate nell'ambito familiare - il mio caso, credo - o nel momento in cui la vita chiama a responsabilità che riteniamo troppo grandi per il nostro livello di preparazione. Ti faccio il mio esempio: ogni volta che lavoro ad un progetto teatrale, non ritengo mai, e dico mai, prima di andare in scena che quel progetto valga realmente qualcosa. In questo caso può trattarsi della mancanza di una preparazione "accademica", di fatto io ho cominciato quasi vent'anni fa e del tutto casualmente a studiare il fenomeno "teatro" e poi a praticarlo, senza aver compiuto percorsi tradizionali. Quelli come noi sono guardati con grande sospetto dai "professionisti". Tu quando ti sei sentita così?



Marina:   Ho analizzato bene la cosa e ho capito che nel mio caso si tratta, forse, più di insicurezza, che si è cronicizzata. Ricordo, andavo alle medie, e la professoressa di italiano fece una domanda di cui ero certa di conoscere la risposta. Allora alzai la mano tutta convinta e anche fiera, perché avrei fatto bella figura. Invece l’insegnante scosse la testa curvando la bocca verso il basso mentre, sullo sfondo, un mio compagno disse a voce alta: “ma non c’entra niente!” Il problema è che, in quel momento, avevo tutti gli occhi della classe addosso, la risposta non era corretta e in più avevo deluso il compagno di cui ero segretamente innamorata (tra l’altro). Un mix esplosivo per la mia autostima. È stato frustrante, un microtrauma che mi ha tolto sicurezza: dopo quell’episodio, tutte le volte che credevo di conoscere la risposta a qualche quesito, non mi azzardavo a mettermi in gioco perché sentivo rimbombarmi nelle orecchie quel “ma che c’entra!”  E vedevo l’espressione interdetta della professoressa. Ora, quando scrivo, penso di essere sempre in errore, di essere incompleta anche se le persone apprezzano il mio lavoro; sono soddisfatta del risultato, magari mi piace quello che ho scritto, ma non sono rilassata nel mostrarlo al pubblico, perché mi aspetto la stroncatura, che ci può stare, solo che io la vedo automatica. Mi sono dilungata, vero? Dai, raccontamelo tu adesso un episodio in cui si è manifestata la sindrome dell’impostore e dimmi anche se hai pensato a un modo per venirne a capo.

Luz:   Sai che il tuo episodio me ne ha fatti ricordare almeno un paio, molto simili, accaduti anche a me fra i banchi di scuola? Uno alle medie, me lo ricordo benissimo, stavo leggendo per la classe un paragrafo di Storia e sbagliai l'accento sulla parola "controversia", che lessi con l'accento sulla "i". Hai presente uno di quei compagni di scuola pestiferi, un po' alla Franti del libro Cuore, cattivissimi, che stavano all'erta in attesa di occasioni per mettere alla berlina i compagni? Ebbene, mi corresse lui, voltandosi indietro con un sorriso sprezzante, che mi colpì perché fu detto proprio con l'intento di sminuire e umiliare. Un'altra volta al liceo, era un buon periodo perché ero andata benissimo in un'interrogazione di letteratura, allora il prof chiese a me di dare una risposta mentre veniva interrogato un compagno colto impreparato. Fece una cosa carinissima, mi indicò con un sorriso dicendo: "vuoi vedere come lei invece questa cosa la sa?". Ahi ahi, diedi la risposta sbagliata. E chi se lo dimentica? Si trattava della Secchia rapita di Tassoni, un poema minore, di cui non seppi dare risposta. Mi sentii sprofondare e, poichè adoravo il mio professore di Italiano, soffrii moltissimo temendo di averlo deluso. Da quel momento, ebbi la fantasiosa sensazione che lui non mi stimasse più. Ci pensi, Marina? Sono episodi che ci hanno segnato facendoci  capire che non possiamo essere sempre all'altezza, sul pezzo. Il problema è credere di non poterlo essere mai pienamente, mentre semplicemente si è trattato di momenti in cui "abbiamo fallito", "siamo stati imperfetti". Ma pure se riusciamo a "perdonarci", questa sindrome ci fa credere di essere sempre un passo indietro. 
Ora, non resta che domandarci: esiste una cura per la sindrome dell'impostore? Pensi che se ne possa guarire? 



Marina:  Credo di no, cara Luana e non lo dico perché sono pessimista, lo dico con estremo realismo. Penso non si guarisca, ma che si possa tollerare e gestire. Ormai abbiamo raggiunto una maturità che ci consente di convivere con tutto quello che siamo diventate negli anni, le esperienze hanno formato il nostro carattere, possiamo superare certi limiti accettandoli e basta, ma cambiare il modo in cui reagiamo alla vita mi pare difficile. Continueremo a fare le “impostore” (si può dire?), ma col sorriso. O forse potremmo raccogliere il suggerimento di qualcuno, perché vedi, condividere la stessa sindrome, ci porta a darci pacche reciproche sulle spalle, non a trovare soluzioni che non vediamo. Tu ne vedi?

Luz:   La penso come te. In fondo, quello che è importante è avere individuato il problema. Accettarsi per ciò che si è significa però in questo caso anche convincersi che quando percepiamo di essere inadeguati, in buona percentuale non lo siamo affatto. Ossia, teniamoci pure la sensazione, ma consapevoli che è qualcosa cui possiamo opporre la nostra fiducia in noi stesse. Ed è vero, l'età matura ci regala questa consapevolezza, ed è già tanto. 
Ho molto gradito questo nostro caffè virtuale, abbiamo tanti argomenti di cui discettare di volta in volta. Hai una domanda da porre ai nostri lettori?

Marina: Magari possiamo vedere se qualcuno propone una soluzione oppure verificare se siamo in buona compagnia. Sai come si dice, no? Mal comune mezzo gaudio. 
Intanto, il mio gaudio è stato farmi questa bella chiacchierata con te. Il caffè era buono. Al prossimo!

Luz: Ciao, Marina! Bene, adesso a voi la parola. Vi siete mai sentiti come noi? Avete un'esperienza da raccontare? Soluzioni da proporre? 

53 commenti:

  1. Ormai sono o meglio mi sento un'inadeguata cronica in molti campi e ho semplicemente imparato a convivere con la sindrome e a riderci su. Attualmente il suo raggio d'azione è la cucina. Ho la minima infondata di non saper cucinare. In realtà ho solo cominciato tardi poiché mi sono sposata a 38 anni e prima ci pensava mia madre. Così anche a oggi è tutto un chiedere a mio marito a sfinimento "era buono?" Giusto ieri sera con le lasagne, teglia da 4 spazzolata in 2 è ancora non mi sentivo adeguata.
    Ps moka anche x me.
    Ciao ragazze belle

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    1. Ciao, Sandra! Capisco questa sensazione di inadeguatezza in cucina, eccomi. Idem, mia madre non mi fece mai cucinare fino ai 26 anni, quando mi sposai e lasciai la casa. Dovetti imparare a fare TUTTO, mi limitavo a uova al tegamino, figurati. E chi se li dimentica quei sughi bruciacchiati e salati, la pasta scotta, le carni come suola delle scarpe? Esperienza e anni di prove, oggi non sono una cuoca provetta, vorrei saper fare molto di più. I fornelli non sono il mio elemento.
      Se le lasagne sono state spazzolate in due, comincia a convincerti di saperci fare, perché le lasagne NON sono facili da realizzare. Marina invece è brava ai fornelli. Vero, Mari'?

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    2. Sì, perché sono cresciuta in mezzo a persone che sanno cucinare alla grande: mio nonno, mia mamma, tutte le mie zie. Ho ereditato l’attitudine, ma non la stessa passione. Cucino se sono particolarmente ispirata e se ho ospiti, altrimenti mi limito all’ordinario (non sono una che si mette il libro di ricette davanti e non possiedo tutti gli accessori della buona cuoca) ;)

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  2. Io soffro di sindrome dell'impostore in relazione alla mancanza di un titolo accademico quando parlo o scrivo di storia. Tutti mi dicono che ne so più di certi professori, e nella maggior parte dei miei esami i docenti sono rimasti strabiliati, ma in linea generale avverto sempre un certo disagio. Per esempio mi sono rifiutata, in passato, di tenere interventi pubblici nell'ambito di conferenze. Però spero di trovare un rimedio molto presto, perlomeno alla mancanza del titolo accademico. ;)

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    1. Ecco, allora la tua sindrome dell'impostore assomiglia alla mia in campo teatrale.
      Il punto, lo snodo è proprio lì, cara Cristina: i tuoi docenti rimangono strabiliati come il mio pubblico in platea. Ci sarà la volta buona che cominciamo a convincerci di saperci fare? :)
      Nel tuo caso, poi, tu scrivi di mancanza di titolo accademico. Però la tua passione ti ha fatto apprendere a prescindere da un percorso di studi tradizionale. In fondo, siamo proprio certi che si impari, che la conoscenza sia una conquista, con gli studi accademici? Per mia esperienza, i miei studi sono stati la base, lo strumento con il quale conquistare una conoscenza più ampia.

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    2. Vedi Cristina, tu stai ponendo un rimedio: ti manca il titolo accademico? Beh, te lo stai prendendo e sopperisci a quella che hai sempre reputato una mancanza. Nel mio caso, non so a cosa dovrei appellarmi per colmare questo perenne senso di insicurezza. Forse dovrei solo tornare indietro, fare altre scelte, ma questo non si può fare. In una prossima vita... sempre che si possa sfruttare il senno del poi! 😁

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  3. Neppure io sapevo che a questa sensazione di cui avete ampiamente disquisito fosse stato attribuito uno specifico "titolo" tra le tante sindromi che purtroppo spesso ci affliggono.
    Io mi aggiungo sicuramente all'elenco dei sofferenti di tale sindrome. Non saprei attribuirla a un episodio specifico, ma piuttosto a tutta la mia adolescenza in generale e al fatto di essere stato (meritatamente in molti casi) l'ultima ruota del carro a livello sociale e la pecora nera a livello famigliare.
    Non credo che lo supererò mai, ormai mi riesce persino più facile essere indulgente coi miei difetti piuttosto che credere di meritare complimenti, in quanto ormai sono convinto di non avere alcun pregio che giustifichi una lode.

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    1. Ariano, la tua risposta assomiglia a una confessione. Mi dispiace per quest'idea che ti sei costruito, magari non è del tutto così. Se ci aggiungo di mio, ti dirò, anch'io non sono presa in grande considerazione nell'ambito parentale. Non so perché accada, ma ricevo molti più apprezzamenti e stima da persone estranee alla cerchia familiare. Questo, anche se ormai adulti e maturi, ferisce ancora, ferirà per sempre. Se vuoi un consiglio non richiesto, non vederla così "nera". Hai moltissimo interessi, sei una persona sensibile, mi hanno anche detto che scrivi bene. Non sono pregi da poco.
      Per il resto, non potremo mai del tutto evitare di sentirci degli impostori. Dobbiamo accettarlo.

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    2. Ariano, fidati anche di chi ti ha conosciuto in veste di scrittore e di blogger e ti stima molto: certe volte le migliori risposte arrivano da chi non sa nemmeno chi sei, ma valuta solo ciò che sai fare e lo apprezza perché ciò che sai fare vale. Io mi dico sempre che, sì, dobbiamo essere indulgenti con i nostri difetti, però ogni tanto dovremmo anche lasciarci coccolare da qualche complimento o qualche meritata lode.

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    3. Questo fatto del non essere particolarmente apprezzati in ambito familiare mi fa pensare. In effetti sembra quasi che tra parenti, anche stretti, si faccia fatica a fare complimenti o apprezzamenti. Non è molto bello però succede proprio così.

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  4. Cavolo, la sindrome dell'impostore è praticamente il mio ritratto! Ce l'ho da sempre e non ne ho mai saputo il nome! La colpa un po' lo do alla dislessia, ho sempre dovuto cercare delle soluzioni per destreggiarmi nell'ambiente scolastico (anche adesso, per altro) e questo "arrangiarmi" mi dava sempre l'impressione di truffare. Ho avuto poi una fase acuta all'università dove mi sentivo sempre persa, inadeguata anche solo a capire come iscriversi a un esame (l'università di Pisa credo vinca il premio dispersione e caos accademico, almeno negli anni in cui c'ero io) e poi i compagni venivano da me a chiedere consigli. Da me? Ma siete pazzi??

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    1. Tu, Antonella, sei un mondo tutto da scoprire. La dislessia. Ricordo che ne avevi scritto (o mi sbaglio?) e che ha fatto parte del tuo percorso di crescita. Chi meglio di te può testimoniare a quali obiettivi si possa arrivare impegnandosi al massimo? Oggi sei anche un'ottima insegnante e un'educatrice.
      La sindrome dell'impostore è purtroppo subdola. Può capitare che si pensi di averla sfangata, che non ci colga più, invece è sempre lì. L'aspetto positivo è che induce a mettersi in discussione, di questi tempi in cui la saccenza la fa da padrone non mi pare una cosa da poco. Poi noi siamo insegnanti, anche lì, un ambito in cui la avverto molto. Durante le riunioni dipartimentali mi sembra che tutti sappiano tutto e che io non sia informata su niente. Tendo a tacere, se mai offro soluzioni solo se appartengono al mio ambito creativo, dove mi sento a mio agio.
      Riesco a percepirmi competente solo se confrontata con persone che effettivamente sono grossolane e inabili, pur credendosi chissà che. È già qualcosa.

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    2. Benvenuta nel club! Penso, comunque, che ognuno di noi, tranne che non si senta completo in tutto (cosa rarissima nelle persone comuni) nasconda i segni di questa sindrome. La cosa bella è che gli altri si stupiscono se ne parliamo, come io adesso dico: ma dai, Antonella, sei così preparata, così brava a scrivere, a insegnare, tu non puoi sentirti inadeguata! Questo vuol dire che la percezione di chi ci conosce non è sempre quella che abbiamo di noi stesse ed è questa verità che dovremmo imparare a fare nostra.
      Che sia un modo per venire a capo del problema? Riconoscere che c’è chi sa vedere in noi cose che noi ci rifiutiamo di vedere; ecco, forse dovremmo fidarci più del prossimo (senza occuparci di capire se è sincero.)

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  5. Ciao a entrambe!
    Argomento interessante e "quotidiano", nel senso che secondo me tutti abbiamo vissuto sia la sensazione descritta da te, sia la disavventura raccontata da Marina.
    Direi che il microtrauma c'è stato davvero: trovarsi in un contesto di forte concorrenza (la classe), dove c'è la cattiveria di tanti Franti pronti a sghignazzare... ha fatto tanto.
    Forse è vero che da queste insicurezze non si può guarire (ma sono convinto che davvero NESSUNO si senta pronto al 100%, o soddisfatto al 100%, delle sue cose...), però ecco, possiamo gestirle per evitare che ci portino al "non fare".
    Per me? Vale sempre lo "sticazzi", come va va, al massimo mi farò io stesso una bella risata, ma dipenderà sempre e solo da me la riuscita o meno della cosa :)

    Moz-

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    1. Bravo, gestire le insicurezze per evitare che portino al “non fare”, perché è vero, il più delle volte, ti scoraggi prima ancora di cominciare e questo ti fa indietreggiare. Invece no, andare avanti sempre, provare a farsi una bella risata e sticazzi, la vita è una e se ogni nostro limite, ogni paura, inibiscono le opportunità che ci capitano o ci coltiviamo, è la fine!

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    2. Sì, io per forza di cose la vedo così... preferisco una risata dovuta a un mio sbaglio, che il non fare niente.
      Dopotutto oh, si dice: solo chi non fa non sbaglia.
      Ma noi vogliamo fare, no? :)

      Moz-

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    3. Rispondendoti, Moz, mi è venuto in mente anche un altro momento molto brutto. E ciò mi fa pensare che in rete emerge questo senso di inadeguatezza. Mi trovai tempo fa impelagata in una discussione in un gruppo di lettori, in cui avevo semplicemente cercato di dire che alcune traduzioni restituiscono nell'edizione italiana un uso scorretto della lingua. Si trattava di roba come "pochettino", "il cibo come ce l'ha fatta a procurarselo" cose del genere. Pur trattandosi di una traduzione accreditata, delitto di lesa maestà ritenerla perlomeno "sgradevole". Me ne dissero di ogni, mettendo in dubbio anche la mia professionalità nell'insegnamento. Leoni è dire poco, cagnacci da tastiera, forse è meglio. Lì è inevitabile che subendo l'accerchiamento e assalto ci si senta inadeguati. Sai come l'ho sfangata? A parte ritenendo queste persone in certo senso frustrate, altrimenti non ti comporti così su un social. Con l'ironia. Fu come applicare la regola anti bullismo: applicare la regola di una risposta altrettanto forte ma contraria al sentimento dell'altro. Fu difficile, ma cercai in questo modo di tenere testa al branco. Pur negativa, è stata comunque un'esperienza.

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    4. Eh, poi quando il branco ci si mette, è dura.
      Anche nel blogging è successo più volte, non so se ricordi la questione... Tu hai fatto bene come hai fatto, bisogna smontare questa gente. Se fosse un discorso sereno e sincero, ci sta anche che sia accesso (ad esempio, nel caso specifico, per me "pochettino" potrebbe anche andare bene -mentre l'altra frase no) ma non è che mi metto a ringhiare contro te o altri che hanno idee opposte! 🤓👍

      Moz-

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    5. Ricordo qualcosa sul tuo blog, ma in particolare la tua reazione, che seppe rimettere le cose a posto.
      Quello che manca nella comunicazione virtuale a certi livelli, o in certi contesti, è proprio la capacità di non vedere nell'altro un bersaglio da attaccare, secondo la logica banalissima "non la pensi come me, ti faccio passare per un ignorante da quattro soldi", quanto piuttosto una possibilità di capire perché la pensi nel modo opposto.
      Succede anche che, se uno si sente in sintonia con chi attacca, gli si armonizza dandogli man forte, scrivendo forbito, facendoti passare per uno che non ha capito nulla, questo succede in particolare quando si percepisce la capacità dialettica di saper fare fronte. Non essendoci argomenti da controbattere, si colpisce direttamente la persona, la sua intelligenza, la sua personalità, la professione (guai a scrivere che sei insegnante, ti sei dato la zappa sui piedi anche ingenuamente). E soprattutto, non riconosceranno il linciaggio, "non è successo niente di grave" agli occhi loro. È ovvio, per loro è del tutto naturale applicare un certo tipo di linguaggio nel confronto. Se si è individuati come inadeguati, ignoranti, fuori luogo, varrà bene che ti si scateni la maleducazione addosso. E sono persone con certo grado culturale, intelligenza. È triste.

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    6. Ma questo succede proprio perché c'è uno schermo. Una barriera.
      Dovessero farlo faccia a faccia in -chessò- un bar, non andrebbe così...

      Moz-

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    7. Infatti, anch'io non credo. Mi è capitato di conoscere persone che vis à vis hanno paura della propria stessa ombra e poi fanno i galli su una tastiera. Penso che tutti quelli appartenenti a questa categoria si assomiglino.

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  6. Idea meravigliosa, complimenti ragazze! Quanto alla sindrome, l'ho sempre chiamato sabotaggio. Appena c'era qualcosa di positivo che aleggiava intorno a me, subito lì a guardare (o a dare retta agli sguardi degli altri) il neo sopra il naso!
    Non so se si può guarire, ma esserne consapevoli, sì.
    Un esempio? Provate a farmi un complimento, magari sul mio aspetto fisico...
    Ecco, immaginate la reazione da sindrome? Bene ora pensate a tutti i momenti "microtraumatici" della mia adolescenza! :)

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    1. Siamo consapevoli, è vero. Però, mi fa rabbia che finiamo per non goderci nemmeno i momenti dì positività sincera. Se a me fanno un complimento, comincio a rispolverare tutti i complessi che ho maturato e la lusinga finisce subito nel tritaemozioni. 😁

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    2. E com'è possibile che tu dubiti del tuo aspetto fisico? Hai non solo un bel volto ma un bel sorriso e uno sguardo molto comunicativo. Quindi davvero si tratta di auto-sabotaggio. :)
      Io ho sempre sofferto quel po' di doppio mento che mi ritrovo fin da giovanissima. Altri mi dicono "ma va là". Insomma, noi donne in particolare siamo esperte di questo leit motiv.
      Grazie per aver apprezzato l'idea del nostro caffè! :)

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  7. Inizialmente avevo pensato che vi steste riferendo a qualcosa di analogo alla sindrome di Capgras o al delirio di Fregoli.
    Comunque, c'era Zygmunt Bauman che individuava nel senso di inadeguatezza una delle tre macrocategorie in cui possono essere suddivise le paure dell'Uomo (le altre sono quelle legate alla sopravvivenza e quelle relative ai rapporti affettivi e sociali). Sostanzialmente gli altri, la famiglia, la società, ci impongono tutta una serie di cose, quelle "cose che ci si aspetta da noi", in modo da corrispondere a un determinato modello come individui e membri della società. E questo va a influenzare il modo in cui vediamo noi stessi all'interno del gruppo sociale di appartenenza o della società nel suo complesso. Se siamo sufficientemente forti dal punto vista emotivo, siamo in grado di riconoscere i nostri limiti e di andare al di là di ciò che ci viene imposto, ovvero di "fregarcene", ma se non ci riusciamo allora subentra un senso di inadeguatezza, che può essere vissuto in maniera fallimentare: non sono stato in grado di riuscire in ciò che ci si aspettava da me.
    La "soluzione" è capire e accettare i propri limiti, e di lì stabilire obbiettivi concreti e raggiungibili. Insomma, accettare se stessi per ciò che si è, e non per come gli altri vorrebbero che fossimo, e nemmeno per come crediamo che gli altri vorrebbero che fossimo. Riconoscere i successi e le sconfitte, valutandoli in maniera obbiettiva, dando loro il giusto peso, evitando di catastrofizzare gli eventi negativi, imparando dagli uni e dagli altri.

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    1. Grazie per questo approfondimento, Marco. Sei convincente: evitare di concentrarsi sulle aspettative che pensiamo che gli altri abbiano su di noi. Imparare a dire chissenefrega se gli obiettivi raggiunti non sono quelli che ci si aspettava da noi. Non dico che basti parlarne perché tutto si risolva, ma di certo questo aiuta la consapevolezza.
      Curiosità: sindrome di Capgras e delirio di Fregoli?

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    2. Grazie per questa argomentazione, Marco. Credo che il nocciolo della questione sia il riconoscere da sé i propri limiti e accettarli come il confine entro il quale possiamo comunque essere all'altezza, pur con una prestazione differente, non per questo scadente.
      Evitare di catastrofizzare, è vero. Accogliere la certezza che il rapporto fra individui è fatto di asimmetrie, equilibri a volte saldi, a volte precari.

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    3. La sindrome di Capgras è una condizione psichiatrica in cui il soggetto è convinto che le persone attorno a lui siano state rimpiazzate da impostori; nei secoli passati credeva fossero spiriti o demoni, in quelli più moderni alieni, cloni o androidi.
      Nel delirio di Fregoli il soggetto crede di essere tormentato da persecutori che lo seguono dappertutto, travestendosi per non farsi riconoscere.

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    4. La letteratura avrà certo attinto a questi sociopatici cronici. :)

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    5. Non si tratta di sociopatia, appartengono a un altro tipo di disturbi psichiatrici.

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    6. Grazie, Marco, per il chiarimento. Quante sfumature questi impostori! :)

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  8. Credo anch'io che con questo senso di inadeguatezza si debba imparare a convivere, più che sperare di cancellarlo; magari prendere le distanze, osservarlo dall'esterno aiuta. In fondo è qualcosa che proviamo, non qualcosa che "siamo". Almeno da adulti si ha qualche strumento in più, mentre da giovani tutto lascia tracce difficili da cancellare.

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    1. Da giovani ci si sente proprio frustrati, sembra sia impossibile venirne fuori. Se ricordo gli anni delicati dell'adolescenza, in cui il carattere si forma, ci si confronta col mondo, e ti arrivavano queste botte tremende, tutto era circonfuso da un'aura di tragedia e infelicità pura.

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    2. Sì, se certe batoste ti arrivano in quell’età lì, è finita! Io ho una memoria che fa schifo, eppure ci sono episodi, anche insignificanti, se visti con gli occhi di oggi, che, però, hanno lasciato il segno e non li scordo, sarei capace di ricostruire ogni singolo passo di quel momento, a risentire le voci di allora. La cosa positiva è che adesso sono capace di sorridere, anche senza superare il complesso che è scaturito da quell’evento.

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  9. Molto interessante questo confronto. La sindrome dell'impostore in effetti sembra che ce l'abbiano quelli che non dovrebbero averla, mentre invece tanti altri che fanno cose di qualità dubbia non paiono esserne "afflitti".
    Come avete evidenziato, le esperienze vissute sono fondamentali, ma probabilmente attecchiscono solo su un certo tipo di personalità. Gli stessi episodi vissuti da altre persone non avrebbero probabilmente prodotto gli stessi effetti.
    Forse centra anche una certa puntigliosità personale: si cerca di limare fino all'inverosimile l'opera che si sta facendo, finendone per vedere ogni possibile difetto, anche inesistente. Ma se si lascia riposare il tutto per un po', poi magari si vede l'opera in una luce più obiettiva.

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    1. Quanto è vero quello che scrivi: gli stessi episodi vissuti da altre persone non avrebbero probabilmente prodotto gli stessi effetti. Se penso alla me stessa degli anni di liceo, ero proprio caratterizzata da quella puntigliosità, quella "tensione" del dover dimostrare qualcosa costantemente.
      Rimpiango la mancanza di leggerezza di quegli anni, sarei vissuta molto meglio in quell'adolescenza che a volte appariva così gravosa.

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    2. Il carattere è importante, certo. Poi, se approfondisco la cosa, penso che ci siano piccoli complessi che si ripercuotono su ambiti diversi: per esempio, in quell’episodio che ho raccontato della scuola, la mia mortificazione si è potenziata perché a farmi notare l’errore era stato il compagno per cui mi ero presa una cotta e che non mi filava manco di striscio: l’incertezza di non piacergli è diventata, a quel punto, assoluta certezza. Insomma, voglio dire che parti da una cosa e cresci infilandone mille altre. Non se ne esce più! 😅

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  10. Molto bella questa idea dello scambio virtuale, spero ci delizierete con altre puntate!
    Quanto al tema che avete trattato, non mi era mai venuto in mente che questa sindrome dell'impostore si potesse applicare a me, ma in effetti è così. Sono sensazioni che ho provato spesso in passato in circostanze varie. Sul lavoro per esempio, quando mi affidavano incarichi in cui magari riuscivo bene pur non sentendomi affatto all'altezza, come se stessi ingannando qualcuno, o con il blog quando mi chiedevano consigli di scrittura. Credo che in questi casi sia difficile capire che la sensazione di inadeguatezza sia motivata o solo dovuta all'insicurezza.

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    1. È vero, i due piani si confondono: non sai mai se davvero hai venduto fumo o se è l’insicurezza a parlare per te, però credo che, alla fine, questa sia un’incertezza superabile con il feedback che ricevi: se le persone ti danno fiducia, tornano a chiederti consigli, ti dimostrano la loro stima seguendoti in modo fedele e sempre con lo stesso interesse, beh, puoi accettare di saper fare bene quello che fai, anzi devi accettarlo! 😁

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    2. Sì sì, stiamo elaborandone di nuove! :)
      Sentirsi impostori nel proprio ambito di lavoro è tipico. Io per esempio sono convinta che non saprei svolgere adeguatamente il lavoro di referente di area. Tutt'al più arrivo a referente di progetto, e lì vado bene perché ho la responsabilità di un ambito che mi appartiene e conosco bene. Sentirei il peso di una responsabilità che investe un intero dipartimento, quindi ho preferito negli anni dedicarmi ad altro, dandomi da fare in altro modo. È una sensazione impossibile da risolvere, soprattutto in età matura poi.

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  11. Oh, ma che bello questo caffè virtuale, mi è sembrato di essere lì con voi, ho quasi sentito il sapore del cornetto 🥐.
    La sindrome dell'impostore è una sindrome che ho provato anch'io, ma credo sia una sindrome di cui soffrono tutte le persone perfezioniste e un po' insicure, ma non è detto che sia un male, perché la troppa sicurezza può far commettere errori madornali. C'è una bellissima poesia (credo) di Bertold Brecht intitolata Lode al dubbio che rende bene questo concetto. È meglio essere dubbiosi quindi, ciò spinge a migliorarsi, a lavorare con impegno e, infine, anche ad accettarsi. Sono stata assillata da questa sindrome da sempre, nello studio, nel lavoro, nella vita in generale, però negli ultimi anni ho imparato che nessuno è perfetto, neanche quelli che sono così sicuri di esserlo, ho imparato a buttarmi di più e a fregarmene, ma ci sto ancora lavorando...

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    1. Grazie per avere apprezzato il nostro caffè! :)
      Sono andata a cercare la poesia di Brecht... non la conoscevo e te ne ringrazio.

      Sia lode al dubbio! Vi consiglio, salutate
      serenamente e con rispetto chi
      come moneta infida pesa la vostra parola!
      Vorrei che foste accorti, che non deste
      con troppa fiducia la vostra parola.

      Leggete la storia e guardate
      in fuga furiosa invincibili eserciti.
      In ogni luogo
      fortezze indistruttibili rovinano e
      anche se innumerabile era l’Armada salpando,
      le navi che tornarono
      le si poté contare.

      Fu così un giorno un uomo sull’inaccessibile vetta
      e giunse una nave alla fine
      dell’infinito mare.

      Oh bello lo scuoter del capo
      su verità incontestabili!
      Oh il coraggioso medico che cura
      l’ammalato senza speranza!

      Ma d’ogni dubbio il più bello
      è quando coloro che sono
      senza fede, senza forza, levano il capo e
      alla forza dei loro oppressori
      non credono più!

      Oh quanta fatica ci volle per conquistare il principio!
      Quante vittime costò!
      Com’era difficile accorgersi
      Che fosse così e non diverso!
      Con un respiro di sollievo un giorno un uomo nel libro del sapere lo scrisse.

      Forse a lungo là dentro starà e più generazioni
      ne vivranno e in quello vedranno un’eterna sapienza
      e sprizzeranno i sapienti chi non lo conosce.
      Ma può avvenire che spunti un sospetto, di nuove esperienze,
      che quella tesi scuotano. Il dubbio si desta.
      E un altro giorno un uomo dal libro del sapere
      gravemente cancella quella tesi.

      Intronato dagli ordini, passato alla visita
      d’idoneità da barbuti medici, ispezionato
      da esseri raggianti di fregi d’oro, edificato
      da solennissimi preti, che gli sbattono alle orecchie
      un libro redatto da Iddio in persona, erudito
      da impazienti pedagoghi, sta il povero e ode
      che questo mondo è il migliore dei mondi possibili e che il buco
      nel tetto della sua stanza è stato proprio previsto da Dio.
      Veramente gli è difficile dubitare di questo mondo.
      Madido di sudore si curva l’uomo che costruisce
      la casa dove non lui dovrà abitare,
      ma sgobba madido di sudore anche l’uomo che la propria casa si costruisce.
      Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai.
      Splendida è la loro digestione, infallibile il loro giudizio.
      Non credono al fatti, credono solo a se stessi. Se occorre,
      tanto peggio per i fatti. La pazienza che han con se stessi
      è sconfinata. Gli argomenti li odono con l’orecchio della spia.

      Con coloro che non riflettono e mai dubitano
      si incontrano coloro che riflettono e mai agiscono.
      Non dubitano per giungere alla decisione, bensì
      per schivare la decisione. Le teste
      le usano solo per scuoterle. Con aria grave
      mettono in guardia dall’acqua i passeggeri di navi che affondano.
      Sotto l’ascia dell’assassino
      si chiedono se anch’egli non sia un uomo.
      Dopo aver rilevato, mormorando,
      che la questione non è ancora sviscerata, vanno a letto.
      La loro attività consiste nell’oscillare.
      Il loro motto preferito è: l’istruttoria continua.
      Certo, se il dubbio lodate
      non lodate però
      quel dubbio che è disperazione!

      Che giova poter dubitare, a colui
      che non riesce a decidersi!
      Può sbagliarsi ad agire
      chi di motivi troppo scarsi si contenta,
      ma inattivo rimane nel pericolo
      chi di troppi ha bisogno.

      Tu, tu che sei una guida, non dimenticare
      che tale sei, perchè hai dubitato delle guide!
      E dunque a chi è guidato permetti il dubbio!

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    2. Bellissima vero? Ti ringrazio di averla riproposta per intero. Mi piace soprattutto il punto in cui dice "sono coloro che non riflettono a non dubitare mai ecc" ed è bello anche l'invito, dopo aver dubitato, ad agire.

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    3. Sì, sono i due aspetti che hanno colpito anche me.

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    4. Essere dubbiosi allo scopo di cercare il miglioramento sarebbe l’ideale, ma spesso il dubbio impedisce proprio questo slancio in avanti, però credo che Brecht abbia voluto dire molto di più.

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  12. Sono sempre stata molto indulgente e empatica con gli altri, con me stessa molto poco. Ahimè. Non mi sento mai all'altezza, penso sempre che, in ogni caso, ci sarà qualcuno a fare meglio di me. Seconda di tre bambine, genitori molto colti ma poco inclini alle gratificazioni. Mi sono costruita lo stesso, sono poco stabile ma ci convivo meglio adesso che ho quasi 47 anni che 20 anni fa.
    Ho un ricordo che, ancora adesso, ogni tanto mi viene a turbare. 1984. Avevo 11 anni e facevo la seconda media. Con la professoressa di musica eravamo andati a vedere "Amadeus" al cinema. Un capolavoro di 3 ore. Il film che mi ha fatto amare il cinema. In seguito, la relazione da fare a casa. Mi ricordo di quel momento come se fosse ieri, i miei erano i viaggio ed io da amici. Bene, c'ho messo tutta me stessa per farlo. Da sola. E ho preso 18/20. Un voto eccezionale. Purtroppo, durante la lezione successiva, dovevo suonare il flauto ed è andata (molto) male. E la professoressa mi ha umiliata davanti a tutti dicendo che sicuramente la relazione su Amadeus non l'avevo fatta da sola, non era possibile per una così somara ! Avrei voluto sparire per sempre. Pur essendo convinta di non aver ingannoto nessuno. Mi aveva proprio lei fatta sentire un impostore. Se vedesse adesso quanto sono brava, non ci crederebbe!!!

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    1. Ciao Chrystel, che bella testimonianza, la tua! E come ti capisco! Insegnanti così stimolano le reazioni peggiori. In certi casi, esperienze del genere spingono le persone (certo, forse non a 11 anni) a un desiderio di rivalsa per cui dimostrare le proprie capacità a chi le ha negate diventa una missione. A me è successo in seguito a una discussione con il prof. di economia politica all’università, che mi ha ripetutamente offesa durante l’esame solo perché non avevo saputo rispondere a una domanda; la sua ultima frase, prima di liquidarmi, fu: “lei non si laureerà mai in questa facoltà”. Te lo immagini? Ma avevo vent’anni e quella maleducazione, quella supponenza mi sono serviti da sprone, semmai, ho fatto battaglie per screditare professori di tale risma, e mi sono naturalmente laureata con grande soddisfazione.
      Comunque, anche avere genitori come dici tu poco inclini alla gratificazione non è d’aiuto: i miei esattamente come i tuoi. Le insicurezze sono nutrite da un mare di fattori, a ben pensarci!

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    2. Intanto, mi si lasci dire grazie alla signora Cuman per aver lasciato la sua testimonianza a questo mio post. Purtroppo quella mancanza di gratificazioni in famiglia, oltre al facile imbattersi in insegnanti che quel giorno in quel determinato momento sembrano trovarsi lì per segnare per sempre un alunno, sono argomenti tipici del tema che stiamo trattando.
      Ci sono momenti della vita, in particolare durante l'infanzia e l'adolescenza, ma anche da adulti se ci troviamo in un momento importante come è capitato a te durante quell'esame, Marina, che segnano in noi un solco difficilmente colmabile. Ecco perché poi li ricordiamo così nitidamente.
      Mi piace quel nascere della passione del cinema attraverso un film tanto e bello e complesso come Amadeus. È perfettamente nello stile che le attribuisco, pur conoscendola ancora solo attraverso le sue passioni. È bello che la vita possa riservare, oltre a questi momenti che hanno generato in noi la sensazione di essere impostori, anche la possibilità di incontrare persone con le quali si instaura una stima reciproca fin dai primissimi momenti. Ecco, lei, signora, è fra quelle persone che mi aiutano a combattere questa sindrome e a farmene beffe. :)

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  13. Oh però, mi giro due minuti e quanto torno qui trovo la grafica nuova e una rubrica fiammante! :D
    Sindrome dell'impostore... ce l'ho. Non sapevo si chiamasse in questo modo, anch'io l'avevo solo considerata insicurezza data da persone in ambito famigliare che hanno continuamente sminuito qualsiasi mio interesse o capacità, fino persino a farmi dubitare delle scelte più banali. Sindrome che è sparita, guarda caso, col non frequentare più quell'ambiente.
    Perché già sono stata bullizzata a scuola, quando ancora nessuno parlava di bullismo ma solo di "giochi tra ragazzi". Alle elementari mi prendevano in giro per l'altezza (la più bassa, sempre prima in fila) e per l'apparecchio ortodontico fisso (sono stata la prima in paese), alle medie per la magrezza (qualcuno mi chiamava addirittura "mostro di Lochness", adesso ci rido pensando che avevo già la Scozia nel cuore ;) ) e sempre per l'apparecchio (uno stupidotto si lanciò sopra il mio zaino, dentro avevo lo yoghurt, unica merenda concessa per non sporcare l'apparecchio, che si ruppe e finì fuori dal sacchetto, in mezzo ai libri... ), alle superiori per la cicciosità (mai contenti eh?) e i voti alti (se dovevano copiare da me, diventavano all'improvviso tutti carini però). Adesso guardo certe foto su Facebook dei vecchi compagni e penso che il Karma ha restituito tutta la cattiveria.
    Ma se già ti prendono a scuola così, dovresti poter tornare a casa e sentirti quanto meno capita. Macché. Ne sono uscita (vorrei dire che è latente, ma ora lo zittisco in un lampo) con il lavoro e le trasferte, i riconoscimenti professionali prima, con Tony Robbins e la PNL (per controbattere alle stupidaggini dell'impostore), con l'allenamento negli ultimi anni (l'impostore rappresenta un limite, un peaker si allena per superare i propri limiti, qualsiasi siano). Non a caso, sopra la mia scrivania a casa c'è un grande pannello di sughero, con foto, immagini, disegni, di quanto ho già realizzato. Tutte le volte che l'impostore dubita di me, io guardo il "wall" e ricordo quello che già ho fatto. Nota bene: questo non vuol dire che ci metto meno impegno nelle cose nuove, anzi, mi ci butto con entusiasmo maggiore.

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    1. Grazie per aver apprezzato grafica e rubrica nuove di zecca! È la quarantena che ispira novità. :)
      Le tue esperienze mi fanno pensare a quanto possano essere cattivi a volte bambini e ragazzi. Il rapporto fra pari è proprio un mondo a sé che facilmente genera queste dinamiche in cui c'è una presa di potere e un abuso sul più calmo e tranquillo, per non voler dire il più "debole".
      Anch'io sono stata vittima di bullismo negli anni delle medie. Ed entrambe le volte da femmine. Una mi prese di mira fuori da scuola e me ne diceva di ogni senza motivo alcuno, semplicemente perché?... portavo le trecce. Nei primi anni Ottanta dovevano essere démodé e io non lo sapevo. :) Ricordo di averla messa a tacere reagendo. Sì, perché la ragazzina aveva bisogno di una reazione, che la rese inoffensiva. Lei mi fece perfino una minaccia (oddio, che strano ricordare questa cosa) e io dissi "dai, provaci". Lì lei dovette scegliere fra fare a botte o ritirarsi in buon ordine, e scelse il buon senso.
      L'altra mia bulla fu nei bagni della scuola che mi prendeva di mira. Avevamo dei bagni scoperti sopra e lei mi lanciava di tutto, stracci, spugne, mi arrivò perfino uno spazzolone in testa. Fu veramente umiliante. Doveva farlo con parecchie, era una ragazzina temuta, selvatica, credo molto infelice.
      Non credo di avere reagito, semplicemente a un certo punto la smise. Io temevo di affrontarla e fui fortunata.
      Tu stai facendo un ottimo percorso per la tua autostima (non è un elemento sempre tenuto d'occhio per noi affette dai tormenti dell'impostore?) e hai fatto molto bene a eliminare gli elementi che sapevi costituivano un'interferenza con il tuo percorso di vita. A volte, bisogna ricorrere a scelte estreme, sofferte, ma necessarie.

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    2. È bello quando il passato che, forse, vorremmo cancellare o che avremmo voluto diverso, alla fine è la molla vincente che ci spinge in avanti. Voi avete raccontato episodi che ci accomunano: non ero bullizzata, ma per esempio i ragazzi mi facevano chiaramente capire di non piacere: alle feste, terribile, i compagni invitavano a ballare le mie compagne e io rimanevo seduta in un angolo finché il più bruttino, sentendosi solidale con la mia sfiga, veniva a invitarmi e c’era un peggioramento nella sensazione di disagio, perché io rifiutavo e ci trovavamo in due, seduti nelle sedie, i reietti della classe. 😁 Sentite, ora rido (non potrebbe essere altrimenti), ma la vita, anzi il Karma, come dice Barbara, mi ha ripagato di ogni cosa.

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  14. WOOW! ragazze, che bella cosa avete messo su ^_^
    Scopro con voi di questa "sindrome" e, da quanto ho scorto, non sono l'unica.
    Vista così, direi che soffro della sindrome dell'impostore praticamente in tutto. In particolare, in tutto ciò che concerne la scrittura. Ogni volta che mi è stato rivolto un complimento inerente ai miei scritti, di qualsiasi genere, fosse anche un bigliettino d'auguri, io mi sono ritrovata a chiedermi: ma veramente? booooo sarà, e dire che a me sembrava una fetenzia...
    Non so da dove provenga questa mia marcata "insicurezza". Non la so collocare. Una cosa è certa. Ho smesso di farmi le pippe mentali e a quarant'anni mi sono lasciata andare. Da quel momento cerco di vivere ogni apprezzamento con un pizzico di gioia e una posizione inquisitiva differente: sarà forse vero che quando scrivo riesco ad esprimere meglio di quanto pensi una data emozione?
    Chissà.
    Il caffè con voi 2 lo prenderei volentieri! E su questo non ho dubbi.

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    1. Comincio dalla fine del tuo commento: dobbiamo vederci a Roma appena possibile! So che hai incontrato già Marina, mi piacerebbe conoscerti.
      L'impostore che alberga in noi si fa sentire in modo particolare anche nella scrittura, hai ragione. Io per esempio non credo fino in fondo di aver scritto un buon romanzo, vedremo.
      Nei miei bigliettini di auguri ero brava, a Natale facevo un figurone, come te. :D

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