sabato 17 novembre 2018

L'editing di un romanzo secondo Murakami

In questo periodo leggo alcuni post riguardanti l'editing di blogger che hanno recuperato un vecchio romanzo per dargli nuova vita. Tema a me caro, come ho scritto anche qui

L'editing è una revisione generale della materia narrata, un ripercorrere da capo il percorso che spesso coincide con una rielaborazione perfino. Fare esperienza di editing è uno stimolo molto interessante per la mente.
Un esercizio cui non possiamo sottrarci, ma che dobbiamo anche essere capaci di fare. 
Se abbiamo creduto che gli scrittori più celebri al mondo abbiano il dono di scrivere un romanzo perfetto e pronto per la pubblicazione, abbiamo sbagliato su tutta la linea. 

Sto leggendo il bel testo Il mestiere dello scrittore, di Murakami Haruki, e scopro che un autore prolifico e attento come questo giapponese da milioni di copie vendute svolge ogni volta un lungo e certosino lavoro di editing. Riporto qui il suo metodo, perché curiosamente lo fa assomigliare a un autore qualunque. 

Quando finisco di scrivere la prima versione di un romanzo, lascio passare un po' di tempo (dipende dalle volte, ma di solito circa una settimana), poi inizio a rivederla. Dall'inizio alla fine. Faccio molte correzioni, ci vado con mano pesante. 
Per quanto lungo sia un romanzo, per quanto complicata la struttura, non faccio mai un piano all'inizio, procedo improvvisando come mi viene, senza sapere né come si svilupperà né come finirà. Perché è molto più divertente. In questo modo, però, si creano delle contraddizioni e in certi punti la trama non segue più un filo logico. Succede che il carattere dei personaggi a un certo punto cambi, o la successione temporale sia sbagliata. Quindi devo controllare con attenzione tutte le cose che non quadrano e costruire una storia ben strutturata, che abbia un filo logico. 

Mi capita di sopprimere parti piuttosto lunghe, di ridurne altri o di aggiungere nuovi capitoli
Quando ho scritto L'uccello che girava le viti del mondo, a un certo punto ho deciso che alcune parti non c'entravano niente con l'insieme della storia e ho cancellato interi capitoli. Poi li ho ripresi e ne ho fatto la base di partenza di un nuovo romanzo, A sud del confine, a ovest del sole. Succede anche questo. Ma è un caso estremo, di solito quello che è cancellato resta cancellato. 

Questa revisione mi prende forse un mese o due. Una volta terminata, faccio un'altra pausa di una settimana, poi intraprendo la seconda revisione. Di nuovo dall'inizio alla fine. Con più attenzione, però, con un occhio ai particolari. Ad esempio curo la descrizione dei paesaggi, regolo il ritmo delle conversazioni. Controllo che non ci siano parti non pertinenti alla trama. Rendo più facili i passaggi che non risultano chiari, più scorrevole e naturale la narrazione. Non è un grosso intervento chirurgico, ma l'insieme di tante piccole operazioni. 
Terminata anche questa fase, di nuovo, dopo una pausa, mi metto alla revisione successiva. Questa volta, più che un'operazione chirurgica, parlerei di ritocchi. In questa fase è importante decidere, nello sviluppo del romanzo, quali viti stringere, quali allentare. 
[...]
A questo punto, di solito prendo un periodo di riposo. Possibilmente per due, tre settimane, o anche un mese, metto il libro in un cassetto e lì lo dimentico. Nel frattempo viaggio, faccio traduzioni. Quando scrivo un romanzo, il tempo del lavoro ovviamente è essenziale, ma anche le pause hanno la loro importanza. 
[...]
Dopo aver lasciato "dormire" un po' il romanzo, riprendo la verifica accurata dei dettagli. A questo punto l'effetto che mi fa è molto diverso. Difetti che prima mi erano sfuggiti, ora saltano agli occhi, riesco a distinguere quello che ha profondità da quello che non ne ha. Perché anche il mio cervello, al pari del romanzo, ha trascorso un periodo di "recupero". 
La cura è terminata, ho fatto l'ennesima revisione. E qui arriviamo a una tappa fondamentale: il parere di un'altra persona. Quando l'opera ha già una sua forma compiuta, la faccio leggere a mia moglie. È una cosa che lei fa sistematicamente fin dai miei primi passi di scrittore. 
[...]
In questo processo di "intervento di un'altra persona", ho una regola personale: devo a tutti i costi rivedere le parti criticate. Anche se la critica non mi convince, riscrivo i passaggi che mi sono stati segnalati. Magari in una direzione del tutto diversa da quella che la mia consulente mi suggerisce. 
Dopo aver riscritto il passaggio, quando lo rileggo di solito lo trovo molto migliorato rispetto a prima. La mia opinione è che quando un lettore segnala qualcosa, spesso è perché lì c'è un problema. Lo scorrere della narrazione in quel punto si inceppa. Il mio lavoro consiste nell'appianare l'ostacolo. 
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In questa fase, non è necessario rivedere tutto dall'inizio. Basta che mi concentri sulle parti problematiche. Una volta riscritte le faccio di nuovo leggere, le discuto, se necessario le correggo ancora una volta. 
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È a questo punto che per la prima volta consegno il testo all'editore. Ormai l'eccitazione mentale in una certa misura si è placata, e riesco a rispondere con calma e obiettività alle osservazioni dell'editor. 
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Nelle diverse fasi di correzione, mi sforzo di liberarmi di ogni compiacimento, ma se l'ardore si raffredda troppo non si riesce a riscrivere, ed è qualcosa cui bisogna stare molto attenti. Quindi mi sforzo di trovare quel giusto equilibrio che mi permetta di affrontare le valutazioni e le critiche da parte degli altri. 
[...]
Il tempo è un elemento prezioso nella creazione di un'opera. Soprattutto per un romanzo i preparativi sono importantissimi: c'è il tempo del "silenzio", necessario a nutrire e far crescere dentro di sé il bocciolo del romanzo a venire, a sviluppare il desiderio di riscriverlo. Poi c'è il tempo che occorre a dargli forma concreta, e il tempo per far decantare con calma, in un luogo freddo e buio, l'opera terminata, poi tirarla fuori ed esporla alla luce naturale del sole finché solidifica. E ancora il tempo per controllarla con cura, limarla. 
[...]
Se per caso una mia opera, una volta pubblicata, viene severamente criticata - addirittura demolita - riesco a farmene una ragione. Perché sento di avere fatto tutto quello che andava fatto. Allora non c'è critica che possa scoraggiarmi o farmi perdere la fiducia in me stesso. 

Ci regala poi una citazione di Raymond Carver, che diventa una sintesi del suo discorso sulla revisione. 



Se Murakami non aggiunge nulla a ciò che in definitiva sapevamo già, ci insegna che anche un autore celebre ha bisogno di revisione, di tempo, di allontanamento dalla scrittura. Ha bisogno di chi gli faccia comprendere dove il suo scritto fa difetto, così come di sentirsi rassicurato. 

Il migliore passaggio è quello riguardante le critiche negative altrui. Solo se realmente avremo fatto un lungo e accuratissimo e metodico lavoro di revisione sapremo di avere fatto tutto ciò che era umanamente possibile, prima di fargli prendere il volo. 

Cosa pensate del metodo-Murakami? 

30 commenti:

  1. mi sembrano osservazioni di buon senso, soprattutto il "dimenticarsi" del libro, lasciarlo riposare e poi riprenderlo quando è il suo momento (come i fornai di una volta...). Il parere degli altri è importante, ma può anche essere fuorviante; è importante mantenere il "comando" su ciò che si scrive, altrimenti si finisce come la lettrice di gialli col Macbeth (un racconto di James Thurber, se non lo hai letto cercalo perché è divertente)

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    1. Mi piace il termine "decantare", preso a prestito dal mondo del vino, per intendere questo prendere le distanze dallo scritto. Accade probabilmente proprio che nella nostra mente lo scritto "decanti" per poterlo guardare con certa obiettività.
      Cercherò quel racconto, grazie!

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  2. Troppo lungo. D'accordo sui tempi di stesura e di ripensamento; due o tre settimane in cui la tua storia deve scomparire, ma troppe stesure portano lontano dal soggetto originario. È sbagliato. Io rimugino, rumino e rimastico il ruminato a volte per oltre un anno, finché non sono convinto della bontà della storia, cioè di ciò che ho immaginato di scrivere. Quando inizio a scrivere a volte non è l'incipit, che arriva qualche volta alla fine della prima stesura. Non c'è il più delle volte un nesso logico, non scrivo capitolo dopo capitolo, ma fatti, uno dopo l'altro come mi vengono.
    La composizione di tutte le successioni dei fatti la metto in essere con la seconda stesura. Cin la terza correggo e tolgo ancora quello che non ho tolto con la seconda.
    Fortunatamente non devo curarmi della grammatica e della sintassi perché io parlo spesso in dialetto -il romanesco aiuta- ma penso eslusivamente in lingua e grammaticamente nonché sintatticamente corretto, Retaggio del liceo dove mai ho fatto le brutte dei temi. Qui mi aiuta moltisimo la mia quasi incapacità di scrivere corretto in modo non ammanuense. Devo continuamente rileggere e a volte riscrivere perché affollato è il testo di errori di battuta.
    La terza e ultima stesura cura in modo primario lo stile, descrizioni ridotte al minimo soprattutto di paesaggi e di figure umane. Mai indulgere, meno possibili descrizioni di ambienti e di caratteri che devono uscir fuori dal testo. Non si deve creare un paesaggio che TU scrittore vedi, una faccia che TI piace oppure no. È il lettore che nella sua mente immagina quel paesaggio, quell'interno quei volti come vuole lui. Così mi illudo che possa entrare anche nella storia vivendoci dentro, perché questo è ciò che voglio. Ho dipinto tanto e scritto poco, troppo poco. Adesso mi costa fatica anche se è sempre uno spasso.
    Forse sono solamente un buon dilettante e soprattutto adesso non mi va di correre appresso agli editori. Non mi fido troppo degli italiani. Devo provare con un buon editore tedesco, ma scrivere in tedesco è un impresa anche ortografica, per cui avrò bisogno di un ottimo traduttore/trice.
    Grazie per avermi letto fino in fondo. Ciao.

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    1. Hai la possibilità di tentare una pubblicazione in terra tedesca, non è poco.
      Fai veramente un pensiero a quella traduzione. :)

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  3. Adoro Murakami e credo di aver letto molto di suo, Questo libro ce l'ho ma nonn l'ho ancora iniziato.
    Che dirti? Lavoro lunghissimo il suo. Veramente da certosino che però ha un suo ottimo risultato leggendo poi i suoi romanzi.
    Io non scrivo libri quindi parlo da "fuori" ma ti dico che nnonn se se avrei tutta quella pazienza
    Ciao

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    1. Allora avrai letto anche il bellissimo "L'arte di correre". In lui, oltre ai romanzi, mi piace anche questo suo essere metodico, unendo la cura per la salute alla cura scrittoria.

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    2. Quello mi manca ma è in lista desideri :)

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  4. Penso che mi piace Murakami come autore, e l'ho apprezzato moltissimo leggendo "Il mestiere dello scrittore", su cui ho scritto anche un post. La sua semplicità è balsamica. E' capace di riportare tutto alle giuste proporzioni, e pensa a cosa riesce a fare! Un grande. :)

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    1. (Veramente il mio post era su L'arte di correre, ma confermo il resto.)

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  5. In effetti è il metodo più opportuno, la "prima stesura" è per sua natura grezza e incompleta, talvolta ridondante. Rileggere e rieditare più volte è fondamentale per costruire la narrazione in modo coerente, migliorare la prosa e magari scoprire un ulteriore senso da dare alla storia.

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    1. Esattamente. È un lavoro inevitabile. La scrittura è fatica.

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  6. Murakami sembra molto metodico e preciso. Hai ragione lo fa assomigliare a un autore qualunque e non a uno che vende milioni di copie. Trovo molto giusto che ci metta tanta attenzione e il tempo tra una revisione e l'altra. Far decantare a lungo un romanzo è importante, rileggere il testo dopo un certo tempo da una nuova visione della storia e portare correzioni o integrazioni importanti.

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    1. Diciamo che questa sua meticolosità me lo ha fatto sentire più "umano", ecco.
      Quando penso a questi scrittori da milioni di copie in tutto il mondo, tendo a domandarmi costantemente se vi sia una ricetta particolare. Ecco, oltre a uno stile originale, la ricetta è proprio la scrupolosità nel correggere e tornare sul testo infinite volte.

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  7. Mi ritrovo molto in questo metodo, magari non con tutti questi passaggi così definiti e meticolosi, ma in linea generale ciò che faccio è proprio "stratificare" l'editing passo dopo passo. Peccato solo che Murakami non abbia dato qualche consiglio tecnico in più, o almeno mi pare di capire così. L'ultimo punto mi sembra comunque importante: la consapevolezza di aver fatto tutto quanto era in nostro potere.

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    1. No no, il testo è disseminato di consigli. Dedicherò un post ai suoi altri passaggi molto importanti. :)

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  8. Vorrei davvero essere precisa come lui. Spesso non lo sono e so di sbagliare.

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    1. Forse l'errore più diffuso è la fretta di mandare nel "mondo" il testo che scriviamo.
      O forse non averne avuto lettori che preventivamente ci dicano se funziona.

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  9. Questo tuo articolo è veramente utile e rivelatore per chi ama la scrittura. Io adoro Murakami come scrittore, e leggendo il faticoso lavoro a cui sottopone le sue opere, lo stimo e mi inchino a lui anche come persona. Solo chi possiede l'umiltà di fare bene quello che fa può sperare di trasmettere agli altri il proprio valore. Ho sempre pensato che per scrivere qualsiasi cosa che somigli ad un romanzo non la si può scrivere e basta. Probabilmente i tempi lunghi sono veramente necessari.

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    1. Io me ne sono innamorata con "Norwegian Wood", ho letto poco altro ma mi riprometto di recuperare. La sua originalità è innegabile, nel libro spiega proprio come sia arrivato a una scrittura molto personale, sua.

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  10. Credo che la parte della revisione sia il malditesta più fastidioso da superare di tutto il processo che precede la pubblicazione. Lasciare riposare il testo più e più volte è un ottimo sistema che permette di avere sempre la visione giusta riguardo il testo. Più lo si asciuga e lima meglio rende e risulta d'impatto per il lettore. Io personalmente faccio unpo' come Maria Teresa, revisiono a strati fino a ritrovarmi nella volta successiva con un testo che alla rilettura mi sembra diverso e più convincente. Ma ho idea che potrebbe anche trattarsi di un'operazione infinita se non subentrasse la voglia di conoscere il punto di vista dei lettori.

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    1. Credo anch'io che una revisione non possa compiersi all'infinito. Importante è essere consapevoli e assolutamente certi che non si possa fare altro, non di più.

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  11. Sostanzialmente lui è un pantser ("non faccio mai un piano all'inizio, procedo improvvisando come mi viene, senza sapere né come si svilupperà né come finirà.") e questo comporta necessariamente un maggior lavoro di revisione e cancellazione, proprio perché si deve andare a strutturare dopo quel che manca di progettazione iniziale. E' un po' strano da parte sua, dato che per le maratone (si legga "L'arte di correre") lui pianifica a puntino tutti gli allenamenti, senza lasciare nulla al caso.
    Il mestiere di scrivere è lì sul tavolino in attesa. Dovevo leggerlo subito dopo L'arte di correre e al solito, gli è arrivato qualcos'altro sopra! :D

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    1. Sai che anche Rosella Postorino ha detto ieri che il suo metodo è quello di non programmare nulla? E che il bello, una delle cose belle della scrittura è proprio questo compiersi della storia, della quale lei non sa nulla man mano che le idee arrivano.
      Altro che scalette in cui si sappia anche il finale. Credo che solo i gialli debbano seguire questo iter.

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    2. Anche i romance devono già conoscere il finale, gli viene imposto dal genere. Non scegli come finisce, ma solo le parole e l'ambientazione.
      Mi riesce poi difficile credere di Rosella Postorino né Le assaggiatrici non abbia programmato nulla, semplicemente perché ha preso un personaggio realmente esistito (cambiandone nome, stile, romanzandolo in larga percentuale) ed ha trattato un tema storico. Per cambiarne il finale, doveva renderlo un distopico. Essendo poi lei già un editor per Einaudi è probabile che "scriva revisionando" senza nemmeno rendersene conto.

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    3. Nel caso della Postorino, lei è partita da una base di storia realmente accaduta, ma aveva pochi elementi, tutti legati alla biografia di Margot Völk. Si sapeva che era sopravvissuta alla guerra, che suo marito era tornato dal fronte, che era fuggita dal villaggio vicino alla Tana del Lupo grazie a un tenente nazista. Pochi elementi di cui ha tenuto conto, ma attorno ai quali ha intessuto una rete di altri personaggi, ciascuno con la propria storia. Ha chiaramente detto che al di là di una partenza programmata il resto è tutto uno svelamento. Altrimenti non ci sarebbe neanche gusto a scrivere.
      Io quando ho scritto il mio romanzo ho stessa modalità. Sapevo poco del mio personaggio ma soprattutto pochissimo di chi avrebbe incontrato. La storia mi si è rivelata lentamente.
      Quanto all'aver pubblicato con Feltrinelli, sai che mi era saltato in mente di chiederglielo durante l'incontro nel momento in cui hanno dato la parola al pubblico? Poi non me la sono sentita, perché forse è una cosa riservata, chissà.
      Ho chiesto invece come facesse a non lasciarsi contaminare dalla rilettura di classici, perché ha detto che ogni anno rilegge quattro o cinque classici tra Flaubert, i russi, i francesi.

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    4. Ho scritto in fretta, ci sono un paio di cose da correggere. ;)

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  12. Ciao, scusa se vado OT ma ho parlato anche di te: https://wwwwelcometonocturnia.blogspot.com/2018/11/quali-sono-i-vostri-blog-preferiti.html
    Anche nei commenti hai ricevuto molti complimenti per il tuo blog.

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    1. Grazie, Nick! Vado a leggere.
      Giorni frenetici per me. :)

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  13. Mamma mia, se penso a quegli scrittori/ici che (auto)pubblicano libri uno dietro l'altro e si vantano pure che sono veloci nello scrivere....

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    1. Ciao e benvenuto/a! Effettivamente... Diffido di chi è veloce nel leggere e soprattutto nello scrivere.

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