Scrivere. Interrogandoci sul perché si scriva, ci diamo una risposta simile a quella di tanti: è urgenza, bisogno. Ogni storia uscita dall'immaginazione è come una creatura che per molto tempo è stata dentro di noi. L'abbiamo pensata, ideata, accompagnata nel suo lungo cammino di "gestazione", per poi tornare indietro e ripercorrerla più e più volte.
La mia storia narrata è un romanzo storico che è con me da più di vent'anni e sta lentamente prendendo una forma definitiva per essere portata... fuori.
La mia protagonista con le sue avventure, le vicissitudini della sua epoca, il suo viaggio interiore e nel mondo e la strenua lotta alla ricerca di se stessa, è nata nella mia immaginazione durante un viaggio in America, nel 1997, in un pomeriggio assolato nel deserto dell'Arizona. Un viaggio desiderato a lungo e realizzato anche per guardare da vicino gli ultimi di una grande stirpe, i nativi americani, meglio noti come "indiani d'America".
Fin da piccola ne avevo subito il fascino guardando i grandi film che ne hanno narrato la disfatta, gli abusi subiti, l'ingiustizia contro la quale questo popolo si difese fino all'ultimo sangue. Film come Soldato blu, Il piccolo grande uomo, Geronimo, Balla coi lupi, dai quali ho imparato una visione d'insieme, o altri come la trilogia de L'uomo chiamato Cavallo, che mostra la possibilità dell'integrazione di un bianco fra i nativi, o ancora Corvo Rosso non avrai il mio scalpo, che presenta una visione equidistante fra bianchi e nativi, e molte altre produzioni minori aventi il merito di presentare "l'altro punto di vista", rispetto al cliché dei selvaggi scotennatori con trecce e piume.
Questa passione mi portò alla scelta di concludere il mio corso di studi universitari con una tesi sulle donne native. Ebbi modo di leggere decine e decine di pubblicazioni e un repertorio ampissimo di fonti. Acquistai diversi testi anche solo per puro gusto di andare più a fondo, oltre ai necessari documenti strettamente legati alla tesi.
Alcuni esempi: Gli spiriti non dimenticano, di Vittorio Zucconi, diversi libri di Dee Brown, dall'imperdibile Seppellite il mio cuore a Wounded Knee a Lungo le rive del Colorado a Un fischio nella prateria a Attorno al fuoco, il notissimo Donne che corrono coi lupi, un testo sulla poesia contemporanea delle donne native e perfino la biografia di George Armstrong Custer.
La mole di materiale mi portò a una tesi compilativa che fu premiata col massimo dei voti e al desiderio e poi realizzazione di quel viaggio, che doveva completare un quadro d'insieme, guardando da vicino alcuni luoghi dove si svolsero importanti eventi di quella Storia tutta che è l'epopea degli indiani d'America.
Tutto avvenne nel giro di pochi mesi: laurea, viaggio, trasferimento in altra regione. Cambiamenti importanti che si unirono al desiderio di servirmi di quelle fonti per costruire una narrazione di genere storico, un Bildungsroman, un "romanzo di formazione. Mi sono appassionata a questo tipo di romanzo dai tempi in cui lessi David Copperfield di Dickens, Jane Eyre di C. Bronte, e Storia di Tom Jones di Fielding. Se oggi posso dire di non amare particolarmente le saghe familiari, continuo a preferire il Bildungsroman.
L'accezione di "romanzo di formazione" è piuttosto particolare, risale al genio di Goethe, che ne diede una definizione magistrale. Si tratta di una materia complessa, poiché il protagonista costruisce la propria immagine di sé attraverso le sue azioni, pertanto il lettore assiste all'evolversi della sua maturità, della consapevolezza, della conquista di un suo posto nel mondo.
Il mio romanzo storico, il mio Bildungsroman, ha attraversato il tempo per nascere due volte, la prima ben 17 anni fa, la seconda fra non molto. Manca poco, giacché la revisione generale è terminata, così come un editing leggero nel quale sono stata aiutata dopo un mio personale editing della versione originaria, che aveva bisogno di una grande operazione di "sottrazione".
I primi capitoli sono stati letti anche da alcune blogger di mia conoscenza, che mi hanno dato alcune dritte di cui ho fatto tesoro per tutto il lavoro di revisione.
Alcune curiosità sui cambiamenti in fase di editing
Il titolo del romanzo ha avuto tre versioni: Fra le montagne e il cielo, Sin'opah, Esther Dunn. Il primo titolo appartiene alla versione originaria ed è tratto da un passaggio del romanzo stesso nella sua parte finale, il secondo è stato il titolo col quale 17 anni fa distribuii il romanzo ai miei parenti, che ancora ne conservano una bella versione stampata e rilegata, il terzo è quello definitivo.
Il nome della protagonista è cambiato: da Theodora Mary Fletcher è diventato Esther Dunn, nome meno "plateale" e più realistico, breve, non particolarmente bello.
Sono stati rimossi due personaggi: questo è tipico della fase di editing approfondito, che ti fa guardare a quali personaggi siano realmente necessari alla storia e quali invece possono risultare mere ridondanze. Sono stati rimossi una sorella della protagonista e un personaggio della città di frontiera dove la protagonista vive per un periodo.
Al termine dell'editing, il romanzo non è ancora pronto per spiccare il volo. Almeno non lo ritengo tale. C'è bisogno di una specie di "decanter" interno alla scrittura, che maturi in un periodo di distacco. Sono stati mesi di immersione totale nella materia e ho bisogno di schiarirmi le idee, di rinvigorire le forze e di arrivare a guardarlo spingendo ancora in là il senso critico.
L'attaccamento psicologico alla materia è innegabile. Ci sono momenti in cui sento un malessere fisico proprio, pensandoci. È strano, doloroso perfino. Quindi devo staccarmi da questa cosa e metterla a fuoco più a distanza. Probabilmente serviranno dei mesi.
Nel frattempo, devo capire la strada da far prendere a questo romanzo. Informarmi, bene, decidere se gestire tutto da me, con tanto di lancio, sito web, pagina social, presentazioni, oppure tentare la strada di un editore.
Sono solo certa di questa strana sensazione di distacco, dopo anni di costruzione, mattone su mattone, di questa epopea storica e umana. Sto fisicamente male, come ho scritto, non so se è buon segno.
Cosa mi dite di questa sensazione?
Ci vuole un po' di tempo per prendere le distanze dalla storia, oltre che per terminare la revisione. Non mi è mai capitato di provare un vero disagio, ma credo che in questo mi agevoli avere sempre (non per mia scelta) un periodo cuscinetto, alla fine del lavoro, in cui ancora non distinguo cosa ho espresso di mio. Dopo un certo tempo la cosa mi diventa molto evidente, ma a quel punto il distacco è già avvenuto. Ti faccio i miei migliori... ooops, volevo dire in bocca al lupo per questo romanzo che leggerò ancora caldo di forno. L'argomento mi è caro. :)
RispondiEliminaAggiungo: di solito quando arrivo a fine revisione non ne posso più della storia, e sono contentissima di lasciarla andare!
EliminaSarà che ho necessità di dedicarmi anche ad altro al momento, scadenze importanti in particolare sul versante del teatro, ma sono sollevata al pensiero di prendere le distanze da questa storia. Negli ultimi mesi mi ha letteralmente consumata. :)
EliminaAnch'io nel profondo vorrei lasciarla andare, spero solo di mandarla nel mondo pronta ad affrontarlo. :D
Grazie!
Non ti posso essere d'aiuto. Non ho provato dolore quando è stato il mio caso. Avevo timori e dubbi ma anche voglia di far conoscere agli altri ciò che avevo scritto e questo aspetto ha avuto la meglio.
RispondiEliminaAnche sul consiglio non saprei. La ricerca del giusto editore può richiedere molto tempo e pazienza mentre quella del self qualche competenza. Ognuna è giusta se fa al caso proprio. Dovresti mettere sul piatto i pro e contro di entrambe e poi decidere. Mentre sul prendere le distanze concordo è assolutamente indispensabile.
Però innanzitutto complimenti per il risultato raggiunto!
Grazie, Nadia. :) Il mio malessere fisico è un mix di coinvolgimento emotivo e senso di appartenenza. Se penso che è stata ideata e scritta da giovanissima e poi ripresa in età matura, ma con occhi nuovi, ecco, allora senti che è qualcosa di profondamente tuo. Per altro la mia difficoltà a lasciare andare risiede anche nel fatto che è una storia molto complessa, articolata, appartenente a un genere di cui spero di avere rispettato i canoni.
EliminaVent'anni sono tanti, penso sia più che normale provare una profonda sofferenza nel distaccarsi da una storia così a lungo "coccolata" e sentita propria. Anche l'immagine che hai scelto per questo post la dice lunga sul tuo stato d'animo.
RispondiEliminaIo pure ho vissuto il dolore del distacco più volte e non diventa più facile.
Non ti consolerà saperlo, ma nel momento in cui pubblichi, ovvero liberi davvero la tua creatura, qualcosa cambia. Lo senti meno tuo e lo stato d'animo si fa più leggero, anche perché subentrano nuove emozioni.
In ogni caso, sono molto contenta per questo tuo traguardo e ti faccio tanti complimenti, perché il lavoro non deve essere stato facile.
Ora non ti resta che pensare a un modo per farlo conoscere ai lettori!
(PS Sai che a me piaceva di più Theodora Mary Fletcher?)
Sì, vent'anni sono tanti. Ha trascorso molto tempo racchiusa nelle pagine che stampai e rilegai, ogni tanto l'ho ripresa in mano per rileggerne alcuni passaggi. In questi anni di blogging mi sono molto interessata ai percorsi di alcuni di voi, vi ammiro per la tenacia che mettete nel produrre e poi distaccarvi, ma come mi dici, e immagino la sensazione, non è facile il distacco e porta una sensazione di condivisione.
EliminaSì, quel nome l'ho amato moltissimo ma era troppo "romanzesco", troppo giusto, troppo perfetto. Insomma, in questo editing ho cercato un realismo che si è poi riversato anche su questa scelta. Per altro, diventerà il titolo del romanzo. Il nuovo nome si presta molto meglio a diventarne il titolo. :)
A volte ci vuole tempo perché le cose vengano al meglio. Quindi non ti preoccupare, il distacco può essere duro, ma sono sicuro che ne varrà la pena.
RispondiEliminaIncrociamo le dita. :)
EliminaChe ti dico, che comprendo benissimo, perché ho vissutoogni volta esattamente le stesse sensazioni. Dopo tutto questo tempo, passato a innamorarti del tuo romanzo, prendere le distanze può apparire quasi impossibile. Ma salutare. I tuoi riferimenti sono importanti e sono certa che la storia sarà ricca e articolata, per questo i tagli e le assottigliature sono necessarie, perché vent'anni di riflessioni, vent'anni di scrittura sono tanta roba e forse qualcosa può essere abbandonato.
RispondiEliminaPrima di arrivare alla prima revisione del mio nuovo romanzo, sono stata un mese in stand by. Ho pensato ad altro, vientandomi di tornare alla storia fosse anche solo per pensare alla copertina. Ha funzionato e ora che ho terminato proprio oggi la seconda revisione (ti do uno scoop, non l'ho ancora nemmeno scritto sul blog) sentoil bisogno di riposare ancora.
Intanto ti faccio i complimenti, perché terminare una storia è sempre un grande risultato. MOlti non ci arrivano mai, ricordalo bene. E ora, champagne!
(Non vent'anni di riflessioni, per carità, è che era stato abbandonato completamente e per moltissimo tempo, pensavo di averne concluso il percorso semplicemente stampandone qualche copia e distribuendola a qualcuno, poi invece ho pensato a dargli una possibilità).
EliminaSì, dici bene, innamorata, emozionata, troppo coinvolta. Ora è tempo di prenderne le distanze, per poi tornare. Per altro ho pensato di stamparne una copia e rileggerlo su carta. Può servire.
Ora, con gli impegni di teatro che attendono, se sarà pubblicata in proprio, come minimo si tratterà della prossima primavera. :)
Intanto complimentoni per aver portato in porto un progetto che oserei definire di vita, vent'anni non sono bruscolini. Questo la dice lunga sul lavoro di ricerca e di approfondimento che hai dedicato alla storia. Sono convinta che sia un progetto meritevole di passare al vaglio di un editore serio. Invialo a una CE media, anche se ciò significherà attendere un altro po'
RispondiEliminaIl romanzo fu scritto in cinque anni circa, poi stampato in poche copie, e lì credevo che avrebbe terminato il suo percorso. L'ho ripreso dopo vent'anni per dargli una vera opportunità. Perché forse ho davvero qualcosa di importante per le mani e perlomeno è importante saperlo.
EliminaGrazie, carissima.
È difficile far spiccare il volo a una storia. Proprio il lasciarla andare. È come lasciar andare una parte di noi.
RispondiEliminaIo però questo romanzo lo voglio leggere. Lo vedrei benissimo pubblicato da Neri Pozza.
Sono contenta che tu voglia leggerlo. :)
EliminaE grazie per la dritta su Neri Pozza! Proverò.
In genere io quando finisco una narrazione mi sento invece "sollevato", come se avessi finalmente fatto fuoriuscire dalla mente qualcosa che voleva uscire ma solo con una forma ben definita in ogni dettaglio. Il travaglio è prima e non dopo per me, ognuno di noi ha il suo modo di vivere la scrittura.
RispondiEliminaConsigli non te ne posso dare, nel senso che la scelta deve rispecchiare i tuoi obiettivi. Se optassi per l'autopubblicazione sono a tua disposizione per ogni consiglio e suggerimento sulla base della mia personale esperienza.
Grazie, Ariano, per la tua disponibilità, ti prendo in parola. :)
EliminaBeato te sul sentirti sollevato, è il pragmatismo maschile che davvero invidio. :)
Ecco perché mi chiedevi dei nativi americani nella quarta stagione di Outlander!
RispondiEliminaSe può esserti d'aiuto (ma direi che oramai hai già terminato la parte di ricerca) nel primo volume dell'Outlandish Companion c'è tutta la bibliografia della ricerca fatta da Diana Gabaldon per i primi 4 libri (i primi 7 italiani), quindi anche per la parte dell'arrivo nelle colonie, in Georgia e poi North Carolina. Ci sono le sezione "COLONIAL NORTH AMERICA AND THE AMERICAN REVOLUTION", "NORTH CAROLINA: HISTORY, GEOGRAPHY, NATURAL HISTORY, ETC." e poi "NATIVE AMERICAN CULTURES AND HISTORY, ETC."
Nel caso, posso inviarti l'estratto.
Per quanto riguarda quella sensazione, è ancora presto per me, te lo saprò dire più avanti. Ma pure Camilleri in un'intervista disse che la parte più difficile della scrittura è "licenziare" il testo (cioè darlo alle stampe). Per te non è mai pronto.
Allora sul serio zia Diana ha dato ampio spazio ai nativi americani!
EliminaMi piacerebbe molto ricevere quell'estratto. Grazie, Barbara.
Beh, se anche il sommo Camilleri trova difficile staccarsi dalla propria materia, ciò è consolante. :)
Mamma mia! Mi sembri Alessandro Manzoni che risciacqua in Arno Gli sposi promessi.
RispondiEliminaFormidabile lavoro. Invidio la tua concentrazione. Ricordo quando ho scritto -non quelli pubblicati- ma "Rimasti a Suarez" ancora inedito, "Sebastiana cambia pelle" mai presentata ad un editore, o "Intervista a D.O." iniziato non meno di 10 anni fa e non ancora terminato. Ce l'ho nel cuore, sta al caldo lì dentro. Fatiche enormi, gestazioni dolorose, ma niente aborti.
Se un consiglio posso darti: fai una pausa, cerca di non pnarci per un periodo di un paio di mesi, poi lascia perdere la storia, i personaggi e vai sul linguaggio. Cerca uno stile tuo, che dia al lettore immediatamente l'impressione di con chi abbia a che fare, che distingua la tua pagina dal tocco, dagli aggettivi usati-pochi ma incisivi-dagli stacchi. Già ti viene, lo leggo dai tuoi post e tu esalta la tendenza e stai tranquilla VAI BENE COSÌ.
Poi vai dal tuo editore e lasciaglielo sullo scrittoio, e vattene.
È vero, bisogna cercare uno stile proprio, ma su questo aspetto non ho potuto fare molto. Vent'anni fa scrivevo in un modo molto simile alla Bronte, la Warthon. Avrei dovuto modificare totalmente il romanzo, ma non me la sono sentita.
EliminaDovresti tentare quelle pubblicazioni!
Ci sono storie più dolorose da scrivere e lasciare andare, questo è certo, in quei casi quindi il processo di distacco avviene più lentamente ma comunque si arriva al momento giusto in cui si capisce che semplicemente basta. Io ti suggerirei pure il concorsone DeA Planeta, c'è tempo ed è una grande opportunità
RispondiEliminaEcco, hai colto perfettamente il senso di questo post. Ci sono storie più dolorose da scrivere e lasciare andare. Nel mio caso, la storia narrata sentivo come importante, per le tematiche, i contenuti, per il messaggio che questo romanzo intende dare.
EliminaGrazie, farò un pensiero anche a quel concorso, ma temo che sia troppo lungo per poter tentare...
Staccarsi da una storia non è facile, soprattutto quando ha fatto parte della tua vita così a lungo. Però è il momento di lasciarla andare, è un po' come un figlio che va a vivere per conto suo, è triste ma è un passaggio inevitabile, però può portare gioie nuove.
RispondiEliminaÈ verissimo. E dal momento che è come un figlio, allora bisogna trovare la strada giusta da fargli prendere. Anche questa fase è importante, tu che pubblichi da anni lo sai benissimo.
EliminaNon ho consigli di scrittura ma posso solo dire che Esther Dunn, come nome, mi piace moltissimo. Fila come una freccia.
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