È una bella serata fra amici quella, si festeggia Claudia. Appare luminosa e fiera del suo diadema sul quale campeggiano il numero 50 e l'happy birthday effetto glitter.
Le ore scorrono, così come gli aneddoti di una vita trascorsa mentre, come da rituale, si fa a gara per ricordare quella volta che. Dopo l'ennesima spiata all'orologio, Claudia tira un sospiro di sollievo guardando la porta del ristorante aprirsi: finalmente suo figlio Stefano, almeno in tempo per la torta.
"Ti ho dedicato abbastanza tempo, ma'", le aveva detto rifiutando di partecipare alla serata. Almeno aveva promesso di presenziare al soffio delle candeline ed eccolo là, dinoccolato e sfuggente. È arrivato assieme a un amico che Claudia conosce, è lui che guardo, attratta dal cappello da pescatore calato sulla testa, sotto la falda uno sguardo vivido e allegro. Mentre Stefano risponde distratto al saluto dei vecchi amici di sua madre, Leo si presenta stringendo affabile la mano di tutti e in un attimo catalizza l'attenzione.
Gli bastano poche battute per posizionarsi, un cenno al fatto che lui e Stefano sono stati compagni di scuola e adesso insieme di nuovo nella pizzeria dove servono ai tavoli.
Leo infila nel discorso, ad arte, il suo presente, gli basta una domanda sulla maturità imminente. Non sa se sarà ammesso agli esami, è assai probabile che non supererà l'anno perché alle tante assenze si unisce un certo disinteresse verso tutte le materie. Anche quelle che un tempo amava e sulle quali aveva puntato tutto. Stefano gli indica me, gli dice che sono un'insegnante. Gli occhi vividi di Leo si puntano sul mio sguardo e chiede: "Cosa insegna?". "Lettere".
Ed è in quel preciso momento che Leo inizia il suo racconto, lo percepisco come un'urgenza, un'opportunità per raccontarsi per l'ennesima volta anche a se stesso. Mentre lo fa guarda solo me, la prof di Lettere, come a qualcuno che rappresenta una categoria nella quale ha smesso di credere. Si alza, muove le mani esibendo una postura in linea con le parole, ha una voce gradevole e un ritmo nel discorso che non puoi fare a meno di ascoltare. È assertivo ma gentile, cauto nel non offendere, attento a difendere la propria posizione di studente tradito e disilluso.
Nel sintonizzarmi sulle sue parole amplio il mio sguardo sulla sua felpa sdrucita, il jeans che avrebbe bisogno di una lavata, il cappello da pescatore che non ha tolto. Gli occhi d'una lieve forma a mandorla sono di una bellezza straniante, così come il sorriso che alterna a momenti di cupa serietà.
"Sono uscito col 10 dalle medie e volevo studiare e imparare sempre più cose, per questo mi sono iscritto al liceo delle Scienze umane", dice, dopo aver fatto il suo preambolo sul rischio di lasciar perdere del tutto la scuola. Tira fuori un cellulare, uno di quelli che si piegano in due, e scorre il dito sui file mentre dice di volermi fare leggere una cosa. Me lo passa con un lampo in quegli occhi belli.
È una poesia, una lirica d'amore in cui si alternano anafore, rime e assonanze molto interessanti. Mentre leggo, il mio vicino di posto gli dice di "fare uno sforzo" per finire l'anno, ma non mi distraggo dai versi, il metro un incrocio fra dolce stil novo e un brano rap. Gli restituisco il cellulare dicendogli che è bella, mi piace, non c'è bisogno di dirmi che è sua.
"Voglio pubblicare le mie poesie prima o poi".
"Sì, ci puoi provare, Ma la tua prof di Italiano che dice?".
Leo fa spallucce rimettendosi il cellulare in tasca, risponde che non c'è dialogo fra lui e i suoi insegnanti. Ha cominciato ad assentarsi quando ha visto nelle facce di tutti loro noia e demotivazione. "Che ci faccio con questa gente che viene a timbrare il cartellino la mattina? Che ci faccio con un prof di filosofia che si limita ad aprire il libro e leggere i paragrafi? Non vedevo l'ora di fare Nietzsche, la teoria dell'eterno ritorno, del superuomo, ma che ci faccio con uno come quello? Non racconta niente, non entra nel merito, non fa agganci col presente, niente".
Ah, Leo. Quanta ragione hai. Ma non posso dirtelo, perché ti danneggerei. Posso solo dirti che fra quelle righe tu sei in grado da solo di cercarti il tuo Nietzsche. Non farlo significa punire te stesso, perché prenderti le colpe di questi adulti incapaci non è giusto, ma questa parte la tengo per me, per non mostrarti il mondo ancora più invivibile di quello che già è.
Leo vira a quel punto verso il suo nichilismo, unito a una visione del mondo come può averla un diciannovenne, un ragazzo senza esperienza in questa vita di compromessi. In lui palpita la vita giovane che ti rende inconsapevole dei danni a lungo termine e tutta l'assenza di un adulto che lo aiuti, lo guidi, lo sproni. Leo ha fame di vita e si nasconde la fame di una guida verso la conquista di un proprio posto nel mondo. Gli mancano i puntelli ma non so nulla della sua famiglia, posso solo inventare.
Lo guardo e penso a quanta intelligenza e sensibilità gli vibrino dentro, quanta materia umana sprecata, sfilacciata e poi dispersa per colpa dei grandi assenti. Le colpe dei padri, delle madri, dei prof, di un'intera generazione di perdenti colpevoli di fare di questi giovani dei dispersi. Dei sommersi.
Claudia soffia sulle candeline, dopo la canzoncina di rito un lungo applauso. Leo e Stefano sono gli unici in piedi, fuori dal coro perché la loro baldoria è plateale, mista a un vago sfottò verso tutto e tutti.
Addentano la fetta di torta con gusto, bevono il prosecco e poi in tutta fretta salutano. Se ne vanno così, dieci minuti in tutto, le felpe non bastano a proteggerli dal freddo di questo strano aprile. Leo si allontana gettandomi un ultimo sguardo, per pochi minuti ci siamo connessi e non è stato male.
Chissà che studente saresti stato, Leo, se ci fossimo frequentati in un'aula, se fossi stata tua prof di Lettere. Forse neppure io avrei trovato un modo per arrivare fino a te, forse sì.
Posso solo augurarti di trovare il buon vento che spinga il tuo canto purissimo e possa darti una bussola. Non voglio saperti perduto per sempre.
*****
I nomi sono fittizi, l'esperienza autentica.
Il vero problema è che la scuola è sempre più una livella. Lo è sempre stata, ovviamente (e con ovviamente intendo: ovvio che sia così, non potrebbe essere altrimenti). Ci sono insegnanti illuminati (ne conosco, e sicuramente tu lo sei) che riescono a captare qualcosa, individualismo in mezzo alla massa amorfa. Perché ognuno ha il suo percorso, ma appunto: la scuola è una livella e deve essere tale. Le regole sono queste, sarebbe altrimenti anarchia.
RispondiEliminaLeo troverà sicuramente altro, come tutti quelli che hanno questa forza.
Peccato, però.
Moz-
Una livella e anche tanto altro. Un luogo che ormai annega in pastoie burocratiche che scoraggiano qualsiasi velleità, per esempio. Docenti non dico di altissima preparazione ma almeno dotati di desiderio, abnegazione, durano qualche anno, poi si appiattiscono dietro a un sistema non gratificante, che avvilisce il loro ruolo. "Leo" parlava di professori che "timbrano il cartellino", distratti e piatti, ma sospendo il giudizio almeno in parte, perché la scuola italiana non offre un ambiente favorevole neppure a chi insegna. Troppe cose sono in gioco nel mestiere di insegnante, molte di queste toccano l'aspetto dell'emotività e della "tenuta" rispetto a un ambiente sempre meno vivibile. Ciò detto, esserlo e perdersi un ragazzo che avrebbe avuto potenzialità ottime di riuscita è la spia di un'emergenza che non si può trascurare.
EliminaMi permetto: oggi la scuola è l'ultima Eldorado. L'ultimo posto fisso possibile e negli ultimissimi anni TUTTI si sono riscoperti con questa vocazione. Quarantenni ma anche e soprattutto cinquantenni, che non si sa cosa hanno fatto prima (nel senso: hanno fatto altro, di pari e più dignità, sia chiaro) e che si fiondano a prendere i 34 CiEffeÙ, corsi e controcorsi, specializzazioni interne ed esterne,, concorsi et voilà ecco: tutti professori. TUTTI.
EliminaEd è vero che quindi per tanti di questi sia un timbrare il cartellino, o meglio SOPRAVVIVERE DIGNITOSAMENTE con uno stipendio fisso.
Perché, altrimenti, mi domando: cosa cavolo hanno fatto prima? Si sono riscoperti tutti amanti della scuola solo oggi?
Secondo me, questo aspetto - in corso da qualche anno - è la prima rovina della scuola.
Moz-
Innegabile, ma in una situazione complessa è solo la punta dell'iceberg. Quando si parla di docenti demotivati spesso si tratta di docenti di lunghissimo corso, incancreniti da decenni di mestiere in cui hanno visto il progredire di situazione sempre meno gestibili. Insegnare trent'anni fa era una cosa, farlo adesso è tutt'altro e richiede competenze che in tantissimi non possiedono. A maggior ragione se provengono da un ripiego last minute sulla scuola (anch'io ne conosco tanti), però dalla mia esperienza ti posso dire che il problema maggiore sta sulla docenza "di vocazione", ecco. Poi qui si parla delle superiori, dove il problema è esponenzialmente maggiore. Io nella secondaria di primo grado lavoro in un ambiente ancora abbastanza "protetto" e ancora motivante (i ragazzini fra gli 11 e i 14 anni sono un bellissimo campo d'azione, ma negli ultimi 7/8 anni qualcosa è cambiato, ma non in meglio). La società sta cambiando in maniera irreversibile, stare dietro a questi cambiamenti è un lavoro a sé (vedasi la miniserie Adolescence e il clamoroso fallimento educativo). Problema insomma multisfaccettato ed enorme.
EliminaQuelli di lungo corso potrebbero ormai essere spenti, arresi a una scuola-azienda che li ha appiattiti.
EliminaAl di là di questo stare al passo coi tempi - che giustamente sottolinei - che decisamente manca in moltissimi. Ma manca in ogni ambito, eh.
Moz-
Purtroppo molto dipende dal singolo insegnante. In Italiano sono sempre stato bravo, una materia che mi è sempre piaciuta, con tutti gli insegnanti che ho avuto. Tranne che per l'anno della terza media: venne un sostituto per l'intero anno, un idiota colossale che riuscì a annoiare e infastidire l'intera classe con il suo modo di fare assurdo. Riuscì a farmi odiare la materia, tanto è il potere di un singolo professore inadatto a fare il professore.
RispondiEliminaNel bene e nel male un insegnante "segna", per fortuna o purtroppo.
EliminaSempre sono esisititi e sempre esisteranno insegnanti appassionati, che se ne fregano del programma, delle regole e delle consuetudini, che parlano e ascoltano ogni studente, che traggono linfa dalla bellezza che propagano e da quella restituita da chi viene rapito e comprende la gioia del come e cosa viene insegnato, e ne fa prezioso bagaglio.
RispondiEliminaUna descrizione molto bella, Franco. Voglio conservare questa tua definizione. Mentre la rileggo penso a un personaggio di fantasia: il professor Keating. Comunque, il post voleva porre il focus sulla figura del ragazzo e su quanto ci stiamo perdendo di questi giovani, perché, non si dimentichi, tutti gli altri compagni e compagne di classe di "Leo" continuano a frequentare la scuola regolarmente e senza problemi vagamente assomiglianti ai suoi. "Leo" è un tipo di ragazzo che richiede di più, probabilmente un dotato in maniera divergente. Ecco, il problema è essenzialmente acchiappare uno come lui, e non tutti ne sono capaci, al di là di tutti i limiti di tanti insegnanti.
Eliminanon so se nemmeno il prof. Keating sarebbe riuscito a entrare in sintonia con Leo. Ho l'impressione che i pessimi insegnanti siano stati un alibi per Leo a giustificare la sua avversione alla scuola, all'apprendimento codificato, alla convivenza sociale tra i banchi. Leo, ragazzo sicuramente dotato, e allievo modello prima di "maturare", ha strumenti per riuscire a trovare la sua strada che prescinda dagli insegnamenti e/o dalle storture scolastiche.
RispondiEliminamassimolegnani
Anch'io in fondo ne dubito. È apparso evidente che il suo background fosse disastrato. Per quanto ci piaccia pensare alla scuola come il nucleo fondante di ciascuno, sta di fatto che la famiglia invece gioca questo ruolo. E spesso la famiglia è pressoché inesistente.
EliminaI professori hanno una responsabilità enorme nei confronti degli studenti. Perché c'è un'educazione alla vita (imprescindibile) che parte dalla famiglia, ma c'è un'altra educazione (legata alla conoscenza, allo sviluppo di giudizio critico, alla formazione di un bagaglio culturale) che spetta agli insegnanti di scuola e in questo caso il rapporto diventa uno scambio: ti offro la mia curiosità, la mia voglia di sapere in cambio dell'entusiasmo nell'insegnare, della capacità di attirare l'attenzione, di coinvolgere, di interessare. Tu, cara Luana, tutte queste cose le fai e anche bene, ma molti professori sono meri impiegati del ministero dell'istruzione, fanno quello che gli tocca fare e sono a posto così. Mi dispiace per Leo: potenzialmente poteva fare o essere qualcosa di più che un diciannovenne disilluso e da come lo hai raccontato, il ragazzo sembrava proprio avere dei rimpianti, una cosa che mai dovrebbe mai appesantire la coscienza di un giovane di quell'età.
RispondiEliminaVedere il rimpianto in un ragazzo di appena diciannove anni è durissimo. Non so fino a che punto la scuola potesse agire su di lui, ma c'era un certo potenziale, qualcosa che purtroppo resterà sepolto sotto tutta la sua disillusione. Ci sono casi in cui anche se sei un ottimo insegnante non puoi fare nulla, o pochissimo, perché manca l'impegno, l'interesse di base (ragazzi amorfi anche nei propri desideri, difficili da inquadrare, annoiati di una noia inattaccabile a qualsiasi stimolo, ahimè esiste anche questo!), ma con "Leo" sono certa si sarebbe potuto fare qualcosa.
EliminaMolti ragazzi mi ricordano Leo, soprattutto oggi. Hanno potenzialità spiccate e spesso non trovano chi li guidi per incanalarle nel modo giusto. Anche il mondo virtuale non aiuta, perché si cercano strade facili di guadagno che allontanano da valide preparazioni culturali. Gli insegnanti a volte sbagliano ma anche la società attuale non aiuta. Interessante racconto. Grazie Luz.
RispondiEliminaE io immagino che "Leo" trascorra molto tempo in quel mondo virtuale, purtroppo. Grazie a te, Pia.
EliminaMah. Senza nulla togliere alle difficoltà della scuola e dell'insegnamento, nonché alla responsabilità della società, ma in primis della famiglia, dare la colpa ai professori qui mi pare una situazione di comodo. E parecchio lontano dalla maturità che ci aspetta da uno studente delle superiori.
RispondiEliminaSei uno studente brillante, curioso, interessato, capace e ti lasci abbattere da un paio di insegnanti svogliati? Di più: ti fai rovinare la conquista del tuo posto nel mondo dalla loro inettitudine?!
Certo, il sistema fa schifo. Faceva schifo quando c'ero io, e sono passati eoni. Con l'intelligenza artificiale che morde da una parte e gli insegnanti sottopagati dall'altra (i più sottopagati dell'intera area OCSE! Che primato!), può essere solo peggio. Però, il gioco lo puoi cambiare solo quando ci sei dentro, non quando butti all'aria tutte le carte!
Torno in classe e quando il professore si limita a leggere la pagina, io alzo la mano e chiedo spiegazioni. E se non mi convince, vado avanti tutta la mattina con "Scusi, ma non ho capito... non possiamo cercare un approfondimento altrove?" Le superiori non sono la scuola dell'obbligo, ma sono il primo lasciapassare decente per il mondo del lavoro poi, soprattutto per una cultura universitaria. Forse le famiglie dovrebbero calcare su questo aspetto: non si studia per far contenti i genitori, ma per il proprio futuro. Per trovare la propria strada, con un minimo di sicurezza economica. I sogni, compreso quello di pubblicare poesie, hanno bisogno dell'indipendenza economica. Se non sei nato già milionario...
Sono totalmente d'accordo, Barbara. Questa cosa emerse nella nostra breve discussione, oltretutto. "Leo" può esigere, ne ha tutto il diritto. Però qui subentra un aspetto purtroppo inespugnabile: manca la voglia di farlo. In "Leo" tutto è crollato, a partire dal background familiare, che immagino sia dei peggiori. A "Leo" manca una figura-modello, un adulto che lo guidi, un Virgilio nelle curve brutte della vita, e il dolore di non possederlo lo getta nell'apatia più totale. Quando morde il dolore non si trova la forza di desiderare. La rappresentazione della sua problematica, narrata con spavalderia, nascondeva ben altro. Io sospendo il giudizio, perché oggi i ragazzi non hanno le stesse capacità di reagire al sistema come facevamo noi. Non possedere più quello slancio che ti fa pensare, ok, ma anzitutto devo farlo per me, è una componente mancante in tanti adolescenti smarriti.
EliminaQualcosa in questo quadro stride. Perché non è il primo ragazzo, né di ieri né di oggi, a soffrire di un background famigliare difficile (quanto difficile non lo so, però c'era comunque una madre che festeggiava i suoi 50 anni con gli amici e lui era invitato in pizzeria... ci sono ragazzi buttati fuori di casa a 18 anni e arrangiati, o peggio con genitori problematici e una casa da mandare avanti da soli) e della mancanza di una figura chiave che lo guidi. Non posso avanzare analisi approfondite, né mi permetto, però un ragazzo che non vedeva l'ora di studiare filosofia e Nietzsche, temi importanti che richiedono un certo atteggiamento mentale, si lascia distruggere il proprio futuro solo dalla delusione, dall'apatia, dalla noia? Perché non cercare quella figura modello proprio in quei libri di filosofia? Non sarà invece che, e appunto per questo mi pare una situazione di comodo, la figura modello ce l'ha già ed è quella di tanti altri giovani che vivono giorno per giorno, allo sbaraglio, con i genitori che pagano i conti?!
EliminaE' triste pensare che, qualche generazione più indietro, alla loro età erano sul campo di battaglia a lottare per la vita... e qui, con tutti gli agi, manco più si lotta per il proprio futuro.
No no, lui era l'amico portato da "Stefano", il figlio della mia amica. Questo amico portato di straforo alla festicciola al ristorante, e solo per il soffio delle candeline, si è trovato del tutto casualmente quella sera lì. La famiglia di questo ragazzo non ha niente a che vedere con l'ambiente familiare della mia amica (che pure ha i suoi problemi ma è sempre presente e attenta per quanto può).
EliminaAh pardon, mi sono persa con i nomi! Ok, allora di questo "Leo" conosciamo davvero poco. Resta quel suo vivo interesse per la filosofia, e le poesie... dovrebbe traghettarlo fuori dall'apatia, ne resto convinta. E ci spero molto.
EliminaCiao Luz. Possiamo sperare che quella chiacchierata casuale possa divenire per Leo il punto di partenza per una revisione della sua carriera scolastica? Magari perché gli restituirà la consapevolezza che esistono anche insegnanti entusiasti del proprio lavoro e capaci di aiutare i giovani a capire le proprie potenzialità e dargli gli strumenti per valorizzarle? Lontano dal fastidio di quella festa il ragazzo avrà modo di riflettere sul fatto che lasciando la scuola a perderci sarà solo lui perché così facendo punirà se stesso, la sua intelligenza, frustrerà la sua fame di sapere e si precluderà anche il sogno di pubblicare le sue poesie? E magari ragionerà sul fatto che la sua delusione verso insegnanti non più appassionati possa essere un pretesto per le sue scelte, non bene indirizzate da genitori poco attenti? E magari gli arriverà la folgorazione che se lasciasse la scuola se ne pentirà per sempre? Speriamo!
RispondiEliminaIo, cara Paola, lo spero assieme a te. Non so fino a che punto "Leo" abbia individuato in me un'insegnante appassionata, certo mi sono messa in ascolto e lui lo ha compreso perfettamente. Penso non mi avrebbe allungato quel cellulare per farmi leggere la poesia in caso contrario. Però un incontro fugace, di pochi minuti, purtroppo lascia il tempo che trova. :(
EliminaMa sai, già il solo fatto che tu gli abbia dato attenzione, che lo abbia gratificato leggendo la sua poesia credo possa essere veramente tanto. E' vero che tu hai potuto farlo perché eri fuori dal contesto scolastico e quindi priva di quella pressione che da' una classe ma è anche vero che proprio perché eri 'libera' avresti potuto fregartene e non dargli conto. Lui ha capito la tua sensibilità di persona e di insegnante e si è aperto e questo, per chi si sente abbandonato, vuol dire veramente tanto. E spero che gli darà la forza di reagire. Ancora è in tempo.
EliminaSì, concordo. Ogni momento è prezioso quando si tratta di questi aspetti.
EliminaHo subito pensato a mio nipote. Un ragazzo intelligente, sensibile, preparato. Che ha ripetuto per ben due volte gli anni alle superiori , vittima della sfascio della pandemia, di qualche difficoltà psicologica a mio avviso non affrontata e di tanta chiusura. Ora sta affrontando insieme a sua sorella la maturità. Dice che va tutto bene. A differenza del tuo Leo non sa cosa vuole fare dopo. Lavorare? Studiare? Sembra che la vita non gli abbia mai rivolto la parola. Sono preoccupata. In questo mio commento trapela, mi rendo conto. Eppure la scuola è davvero l'ultimo baluardo per questi ragazzi e, sì, se ti avesse incontrata come insegnante tu avresti trovato un modo per ritrovare quella breve connessione. Sei una brava insegnante. Ma questo mi pare di avertelo già detto
RispondiEliminaLa pandemia ha creato un corto circuito gravissimo sui ragazzi. Quelli che ne sono stati colti negli anni più delicati dell'adolescenza, fra i 15/16 anni e i 18, ne hanno sofferto moltissimo (fu uno dei motivi per cui si sfasciò il mio laboratorio teatrale ragazzi di quell'epoca). In pochi si sono realmente sollevati. Noto una grande differenza fra gli attuali 21/24enni e i 18/20enni. I primi hanno attraversato (non indenni) quegli anni difficili, ne hanno risentito ma molti si sono in qualche modo riallineati. Questi invece sono come più vulnerabili. Il loro sentire è tutto amplificato, nel bene e nel male.
EliminaGrazie per il tuo apprezzamento. Essere una buona insegnante è arduo, ci provo, ma anch'io commetto tanti errori (in particolare verso me stessa quando il mio dedicarmi tocca alcune mie corde troppo intime).
Speriamo che Leo trovi comunque la sua strada, magari anche grazie alla chiacchierata con te
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