giovedì 14 marzo 2024

Resto qui - Marco Balzano

Incipit: Non sai niente di me, eppure sai tanto perché sei mia figlia. L'odore della pelle, il calore del fiato, i nervi tesi, te li ho dati io. Dunque ti parlerò come a chi mi ha visto dentro. 
Saprei descriverti nei minimi particolari. Anzi, certe mattine che la neve è alta e la casa è avvolta da un silenzio che mozza il respiro mi vengono in mente nuovi dettagli. Qualche settimana fa mi sono accorta di un piccolo neo che avevi sulla spalla e che quando ti facevo il bagno nella tinozza mi indicavi sempre. Ti ossessionava. O quel boccolo dietro l'orecchio, l'unico in quei capelli color miele.  

Ho appeno voltato l'ultima pagina di questo libro e sento il desiderio di scriverne, perché ne sono uscita consapevole di una storia che prima ignoravo del tutto e merita di essere conosciuta.
Guardatene la copertina, vi sarete imbattuti certo in questa immagine chissà quante volte. 
Pur senza entrare nel merito, abbiamo capito fin dalla prima volta che l'abbiamo vista che doveva trattarsi di un paese sommerso, un luogo in Alto Adige in cui un paese fantasma si trova sotto le acque di un lago artificiale. La mano dell'uomo. 
Si tratta del Lago di Resia, in Val Venosta, sotto il quale sono immersi i paesini di Resia e Curon dagli anni Cinquanta. 
Un'opera di ingegneria iniziata in era fascista e poi completata nel Dopoguerra, realizzata dalla Montecatini - poi Montedison - che vide la costruzione di una diga per l'energia idroelettrica e la deviazione del fiume Adige, che andrà a inondare parte della valle e l'antico insieme di cittadina e villaggi di masi, oltre che la Chiesa intitolata a Santa Caterina risalente al XIV secolo.
Si muore solo per stanchezza. La stanchezza che ci danno gli altri, che ci diamo noi stessi, che ci danno le nostre idee. Non aveva più le bestie, il suo campo era sommerso, non era più un contadino, non abitava più il suo paese. Non era più niente di quello che voleva essere e la vita, quando non la riconosci, ti stanca in fretta. 
La genesi di questo romanzo "realista" è una di quelle particolari. Marco Balzano si trova qualche anno fa in vacanza proprio in quello stesso luogo, meta oggi di turisti e curiosi. Sta per fare la classica foto di rito assieme a sua figlia, ma la sua attenzione viene attratta dai pedalò e le barche a vela che ruotano lente attorno al campanile, e poi amplia lo sguardo, tende l'orecchio ai suoni. Il vociare dei turisti, l'allegria, l'entusiasmo gioioso attorno a un luogo unico al mondo. 
Eppure...
Eppure a un animo sensibile non può sfuggire la tragedia. Perché di dramma si tratta, non possiamo non pensarlo dinanzi a un villaggio sommerso. Si tratta di devastazione, dolore, resistenza e distruzione di una memoria finita sotto metri di acqua assieme a luoghi fatti di radici e ricordi. 
E allora Balzano vuole scriverne, si informa, si documenta, scava. 
Ne scaturisce una storia struggente e capace di suscitare certa commozione, perché se ne sente tutto il tormento, la lotta, il crollo della speranza. 

Quanto sappiamo delle genti dell'Alto Adige/Südtirol? 
Adoro il Trentino. Lo scoprii nel 2008, durante un'estate, poi ci tornammo a Pasqua 2009 talmente ne eravamo abbacinati. E poi lo scorso anno, una bella settimana d'agosto. Ci tornerei tutti gli anni. 
Mi ci sento nel mio elemento, amo quelle montagne, la bellezza delle cittadine, dei masi d'alta quota, il sapore dello strüdel, della salsiccia con patate dopo una camminata in salita anche di molti chilometri, dei fiori alle finestre, della cresta dei monti più lontani con quel pennacchio di neve che si leva dai ghiacci. Mi impressiona e affascina, mi emoziona come il mare non è mai riuscito a fare. 
Ne scriverò più compiutamente, merita.
Il nome Südtirol designa un'area ampia della provincia di Bolzano. Fu annessa all'Italia nel 1919, dopo il termine della Grande Guerra e la sconfitta dell'Austria, che perse una parte del proprio territorio a favore dell'Italia. 
Si trattò di una di quelle annessioni che non tennero conto della differenza di lingua e cultura, ma sui nostri libri di Storia ovviamente questo non è riportato. La Storia è scritta dai vinti e non lascia trapelare tante verità.

Marco Balzano, insegnante e scrittore

Un aspetto che avevo scoperto visitando alcuni musei etnografici sul territorio, ma che emergono in questo romanzo come centrali, è il difficile adattamento all'italiano per le generazioni che vissero l'annessione e pertanto il distacco dall'Austria. L'italiano poi venne imposto come lingua unica durante il fascismo, salvo poi tornare come lingua concessa a partire dal "patto di ferro" fra Hitler e Mussolini. 
Altro particolare, la concessione da parte di un fascismo ormai succube del nazismo del trasferimento volontario dei tirolesi in Germania, proprio negli anni precedenti il 1939. 
Nel romanzo Balzano rende evidente la fascinazione di molti giovani del paese verso il nazionalsocialismo in ascesa. Hitler viene percepito come "liberatore" di tutti i popoli di lingua tedesca, un eroe della legittimazione culturale dei tirolesi. È il motivo per cui molti di essi si arruoleranno nell'esercito nazista.
... si impossessò di noi una rassegnazione che aveva la forma di una mano che ti chiudeva gli occhi. Dicono che succeda così anche ai malati terminali, ai condannati a morte, ai suicidi. Prima di morire si placano, come in un lampo di pace che non si sa da dove scaturisce, ma che li pervade. È un sentimento lucido, non ha bisogno di parole. 
Mentre la Storia si dipana fra gli altopiani non lontani, con frange di tedeschi preposti al controllo dei territori a partire dal '43 - caduto il fascismo - nel frattempo i lavori per la costruzione della diga sono solo interrotti, per riprendere dopo la guerra. 
Le piccole cittadine di Curon e Resia si mobilitano dietro a un capopopolo d'invenzione, Erich, marito di Trina che è la voce narrante, ma c'è un altro uomo ardito realmente esistito a muovere le genti, dapprima restie a intervenire e poi sempre più atterrite dinanzi ai macchinari che mordono la montagna e la valle per creare l'invaso attorno ai paesini.  
Si tratta di un sacerdote, Alfred Rieper, che riesce a mobilitare una grande resistenza in grado di arrivare alla politica e perfino al papa Pio XII. Ma ogni voce cadrà nel vuoto. I lavori sono in avanzamento e nell'estate del 1950 l'invaso verrà riempito fino a 22 metri. 
Non ci saranno mai i risarcimenti promessi. Lo stato italiano fece costruire alcune case di fortuna, ma di fatto 163 case furono sommerse e circa 1000 persone colpite da questa "infrastruttura" che avrebbe dovuto portare progresso e benessere e invece cancellò secoli di memoria. 
Ne conseguì un'emigrazione forzata, nulla poté restituire a questo popolo martoriato il valore della propria memoria collettiva, i mestieri, le abitudini. 
Nel giro di pochi anni il campanile che svetta sull'acqua morta è diventato un'attrazione turistica. I villeggianti ci passano all'inizio stupiti e poco dopo distratti. Si scattano le foto con il campanile della chiesa alle spalle e fanno tutti lo stesso sorriso. Come se sotto l'acqua non ci fossero le radici dei vecchi larici, le fondamenta delle nostre case, la piazza dove ci radunavamo. Come se la storia non fosse esistita. 
Resto qui è un romanzo sulla resistenza, sul restare, che è tanto più difficile dell'andare. Restare malgrado la sconfitta, anche, forse l'atto di coraggio più grande pur di arrendersi solo alla rassegnazione ma non perdere le proprie radici. 
Immaginare cosa questo popolo d'alta montagna abbia provato dinanzi all'orrore di questa distruzione delle proprie cose è un piccolo tentativo per capire cosa sia stato. E forse sarebbe il caso di riflettere dinanzi a questa "cartolina" piena di fascino, che sta raccontandoci qualcosa di molto diverso dal romanticismo di un bel paesaggio. 


Conoscevate la storia di Curon e Resia e del "campanile sommerso"?
Vi è capitato di visitare ruderi o in generale luoghi custodi di una memoria importante?

19 commenti:

  1. La storia la conoscevo, è uno degli esempi più chiari di come il "progresso" (virgolettato perché discutibile) porti innovazioni e anche per certi aspetti benessere ma andando a discapito di chi in qualche modo si trova a disagio in questo mondo che si modifica rapidamente, qui nel senso più brutale del termine, con due paesi cancellati come se fossero un progetto e non luoghi reali abitati da persone in carne ossa.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. È proprio così. Il progresso ha un prezzo altissimo. Oggi si sente parlare di innovazione e progresso "sostenibili", un ossimoro.

      Elimina
  2. Marco Balzano è un grande narratore. Luz, la tua recensione è impeccabile.

    RispondiElimina
  3. D i luoghi cancellati dalle mappe ce ne sono, al volo penso a Celleno, il paese fantasma vicino a Roma, un reticolo di case fantasma abbandonate causa terremoto, e proprio recentissimamente tornato sotto le luci della ribalta per ritrovamenti archeologici durante lavori di assestamento.. sono tutti luoghi che diventano cartolina e la cui storia scolorisce col tempo, i vissuti, l'amore e la vita cristallizzati nel divenire. Bello che qualcuno ogni tanto se ne prenda cura, narri il "sommerso", dedichi un attimo al passato che ha pagato pegno, spesso per colpe altrui.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Se si potesse fare la stessa cosa con Curon e Resia. Ma lì sarebbe un'operazione impossibile. È un fatto impressionante, l'estremo cui possa arrivare l'uomo. E se pensiamo alla diga del Vajont e a quel disastro...

      Elimina
  4. Conoscevo la storia di Couron, ma non in modo approfondito come hai fatto tu in questo post grazie al romanzo di Balzano, leggendo ho pensato a quale è il compito della letteratura: parlare di storie poco conosciute e portarle all’attenzione di molti. Cancellare due paesi con la loro storia per decisioni prese dall’alto mi sembra molto ingiusto e, forse perché se ne parla molto, ho pensato al ponte sullo stretto, anche lì ci saranno degli espropri e degli sconvolgimenti nella vita della gente del luogo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Infatti, lo penso anch'io. Balzano ha fatto un'operazione in certo senso "sociale" e questo tipo di letteratura può forse essere definita "etica". C'è anche un tipo di teatro che risponde a questi stessi canoni, lo chiamano teatro sociale.

      Elimina
  5. Sono stata a Curon un paio di volte, ho visto il lago di resia e chi ci passa non può fare a meno di fermarsi a fissare quel campanile che solo guardarlo ti racconta la storia di quella terra. Naturalmente c'è un punto dove si può vedere una cartina dell'epoca e dove si racconta tutto l'accaduto.
    Vado spesso in ferie in Alto Agige e come te ne sono entusiasta.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Io non so, ma prima o poi vorrei andarci anch'io. E dopo aver letto questa storia soffertissima non credo che possa entusiasmarmi, semmai impressionarmi. Ci andrei proprio per vedere coi miei occhi cosa hanno fatto a questa comunità e saperne di più.

      Elimina
    2. Hai ragione, la storia di Curon impressiona, e vederlo dal vivo non ti porta certo ad ammirare il panorama, ma la bellezza di tutto l'Alto Adige entusiasma. Ti auguro di poterci passare qualche giorno. Un caro saluto.

      Elimina
  6. Ho letto il romanzo tempo fa e mi è piaciuto, anche perché non conoscevo la storia di questo paese sommerso e, devo dire, il “fascino” di un evento così tragico ha spinto la mia curiosità. Quel campanile che emerge dalle acque è singolare, a me fa un’impressione tremenda, ancora di più dopo avere approfondito cosa avesse provocato la tragedia e avere letto il libro di Balzano.
    Marina

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Infatti, la lettura di questo libro pone la storia in un'altra dimensione, ne svela la gravità. E dire che ci hanno girato pure una serie tv, ma figuriamoci, solo per sfruttare la suggestiva immagine del campanile sommerso.

      Elimina
  7. Non conoscevo la storia di questo campanile, la foto che hai pubblicato è molto suggestiva ma anche terribile monito di ciò che fu. Mi hai fatto ricordare i racconti di mia nonna, nata a Cison di Valmarino, sotto la diga del Vajont, crollata per un errore di progettazione e una frana che provocò un'onda di acqua e fango alta quasi 250 metri , nel 1963, causando quasi duemila morti. Costrinse mia nonna a emigrare con la paura addosso e la povertà nelle tasche. Le famiglie private di tutto che restarono in vita non videro mai completamente risarciti i propri danni. Lì non rimasero per anni che macerie, fango, detriti e resti umani. Storie terribili che hanno sempre lo stesso segno: a pagare gli errori grossolani sono le persone più innocenti. Il ponte di Genova e quello che verrà, forse, sullo stretto, sono solo ultimi segni di una follia che non passa.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La storia del disastro del Vajont è terribile. Una catastrofe immane, nessuno pagò per questo. Lì un incidente che ha provocato la morte di decine di innocenti e cancellato un paese, qui un paese sommerso, con i suoi abitanti spostati altrove malgrado tutto il loro investimento emotivo, il valore delle origini. Fatti assurdi.

      Elimina
  8. Bel titolo, bella copertina e bello stralcio. L’italiano oggi ha bisogno di chi lo usi sia correttamente sia creativamente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie per avere apprezzato la recensione, Filippo.

      Elimina
  9. Sapevo che c'era da qualche parte nelle Dolomiti un lago artificiale, creato da una diga per una centrale idroelettrica e che, come sovente accade, vi era sommerso un paese. Mi sono però confusa col lago di Alleghe, secondo una leggenda generato da un'enorme frana che ha spazzato via tre frazioni e precipitato il campanile. Qualcuno dice si vede, quando l'acqua è limpida. Quando me l'hanno raccontato, io ho pensato solo alla tragedia, non certo all'effetto turistico, anche subacqueo. Visto che provengo dalla pianura, l'immediata associazione per me è alla grande piena del Po, con quella scena, assolutamente realistica a sentire i miei nonni, del film di Don Camillo: tutti che si avviano in carovana lungo l'argine, ricchi e poveri senza distinzione, e il prete che resta lassù, sul campanile, a far la guardia e attendere il loro ritorno. E quella era una calamità naturale, senza l'intervento umano. Abbiamo già così tante difficoltà da affrontare con Madre Natura, che non capisco perché l'uomo ne debba pure cercare altre consapevolmente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La nostra terra è difficile. Non credo ne esistano esempi nel resto d'Europa, forse fatta eccezione per il nord olandese o danese, dove generazioni hanno lavorato per sottrarre la terra al mare. La nostra penisola è fragile, abbiamo un livello di erosione pari a nessun altro, eppure nessuna politica, nessun governo finora è stato orientato nella direzione di una vera salvaguardia del territorio. Semmai nella sottrazione di terra a popolazioni, e hai ragione, fino a quando avviene per cause naturali si può solo conservare la memoria e farne tesoro, quando l'uomo ne è l'artefice, allora il discorso è diverso. Questo romanzo realista per me è stato una rivelazione.

      Elimina