Incipit: Princeton, d'estate, non aveva odore, e anche se a Ifemelu piacevano la verde tranquillità dei tanti alberi, le strade pulite e i palazzi imponenti, i negozi un filo troppo cari e la quieta, persistente aria di meritata grazia, era proprio questo, l'assenza di odore, ad attirarla di più, forse perché le altre città americane che conosceva bene avevano tutte un odore ben distinto. Philadelphia aveva l'odore ammuffito della storia. New Haven sapeva di abbandono. Baltimora puzzava di salamoia e Brooklyn d'immondizia scaldata dal sole. Ma Princeton non aveva odore.
Quando si scopre un nuovo autore, un ottimo autore, è sempre un gran momento per ogni lettore. Qui siamo dinanzi a una scrittrice nigeriana, un nome sempre più diffuso nei circoli di lettori e nelle fiere del libro. Chimamanda Ngozi Adichie ha riscosso l'attenzione dei media lo scorso ottobre, al Salone del Libro di Torino, ma è già da tempo una romanziera celebre.
In particolare dall'uscita di questo best seller, inserito nel 2013 fra i dieci migliori libri dell'anno negli Stati Uniti.
Comincio col dire che Americanah non è un romanzo semplice da descrivere, ha una sua intrinseca complessità, è un romanzo a più livelli. Se dovessi farne un abstract, scriverei: "storia di una ragazza nigeriana che tenta la fortuna negli Stati Uniti per poi decidere di tornare nel suo paese d'origine".
Se di base questa è la storia, le sue 494 pagine raccontano molto di più, qualcosa che ignoriamo, anzi tutto un mondo che ci è totalmente sconosciuto.
Anzitutto, come immaginate sia la Nigeria?
Abbiamo una visione limitata e distorta di tanta parte dell'Africa. Nel nostro immaginario l'Africa è la savana degli animali liberi, poi ci vengono in mente i villaggi semplici, qualche comunità che vive in capanne di fango e paglia, e in particolare in quel Biafra facente parte di questa grande nazione immaginiamo ancora quel Terzo Mondo di fame e carestie.
Sì, c'è anche l'Africa mediterranea di Marocco, Tunisia ed Egitto, e il nostro spettro d'immaginazione si amplia, fino ad abbracciare civiltà antiche, bazaar affollati e al limite città congestionate da traffico e smog. Magari qualche spiaggia dalla sabbia fine, per non dire del più grande deserto del mondo.
Poi quell'Africa del sud, ricca, bianca, con le sue città scintillanti e le sue scogliere battute dal vento.
Ebbene, la Nigeria è quel paesaggio vario e vasto che sappiamo dai libri di geografia, il più popoloso della grande Africa, un coacervo di etnie, circa 250, incuneato nel Golfo di Guinea. Tristemente famoso quel golfo, per le decine di porti fondati in secoli lontani cui attraccavano e partivano navi negriere, nel mare magnum di quella terribile cosa che è stata la schiavitù in epoca moderna.
I libri ci dicono che la Nigeria ha risorse importanti, che una minoranza di nigeriani è ricchissima e il resto del paese versa in condizioni misere.
Quello che i comuni libri di geografia non raccontano è che in Nigeria una buona percentuale di donne della classe media ha una posizione dominante, con ottime professioni anche dirigenziali. Molte di esse insegnano nelle scuole e nelle università. Molte rivestono professioni socialmente riconosciute e di prestigio, come avvocati, medici, chirurghi. Impensabile questa cosa in molta parte del resto dell'Africa.
E sapevate che in Nigeria esiste una casa di produzione cinematografica chiamata Nollywood, che sforna film a più non posso, lanciando anche dive nigeriane molto amate, come Patience Ozokwor?
La Nigeria è anche un paese in cui il sessismo non manca, sia chiaro. Non è un caso che Chimamanda (non me ne vogliano le femministe a oltranza, mi piace chiamarla per nome) abbia dedicato una nota conferenza al tema, poi pubblicata anche in Italia col titolo Dovremmo essere tutti femministi.
Se è vero che Ifemelu, protagonista del romanzo, decide di partire dalla Nigeria, lo fa per ragioni diverse da quelle comuni alla grande massa di emigranti e profughi che lasciano luoghi dell'Africa martoriati da guerre e mancanza di risorse.
Anche Obinze, il giovane da lei amato, tenta la fortuna in Gran Bretagna, ma lui ha una madre insegnante, un'intellettuale dalla grande personalità. Obinze non parte per fame, le ragioni sono altre.
Ecco il passaggio che svela tutto:
... capivano tutti la fuga dalla guerra, dal tipo di povertà che distruggeva l'animo umano, ma non avrebbero capito il bisogno di scappare dall'opprimente letargia dell'assenza di scelta. Non avrebbero capito perché persone come lui, cresciute con cibo e acqua abbondanti ma impantanate nell'insoddisfazione, abituate fin dalla nascita a guardare altrove, ora fossero decise a fare cose pericolose, illegali, come partire; nessuno di loro moriva di fame, o subiva violenze, o veniva da villaggi bruciati, ma aveva semplicemente sete di scelte, di certezze.
È uno degli aspetti che ignoriamo di questa immensa Africa, dalla quale si parte anche per cercare prospettive diverse da quelle già evidenti. Giovani studenti universitari che scelgono di andarsene per completare gli studi in Gran Bretagna o America, nel tentativo di sfuggire a una realtà appiattita da una politica corrotta, da dinamiche clientelari che possono farti "entrare nel giro" ma restarvi invischiato per sempre.
Una donna nigeriana può scegliere di studiare e restare nel ristretto ambito della professione, oppure diventare amante di un uomo potente, come la zia Uju, oppure sposare un uomo ricco. Altrimenti soccombere, nel brulicante mondo della povertà. Prospettive che a Ifemelu paiono assai strette.
Chimamanda Ngozi Adichie |
Una nera africana non è una afroamericana.
Il nucleo di questo straordinario romanzo si trova nei capitoli degli anni di Ifemelu in America, in quegli Stati Uniti anelati, idealizzati e poi vissuti in modo traumatico.
Ifemelu è nata in un paese dove il problema razziale non esiste e approda in una terra in cui questo problema è una delle più grandi piaghe sociali. Ifemelu anzi "scopre di essere nera" proprio negli Stati Uniti, in quella terra di contraddizioni dove il colore della pelle decide destini e comportamenti.
Ogni gradazione di colore della pelle anzi è oggetto di osservazione, discussione, e il suo acuto spirito di osservazione le permette di costruire una serie di certezze. Nel calderone ci sono non solo neri americani e non, ma anche ispanici, un'altra etnia vessata da discriminazioni e abusi.
Ispanico vuol dire chi spesso si trova accanto ai neri americani nelle statistiche di povertà, ispanico vuol dire un gradino appena sopra ai neri americani nella scala razziale americana, ispanico vuol dire la donna peruviana dalla pelle color cioccolato, ispanico vuol dire gli indios del Messico. Ispanico vuol dire la gente dall'aspetto birazziale della Repubblica Dominicana. Ispanico vuol dire la gente più chiara di Portorico. Ispanico vuol dire anche il ragazzo biondo e con gli occhi azzurri che viene dall'Argentina. Basta che parli spagnolo e non vieni dalla Spagna e, voilà, sei di razza ispanica.
Ifemelu paga lo scotto del colore della sua pelle, pur non sentendosi al centro di una contesa razziale, perché sente che quella faccenda non la riguarda, eppure deve scendere a patti con la sua condizione di africana in America. Trovare un lavoro, anzitutto, poi accedere all'istruzione.
La sua strenua volontà di integrazione si infrange ripetutamente sulla dura roccia di un razzismo sedimentato, malcelato, presente perfino fra i bianchi poveri.
Ma Ifemelu possiede carattere, ironia e coraggio, malgrado i suoi lati oscuri le impediscano di mantenere gli equilibri faticosamente raggiunti. Quando grazie alla sua bellezza e intelligenza accede alla possibilità di una relazione importante con un bianco ricco e innamorato, si sveglia in lei un istinto all'autodistruzione. L'esplodere di una sensazione latente di disagio, la fatica di accettare la condiscendenza dei bianchi bendisposti a includerla nelle proprie cerchie.
Qui è evidente uno degli aspetti più complessi del razzismo americano. Talmente sedimentato da rendere difficoltoso anche il sistema di relazioni dei non-razzisti.
In sostanza: ragazza nera che accede alle cerchie di non-razzisti, progressisti, ovviamente bianchi e benestanti. Fin qui nessun problema. Se non fosse che il colore della pelle diventa comunque una costante, nelle discussioni attorno alla Nigeria, intesa come "Africa" e quindi ritenuta terra di neri poveri e in fuga, in chi fa a gara per dimostrare di non essere razzista, magari parlando del proprio volontariato a favore dei poveri d'Africa, in chi pone Ifemelu al centro dell'attenzione - un'attenzione a lei non gradita - proprio perché nera e preferita per il colore della sua pelle.
Ngozi Adichie ci dice in sostanza che anche questa, paradossalmente, è una forma di razzismo, anche se al contrario. In particolare per una ragazza africana, che cade nel gorgo del razzismo.
Il blog di Ifemelu.
La nostra ha bisogno di dare sfogo ai proprio pensieri, così diventa una blogger.
Già il titolo del blog è tutto un programma: Razzabuglio, o varie osservazioni sui Neri Americani (un tempo noti come negri) da parte di una Nera Non Americana.
La sua scrittura, diretta e senza filtri, le guadagna la stima di migliaia di lettori e commentatori, le procura del denaro, inviti a convegni. Ifemelu diventa per un tratto una guru di alcune verità, obiettive perché ricavate da osservatrice esterna, africana, ma all'interno di quel vasto meccanismo di discriminazione. Eppure questa comunicazione non è semplice, spesso i suoi post appaiono mere semplificazioni, nulla di più. Entrare nel merito significa altro e non le procura una posizione consolidata, tutt'altro.
Qui, da lettori, aggiungiamo maggiore consapevolezza della complessità del problema razziale. Negli anni della candidatura e poi del trionfo di Obama alla presidenza degli Stati Uniti, anche la scintillante first lady Michelle indossa la "maschera" da bianca.
Come? Ifemelu è acuta: perché Michelle si pettina come una bianca.
E lo stesso Obama è il trionfo dell'afroamericano ma anche non soltanto nero.
La razza non è biologia: è sociologia. La razza non è genotipo: è fenotipo. La razza conta perché c'è il razzismo. E il razzismo è assurdo perché ha a che fare con l'aspetto fisico. Non è questione di sangue. Ha a che fare con la tonalità della pelle, la forma del naso e il crespo dei capelli.
I capelli di Ifemelu.
C'è tanta tanta parte del romanzo che non è svelata in queste righe, lo sapete. La storia di Ifemelu è tutta da scoprire, il filo dei suoi pensieri, le sue cadute e la sua forza di volontà, gli affetti familiari, gli amori, l'amicizia, la descrizione di quella Nigeria così fortemente amata e detestata.
Voglio però fare un ultimo riferimento, perché da questo romanzo imparo tutta la complessità che riguarda anche i capelli di africani e afroamericani. In particolare delle donne.
Gestire i capelli per una ragazza di questa etnia non è affatto semplice. Se in Nigeria i suoi capelli non suscitano problemi e sono tenuti nel loro naturale crespo, in America le cose cambiano.
I capelli di Ifemelu e di ogni ragazza come lei non sono ricci. Sono una massa enorme di capelli scuri e crespi. La questione-capelli diventa problematica nel momento in cui Ifemelu vuole fortemente apparire non troppo africana, in ordine, credibile.
Gli esperimenti per governare la sua massa di capelli sono tanti, alcuni disastrosi, perfino comici. Quello che mi ha colpito di più è la lunga serie di varianti di treccine esistenti.
Nel vivace mondo delle afroamericane e africane che vanno ad acconciarsi in uno di quei negozietti maleodoranti e neppure tanto puliti, dove si ferma tutta un'umanità varia, Ifemelu si lascia acconciare e vuole che si seguano dettami che ha imparato dopo tanti tentativi.
Tentativi che includono anche l'uso di liscianti chimici molto pericolosi.
Vi prego, non perdetevi questo fantastico articolo, e ne saprete qualcosa: Don't touch my hair.
Non resta che consigliarvi questo libro, diverso, fuori dai canoni, nuovo perché insoliti sono i temi.
E andate qui, se vi siete persi questo romanzo, consigliatissimo, sulla sofferta storia degli afroamericani schiavi.
Bene, a voi la parola. Lo leggereste? Cosa state leggendo in questo periodo?
Hai catturato la mia attenzione con questa bella recensione, direi molto approfondita, che molto ci dice su questo romanzo che appare interessante su tanti aspetti. Credo che sia un libro da cui si possono imparare tante cose non solo dal punto di vista etico, ma anche culturale, che aiuta a superare tanti luoghi comuni sull’Africa. Mi è successo di fare amicizia con una ragazza dell’Angola. A volte si pensa erroneamente che siano sottomesse agli uomini, e invece scopri che sono molto emancipate per quanto riguarda la questione femminile. Per questo motivo vanno incentivati gli incontri interculturali perché ci si arricchisce a vicenda, ci si conosce e credo che possono rappresentare la strada per porre un argine al razzismo. Il razzismo pone le sue basi sull’ignoranza. Grazie di questo interessante post. Buona giornata.
RispondiEliminaQuesto romanzo permette proprio quello che hai colto tu, Caterina, di incontrare questa cultura così diversa senza rinunciare a quelle caratteristiche che tutti cerchiamo in questi mondi narrati. Sì, c'è molto da imparare riguardo a queste culture, come ho scritto nel post, dell'Africa abbiamo una visione unilaterale e molto limitata. Io ho avuto il piacere di conoscere un prete missionario in Angola, sentirlo raccontare è come affacciarsi su un mondo.
EliminaGrazie per il tuo apprezzamento. :)
Ciao Luz, bene che tu prosegua nelle tue belle recensioni, la tua curiosità letteraria rende questo blog più interessante e da parte mia seguito.
RispondiEliminaMi piace la storia, molto moderna e un po' edulcorata o forse solo capace di offrire spunti e punti di vista differenti sul fenomeno dell'immigrazione femminile dall'Africa a un altrove che in questo caso è l'Americah, appunto. Andava tutto bene fino a quando hai riportato il suo giudizio su Michelle: "Michelle si pettina come una bianca." riporti. Ecco, se il razzismo è classificazione, allora chiedo time out per riflettere. Se inclusione è accettazione e libertà e che latro allora forse non dovranno più esserci capelli, comportamenti o quartieri o vestiti per bianchi e per neri ma solamente capelli ribelli gestiti come meglio si crede. E' vero che il corpo è una forma di lotta, lo è stato e lo è in tutto il movimento femminista mondiale. Ma allora va esplicitato. Altrimenti resta solo una traccia di un razzismo che evidentemente va sradicato in primo luogo in ciascuno di noi. Ifemelu compresa. Non so se leggerò questo romanzo ma sono sicura che ci tornerò sopra...
Ciao, Elena! Può apparire vagamente edulcorato ma ho tralasciato le tante parti molto sofferte, le disavventure, le esperienze che gettano Ifemelu in una forma di amara depressione. Ifemelu ha anche una certa attitudine all'autodistruzione, e sono proprio questi aspetti a restituircela come donna di questo tempo.
Elimina"Michelle si pettina come una bianca" è una frase contenuta nel suo blog, in articoli che scrive quando è in atto la campagna elettorale di Obama. Ecco, lei, che guarda al razzismo americano da africana che di razzismo prima non sapeva nulla, coglie i moltissimi dettagli di questo tipo di discriminazione. Michelle non lasciò mai i propri capelli al naturale durante la campagna elettorale e nei successivi 8 anni di presidenza. È il motivo per cui ho messo una sua foto nel post, quella vuol dire Ifemelu è la vera Michelle, quella che dopo la grande avventura in politica come first lady riesce nuovamente a conquistare la propria vera immagine di sé. La questione dei capelli ricci o crespi, che devono essere debitamente stirati se si vuole entrare in determinati ambienti, è, ahimè, purtroppo tristemente vera. Ifemelu questo ci dice, Michelle si deve pettinare come una bianca per poter essere ritenuta degna di una posizione così importante.
Ne avevo sentito parlare, ma non con una recensione così accattivante. Cercherò di procurarmelo. Grazie.
RispondiEliminaGrazie a te per aver letto e apprezzato. :)
EliminaRiscrivo il commento corretto da errori ortografici.
RispondiEliminaAltro libro di cui prendo nota. Anche a me piace la storia e mi piacciono le storie descrittive di persone, cose, città, ambienti, relazioni. E' così che si capiscono tante cose.
La società inclusiva non è mai facile da realizzare al contrario della società con un solo uomo al comando (e per uomo intendo proprio persona di sesso maschile). In una società così l'uomo al comando dice: "Io si. Tu no". E colui o colei che viene escluso quando dice: "Perché io no?". L'uomo solo al comando replica: "Perché lo dico Io, punto e basta. E faccio delle leggi per escluderti dalla società" iniziando dai diritti. I motivi per farlo sono variegati. In una società inclusiva esistono persone diverse, colori diversi, tradizioni diverse. E' la Democrazia, e non è facile mantenerla in vita perché va sempre salvaguardata, difesa, eventualmente rinnovata nel tempo.
Nel momento in cui si toccano i diritti della gente in quel momento il rischio dittatura è molto forte.
Un salutone e alla prossima
Io mi domando: esiste una società realmente inclusiva? Forse, al di là di ogni semplificazione di natura etica, non è neppure lontanamente realizzabile, perché le società nel mondo sono stratificate e frutto di una trasformazione nei secoli. Lavorare sull'inclusività oggi significherebbe anzitutto partire da una consapevole ricostruzione degli eventi. L'aspetto più osceno del razzismo è che ha alcuni tratti che si ripetono sempre uguali. Anzitutto la discriminazione dettata dall'aspetto fisico. Io e mio marito spesso ci soffermiamo a pensare a quanto sia spettacolare l'etnia afroamericana e africana. Sono persone essenzialmente forti, belle, con uno spiccato senso del ritmo, del canto. Lui, quando lavorava come tutore dell'ordine a Roma, per strada, ne ha conosciuti di immigrati. Gli africani apparivano come laboriosi, educati nel porgersi, molti inviano denaro nei luoghi d'origine (come fa del resto la stessa Ifemelu) per mantenere famiglie numerose. Quanto svantaggio può esserci già solo per un individuo X (senza fare distinzioni di etnia) che si sposta dal paese d'origine in cerca di lavoro? Aggiungiamo il colore della pelle, le percentuali di una inclusione scendono vertiginosamente. Ifemelu ha anche lo svantaggio di essere donna. Subire razzismo e sessismo, potremmo mai immaginare cosa significhi?
EliminaEcco, un romanzo come questo spalanchi mille dilemmi.
La tua recensione invoglia a leggere il romanzo e non escludo di leggerlo in futuro, mi interessa conoscere l’Africa dal punto di vista di chi ci vive realmente, proprio perché abbiamo una visione dell’Africa attraverso stereotipi.
RispondiEliminaIn questo momento ho iniziato a leggere Il Gattopardo ma sono al primo capitolo.
Sempre felice quando una mia recensione invoglia a leggere quel romanzo. :)
EliminaSì, ne abbiamo una visione molto limitata e questo libro aiuta a muovere un primo passo verso qualcosa che ignoriamo totalmente. Mi impressiona l'ignorare qualcosa in modo totale.
Anche io so ben poco di africano. Avevo conosciuto diversi un venditore ambulante nigeriano che mi pareva molto simpatico, era passato da casa mia più di una volta e avevamo parlato un po'. Era un personaggio molto positivo e se non sbaglio parlava male dei camerunensi! :D
RispondiEliminaDi scrittori africani non so proprio niente, la cosa più vicina sono i libri di Alexander McCall Smith, con i libri della serie su Maa Ramotswe (dove ogni tanto c'è qualche frecciatina sulla Nigeria come posto non bello).
Questo libro di cui parli mi ha incuriosito assai.
Sono andata a guardare, si tratta di uno scrittore bianco nato in Zimbabwe. Ecco, niente di più lontano da Chimamanda. :) Penso che questa scrittrice abbia abbracciato una specie di missione nel far conoscere la realtà del suo paese d'origine. Vero è che ancora devo "percorrere" tanta sua scrittura.
EliminaNo, certo. I due autori sono molto diversi anche proprio per un'intenzione di scrittura. I libri di McCall Smith sono certamente più leggeri ed essendo ambientati in Botswana, principalmente con personaggi setswana e motswana (cmq nessun bianco), non parlano mai di razzismo. La realtà africana viene fuori direttamente, non c'è un punto di vista europeo che entra in contatto con questo ambiente. Certo, poi bisognerebbe chiedere a uno del Botswana se è stata veramente colta l'essenza di quella cultura, ma cmq nei libri di McCall Smith (anche in quelli della serie scozzese) emerge molto forte l'mportanza dell'appartenenza e dell'amore nei confronti al proprio paese. Del Botswana ne viene fuori una bella immagine, pur con degli aspetti oscuri o critici. cRedo che McCall Smith abbia una conoscenza di quello che scrive, però ho intenzione di vedere se ci sono scrittori che sono veramente del Botswana, perché, insomma, è importante avere una voce diretta.
EliminaQuesto è un libro che devo recuperare. Lo so, è nella lista da tempo, ma poi viene sempre sorpassato da altri. L'anno scorso ho letto Acquadolce, sempre di autrice Nigeriana, sempre una storia di una difficile immigrazione, anche se mi pare che il focus sia diverso, Acquadolce è più intimista e meno portato all'analisi sociale, che c'è, ma rimane sullo sfondo. Quanto alle considerazione che hai condiviso con noi, beh, le vivo ogni giorno (ahimé) sulla pelle di mia figlia. C'è chi mi consiglia di non farle prendere troppo sole in modo che non sembri troppo afro (sig, questo è un parente), le vecchine del paese che si rassicurano quando sentono che il cognome locale, chi consiglia come far sembrare i ricci meno ricci, perché dopo tutto tutto a che fare con l'apparenza e più sembra europea e meglio è...
RispondiEliminaNon immaginavo che si potessero fare battute e riferimenti anche verso una bambina accolta in famiglia, una figlia. Me lo sono oggettivamente chiesto, ma tu confermi che purtroppo forme occulte di razzismo sono un po' ovunque anche in questi frangenti. È incredibile, davvero.
EliminaRomanzo interessante dalla tua presentazione, particolare l'incipit che riconosce le città dall'odore.
RispondiEliminaDella questione capelli sapevo già. Sono cresciuta negli anni dello "sbiancamento" di Michael Jackson, che ho vissuto da "bullizzata" proprio in famiglia ("ascolti quel cantante cvlat*** pedofilo che rifiuta persino il colore della sua pelle!") Anche lui, per altro amico stretto di Diana Ross, ha abbandonato il suo crespo dei Jackson 5 per il ricciolino coperto di gel in Bad. Quando si sposò con la figlia di Elvis Priestley passò pure per i capelli lisci stirati. Gli anni 80 arrivarono anche varie sitcom sulla questione razziale. I Jefferson per esempio mostravano un ragazzo di Harlem diventato ricco con le lavanderie a gettoni, il figlio all'università che si innamora della figlia mulatta dei vicini di casa, una coppia mista. Il signor Jefferson prende sempre in giro il vicino bianco. L'unica ad avere i capelli crespi è la cameriera dei Jefferson. Ma se guardi più avanti, anche in Willie Il principe di Bel Air, che ha lanciato Will Smith, non ci sono ragazze nere con capelli crespi, non ne ricordo una. Non sono certa sia un'imposizione degli studios (come non lo era per Michael Jackson, cresciuto in Motown, casa discografica praticamente solo di artisti di colore).
Io ricordo anche i Robinson, che credo sia stata la serie tv più bella (a parte la fine che fece poi Bill Cosby). Sia questa che i Jefferson, così come Arnold, tentavano la narrazione di una classe sociale di neri emersi e pertanto certamente fuori da certe dinamiche razziste, ma allo stesso tempo, e Il principe di Bel Air ne era un esempio lampante, anche "soggiogata" a scelte estetiche e iconografiche il più possibile vicine al mondo dei WASP. Poi c'erano serie come Friends che invece non toccavano minimamente il problema, al punto che nessun attore o attrice nera furono scritturati, mi pare ci sia stata solo una particina in tante stagioni. Ricordo gli anni di Michael Jackson e dei suoi folli voli verso un'immagine che stravolse i suoi caratteri originari. Fu una delle cose più tristi mai viste, anche perché era bellissimo com'era.
EliminaCredo che la questione dei capelli sia una cosa "vecchia", mi pare che già negli anni trenta ci fossero le pomate e le lozioni per lisciare i capelli o sbiancare la pelle. E devo dire che riguardo ai capelli, in genere il riccio non va moltissimo tra le dive, anche bianche, sono sempre tutte tendenti al liscio o al limite mosso ma il riccio non va molto. Ci sono un sacco di ragazze che hanno dei bellissimi capelli ricci e se li stirano!
EliminaRobinson e Arnold in effetti vennero dopo, mi sono venuti in mente i Jefferson perché come serie è più vecchia. Che poi I Jefferson è uno spin off di Archibald (All in the Family): sarebbero i vicini di casa proprio di Archie, quasi sempre seduto in poltrona a commentare famiglia e televisione, razzista ma non solo per le differenze di colore, con qualsiasi differenza. Non lo mandarono più in onda in Italia perché a un certo punto fu considerato non politically correct.
RispondiEliminaIl cambio d'immagine di Michael Jackson fu dettato dalla vitiligine che lo aveva colpito duramente. Oggi malattia riconosciuta, c'è pure una modella che sfila con la sua carnagione sfrangiata dalla vitiligine, Winnie Harlow. All'epoca non era compresa e qualcuno lo consigliò male... decisamente male.