lunedì 24 gennaio 2022

Il conte di Montecristo - Alexandre Dumas

Incipit: Il 28 febbraio 1815 la vedetta di Notre-Dame-de-la-Garde segnalò il tre alberi Pharaon, proveniente da Smirne, Trieste e Napoli. 
Come al solito, subito un pilota si mosse dal porto, costeggiò il castello d'If, e andò ad abbordarlo tra capo Morgiou e l'isola di Riou. 
E come al solito, subito lo spazio del forte Saint-Jean si riempì di curiosi. Perché a Marsiglia l'arrivo di una nave è sempre un grande avvenimento, soprattutto quando quella nave è stata costruita, armata e stivata, come il Pharaon, nei cantieri dell'antica Focea, e appartiene a un armatore della città. 

... e poi compare quel giovane, "dal gesto rapido e dallo sguardo energico", l'eroe di questa straordinaria storia. 
È necessario anzitutto dire che leggere le più di 1200 pagine del romanzo è un'impresa che richiede organizzazione. Non vale qui il vecchio adagio di ogni bibliomane, "se ti piace, vai avanti a oltranza e neanche ti rendi conto del numero di pagine", perché questo non è solo un monumento della letteratura francese ma anche, ahimè, un classico feulleiton d'epoca, che cede a lungaggini, dispersività, ridondanze. 
Se se ne esce, insomma, emozionati e sprizzanti di gioia dinanzi a quel finale così bello e sospeso, così eroico, si deve pur guardare alla sua genesi per poterne apprezzare ogni pagina, perdonando il buon Dumas, al quale scappa penna e calamaio per almeno un paio di centinaia di pagine. 
Ma non si tratta solo dell'aver "allungato il brodo", anche la sintassi e la costruzione della trama fanno difetto.

In testa alle note finali, questa edizione Einaudi riporta:
La presente traduzione è stata condotta sul testo stabilito da Claude Schopp e pubblicato dall'editore Laffont, Paris 1993. Il curatore francese ha corretto gran parte delle numerose incongruenze e inesattezze commesse da Dumas, scrittore notoriamente ben poco meticoloso. Altre sono state corrette nella presente traduzione, senza darne segnalazione nelle note. Nonostante questi interventi, la trama del romanzo presenta nel suo complesso alcune incoerenze cronologiche imputabili a quel ritmo di composizione frettoloso e incalzante che è caratteristica peculiare del romanziere. 
All'occhio esperto del lettore assiduo, insomma, queste incongruenze saltano agli occhi, così come la volontà di prolungare la storia ben oltre le necessità della trama. Tipico per un romanzo pubblicato a puntate fra l'agosto del 1844 e il gennaio 1846. Un anno e cinque mesi fra l'incipit e la parola fine. 

Non posso altresì esimermi dal citare Umberto Eco, che lo descrive così:
Uno dei romanzi più appassionanti che siano mai stati scritti e d'altra parte uno dei romanzi più mal scritti di tutti i tempi e le letterature. 
Il Montecristo scappa da tutte le parti, pieno di zeppe, spudorato nel ripetere lo stesso aggettivo a distanza di una riga, incontinente nell'accumulare questi stessi aggettivi, capace di aprire una divagazione sentenziosa senza più riuscire a chiuderla perché la sintassi non tiene, e così procedendo e ansimando per venti righe, è meccanico e goffo nel disegnare i sentimenti: i suoi personaggi o fremono, o impallidiscono, o si asciugano grosse gocce di sudore che colano dalla loro fronte, o balbettando con una voce che non ha più nulla di umano, si alzano convulsamente dalla sedia e vi ricadono, con l'autore che si premura sempre, ossessivamente, di ripeterci che la sedia su cui son ricaduti era la stessa su cui erano seduti un secondo innanzi. 
Bene dice Eco quando menziona anche i "dialoghi a cottimo", pagine e pagine di scambi ridondanti e non funzionali. Righe di una battuta breve che ricordano più la Comédie française e il teatro di boutade che la migliore letteratura. 
Com'è possibile che il grande autore del ciclo dei moschettieri - invece assai apprezzato da Eco - e di tanto altro fosse stato così maldestro? Il punto è che questo romanzo era destinato alla pubblicazione a puntate e l'autore veniva pagato una certa cifra a riga. Altro che editing e lavoro certosino sulla scrittura.  
L'aspetto curioso e fuori dall'ordinario di questo romanzo è che, malgrado lo si possa massacrare per tutte le ragioni qui menzionate, allo stesso tempo è un capolavoro, ma com'è possibile?

Alexandre Dumas (1802 - 1870)

Il "cosa" che vince su tutto.
La risposta fa presto a essere formulata: la storia c'è, è bella, anzi bellissima. E se è vero che fu ispirata a un fatto realmente accaduto, ebbene, viene messa insieme con una capacità inventiva notevole.
Anzitutto, e su tutti, il personaggio di Edmond Dantès. Un misto di fascino, un carattere irreprensibile, un alto senso dell'onore, generoso, intelligente e anzi scaltro, appassionato e sensibile. 
Edmond incarna tutte le virtù dell'eroe, ma è anche un uomo imperfetto, perché non perdona, è implacabile. La storia è nota a tutti, subisce un grave torto, gli viene tolto tutto, l'amore, suo padre, l'onore, il suo progetto di vita. 

Quale forza lo trascina in quell'inferno che poi è anche un inferno vero, fatto di mura spesse e tenebre?
Edmond è vittima dell'invidia altrui, ma anche della debolezza e dell'ambizione altrui. Quattro personaggi che hanno motivo di odiarlo per ragioni differenti lo scaglieranno nell'abisso. Danglars lo invidia per la sua carriera di futuro capitano, Mondego vuole strappargli la promessa sposa, Caderousse detesta la sua gioia di vivere e la sua felicità malgrado i momenti difficili, il magistrato Villefort non può rimetterlo in libertà per ragioni personali e professionali.
L'abisso di Edmond è il castello d'If, la fortezza-prigione che fu realmente luogo di carcerazione per bonapartisti e repubblicani nel XIX secolo. Nei 14 anni di detenzione Edmond cambia inevitabilmente, conosce la disperazione, la rabbia, l'odio, la fame, il freddo, l'umiliazione. 
Dantès è un innocente consegnato alle maglie di una giustizia che non è tale, semplicemente è un personaggio scomodo e deve sparire - la questione riguarda Napoleone che negli stessi mesi compie il suo colpo di stato fuggendo dall'Elba, dando luogo ai 100 giorni di rinascita prima della sconfitta definitiva a Waterloo. 

Come in ogni romanzo che si rispetti, la prigione è anche il luogo che gli consegna non solo una via d'uscita, ma anche il riscatto. Personaggio cardine è l'abate Faria, il vecchio saggio detenuto a pochi metri, che annulla la distanza grazie allo scavo lungo di anni fra le due stanze. Faria resta a cuore al lettore che si allontana dalle pagine della carcerazione. Un vecchio consumato dagli anni eppure incessantemente fiducioso, un "folle" che accarezza il progetto del riscatto e che lavora per fuggire dalla terribile prigionia. Un sapiente destinato a imbattersi in Dantès e a segnare il suo destino. 
Edizione del 1860
Faria, personaggio cardine, è il mentore di Dantès. È la svolta che dona al protagonista non solo la conoscenza, ma anche il fantastico tesoro nascosto a Montecristo.
La rocambolesca fuga di Edmond è degna della migliore letteratura d'avventura e poi il modo escogitato per arrivare al tesoro. Di fatto, direi che dall'incipit fino al ritrovamento del tesoro il romanzo è davvero un monumento di bellezza
E in questa lunga prima parte, le pagine della carcerazione sono quelle che permettono al lettore di guardare da vicino Dantès, seguire i pensieri e l'evolversi di quest'uomo martoriato dalla cattiva sorte. 

Montecristo e la maschera.
Perché Dantès, ormai entrato nei panni di questo oscuro signore che è Montecristo, compia la sua vendetta nei riguardi di chi gli ha rubato la vita, occorrono non solo l'immensa ricchezza di cui si appropria e che riuscirà a mettere a frutto con abile maestria, ma anche la maschera.
Per essere più precisi, le maschere, poiché saranno tante e tutte funzionali alla sua vendetta.
Dantès è, a seconda delle circostanze, il prete italiano don Busoni, l'inglese Lord Wilmore, con cui gioca il ruolo di antagonista di Montecristo, si firma Sindbad il marinaio con la buona famiglia Morrell. La maschera è l'elemento che permette a Dantès di ordire una trama complessa attorno ai suoi nemici, come un ragno che nel silenzio prepara una trappola mortale. 

Sembra di trovarci dinanzi alla migliore tradizione del romanzo d'avventura mentre seguiamo le vicende di questo "Cagliostro", questo trasformista e indefinibile signore. 
Montecristo non solo è cosciente di dover portare a termine una vendetta, ma si crede uno strumento di Dio, e in ciò avvertiamo l'esaltazione di cui è preda. Se guardiamo al lato oscuro di Dantès-Montecristo, l'eroe diventa un antieroe, subdolo, capace di spingere il proprio odio oltre i destini dei giovani figli dei suoi nemici. Questa seconda generazione, che avvicina e ammalia con tutta una serie di piani ben congegnati, è in bilico fra la salvezza e il precipizio. Lui ne è consapevole e sa che, benché innocenti, i figli portano inevitabilmente su di sé le colpe dei padri. 

Una curiosità: il romanzo è ricchissimo di riferimenti all'Italia. A parte la stessa Montecristo, lo scoglio non lontano dall'Elba, Roma è descritta in maniera doviziosa, gli usi e costumi dell'epoca narrati in ogni stuzzicante dettaglio. Due dei personaggi più attivi del periodo in cui viene ordita la vendetta si fingono italiani di Toscana, pittoresco tutto il mondo di briganti che gravita nei sotterranei di Roma, fra le rovine dell'impero e i cunicoli in cui si muovono figuri degni della migliore letteratura picaresca. 
Dumas ha molto amato l'Italia, di cui conosceva storia e usi. 
C'è un libro che lo racconta, L'Italia nel cuore. Lo sapevate? Io lo ignoravo. 
Non sono pochi gli scrittori e gli artisti d'oltralpe che hanno adorato il Belpaese. Mi viene in mente Goethe e il suo viscerale amore per l'Italia nato al tempo di quei bellissimi viaggi della borghesia intellettuale, i grand tour che permisero di scoprire il gusto per l'architettura antica, fino ad allora ignorata.

Del romanzo esistono molte trasposizioni cinematografiche e televisive, oltre a musical, drammi e perfino anime giapponesi. 
Mi ricordo quella con Depardieu nel ruolo di Montecristo, ma ripercorrendone alcune scene è evidente che abbiano bellamente stravolto il romanzo. L'attore perfetto nel ruolo di Montecristo è a mio parere Richard Chamberlain, la trasposizione molto più fedele al romanzo. 

Conoscete questo straordinario personaggio? 

23 commenti:

  1. Io sono innamorata del libro e di questi personaggio. Non è una lettura facile, è vero. Ci sono tante inutili ripetizioni, per non parlare degli excursus che non c’entrano niente con la storia, però mi ha dato emozioni che pochissimi scrittori mi hanno dato. Ho pianto mi ha fatto battere il cuore, per me è patrimonio dell’umanità. Certo non è perfetto, però per la bellezza della storia direi che possiamo sorvolare sugli errori. Non sapevo che Dumas amasse l’Italia e che avesse scritto un libro a riguardo. C’è sempre da imparare. Buona serata.

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    1. E io ti capisco benissimo, perché in effetti, come ho scritto nel post, questo è un romanzo che alla fin fine non dimentichi per tutta una serie di ragioni legate a quello che chiamiamo "storia perfetta". Un saluto a te, Caterina!

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  2. Ho letto Il conte di Montecristo da ragazzina e ne conservo un bel ricordo. Non saprei dire se la mia fosse un'edizione integrale o no. All'epoca mi ero sciroppata quasi tutto Salgari, tutto Verne e parecchio Dumas e quindi non lo ricordo particolarmente pesante, quanto un po' confuso nella parte centrale. Insomma, a una lettura che di solito o si ama o si odia io ho riservato un mesto 6+ e lo ricordo senza particolare affetto ne acrimonia.

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    1. Io ne ricorderò il protagonista su tutto. Dimenticherò tutti i passaggi inutili e ridondanti della lunga fase della vendetta. Al protagonista potrei dare anche un 9 pieno. :)

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  3. A suo tempo non ho notato tutti questi difetti e de Il conte di Montecristo ho ancora un meraviglioso ricordo, che ogni tanto fa tornare la voglia di leggerlo (poi il poco tempo mi impone di rimandare). La lettura fu ammaliante come poche, la dilatazione della trama non mi indispose e mi trovo in antitesi a Eco nell'esprimere un giudizio ben più tiepido verso I tre moschettieri.

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    1. Credo che se lo avessi letto giovanissima lo avrei amato come hai fatto tu. Perché è un classico romanzo di quelli che mi piaceva e mi piace leggere, un classico senza tempo. Ravvisarvi limiti ed errori mi intriga, mi induce al ragionamento. Ma leggerlo a 50 anni di fatto non può che dare una visione disincantata su queste trame-feulleiton.

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  4. La prima volta che ho sentito parlare del Conte di Montecristo e di Edmond Dantes avevo tredici anni (era l'inizio degli degli anni '70). Mio padre buonanima lavorava in una libreria storica a Genova e di libri ne giravano sempre molti a casa. Mi unisco ai commenti qui sopra dicendo che anch'io mi innamorai del libro e poi della serie televisiva in bianco e nero (sono sicuro che molti la ricorderanno).

    E' vero che a volte è ripetitivo ma ci passai sopra e in generale notai pochi difetti, anche perché il ritmo del libro affascina invischiando il lettore nella storia dell'ingiustizia che E. Dantes subisce all'inizio del racconto. Da quel momento in poi, sempre come lettore, sei coinvolto nella vendetta che Dantes mette in piedi passo dopo passo. Non molla sino all'ultimo sino a quando arriva al suo scopo primario.

    Anch'io ero e sono ancora oggi un po' tiepido nei confronti dei Tre Moschettieri. Più che altro è che si tratta di un racconto molto cinematografico, si presta a manipolazioni di vario genere, al colossal del momento. Anche il Conte di Montecristo si presta bene per il cinema, ma la trama e la storia hanno il loro valore.

    Anch'io preferisco la versione cine con R. Chamberlain ma ho visto anche una versione del 2002 con Jim Caviezel nel ruolo di Dantes, Richard Harris nel ruolo dell'abate Faria e altri attori che mi era piaciuta molto.

    Leggerò l'Italia nel Cuore di cui anch'io non ero a conoscenza. E' sempre un piacevole passaggio quello dal tuo blog, anche quando l'argomento mi fa fare un tuffo all'indietro nel tempo come in questo caso.

    Un salutone e alla prossima

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    1. Forse quella versione in bianco e nero era con Andrea Giordana nel ruolo di Montecristo? Fu uno degli sceneggiati più visti in tv (di cui non ricordo, essendo del '71), mi ricordo che mia madre ne parlava spesso. Ma era una generazione che ha visto E le stelle stanno a guardare, o tutti i film di Amedeo Nazzari, ecc. Insomma, c'era una bella tv e non faccio fatica a credere che si ricordino ancora tanto bene quegli sceneggiati.

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    2. Esatto, Andrea Giordana non lo ricordavo più. Era uno sceneggiato del '66...erano altri tempi. Io ero un bambino, ma di quel periodo ricordo anche lo sceneggiato "Belfagor o il Fantasma del Louvre" molto bello anche quello, con una grandissima Juliette Greco, che fece venire i brividi a mezza Italia

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  5. Non ho mai affrontato la lettura di questo romanzo, di cui per contro ho sempre sentito parlare tantissimo e ora leggo anche la tua recensione, sempre egregia. Devo dire che adoro gli incipit con date e riferimenti spazio temporali, perché mi "buttano" subito dentro la storia. Stimando Eco sopra ogni cosa accetto come buona la sua critica alla sintassi del testo ma offro, seguendo il tuo ragionamento, due giustificazioni: la prima è che in origine era un feuilletton, con tutti i problemi che ne conseguono, e la seconda che il personaggio principale è così ben descritto, nel suo arco di sviluppo da eroe a antieroe, che vale un intero romanzo. L'isola la conosco, ci ho navigato accanto. Ogni volta che passo dal Tirreno mi viene in mente il Conte, e prima o poi dovrò affrontarne la lettura (ma 1200 pagine...). Insomma, un romanzo può essere immortale anche con molti difetti, con buona pace degli editor e dei linguisti. Quando la storia c'è, non serve altro-

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    1. La versione in circolazione adesso è "epurata" di molte altre lungaggini, quindi si suppone che sarebbe stato un romanzo ben oltre le 1200 pagine. In sostanza, un editore francese e uno dei suoi migliori curatori, hanno preso questo capolavoro e lo hanno editato. Ma più di quanto hanno fatto non è stato possibile. Ho letto in giro che Eco aveva in progetto di fare lo stesso partendo dall'originale francese, ma credo che si profilasse come un progetto talmente lungo e complesso che averlo rimandato ha poi significato rinunciare. Mi sarebbe piaciuto un editing di Eco.

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  6. Sai che non l’ho mai letto? Conosco la storia, ho visto da bambina un film, anche se non lo ricordo bene, ma la figura di Dantes mi ha sempre affascinata moltissimo. Adesso temo la mole del libro, anche se proprio i limiti di cui parli mi incuriosiscono: credo che il fatto che sia stato concepito per essere servito al pubblico a puntate giustifichi in qualche modo questa scrittura così piena di elementi che oggi sarebbero scarsamente accettati in un testo. A casa ne abbiamo un’edizione fresca, perché mio figlio ha voluto leggerlo (ne è rimasto entusiasta) e io gli ho volentieri comprato l’edizione della Bur. È lì, chissà che non mi salti il ghiribizzo di dedicarmi a un bel classico!

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    1. Potrebbe piacerti, magari come lettura estiva (per la mole in particolare). E poi, tu che sei bravissima a fare un'analisi puntuale di lingua e stile, ti divertiresti a scovare inesattezze e lungaggini. :)

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  7. L'ho letto per la prima volta un paio d'anni fa, alla veneranda età di 49 anni. Neppure io ho trovato i difetti evidenziati da Eco e l'ho iniziato con lo stesso spirito con cui un nuotatore si appresta a tuffarsi in mare aperto. E in effetti leggere questo poderoso romanzo è come nuotare in mare aperto: acqua a perdita d'occhio e niente approdi in vista. Eppure, nonostante le ridondanze, le lungaggini e la bulimia letteraria di Dumas, a me è piaciuto tantissimo e mi ha provocato una serie di emozioni che vanno dalla gioia alla tristezza, dalla rabbia alla commozione. E mi ha lasciato, tra le altre cose, una gran voglia di rileggerlo.
    Piccola nota a margine. Il conte di Montecristo letto da me è un'edizione del 1984 che fu pubblicata in edicola in due volumi in abbinamento al Resto del Carlino. Ho trovato i due volumi per caso in una bancarella di libri usati. Ogni volume è composto di quasi ottocento pagine, e il totale complessivo supera le 1530 pagine. Direi che la metafora del nuotatore che nuota in mare aperto ci possa stare :-)

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    1. Ciao, Andrea! Mi viene da pensare su questa lunghissima edizione. Forse è la stessa che deve trovarsi a casa di mia madre, due volumi, per altro con due titoli differenti, "Montecristo" e "La vendetta di Montecristo", illustrati e molto ben confezionati (devo recuperarli). E il numero di pagine fa pensare che probabilmente non sono una traduzione dal testo stabilito da Claude Schopp ma il testo integrale. Comprendo le tue emozioni, perché al di là delle imperfezioni ci sono pagine magistralmente scritte, direi con una regia potente. Mi viene in mente il momento in cui Dantès precipita gettato dagli spalti del castello d'If che poi diventa la sua rocambolesca fuga. Ma su tutte, le pagine della prigionia. Certo, se le avesse scritte un Dostoevskij sarebbero state altra cosa, ma il buon Dumas riesce a catturare e fare amare la sua invenzione.

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  8. Anch’io non ho mai letto il romanzo, ma fa parte dei classici che vorrei leggere. La mole dell’opera mi trattiene parecchio, ma potrei tentare l’avventura incuriosita dalla tua recensione.

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    1. Leggere questo tomone equivale ad amare la letteratura ottocentesca. Se la ami, e vuoi conoscere un personaggio davvero multisfaccettato e affascinante, buttati.

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  9. Che romanzo meraviglioso, fu una delle mie letture importanti da ragazzina e ho ancora l'edizione cartonata delle Paoline con tutte le illustrazioni! Non ricordo una sensazione di pesantezza e lungaggine, anzi. Pensa che lo leggevo a voce alta sdraiata sul divano, nel pomeriggio dopo la scuola, mentre mia mamma sferruzzava in poltrona e ascoltava. In fondo ho ripercorso in questo modo le orme delle pubblicazioni dei romanzi di appendice.
    Amo moltissimo la prima parte fino alla fuga e al ritrovamento del tesoro, ma forse ancora di più la seconda con tutta la vendetta messa in atto a tavolino. Si tratta di un massacro anche dal punto di vista psicologico... come un vero scavo sotto i piedi. Ricordo nitidamente una scena nel giardino di una villa dove il Conte narra ai suoi ospiti una truce vicenda di un bimbo nato da una relazione tra due amanti, e seppellito nel giardino, ma forse vivo... e che guardacaso propone una vicenda di cui si sono resi colpevoli due persone che vuole colpire. Come hai scritto in questo bellissimo post, avevo notato anch'io l'amore di Dumas per l'Italia, e la descrizione della criminalità romana è magistrale.
    La realizzazione cinematografica con Depardieu non mi aveva convinto invece, mentre ricordo con particolare affetto lo sceneggiato Rai dei miei tempi.

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    1. Come ho scritto più su, sono certissima che anch'io lo avrei amato da ragazzina esattamente come lo hai amato tu e qualcun altro. Perché questo romanzo/feulleiton contiene tutti gli ingredienti di una storia molto ben congegnata. Come sia stata narrata poi è un altro paio di maniche. Sì, anche secondo me fino al ritrovamento del tesoro il romanzo è perfetto. Grazie per avere letto e apprezzato!

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  10. Ho letto il libro l'anno scorso e ne ho una sensazione bivalente. Nel senso che da una parte mi è piaciuto e soprattutto la prima parte mi ha commosso, addolorato, avvinto profondamente (l'abate Faria è uno dei miei personaggi preferiti, al di là di questo libro), mentre la seconda mi è certamente piaciuta ma al tempo stesso pensavo che avrebbe potuto pure andare avanti all'infinito da tanto la storia mancava di focalizzazione nell'esecuzione della vendetta. È chiaro che è tutto interessante, perché non è solo la storia in sé l'elemento che porta l'interesse, però a un certo punto veramente pensavo che l'autore stesse esagerando! :D Poi un'altra cosa che mi ha preso di meno nella seconda parte, era il fatto che il conte appariva come una figura distante rispetto al lettore. Mentre nella prima parte mi ero sentita partecipe delle sue vicende, nella seconda lui è una figura quasi estranea. E con tutto quello sfoggio assurdo di ricchezza!

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    1. Ecco, hai confermato perfettamente il mio pensiero, aggiungendo una nota importante: in tutta la prima parte, direi fino al ritrovamento del tesoro, si ha la sensazione di una vera partecipazione alle vicende di Edmond, poi lui diventa indefinibile, sfocato, sfuggente. Che è pure molto interessante per l'aspetto dell'evoluzione del personaggio, ma mi è "mancato", ecco.

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  11. Avevo letto subito il post, ma riesco a commentare solo ora, settimane impegnative.
    Nonostante conosca abbastanza bene la trama, non ho letto il romanzo. Ho visto a pezzi la serie a puntate con Gerard Depardieu, e i nostri Ornella Muti e Sergio Rubini. Ma per quanto bravo, Depardieu non mi ha preso. Mi riservo di rintracciare quella con Richard Chamberlain, soprattutto se più attinente al testo scritto. Non sapevo ci fosse anche questa.
    Non ho mai letto niente di Dumas (nemmeno I tre moschettieri, e pure quello sarebbe da rimediare) ma di questo autore scopro sempre una virgola in più per casi fortuiti. Ignoravo proprio che, pur con tutte le ragioni, il testo non fosse proprio di qualità (almeno a quanto giudicava Umberto Eco), lo apprendo da te. E ignoravo anche che Dumas fosse di carnagione scura, forse perché le immagini sono tutte in bianco e nero e non avevo mai fatto granché caso alla sua fisionomia. Finché non ho visto quella fantastica scena sul film Django Unchained di Tarantino, quando Christoph Waltz svela allo schiavista Leonardo di Caprio che lo scrittore preferito di quest'ultimo, Alexandre Dumas, è nero. Ricordo che ho afferrato il cellulare e sono andata in cerca... era mulatto, con un quarto di discendenza di origine africana. Subì molte discriminazioni comunque, nonostante un padre addirittura Generale. Una sua frase famosa contro gli sguardi impertinenti: "Sì, mio padre era un mulatto, mio bisnonno un negro e il mio bisnonno una scimmia. Come vede, signore, la mia famiglia comincia dove la sua finisce!" :D :D :D
    Devo decidermi a leggerlo. Ma forse io sono più moschettiera.

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    1. Uh, che curiosità gustosa, Barbara. Poi adoro queste citazioni che vengono fuori del tutto inaspettatamente nei film, in quei film dove non ti aspetteresti una citazione pseudo-colta, insomma. Io a mia volta non avevo fatto caso alle origini miste di Dumas. Certo, un uomo molto particolare. I moschettieri sono forse più vicini all'immaginario popolare, del resto, sono celebrati in ogni generazione. Anche se gli ultimi film li hanno banalizzati moltissimo.

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