venerdì 4 giugno 2021

L'acqua del lago non è mai dolce - Giulia Caminito

Incipit: Tutte le vite iniziano con una donna e così anche la mia, una donna con i capelli rossi che entra in una stanza e ha addosso un completo di lino, l'ha tirato fuori dall'armadio per l'occasione, se l'è comprato al banco di Porta Portese, il banco buono dei vestiti di marca ribassati, non quelli da poche lire, ma quelli con sopra il cartello: prezzi vari. 
La donna è mia madre e ha una valigetta di pelle nera stretta nella mano sinistra, si è fatta da sola la piega ai capelli, ha usato bigodini e lacca, ha gonfiato la frangetta con la spazzola, ha occhi verdi e gialli e tacchetti da cresima, lei entra e la stanza si fa piccola. 

Questa recensione comincia dando ragione a Marina Guarneri, attenta osservatrice di tendenze vecchie e nuove in fatto di narrativa. Qui ci dice che chi scrive lo fa comunemente al presente e in prima persona
Non mi ha stupito il trovarmi dinanzi all'ennesimo romanzo con siffatta struttura, insomma. Seguendo le tante opinioni entusiastiche attorno a questo libro e spinta a leggerlo dalla sua candidatura al Premio Strega - che verrà proclamato i prossimi 8-9 giugno - mi sono decisa, grazie anche al GDL (l'acronimo Gruppo Di Lettura) #parolaalledonnegdl su Instagram.

Comincio col dirvi che questa storia è un pugno allo stomaco. Una storia con il dono della verosimiglianza, fedele ai canoni di un realismo contemporaneo che non mi dispiace.
Gaia ne è la voce narrante, la sua vita fino alla prima giovinezza il cosa viene narrato. 
Siamo in quella moltitudine percepita come indistinta e incolore di famiglie che arrivano a fatica a fine mese, di incidenti sul lavoro invalidanti, di case perse e assegnate, di figli coi quali è difficile instaurare rapporti sani e costruttivi, di realtà problematiche ed emarginazione. 
Basta solo questo scenario per immaginare che in quelle vite muoversi è difficile, capire dove si è diretti, supporre di poter pianificare un futuro, tutto diventa gigantesco, tortuoso, ogni giorno c'è una battaglia da combattere. 
Gaia impara presto a ingaggiare battaglia, in famiglia e fuori dalle mura domestiche. "Fuori" la lotta si svolge sul piano dell'identità, dentro sul piano della subordinazione a una madre forte e inflessibile
Il "dentro" è anche una ricerca di affrancamento dalla Madre, questa figura dalla quale dipende tutto eppure si sente il bisogno di fuggire, consapevoli però che "fuori" non ci sono armi con cui combattere senza il sostegno di quella figura ingombrante. 
La mia rabbia è stesa sulla terrazza, prende il sole e fa smorfie, striscia tra le ombre e si affaccia alle spalle dei presenti, la mia collera è cruda, è viva, ha faccia, capelli, mani, indossa jeans usurati sulle ginocchia e porta in spalla una borsa di pelle senza più cuciture da un lato, si distingue per insensatezza, per gli abiti dei colori sbagliati. La mia ira è sproporzionata, ha gambe lunghissime, orecchie piccole e docili, piedi corti e pelosi. 

Il paese interiore di Gaia. 
Gaia è riflessiva e osserva, perde la sua innocenza di bambina e si costruisce crescendo una scorza dentro la quale fa fatica a mettersi in ascolto del proprio nucleo. È come un essere sordo al frastuono di fuori ma che in quel "fuori" vive e impara a difendersi. 
Gaia percorre ogni fase della sua adolescenza con tutto il fardello che comporta, il corto circuito di sentimenti, desideri e bisogni, il mettere a tacere in particolare questi ultimi e prendere quello che le è concesso, pur ergendosi diversa e volitiva rispetto al brusio chiocciante delle sue coetanee. 
Gaia studia. Divora i libri di scuola ed erge impalcature di interrogazioni e verifiche mai al di sotto di ciò che sua madre si aspetta, fino a farlo diventare quello che lei stessa si aspetta da sé. Lo studio è la sola percorrenza in prospettiva, una linea che dapprima corre verso l'infinito rispetto alla linea piatta della quotidianità. Lo studio è il riscatto, se può esservi riscatto per lei. 

Gaia ha un modo suo di intendere le relazioni umane. Non le appartiene leggerezza alcuna, perché non c'è tempo per la leggerezza delle sue coetanee. Non c'è tempo né denaro per smalti e vestiti attillati, ma nel frattempo non sa di tracciare un percorso fatto di oggetti che segnano il passo. 
Gaia nel presente si abbandona all'inclinazione verso il colpo violento, l'offesa brutale, la resa dei conti anche dove non c'è colpa da espiare. Quel linguaggio le appartiene e le permette di varcare il confine della coscienza ogni volta che vuole, assieme al suo complice, all'amico che la comprende perché è esattamente come lei. Il confine fra Bene e Male è una linea da reinventare per raddrizzare l'equilibrio del mondo, ma nel frattempo la sua "fame" di affetto, giustizia, serenità, le confonde i contorni di un presente in cui non riesce a intravedere bellezza alcuna. 
Insomma, Gaia non è un'eroina buona e non fa la cosa giusta. È ciò che mi piace di lei. 

Il lago di Bracciano

Il lago di Bracciano.
Il lago del titolo è proprio uno dei laghi più belli del Lazio, tutti di origine vulcanica.
Io per esempio abito non lontano da due di questi crateri (Albano e Nemi) in cui la caldera è crollata da milioni di anni e acque sotterranee e piovane hanno trasformato in specchi d'acqua. Mi è capitato di andare a Bracciano e Anguillara diversi anni fa. Per intenderci, Bracciano è dove si trova quel magnifico castello Odescalchi diventato celebre per matrimoni vip. 
I luoghi di adozione della protagonista, che da Roma arriva ad Anguillara, sono parte integrante del racconto, una provincia appiattita in abitudini e tradizioni, fra genti che si conoscono e non sanno accogliere i nuovi arrivati, a meno di non scavarsi il rispetto altrui con il lavoro duro e gli atti plateali
Ogni angolo del centro storico, percorso a pedalate furiose, e di quel lungolago in cui riecheggiano le voci dei giovani, è lo sfondo su cui Gaia fissa il proprio orizzonte, covando il fastidio di un appiattimento senza speranza, di uno spazio da cui vorrebbe evadere poiché non le appartiene. 
Ecco, lo snodo poi diventa quell'appartenenza, perché questo valore non è qualcosa cui si approda da giovanissimi. Gaia è come divisa fra un qui e un da dove proviene, e sente di non trovarsi realmente in un dove foriero di serenità. 
In quell'ultimo capitolo in cui dalla prima persona si passa alla seconda, a quel "tu" per cui noi siamo lì assieme a Gaia che idealmente o realmente fa quello che deve fare, c'è la possibilità di commuoversi. Come è capitato a me. 

Perché questa storia funziona?
Perché possiede il bene di quel realismo di cui sopra, che Giulia Caminito tesse attingendo alla vita propria e altrui. Nella nota finale c'è tutto, lì ci viene confermato che se si vuole scrivere bene si deve scrivere di quello che si conosce.
Questa non è una biografia, né un'autobiografia, né una autofiction, questa è una storia che ha ingoiato frammenti di tante vite per provare a farne una narrazione, il racconto degli anni in cui sono cresciuta, dei dolori che ho solo circumnavigato e di quelli che ho attraversato. 
Percorrere esperienze, luoghi e vite che si conoscono significa restituirli a una narrazione in cui la finzione si confonde col vero, anzi ne trae vita e verità. Senza edulcorarla né cercare di abbellirne i contorni, perché è giusto così. Ci sono storie da narrare senza cedere ai sentimentalismi o alla tentazione di ridefinirne i destini
Lo stile di Giulia Caminito è fitto di metafore, cosa che sulle prime può generare un effetto straniante e non del tutto piacevole. Poi pian piano il nostro passo di lettori si fa più sicuro, capiamo che in quel modo di narrare c'è la rabbia di Gaia, il suo sguardo disincantato, il furor dei suoi anni. 
Un libro che consiglio.

Vi piacciono le storie di questo tipo? Vi sentite a vostro agio dentro una scrittura scabra ed essenziale, dentro una narrazione che trae ispirazione da queste realtà difficili?

15 commenti:

  1. Io mi domando: quante Gaia esistono e vivono attorno a noi? Quante vite come queste incrociamo nel corso delle nostre giornate? Quanto ci possiamo riconoscere in loro?
    Secondo me tante.
    Mentre ne scrivevi mi sebrava di conoscere Gaia e di riconoscerla in decine di persone reali che ho incontrato durante la mia esistenza.

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    1. Infatti, pensieri che hanno attraversato anche la mia mente, Nick.
      Perché la forza di questo racconto sta anche nella normalità, in quella consuetudine che diventa materia di romanzo solo perché a ben vedere dietro c'è una sorta di eroismo, un istinto di sopravvivenza.

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  2. Sono stato sul Lago di Bracciano pochi anni fa con due amici di Roma ed è molto bello, ogni luogo ha un suo fascino. Ma tutta la zona del centro Italia mi piace molto. Stravedo per Orvieto (ad esempio) dove ovunque andavo c'erano persone che sapevano ancora sorridere, dai negozi ai ristoranti.

    Non conoscevo quest'autrice, ma vedo che in Italia l'editoria è risalita di molto (le vendite sono andate a +25% rispetto agli anni scorsi. Un gran bel risultato) nonostante la pandemia.

    Mi piace questo scritto, il tuo post ha spiegato bene il contenuto del libro. Abbellire i contorni, edulcorare e altre manovre del genere proprio non mi piacciono. Mi sembra una brava scrittrice e prendo nota del libro. In questo periodo, come ogni anno, cerco il cosiddetto "Libro dell'estate" che leggerò in vacanza.
    Un salutone

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    1. Di Bracciano mi piacciono proprio tutti i borghi disseminati attorno al lago. Luoghi che portano in sé la presenza del lago, comunità particolari, una provincia che può rappresentare un buen retiro o qualcosa di soffocante.
      Il romanzo è candidato anche al Campiello, se non arriverà allo Strega almeno prenderà questo, credo. Non lascia indifferenti, ecco.
      Grazie come sempre per avere apprezzato.

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  3. La scrittura scabra ed essenziale la preferisco a quella troppo ricercata, poi dipende molto dalla storia. Una ragazza che racconta una storia difficile di solito mi cattura, in Italia credo esistano molte realtà del tipo raccontato dall’autrice, é bello che certe case editrici diano voce a nuove giovani voci.

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    1. Essendo narrata in prima persona e il personaggio così particolare, la scrittura non poteva che accordarsi all'ambiente. Ha fatto un ottimo lavoro. :)

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  4. Sorrido, perché, senza sapere che mi avresti citata subito dopo, leggendo l’incipit del libro, ho detto: “eccolallà!” :)
    Però, al di là del modo scelto per narrare la storia, se è una bella storia, finisce per conquistarmi ugualmente. Questa sembra essere una bella narrazione, intensa, che potrei proporre anch’io al mio gruppo di lettura. Mi piace il fatto che l’autrice abbia voluto mettere insieme frammenti di tante vite. Quello che sostengo: se hai buon materiale e sai esattamente quello che vuoi dire con ciò che scrivi, allora vale la pena trasmettere le tue emozioni al pubblico. Poi, queste che sbuffano se si trovano davanti la prima persona al tempo presente, lasciamole perdere! 😜

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    1. Ma sì, alla fine se è ben scritto, se non è il solito cliché, un già visto-letto-sentito, insomma funziona. Potrebbe piacerti. :)

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  5. Non conosco l'autrice, ma la tua recensione mi ha entusiasmata. Avevo letto l'articolo di Marina e qui trovo proprio quello stile. Credo arricchito dalle metafore, che adoro. E poi quella madre, forte e ingombrante. Come risuona proprio ora nella mia esistenza...

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    1. Credo ti piacerebbe molto, pur con la sua dose di asperità. Perché questo è un romanzo che non fa sconti. Ecco perché mi è piaciuto.

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  6. Mi piace molto come ne parli. E sono d'accordo con te. Sono stata colpita dalla scrittura prima ancora della storia. Sono andata avanti a leggere, senza alcuna difficoltà, ma non perchè empatizzassi con Antonia o con Gaia, ma perchè mi piaceva il modo in cui la Caminito ti spinge in avanti. Dopo ho capito la storia e me ne sono sentita parte, anche se la mia età è molto lontana, ormai, dall'adolescenza!

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    1. A entrambe questo romanzo è piaciuto molto. È stata una bella esperienza di lettura condivisa, cara Rosi. :)

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  7. E alla fine è entrata proprio nella cinquina finalista!
    Dei cinque titoli questo è quello che mi incuriosisce di più, e per come l'hai raccontato, spero quasi che vinca, che possa accendere una luce sulle esistenze come quelle di Gaia, che l'infanzia l'abbandonano subito e non per scelta.
    Ho appena terminato "Eleonor Oliphant sta benissimo", in prima persona, con una madre ingombrante oltre ogni modo, ma dove la rabbia è sostituita dalla paura e dall'assenza di relazioni come forma di protezione. Non è che mi "piacciono" storie così, sarebbe più corretto dire che mi "consolano" e mi offrono altri punti di vista. Potrei scriverne una? Purtroppo sì. Lo farò? Dovrei chiedere al mio legale quali implicazioni potrei averne, perché buttare lì "Questa non è una biografia, né un'autobiografia, né una autofiction..." potrebbe non essere sufficiente, anche cambiando nomi e ambientazioni. In un certo senso, è il concetto della storia vera raccolta da chi l'ha vissuta e poi scritta da altri: i protagonisti potrebbero benissimo scriversela a sé, ma hanno bisogno di un filtro protettivo verso l'esterno. E vedere come suona diversa nelle parole scelte da un'altra persona.

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    1. Penso che, probabilmente come te, la Caminito abbia sentito in sé questa esigenza forte di oggettivare il vissuto, pur innestandolo in un quadro di finzione narrativa (parrebbe che ci sia un 50 e 50 fra l'una e l'altra cosa). Il punto è che il vissuto, come hai capito anche tu, offre ampia materia narrativa e non pochi scrittori e scrittrici sono tentati di attingere a quello. Il filtro, come dici bene, è il nucleo del problema.

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