mercoledì 17 giugno 2020

Le interviste di Luz. Ludovica: "Ho scelto di lasciare l'Italia".

Castlerigg stone circle - Keswick
Inauguro oggi una nuova rubrica, annunciata in occasione del quinto anno del blog. 
Mi piacciono le storie di vita inconsuete, quelle che suscitano interesse e curiosità, ero alla ricerca di una di queste e ho proposto a Ludovica, di Ludo's blog, di sottoporsi alle mie domande. 

Ludovica ha deciso anni fa di lasciare il nostro paese e trasferirsi prima in Inghilterra e poi in Irlanda, dove risiede attualmente. 
Guardo con ammirazione a chi ha il coraggio di tentare l'avventura di una vita totalmente nuova e diversa in un altro paese. Volevo capire più da vicino questo fenomeno assai diffuso fra i giovani e farne un'occasione di conoscenza per chiunque vorrà leggere. Ecco l'intervista.

1. Ciao, Ludovica. Grazie per avere accettato di essere intervistata sulla tua esperienza. Da quando hai sentito concreto in te il desiderio di lasciare l'Italia e andare a vivere altrove?
Sono sempre stata attratta dall’estero. Alle superiori trascorsi un anno negli Stati Uniti e, un anno e mezzo dopo la laurea, feci un internato di sei mesi in una grande biblioteca di conservazione scozzese. Entrambe queste esperienze mi arricchirono molto, ma mi fecero anche realizzare quanto apprezzassi la storia e il patrimonio culturale italiani. Così, anche se mi venne offerto un impiego in quella stessa biblioteca di Edimburgo dove ero stata stagista, decisi di tornare in Italia e tentare la carriera nei beni culturali e nella ricerca. All’epoca, ovviamente, peccai di ingenuità e scarsa lungimiranza.
Inizialmente mi inserii all’università, in un ruolo marginale in cui dovevo destreggiarmi tra tanta attività amministrativa e poca attività di ricerca; successivamente incominciai l’odissea dei concorsi pubblici raggiungendo risultati fallimentari. Dopo circa quattro anni di insuccessi decisi che, se volevo lavorare nel campo dei beni culturali, dovevo cercare qualcosa all’estero.
Dall’Italia e senza esperienza rilevante in tempi recenti, il meglio che trovai fu un altro internato in una dimora storica nel Distretto dei laghi, in Inghilterra.

Furness Abbey - Barrow in furness

2. Raccontaci di quando arrivasti in...
Il Distretto dei laghi è un parco nazionale situato nella contea della Cumbria, nel nord dell’Inghilterra. È una regione poco urbanizzata e con un trasporto pubblico che rispecchia la realtà rurale del territorio. Ci tengo a sottolineare questo aspetto perché, inzialmente, credetti di poter risiedere nella county town, Carlisle, e fare la pendolare tra la città e il parco nazionale dove avrei lavorato. Carlisle è localizzata nell’estremo nord della Cumbria, vicino al confine con la Scozia, un centro urbano  piccolo, ma pur sempre urbano  relativamente lontano dalla realtà dei Lakes con cui i collegamenti sono poco sviluppati.
Visti i problemi logistici, a malincuore, dovetti ripiegare su Kendal, una cittadina di circa 30.000 abitanti, 13 Km a sud del Lake District e con un trasporto pubblico più finalizzato a servire il parco nazionale, sia per ragioni turistiche che lavorative.
Nei primi tempi, che trascorsi in una pensione a buon mercato, mi resi conto che attraverso Internet era possibile trovare solo alloggi per turisti, i residenti dovevano fare affidamento sul passapora e sugli annunci del giornale locale, la Westmorland Gazette, distribuita a cadenza settimanale, ogni giovedì.
Fui molto fortunata perché in due settimane riuscii a trovare una sistemazione in modalità bedsit. Il bedsit è una forma di alloggio tipica del Regno Unito che, per rendere l’idea, ricorda molto le camere degli studentati o dei campus americani. Si tratta di una stanza autonoma, in un edificio piuttosto grande, spesso una vecchia casa vittoriana. Talvolta oltre a lavandino e a un frigorifero, nel bedsit si può trovare anche un piano cottura; nella maggior parte dei casi, però, la cucina e il bagno si dividono con le persone che occupano le altre stanze. Pure condividendo lo stesso edificio, non si tratta di una convivenza perché è garantita una grande autonomia.

3. Com'è vista e considerata una ragazza italiana in questa regione così particolare?
Gli italiani in Cumbria sono delle mosche bianche: in quattro anni ne avrò incontrati quattro o cinque, non di più. Un netto contrasto con i centri più urbanizzati dell’Inghilterra o anche dell’Irlanda, come Dublino, dove vivo ora. La maggior parte degli stranieri che si trova nel Distretto dei laghi proviene dall’Europa dell’Est.
Da italiana non ebbi problemi ad adattarmi e tutti mi fecero sempre sentire la benvenuta. La mia pregressa esperienza nel Regno Unito, ovviamente, mi rese più facile ambientarmi e sapevo, più o meno, che cosa aspettarmi dal mondo in cui mi stavo muovendo. Le differenze culturali ci sono, naturalmente, ma sono una persona che cerca di comprendere la diversità e questo mi aiutò a inserirmi e incoraggiò anche gli altri ad aprirsi in un’atmosfera di condivisione.

Windermere Lake

4. Amicizie: è stato possibile farne di significative?
Sì, sono riuscita a fare delle amicizie significative. Nel periodo che trascorsi in Cumbria entrai in contatto con le persone più diverse e alcune sono diventate importanti per me. Da questo punto di vista, l’ambiente di lavoro mi aiutò moltissimo: da un lato conobbi persone impiegate nelle conservazione e la gestione dei beni culturali e ambientali, con la mia stessa passione; dall’altro c’erano i locali che abitavano nel paesino in cui lavoravo, le persone che incontravo giornalmente nel mio lungo viaggio in autobus, i visitatori della dimora storica in cui ero impiegata. 
Mantengo i contatti con tanti di loro e cerco di ritornare in Cumbria almeno una volta l’anno per incontrarli.

5. Hai ritrovato in quei luoghi le atmosfere che certamente avrai letto nei tanti romanzi di letteratura inglese?
In generale, sì. Quello che mi colpì di più, però, fu scoprire la realtà del villaggio. In Inghilterra esistono ancora i villaggi. Quelli che si trovano in alcuni dei libri di Susanna Kearsley e Barbara Erskine, quelli che si vedono nelle serie TV tipo l’Ispettore Barnaby, così come negli adattamenti per la televisione di alcuni classici, come quelli della Austen. Piccoli centri, cottage, case vittoriane, la chiesa, il pub, l’ufficio postale, a volte dei negozietti, comunità di campagna. 
L’idilliaca campagna, perché dalla rivoluzione industriale in avanti, molte delle città inglesi portano ben visibili i segni delle alterne fortune economiche e hanno un’aria malinconica, quindi tante persone le rifuggono. Non mi riferisco, naturalmente, a Londra, Manchester, York etc. Intendo, piuttosto, luoghi come Blackpool, Burrow-in-furness, Preston...

Kendal

6. C'è qualcosa che potremmo imparare dalla cultura in cui sei immersa? E qualcosa che noi potremmo insegnare a loro?
Questa è una domanda difficilissima. Dopo aver vissuto nel Regno Unito e, vivendo adesso nella Repubblica d’Irlanda, posso solo riconoscere quanto siamo diversi perché abbiamo avuto delle storie differenti che ci hanno plasmato in società distanti tra di loro, ma che hanno un loro senso.
Per quanto riguarda l’ambiente del lavoro e dello studio, potremmo imparare da loro l’importanza dell’esperienza e del capitalizzare su di essa. I libri di testo sono un punto di partenza, ma bisogna andare al di là della teoria, le cose bisogna imparare a farle e mettersi in gioco. Da un lato, quindi, nella formazione è imprescindibile la sperimentazione: progetti di gruppo, scrittura di saggi, esperimenti in laboratorio. Dall’altro, nel lavoro, c’è la necessità di inserirsi nel mercato il prima possibile perché, per quanto lavorare in un negozio possa non avere alcunché a che fare con quello che stai studiando all’università, ti forma alla collaborazione con i colleghi, alla contabilità, al rapporto con i clienti, all’uso di sistemi informatici... È molto difficile ottenere l’impiego che vuoi solo perché hai una laurea ad hoc, devi aver maturato l’esperienza per meritartelo e quella, di solito, si acquisisce al di fuori di quelli che possono essere i tuoi immediati interessi.
D’altro canto loro potrebbero apprendere da noi l’importanza di una maggiore capacità di astrazione, capire come le cose funzionano, oltre che imparare a farle. Sì, esattamente l’incontrario di quello che ho scritto sopra. Il sistema educativo italiano, tutto quello studio e quei libri mi hanno aiutata a sviluppare le capacità di apprendimento, a velocizzarlo. Mi hanno permesso di adattarmi facilmente a diversi ruoli, di comprendere velocemente come funzionavano le cose in diversi ambienti.

7. Resteresti per sempre in questo "paese d'adozione"? Se no, perché?
Dall’Inghilterra me ne andai perché non ero riuscita a trovare un lavoro che davvero mi soddisfacesse. Se lascerò anche l’Irlanda probabilmente lo farò per lo stesso motivo.

8. Cosa ti manca di più dell'Italia?
Dell’Italia mi mancano i colori e i beni culturali italiani.

9. I tre migliori piatti della loro cucina.
Bridge House - Ambleside
Rimanendo in Inghilterra, bisogna sottolineare che la cucina tradizionale ha finito per essere semi-dimenticata a causa delle contaminazioni straniere che si sono diffuse in modo massiccio in ambiente culinario. Se devo nominare tre cose tipiche che mi piacciono, però, direi lo Yorkshire pudding, i Norfolk dumplings e il Christmas cake. Il primo è un considerato un contorno, si fa con farina, uova, burro e latte e ha l’aspetto di una focaccina. I Norfolk dumplings sono sorta di bomboloni di pasta fresca (al cui impasto verrebbe tradizionalmente aggiunto grasso di origine animale) che si mangiano con zuppe e stufati di vario genere. Il dolce natalizio alla frutta è un dolce che si realizza con frutta tenuta a bagno nel rum o nello scotch.

10. Tre parole con cui potresti definire ciò che di buono hai trovato in Inghilterra.
Dinamismo, organizzazione, impegno.

Foto di Ludovica

Grazie ancora a Ludovica e a tutti i lettori. 
Vi è mai passato per la mente di trasferirvi in un altro paese? Quale vi attira maggiormente? Quale suscita in voi un certo fascino?

43 commenti:

  1. La storia di Ludovica è simile a quella di tanti giovani talenti che non riescono ad essere valorizzati in Italia e che finiscono per cercare e trovare all'estero quelle soddisfazioni che in patria gli vengono negate.
    Dell'ambiente universitario poi non ne parliamo proprio, tra burocrazia, raccomandazioni ed una certa gerontocrazia della classe dirigenziale sembra davvero non "essere un paese per giovani".

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    1. Concordo, Ludovica fa parte di quella enorme compagine di giovani con un ottimo percorso universitario, che cercano naturalmente una collocazione dopo gli studi e sanno già di voler lavorare anche sodo, e invece si scontrano con l'indifferenza di un sistema che li spinge in secondo ordine. E lei, come tanti, è andata a portare il proprio saper fare altrove.

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    2. @Luz
      Grazie per avermi ospitata in questo spazio.

      @Nick and Luz
      Francamente non mi sento un talento, direi che sono una persona perfettamente nella media. Il problema è che in Italia, in certi settori, come quello dei beni culturali, è molto difficile trovare lavoro. In alcuni stati esteri, invece, è ancora fattibile. Per quanto mi sia resa contro che fare esattamente quello che desideri non è sempre possibile, anche in paesi come il Regno Unito e la Repubblica d'Irlanda.

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    3. @ Ludo
      Credimi lo so, mia moglie è archeologa, in passato ha lavorato anche al Ministero dei Beni Culturali e me ne racconta ancora oggi di cotte e di crude...

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  2. Già solo dalle foto l'Irlanda deve essere molto bella. Certo, clima e cucina diversi dall'Italia, ma ho avuto amici in passato che hanno fatto scelte simili (sono andati in Scozia). Apprezzo il coraggio delle scelte. Per quanto mi riguarda fra fine degli anni '80 sino a fine anni '90 stavo per scegliere di andare a vivere in Francia ma poi sono tornato in Italia. Non avrei problemi ad andare all'estero, ma andrei in un paese dove parlo bene la lingua come in Francia o in Belgio (anche se parlo 5 lingue). Per quasi 35 anni ho viaggiato molto all'estero, anche fuori dall'Europa. Ho vissuto e lavorato in paesi Europei dove "lo Stato" funziona (anche in questo caso parlo per esperienza diretta) Tuttavia, sai com'è, mai dire mai...magari prossimamente chissà.
    Bel blog che leggo di tanto in tanto
    Un salutone

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    1. Benvenuto e grazie per il tuo apprezzamento nei riguardi del blog.
      Mi hai ricordato mia sorella, che parlando correntemente il francese, anni fa fece un pensierino a trasferirsi da quelle parti. Il gancio fu la sua specializzazione in Urbanistica alla scuola di formazione per architetti Paris-La Villette. Mi piacque l'idea e fui felice di saperla fra nuove amicizie che intrecciò in poco tempo. Poi fu assunta in uno studio in Italia (a tempo determinato) e ci rinunciò.
      Oggi insegna Tecnologia, insomma, anche lei non ha trovato in Italia la giusta collocazione dopo tanto studio.

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    2. Anche io ci tengo molto a stare in un paese in cui conosco bene la lingua. Sarò sincera: al momento neanche intendo imparare un'altra lingua per motivi lavorativi. Questo rimane, quindi un limite; non ho problemi a trasferirmi in altri paesi per lavoro, ma la lingua professionale deve essere l'inglese.

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  3. Bella rubrica! Grazie a te e a Ludovica. L’attrazione per altri paesi è stata sempre in me molto forte, quindi ho letto con molto interesse l’intervista. :-)

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    1. Grazie per avere apprezzato, Giacinta. :)

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    2. Mi è sempre piaciuto viaggiare... spero, tra l'altro, di ricominciare a farlo presto. Ho sempre voluto fare esperienze che andassero al di là del turismo e studiare e lavorare all'estero mi ha davvero arricchita.

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  4. In passato ci ho pensato molte volte ma non ho mai avuto il coraggio. Paesi che mi affascinano ce ne sono, ma solo come turista.

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    1. Ecco perché chi parte ha la mia ammirazione, è fuori di dubbio che richieda una buona dose di coraggio, oltre alla determinazione.

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    2. Diciamo che il coraggio l'ho sempre avuto, ma, come accennato in un commento sopra, la lingua è un grande limite: non credo andrei in un paese dove non è possibile usare l'inglese come lingua di lavoro.

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  5. Questo post mi fa tornare la voglia di viaggiare, ma solo per puro piacere! Ludovica invece sta ancora cercando la sua strada professionale, come molti giovani che non si sentono valorizzati in Italia. Certo questo momento è difficile dappertutto, credo che io sentirei troppo la lontananza. Le faccio i miei migliori in bocca al lupo (bella la nuova rubrica!)

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    1. Per noi che apparteniamo a una generazione in cui si era appena affacciato l'Erasmus, vi è ancora questo fascino per la vita "altrove". Oggi in giovani hanno moltissime opportunità, che si colgono con più facilità in questo mondo iperconnesso. Ai nostri tempi l'università faceva da intermediario e tutt'al più ci si interfacciava di presenza e via telefono per tutti gli accordi. Da una parte questa agilità oggi favorisce, dall'altra penalizza perché di fatto è più difficile affacciarsi al mondo del lavoro.

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  6. In un certo senso hai ragione, sto ancora cercando la mia strada professionale, ma non sono più giovanissima. Mi laureai 14 anni fa e ho trascorso gli ultimi 7 all'estero, prima nel Regno Unito e adesso nella Repubblica d'Irlanda. Solo in questi paesi sono riuscita a inserirmi nell'ambiente dei beni culturali, che è quello che mi interessa.

    Purtroppo, però, sono sempre riuscita a trovare impiego nell'ambito dei servizi al pubblico, mentre la mia passione è sempre stata la gestione delle collezioni. Da un lato non progredisco nell'ambito in cui mi trovo perché non mi interessa farlo; dall'altro non riesco a inserirmi nel collections management perché non ho abbastanza esperienza o perché le istituzioni per cui lavoro mi ritengono necessaria nei ruoli al pubblico (e questo mi è stato detto in faccia.)

    Non riesco a venire a patti con questo circolo vizioso e a fare compromessi. Sono una persona che, se non riesce a essere soddisfatta sul lavoro, non trova altre grandi valvole di sfogo e preferisce persistere come un mulo, non importa contro quanti muri vada a sbattere. Questo atteggimento può avere dei risvolti negativi naturalmente.

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    1. Sai se chi si occupa del collections management è passato dai ruoli al pubblico? Potrebbe essere una prassi comune, dimmi tu, questa cosa mi incuriosisce.

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    2. Spesso, hai ragione; per questo tendo ad accettare gli impieghi che implicano servizio al pubblico. Forse sto peccando di impazienza, ma è da sei anni (4 in Inghilterra e 2 in Irlanda) che mi adatto a ruoli al pubblico sperando di passare al collections management e mi sto stancando. Non mi sto davvero lamentando perché sono consapevole che potrei passarmela peggio e fare qualcosa che proprio non mi piace, ma tant'è.

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  7. Molto bella quest'intervista, l'ho apprezzata molto e mi ha fatto venire una gran voglia di visitare quei luoghi. Molti anni fa sognavo anche io di lasciare l'Italia, probabilmente me n'è mancato il coraggio, a parte gli impedimenti pratici. Ammiro molto chi trasforma questo tipo di desideri in una realtà concreta. Penso siano esperienze importanti, al di là di quello che poi succede. Purtroppo conosco anche chi non è riuscito a trovare all'estero la sua strada ed è dovuto tornare in Italia, magari dipende da vari fattori trovare o meno una propria dimensione.

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    1. Sì, non tutti riescono a trovare nel paese d'adozione una propria dimensione. Non sono tanti, ma si torna anche in Italia e questo fa capire che stare bene in un altro paese, fino al punto di decidere di restarci, è il prodotto di una serie di elementi giusti per quella determinata persona.
      Grazie, Maria Teresa. :)

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    2. Vero. Si sente parlare soprattutto delle persone che vanno all'estero, conquistano i propri obiettivi e trovano una loro dimensione. Sarebbe interessante saperne di più su chi ritorna in Italia e sulle aspettative disattese.

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  8. Bellissima intervista! Poi per una nomade come me😁. Anch'io delusa dalle prospettive lavorative in Italia approdai in Francia, innamorata come sono del paese e della lingua. Non rimasi per un unico motivo: leggevo negli occhi spenti di italiani che erano lì da tanti anni troppa nostalgia e pensai che, forse, un giorno quella "malattia" sarebbe arrivata anche per me, così tornai. Ad oggi nom so se ho fatto bene

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    1. Forse oltre a guardare in modo particolare chi ci aveva provato, non hai trovato in te abbastanza motivazione per restare. La Francia è un paese molto particolare, difficile inserirsi da quello che so.
      Grazie per avere apprezzato l'idea. :)

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    2. Per quanto mi riguarda, la nostalgia per l'Italia la provo quando torno, per i primi giorni. L'ho scritto sopra: dell'Italia mi mancano i colori (che sono unici) e i beni culturali italiani. Ogni volta, però, mi rendo conto che, con tutta probabilità, non riuscirei a 'sopravvivere' all'economia e al mercato del lavoro italiani.

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  9. Bella intervista, per cui ringrazio entrambe. Ho pensato spesso di trasferirmi in Inghilterra o in Scozia per motivi affettivi, ma mi rendo conto che il mio è un approccio un po' troppo sognatore alla cosa. Cambiare paese non è cosa da poco, soprattutto se non si ha l'obiettivo dello studio o del lavoro, che aiutano a inserirsi. In ogni caso l'idea resta. Chissà...

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    1. Inghilterra e Scozia sono molto belle e molto diverse tra loro. Ho vissuto a Edimburgo e visitato parti della Scozia. Devo ammettere che troverei piuttosto difficile vivere al di fuori di centri urbani importanti o nelle Highlands.

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    2. Della Scozia, che non ho mai visto, ho questa suggestione datami da tanti romanzi e film. Una terra selvaggia, ampia e per certi aspetti "difficile". Ricordo le puntate della serie "Victoria" ambientate in Scozia, quell'adattarsi della corte a una situazione molto diversa e lontana dalle abitudini di Londra.

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  10. Che bella questa intervista, complimenti a Ludovica per quello che ha realizzato e per il coraggio di aver lasciato l'Italia, molti si lamentano di non trovare il lavoro che li appassiona, ma non hanno il coraggio di spostarsi. Per me l'unico atto di coraggio è stato quello di lasciare la Puglia per vivere a Bologna, dopo l'università ho anche pensato di andare all'estero, ma poi credevo di aver trovato il lavoro che volevo e non mi sono più mossa, mi sarebbe piaciuto fare un'esperienza di lavoro all'estero. Una mia compagna di università passava ogni estate in Inghilterra lavorando come cameriera in un pub, una volta ho proposto ai miei di seguirla ma mia madre mi bloccò con tutte le sue paure, quindi lasciai perdere, ripeto serve coraggio e determinazione. A proposito ho scoperto da poco la serie dell'ispettore Barnaby, la adoro!

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    1. Quindi anche tu sei originaria del sud, non lo sapevo. :)
      Diciamo che, nel nostro piccolo, siamo state emigranti anche noi, anche il nostro spostarci in altra regione, altra realtà, dover ricominciare da zero, senza amici né famiglia, ha pur rappresentato qualcosa. Certo, scegliere di lasciare l'Italia è molto di più. Credo che siano pochi coloro che non hanno mai subito il fascino dell'altrove, anche solo per esperienze a tempo determinato. È uno dei miei rimpianti, sarebbe piaciuto anche a me fare delle esperienze come la tua amica. Che poi non parrebbe una cosa così "poco normale". Anche ragazzi ai quali non avrei attribuito questo "coraggio" hanno fatto qualche esperienza all'estero. Molti di loro sono tornati più volte a lavorare a tempo determinato finiti gli esami di sessione.

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  11. Anche io frequentai l'università a Bologna. Per quanto mi riguarda, un'esperienza indimenticabile: tante delle mie passioni nacquero in quell'ambiente.

    Per quanto riguarda le mie esperienze all'estero più significative, devo ammettere di essere sempre stata piuttosto fortunata: nella maggior parte dei casi sono sempre partita o con un impiego già in tasca o con un alloggio assicurato, il che mi facilitò.

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    1. È vero Ludo, Bologna è una città molto stimolante, anche se per me, che ormai ci vivo da trent'anni, ha perso un po' del suo fascino; lo ritrovo quando me ne allontano per un po'. Avrei voluto fare un'esperienza di lavoro all'estero, ma non è successo, però per fortuna ho fatto molti viaggi in Europa e nel mondo, anche se non è la stessa cosa. Pensa che proprio quest'anno avevo programmato (e prenotato l'aereo) un viaggio in Irlanda, purtroppo saltato per il coronavirus...

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  12. Non ho mai pensato di lasciare l'Italia, nemmeno per un attimo. Più che altro legato da affetti familiari che non mi sono mai sentito di lasciare indietro. Non si tratta di coraggio o dell'essere ancorati ad una vita il cui solco è già tracciato... o forse si, non saprei.
    L'isolotto di cui parlate l'ho girato in lungo e in largo, dalle Highlands a Land's End, per svago, o più spesso sulla costa sud, in quel piccolo angolo di terra tra Portsmouth e Southampton. Mi piace, tutto sommato, e se dovessi decidere che l'Italia non fa più per me, è in quei posti che andrei. Sicuramente fare rotta verso nord e se le frontiere si dovessero chiudere per via della Brexit, allora ripiegherei su Danimarca o Finlandia.
    Il problema ora è che, da quando il mio medico mi ha tirato le orecchie, dovrei attenermi a una rigida dieta mediterranea e, per quanto possa permettermi qualche sgarro, una dieta fatta prevalentemente di fish and chips (annaffiati di Guinness) non sarebbe consigliabile.
    Ah, l'annosa problema della cucina!.. e che poi non è vero che lì da voi si mangia solo junk food, fermo restando che resta comunque il mio guilty pleasure. La cucina internazionale è molto meglio che da noi. Quando scendo a Heatrow la prima cosa che mi viene in mente è fiondarmi in un ristorante indiano, con quei profumi e quei sapori che qui da noi non trovi nemmeno se piangi... o quei pub dove ti servono quelle meravigliose bistecche affogate nella mostarda, che mandi giù tra una pinta di lager (a me la Guinness fa schifo) e una partita di freccette con il collega/amico inglese, talmente rosso in viso che non scommetteresti di rivederlo vivo il giorno dopo. Tanto sono rossi i visi degli uomini, tanto sono blu le gambe delle donne, che si ostinano ad andarsene in giro senza calze e con le gonne corte anche a gennaio, con il termometro abbondantemente sotto zero.... ma sto iniziando a divagare....

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    1. Eppure queste tue divagazioni sono molto belle. Conosci bene quei luoghi e ne ricordi ancora alcune caratteristiche. Traspare una certa passione per questa cultura che un po' tutti conosciamo solo attraverso le sue tante manifestazioni, musica pop, cinema, libri. Il limite di chi non c'è stato è credere che sia tutto un melting pot, invece la Gran Bretagna è fatta di realtà e scenari differenti. Persone come Ludovica e chi vi ha viaggiato molto come te, sa comprenderne il mood.

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    2. Anche a parecchi irlandesi la Guinness non piace!

      Quando ero a Edimburgo mi ricordo anche io le persone sbracciate o a gambe scoperte in pieno inverno con la pancia piena di alcool, che se ne andavano da un pub all'altro o da un club all'altro. Io durante quelle trasferte sarei morta assiderata se avessi avuto così tanta pelle esposta.

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  13. Grazie infinite Luz e Ludovica, mi sono piaciute molto sia l'intervista sia le foto.
    Sono ormai 15 anni che ho lasciato la Francia per l'Italia. Con poca tristezza a dir la verità. Anche se ho dovuto licenziarmi da un lavoro che mi piaceva tantissimo in una casa editrice. Sapevo (almeno lo speravo) di andare verso orizzonti più sereni.
    Ho sempre avuto l'Italia nel cuore (e nel sangue) con nonni italianissimi e difficilmente avrei scelto un altro paese (o avrei accettato di trasferirmi in un altro paese visto che è stata una decisione presa con mio marito, il quale ha chiesto di essere trasferito da Parigi a Frascati per lavoro). Il fatto di parlare la lingua è stato essenziale per l'inserimento e l'accoglienza ricevuta dagli italiani è stata sin dall'inizio calorosa. Devo aggiungere che abitavamo a Roma nel quartiere Celio e 15 anni fa era molto piacevole. Ho subito fatto amicizia con una persona anziana davvero deliziosa, la Signora Adelaide, la quale viveva con la badante srilankese, Eulin. Abitavamo sllo stesso pianerottolo. In pochi giorni ho scoperto una cosa mai vissuta a Parigi, il contatto e la solidarietà tra vicini !!
    Però poi... dopo 8 anni a Roma è diventato complicato. Nel frattempo erano nati i miei figli e non sopportavo più di vivere in città, non era la vita che desideravo per loro. Sempre per lavoro abbiamo deciso di trasferirci... nei Paesi Bassi !! Due mesi prima del trasloco siamo partiti per l'Aia con l'obiettivo di trovare casa... e siamo tornati a casa il giorno successivo !!! Durante la notte ero andata in panico totale all'idea effettiva di lasciare Roma !!! Mio marito per poco non mi amazzava, ma poi, la cosa buffa è stata la reazione dei suoi capi (italiani) sul posto : "Ancora non abbiamo capito perché volessi lasciare l'Italia per venire a vivere qui !!". Già. Quell'esperienza mi ha fatto capire quanto fossi legata all'italiana. Molto di più di quanto pensassi. Nonostante tutto.
    Il fatto di non parlare la lingua sarebbe stato un ostacolo enorme per me e difficilmente mi sarei potuta inserire lì. Senza dubbio è un paese bellissimo, però la lingua, il clima, il cibo e la mentalità molto diversa da quella italiana, erano tutte cose che difficilmente avrei potuto apprezzare. E non mi è mai piaciuta l'idea di frequentare solo connazionali nel paese di adozione, avevo provato appena arrivata a Roma però avevo rinunciato ben presto. Avevo bisogno di tutt'altro, di un contatto "stretto" con la popolazione autoctona.
    E così siamo tornati in Italia ma abbiamo lasciato Roma per una vita molto più piacevole e tranquilla nei Castelli Romani. Decisamente la scelta migliore.
    Amo l'Italia e gli italiani e anche nei momenti di sconforto non immagino di poter tornare in Francia. Il mio posto è qui.

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    1. Devo ammettere che, ormai, sono abituata alle isole britanniche da un punto di vista culturale, quindi non so cosa potrei aspettarmi da un altro paese. In tutta onestà, poi, confesso di non avere voglia di imparare un'altra lingua per lavoro e, come scrivi, tu la lingua è fondamentale.

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    2. Di questo suo essere arrivata in Italia e avere imparato ad amarla, mi piace soprattutto l'aspetto della solidarietà delle persone, della facilità con cui si possono stabilire rapporti, della nostra "apertura" come italiani capaci di accogliere. E poi, che fortuna per me che vi siate trasferiti nei Castelli romani! :)

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    3. È fondamentale sottolineare, come giustamente ha fatto lei, carissima Luana, il grande cuore degli italiani in materia di accoglienza...

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  14. "Vi è mai passato per la mente di trasferirvi in un altro paese?"
    Tutte le mattine.
    Beh, forse tutte le mattine no, ma tutti i lunedì mattina sì.
    "Quale vi attira maggiormente?"
    Mah, fammi pensare... :D Così, su due piedi, direi in Scozia. Per il clima, ovviamente.
    (Sopporto molto male il caldo io, quindi per me la Scozia non è così fredda, umida e piovosa, non meno della pianura padana, ecco)
    A parte i sogni ad occhi aperti delle superiori, soprattutto la voglia di evasione, non ho mai potuto nemmeno accarezzare l'idea, sempre bloccata dalle paure ancestrali della mia famiglia. Dove qualcuno vede opportunità, gli altri vedono solo problemi.
    Adesso se qualche giovane (ed è capitato) mi chiede consiglio tra un lavoro all'estero e un lavoro in Italia, gli dico senza timore di andare all'estero, esperienza formativa che può sempre vantare se è poi costretto a rientrare in Italia. Purtroppo il nostro paese offre poco, schiavi come siamo di una gerontocrazia e di un sistema clientelare duri a morire.
    E adesso? La Scozia l'ho scoperta prima per motivi letterari, poi sportivi, e adesso la conosco per interposta persona anche come un luogo bello dove vivere. Un'amica italiana ha vissuto lì per 8 mesi, da sola, eppure mai e poi mai si è sentita sola. Aveva già delle amicizie e altre ne ha fatte anche con italiani residenti lì. Ha trovato lavoro con un'amministrazione anche celere nel gestire documenti burocratici, via mail o app (altro che da noi...) Poi è dovuta rientrare per motivi famigliari, ma a settembre ritorna su. E inutile dire che ogni tanto se ne salta fuori con un "vieni anche tu". Ma per il momento non sono nelle condizioni di spostare tutto il carrozzone. Ecco perché dico ai giovani di non lasciarsi scappare quell'opportunità.

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    1. Durante la stesura di questa intervista ti ho pensata, e in particolare mi sei venuta in mente nella domanda finale, di cui conoscevo già la risposta. Scozia forever. :)

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  15. Anche secondo me se capita l'opportunità di fare un'esperienza di lavoro all'estero, vale la pena prenderla al volo. Non deve per forza diventare una scelta permanente e ti arricchisce molto.

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  16. Grazie a entrambe per questa bella e interessante intervista. :) E, naturalmente, mi ha colpito l'esperienza di Ludovica perché trasferirsi all'estero per lavorare non è nelle corde di tutti, nemmeno di persone in età giovane. Conosco dei giovani spigliati che pure non se la sentirebbero di fare esperienze all'estero, che invece sono molto formative (come il fatto di andare a vivere da soli!).
    Quando ero una ragazzina, a mio padre fu proposto di trasferirsi in Germania in pianta stabile. Era stato molto apprezzato per il suo lavoro come collaudatore esecutivo impianti. Tuttavia rifiutò per mille motivi, tra cui il fatto che ero già abbastanza grande e forse non mi sarei trovata benissimo. Chissà, forse ora sarei bilingue!
    Per quanto mi riguarda, sento nelle mie corde la Francia, esclusivamente per motivi affettivi. Non so se vivrei proprio a Parigi, però, forse opterei per qualche paesino della costa mediterranea.

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    1. Ti vedrei benissimo, infatti, in uno di quei paesini della Camargue, tipici e così intrisi di natura, tradizioni, con gente salda, legata ai valori.
      Vero è che si tratta di un paesaggio quasi selvaggio, mentre la città francese è così diversa...

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