venerdì 13 luglio 2018

Per chi scrivere? (con una digressione su chi definire realmente "scrittore")

In queste lente giornate di luglio ho modo di tirare il fiato dopo il caotico anno vissuto (noi prof/teatranti non viviamo il classico anno solare ma l'anno scolastico/stagionale) e leggere leggere leggere. 
Sono alle prese con il bellissimo Augustus di John Williams, ma mi concedo "scappatelle" qua e là, una rilettura a qualche bel passaggio che ricordo di un determinato romanzo, o una sbirciatina a libri che aspettano. Uno di questi è Il mestiere dello scrittore, di Murakami Haruki. 
Non voglio sbirciare più di tanto, perché immagino sia un libro da gustare, ma prendo a prestito qui un bel capitolo del libro, dal quale rubacchio il titolo per questo post. 
È presto detto: secondo il nostro lo scrittore scrive per se stesso. La scrittura è un'emergenza, un bisogno, e vi si riversa la propria esperienza supportata dall'immaginazione.
Andiamo a noi "scrittori" virgolettato, secondo una bella definizione "scribacchini", forse addirittura preferibile "scriventi". Mi capita di leggere qua e là diversi nuovi autori. Mi arrivano molte email in cui mi si chiede di recensire un romanzo, per altro. Smetto dopo le prime quattro, cinque pagine. 
Perché? Andiamo per gradi.
Gli scrittori, dopo aver consumato tonnellate di libri di letteratura (ebbene sì, per poter scrivere è necessario leggere i classici, formarsi sui classici), sviluppano poi uno stile proprio, originale, il prodotto e la sintesi fra conoscenza ed esperienza. Fra i contemporanei, oltre a Murakami, penso a Franzen, Foster Wallace, Roth, Auster, Williams. Il re della letteratura di consumo, King. Immensi, inarrivabili, autentici. Fra gli europei, penso a Pennac, Màrai, i nostri Baricco, De Luca, Murgia. Possono piacere o non piacere, ma nessuno può negare si tratti di scrittori. Possiamo non sentirli nelle nostre corde, detestarli perfino. Ma hanno quel quid che può fregiarli del titolo, ecco. 
Veniamo ai cosiddetti scrittori minori, oppure esordienti e autopubblicati. 

La tendenza è
1. di imitare lo stile di qualche scrittore celebre, magari semplicemente inventando una buona storia ma poi raccontandola esattamente con parole e scelte tipiche di un determinato noto autore;
2. scegliere un genere "mainstream", rassicurante, accomodante, che crea facile identificazione;
3. non conoscere la sintassi, inciampare in qualche errore ortografico, non sapere impaginare;
4. non avere la storia, ossia avere un buono stile ma non avere nulla di coinvolgente da raccontare.

Sia chiaro, non mi è ancora capitato nessuno che abbia tutte queste caratteristiche assieme. 
Inoltre, chiarisco che il punto 2. non è un "difetto" vero e proprio, solo questione di gusto personale. 
Il difetto vero e proprio salta fuori quando si è talmente sicuri di avere fatto tutto benissimo e di poter essere definiti "scrittori", da non aprirsi a nessuno stimolo per migliorare o modificare quello che non va. Manca una certa consapevolezza. 

Proseguendo nel mio lavoro di editing del romanzo che scrissi diversi anni fa - supportata da chi ne capisce più di me - mi interrogo sul target di questo lungo romanzo. 
Per chi lo scrissi?
Credevo di poter arrivare a un pubblico sia maschile che femminile, invece tutti coloro che lo lessero sono donne. È uno dei grandi limiti di questo romanzo. 
Ciò mi ha portato ad alcune certezze:
- so già che il pubblico di lettori sarà prevalentemente, se non esclusivamente, femminile; 
- so già che la struttura del romanzo ha un difetto di prolissità nelle descrizioni, da qui i numerosi tagli; 
- so già che non è un romanzo d'avanguardia e che non mi permetterebbe di competere con nessuno;
- so già che ho ancora moltissimo da imparare;
- so già che non posso assolutamente definirmi una "scrittrice", semmai una dilettante. 
Perché lo scrissi?
Perché volevo raccontare una storia di denuncia dei soprusi subiti dai nativi americani e di emarginazione femminile, il tutto all'interno di un'epopea che abbiamo imparato ad amare attraverso i grandi film ambientati nel West. Suscitare nel lettore una riflessione, non una mera distrazione. 
Qualche tempo dopo, iniziai una storia ambientata in Toscana ai tempi del fascismo, mai conclusa.

Come il teatro, non può a mio avviso esservi scrittura che non abbia un fine preciso
Scrivere un romanzo di denuncia sociale, per esempio. Oppure un romanzo di genere che ne rispetti fedelmente e autenticamente le caratteristiche. O semplicemente scrivere qualcosa di buono, che induca il lettore a leggere fino all'ultima pagina senza trovarsi dinanzi agli errori già elencati. 
Su tutto, deve essere sacrosanto leggere. Quintali di libri di vera letteratura, attraversare idealmente l'esperienza altrui, dei grandi, così come dei minori che hanno avuto il merito di rispettare la scrittura.
Questo post è diventato più che altro un "perché scrivere", ma va bene così.

E voi, siete lettori particolarmente attenti ed esigenti? 
Perché scrivete? 

41 commenti:

  1. Non ci crederai, ma io, pur da self publisher (anche se mi piace dire autore indipendente), sono uno scrittore a tutti gli effetti.
    La questione però è pirandelliana. Perché avendo come modello di riferimento i grandi scrittori, anche se ho pubblicato, al massimo mi definirei scrivente.
    Il paradosso però sono i lettori. Quando ti cominciano a chiamare scrittore. In qualche modo, come dice Pirandello, ti danno la patente.
    Io avrei voluto rispondere a quel primo lettore, scrittore non lo so, se lo sono.
    Però poi ti chiama così un secondo lettore e un terzo e così via. Non è che puoi accampare scuse: non chiamatemi scrittore, non mi sento tale. Ti prendono per insicuro, come minimo.
    Mi sono arreso all'evidenza dei fatti. E questo tipo di passaggio, dal non sentirsi ancora pronti, all'esserlo per consenso altrui, per me ha rappresentato una sensazione strana.
    Per tanti anni, da quando ne avevo diciassette, avevo sognato di poter diventare uno scrittore. Scoprire d'esserlo diventato sul serio, perché chi di norma legge i libri, in te, non ravvisava differenze con altri scrittori che leggono, mi ha spiazzato.
    Adesso mi dico, che tutto ciò che posso fare, è diventare uno scrittore migliore. Un pezzetto alla volta, un libro dopo l'altro.

    Sulle lettrici donne, io non me ne farei molto cruccio. Perché anch'io, con mia somma sorpresa, ho scoperto che il 90% dei miei lettori è donna.
    Pensavo che in un genere come il giallo, i lettori maschili fossero la maggioranza.
    Il lettore principe è donna e noi maschietti, dobbiamo farcene una ragione.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Le ultime righe mi fanno riflettere, oltre che consolarmi. :)
      Mi piace la tua risposta. Finora ho vissuto questa sensazione di "patente affidatami" con il teatro. Essere registi è come essere o presumersi scrittori, quindi nel momento in cui non solo hai un pubblico che ti segue fedelmente da anni, ma anche tanti che ti chiamano "la regista" o "l'autrice dell'opera", allora forse, nel tuo piccolo, lo diventi realmente.
      Tendo però a uscire dal solco nel quale semino da anni. Mi metto alla prova con chi vede un mio spettacolo per la prima volta, e l'apprezzamento di chi è esigente mi indirizza verso determinate scelte. Insomma, questo per dire che se sottoponi la tua scrittura anche a lettori particolarmente esigenti, allora forse avrai la summa precisa di ciò che davvero sei. Magari fra i tuoi lettori ce ne sono già moltissimi di esigenti.
      Sono incuriosita dal tuo romanzo, duemila vendite non sono certo poche per un autore indipendente.

      Elimina
    2. A me risulta che Riccardo è uno scrittore, non so mica se Marco lo è altrettanto! XD XD XD
      Quando sabato ho pubblicato su FB la mia faccia tutta blu dopo la Color Run, con il testo "Gli scrittori sono persone serie" ho pensato sarebbero corsi in tanti a commentare, a ragione, "ma te mica sei scrittore!" Io infatti preferisco "scribacchino" perché dà maggiormente l'idea di chi studia per, non chi è già arrivato. "Aspirante scrittore" mi piace poco, gli amici toscani poi calcherebbero con "hhhhaspirante" e mi verrebbe da ridere. Però come dice Marco, che tu scriva una saga di bestseller, che tu scriva un trafiletto su un sito anonimo, per la maggior parte delle persone che non si occupano di scrittura, tu resti lo "scrittore". Se avessi usato il testo "Gli scribacchini sono persone serie" non l'avrebbero manco capita. La parola "blogger" poi a casa mia la odiano proprio.
      "Ed è con noi la food blogger...."
      "Cos'è che fa questa?"
      "Scrive ricette di cucina"
      "Ah, come suor Germana..." XD

      Elimina
    3. Ah ah ah Condivido in pieno, Barbara. :)

      Elimina
    4. Ehm... allora, mi aggrappo sugli specchi. XD
      Avete visto il film The Prestige, di Christopher Nolan?
      Dunque, c'è Christian Bale e lo so, direte lui è figo, tu no :( Nessuno è perfetto. :P
      Dicevo Christian Bale è sia Borden che Fallon, non spoilero se non avete visto, ma io e Riccardo siamo così, Io faccio lui, lui fa me; sul palco sale lui e io... e io commento su Facebook e fra i blog. XD
      Comunque avere la doppia identità è figo, un po' come Bruce Wayne con Batman o Clark Kent con Superman... no eh? Non vi ho convinte. Il problema è che Riccardo è timido, lui sui blog non viene a commentare, e allora dice, non commentare nemmeno tu, perché io... io chi? Io tu o io io? Insomma, c'è un po' di confusione in famiglia. Comunque lo scrittore e lui! E io? Io boh! :P

      Elimina
  2. Beh, la domanda è particolare.
    Anche io tenderei ad affermare che scrivo per me, ma non è del tutto vero. O meglio, lo è solo in parte.
    Perché scrivere implica anche il voler farsi leggere... quindi è questo. Nasce da una esigenza personale (anche nel blogging) ma poi comunque si entra in un meccanismo di ego(centr)ismo positivo.

    Moz-

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Infatti io diffido di chiunque dica di poter fare a meno di commenti e visualizzazioni. :)

      Elimina
  3. i grandi scrittori scrivono sempre per se stessi, a meno che non facciano divulgazione, storica o scientifica per esempio. Poi c'è chi scrive per avere successo e vendere tanti libri, nel qual caso tanti auguri :-) ma anche leggendo gli umoristi (quelli bravi) ti accorgi che prima di tutto si divertivano loro. Se no, che gusto c'è?
    Io ho scritto qualcosa di mio perché volevo conoscere le tecniche di scrittura, anni fa scrivevo perfino dei sonetti. Però non ho mai pensato di pubblicare, ho iniziato comperando i libri dai remainders (a Milano c'erano belle librerie, una in Galleria era magnifica) e mi ricordo ancora le pile di libri recenti invenduti, anche belli e anche molto pubblicizzati: è una cosa che fa riflettere, e non poco.
    Ho scritto per gli altri sul blog deladelmur, le storie di chimica e sugli animali per esempio: ed è stato bello, sono ancora lette e visitate. Ma ormai è fermo da parecchi anni, non ci penso quasi più.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi fa piacere che qualcuno risponda che gli scrittori veri scrivono essenzialmente per se stessi, perché è di fatto così. Lo sono stati i grandi, che hanno vissuto vite anche sulla soglia del limite (c'è un mio post sul legame fra scrittori e alcolismo). Forse oggi le cose sono cambiate. Più volte Camilleri ha ammesso candidamente che i suoi libri sono diligentemente costruiti perché catturino l'attenzione del lettore, e credo che la maggior parte degli scrittori contemporanei mirino a questo. Roth e Auster, per citarne due molto diversi, invece ricalcano lo stile e gli intenti degli scrittori di un tempo, l'uno è stato visceralmente scrittore, l'altro vive nel profondo la realtà newyorkese al punto da essere scrittore per missione.

      Elimina
    2. si scrive per se stessi, però poi bisogna farsi capire dagli altri :-) e qui sta la parte difficile, perché lo scrittore può usare abbreviazioni, ellissi, dare per scontato qualcosa - ma poi se lo fai leggere ad altri devi spiegare

      Elimina
    3. Qui vengono in aiuto anche le scuole di scrittura, molto in voga, e parrebbe anche molto utili nel mondo anglosassone.

      Elimina
  4. Solo per se stessi non si scrive mai. C'è sempre quella voglia di farsi leggere. Volevo però dire altro perché mi hai sorpreso. Ti ho visto sempre sicura di te e propensa a divulgare le tue doti scrittorie specie di drammaturgia o comunque sai che sai usare le parole. Oggi ti ho visto dubbiosa e scusa la franchezza più umana. Dubitare, secondo me, non fa male anche se uno ha il dono del saper scrivere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Tiziana, è evidente che non ci conosciamo. A detta di tanti, io invece mi butto realmente giù, stento ancora a credere molto in mie presunte o reali capacità. Se dai social traspare l'esatto opposto "sappiate che non s'è fatto apposta". :)

      Elimina
  5. Cara Luz, sono felice di sentire che ti stai riposando;) La questione che poni è importante. Io scrivo per comunicare quella parte di me che è semi sconosciuta persino alla sottoscritta. Scrivere è un processo di autocosapevolezza. L'ho capito un po' tardi e per questo ho fretta di farlo. Ma so che conoscersi è un cammino lungo, può durare un'intera vita, e io non ho tutto questo tempo a disposizione. Pienamente d'accordo sulla necessità di grandi letture. Per fortuna mi sono portata avanti: prima di iniziare a scrivere seriamente, avevo già fatto il pieno di scrittori del calibro di Joyce, Tolstoj, Svevo, Mann. Ora sono concentrata solo sui contemporanei, leggere è una formazione continua per chi scrive. Un abbraccio;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Se hai fatto il pieno di classici, allora sappi che è motivo in più per avermi fra i tuoi ferventi lettori. So che il tuo libro è carico di significati, mira a raccontare una piaga sociale, risponde a una delle funzioni importanti della scrittura, parere mio.
      Mi piace la tua definizione di scrittura, che porti a una consapevolezza di sé. Se rifletto su questo punto, mi viene in mente come la scrittura sia rivelatrice di molto di colui che scrive. Nel bene e nel male.

      Elimina
  6. Forse la risposta più banale cui potessi pensare, ma anche la più diretta che mi sia venuta in mente, è che io scrivo per comunicare. Talvolta scrivo soltanto per me stessa, è vero, ma quello lo faccio su privatissime pagine di carta, che servono a imprimere un ricordo o liberare il cervello da pensieri di troppo; quando Scrivo nel vero senso della parola, deve essere per comunicare, comunicare quel qualcosa che a voce o nella vita di tutti i giorni non riesco in alcun modo a dire, e che pure in qualche modo devo assolutamente esprimere a chiunque abbia orecchie per intendere.
    I miei lavori son tutti incompiuti, scheletri, abbozzi, inizi, perché non ho assolutamente la costanza o l'autodisciplina. La scrittura resta per me qualcosa di istintivo e viscerale, che tende a colpirmi nel cuore della notte quando ho già troppo sonno per mettere nero su bianco le perifrasi perfette che viaggiano nella mia testa. Ahimè.

    Venendo a quanto hai detto nel post, devo ammettere che non ho mai letto autori auto-pubblicati. Esordienti sì, ovviamente, di quelli lanciati col botto dalle case editrici, e comunque soltanto quando la trama o il titolo o qualcosa del libro mi colpisce talmente tanto da compiere l'azzardo. Perché ho troppo poco tempo per leggere tutto ciò che vorrei leggere, e non posso permettermi di perdere tempo con pagine trascurabili. So di suonare presuntuosa, ma prendo la lettura come un impegno, non solo un piacere.

    Detto ciò, attendo il tuo parere su Augustus!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Invece hai perfettamente ragione, altro che presunzione. Il tempo per leggere tutto ciò che è realmente degno di essere letto, non esiste. Sprecarlo in inutili letture, non si deve. Finora, se qualcosa non mi è piaciuto, ho abbandonato. Non per principio o per ripicca. È che proprio non ce la faccio. Sarà il mio temperamento "artistico" a dettare legge in me, da qualcosa che non mi piace, fuggo.
      Tu scrivi per liberare i tuoi pensieri, magari sbloccare qualcosa di te, lo fai in pagine private. Ecco, raramente sono stata investita da questa cosa. Ho tentato un diario un paio di volte nella vita, senza successo.
      Sto terminando Augustus, non vedo l'ora di recensirlo. :)

      Elimina
  7. Ho sempre scritto - parlando di narrativa - per raccontare belle storie che facciano sentire meglio le persone... e anche per scoprire "cosa succede", visto che c'è sempre una percentuale della storia non premeditata, e vederla emergere è emozionante. Credo di non essere una lettrice molto esigente; diciamo che parto diposta ad aiutare l'autore a coinvolgermi, anche chiudendo un occhio su qualche piccolo difetto, se il resto mi convince. Purtroppo spesso i difetti non viaggiano soli. ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In qualche modo la tua risposta mi fa pensare a un aspetto di un genere di romanzo che anch'io apprezzo, se ben scritto. Quello che presenta un certo scandaglio, il racconto del profondo, la personalità, la psiche.
      Ricordo un bel romanzo, Il senso di Smilla per la neve, che era un giallo ma anche un romanzo sulla personalità della protagonista, sulle ragioni delle sue capacità, per non parlare delle descrizioni dei paesaggi di ghiacci, sono passati moltissimi anni ma mi è rimasto impresso, pensa.
      Sui piccoli difetti, mi è capitato di chiudere un occhio, ma non troppo. Se scrivi, se pubblichi, devi sentire un certo senso del dovere nei riguardi della scrittura, senza se e senza ma.

      Elimina
  8. Può darsi che ognuno scriva per motivi diversi. Di certo con uno sguardo al passato c'era chi voleva far svegliare le coscienze o informare, chi denunciare e chi anche solo divertire. Se ci sono intenti diversi è perché la scrittura resta uno strumento. Raccontare storie e far arrivare emozioni è ancestrale e credo sia una sorta di richiamo a cui il nucleo centrale dello scrittore non sappia trattenersi.
    Ma per se stessi si scrive solo il diario a mio avviso

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi piace questa definizione della scrittura come "strumento".
      Ne parlerò ai miei alunni. La scrittura come mezzo, la scrittura come fine.

      Elimina
  9. Sicuramente scrivevo per una mia necessità interiore. Forse questa necessità sta venendo in parte meno, infatti sto scrivendo poco negli ultimi tempi.
    Come lettore, non c'è dubbio che, attento o non attento a ciò che si legge, i libri letti lasciano una traccia profonda dentro di noi, quindi in qualche maniera influenzano anche il modo di scrivere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ho sentito qualcuno apprezzare molto i tuoi romanzi.
      Di solito, anche se detesto fare queste distinzioni, un uomo che scrive ha un certo senso pratico, destreggia meglio. Dovrò dedicarci un post, prima o poi.

      Elimina
  10. Io sono semplice lettrice, non riuscirei mai a creare una trama. Però mi piace il blogging perché si condividono idee, si elabora un pensiero su uno specifico argomento..

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao, Giulia, benvenuta.
      La mia domanda era rivolta anche a blogger non scrittori. :)

      Elimina
  11. Io scrivo per me stesso, ma penso pure a chi volesse leggere quel che ho partorito. Mi immagino una storia, la guardo da ogni lato, se mi piace veramente inizio a sciverla. Chi sono io? Chi scrive, uno dei personaggi, tutti maschi e femmine oppure solamente il protagonista?
    Un po' tutti, dato che nella vita vorrei interpretare tutti i possibili Vincenzo Iacoponi che dovrebbero esserci.
    Però bando alle descrizioni. Tengo presente ce il mio lettore voglio che si immedesimi nella mia storia, per cui gli lascio tutte le aperture possibili per infilarcisi. Niende descrizioni dettagliate del fisico di questo o quel personaggio, che se lo scelga ognuno che legge come gli pare, di luogo come paese e come tipo di abitazione. Solo qualche fugace accenno, una carezza e via.
    Rileggo spesso e taglio ancor più spesso, quando mi annoia andare avanti, segno che ho detto troppo. Come quando dipingo un quadro: mai scarabocchiare su TUTTA la superficie della tela, a volte un quadro è finito anche dipinto a metà. Non si puì fare con lo scrivere, certamente no, ma concludere quando si deve è obbligatorio.
    In questo tempo sto scrivendo maledettamente poco, per i miei gusti, ma meglio poco che troppo.
    Ciao, Lu. Buon resto di domenica e buona settimana.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ecco, mi piace il tuo argomento. La scrittura esige essenzialità, anche se è ricca di descrizioni, una di troppo è automaticamente sbagliata e fuori posto. Un romanzo troppo "didascalico" finisce con l'essere ridondante. Un romanzo che non abbia descrizioni o le riduca al minimo... non saprei. Scrittura e arte, mi piace. :)

      Elimina
    2. "Un romanzo che non abbia descrizioni o le riduca al minimo...non saprei". A Roma si dice: quanno ce vo, ce vo.
      Proprio senza descrizioni non intendevo, sarebbe come a teatro spegnere tutte le luci, non solo quelle di scena, e farli recitare al buio. Non vedi le facce degli attori non ne scopri le espressioni, non puoi seguire e poi devono stere immobili. Descrizioni quindi quando occorrono, ma lasciare spazio alla fantasia del lettore. Quando leggo un libro che mi piace mi immedesimo fin da subito con un personaggio e me lo costruisco mentalmente come mi piace. Penso che valga per tanti altri.
      A risentirci, Luz.

      Elimina
  12. Se devo essere onesto, l'unica cosa che davvero scrivo solo per me stesso è la lista della spesa.
    A meno di non tirare in ballo quelle vecchie Smemoranda che avevamo da adolescenti... ma lì la riservatezza era dovuta al terrore di veder smascherati i segreti più compromettenti.
    Quando scribacchio sul blog lo faccio con in testa l'idea che qualcuno prima o poi venga a leggere... ed è un'idea che mi sprona a farlo al meglio, nei limiti a me consentiti. Se così non fosse a che servirebbe l'attenzione ai particolari=

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Infatti scrivere per un blog ha un significato diverso rispetto allo scrivere un intreccio. Anch'io confesso di scrivere per il blog per essere letta, cercare condivisione. Lascio fuori da questa considerazione le recensioni, le scriverei anche solo per me stessa perché aiutano a fissare la propria idea su un determinato libro e sono un bell'esercizio mentale e di critica personale.

      Elimina
  13. Riflessioni condivisibili, soprattutto quando si guarda indietro a una storia scritta. Mi viene da dire che non si scrive mai per se stessi, tranne forse un diario e a volte neppure quello. E allo stesso tempo quando siamo davvero immersi nella creazione, siamo solo noi e la storia, noi e i personaggi. E l'unico lettore che conta siamo noi stessi.
    Eppure capisco ciò che vuoi dire, l'esigenza di trasmettere qualcosa di più tra le parole, al di là del puro raccontare.
    Sulla definizione di scrittore invece non mi esprimo, ormai sembra aver perso di un significato.
    Riguardo alla tua storia, la mia impressione è che possa essere letta e apprezzata anche da un uomo, perché no? Perlomeno da quei pochi che leggono :P

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Bisogna pur prendere coscienza che nel nostro paese quei pochi che leggono sono essenzialmente donne, sì. :)

      Elimina
  14. Come lettore non so se sono attento ed esigente, forse più lettore appassionato perché amo le storie che trasmettono delle emozioni, che fanno vibrare le corde della mia anima. Sono quelle che storie che restano e che ricordo a distanza di tempo. Come scribacchina o scrivente invece scrivo perché mi piace, perché amo raccontare storie, perché è uno dei modi che conosco per sognare e cambiare in parte la realtà ( e sotto sotto, spero di scalare le classifiche e poter vivere di rendita, cosa che ovviamente non avverrà mai...)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Proprio oggi riflettevo su un aspetto molto bello che citi. Scrivere o leggere qualcosa che ci piace molto è anche un modo per crearsi un proprio mondo, modificare la realtà, rifugiarsi in una realtà ideale.
      Insomma, una fuga.
      I libri, scrivendoli o leggendoli, rappresentano alla fin fine proprio una fuga dalla realtà, la costruzione di un mondo esteriore e interiore.

      Elimina
  15. Come lettrice sono particolarmente esigente, ma dipende anche dal genere dell'opera e quindi dalle aspettative che mi crea l'autore stesso. Al di là del fatto che un romanzo dev'essere scritto in un italiano corretto, ci possono essere alcuni difetti nei romanzi che non sopporto proprio, ma probabilmente ognuno ha le sue idiosincrasie.

    Per rispondere alla tua domanda, direi che in prima battuta ho sempre scritto per me stessa ed essenzialmente per divertirmi. Trovo che la scrittura come atto in sé regali gioia e piacere, in quanto si crea qualcosa che prima esisteva solo nella propria testa. Mi diverte vedere i personaggi che prendono vita in una scena e a volte pestano i piedi e fanno quello che vogliono, o gli inaspettati sviluppi di una trama. Mi piace anche parecchio rileggere le mie pagine a distanza di tempo, in modo da dimenticare quello che ho scritto ed esserne sorpresa io per prima (non sempre positivamente, beninteso!).
    Il passo successivo è quello di far leggere agli altri, ma lì il discorso si fa più complesso, perché a qualcuno possono bastare i venticinque lettori manzoniani, o se ne deve accontentare, altri coltivano l'ambizione di altre cifre. Io mi accontento di piccoli numeri perché è già un regalo avere qualcuno trovi il tempo di leggere e apprezzare quello che scrivo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In effetti, bisognerebbe commisurare le proprie esigenze di lettore con ciò che si ha davanti, è un buon suggerimento.
      Anche a me capita di rileggere ciò che scrivo a distanza anche di anni e talvolta mi capita di compiacermene, altre di sorriderne.
      Non so immaginare quanti lettori avrà il romanzo che prima o poi pubblicherò, ma spero possa essere conferma di una qualche capacità, ecco. Anche solo per essere incoraggiata a continuare. Finora con la scrittura teatrale è andata bene. :)

      Elimina
  16. Sono un lettore attento ed esigente? Pensavo di no, ma ho scoperto di si. Mi è capitato un libro tra le mani dove, nonostante stia andando bene di vendite, ci sono interi paragrafi che correggerei. Per lo più ripetizioni e dissonanze. Cose del tipo: "...e temeva per la sua vita. Stava vivendo in quel luogo da dieci anni...", vita-vivendo non li lascerei mai vicini, piuttosto: "...e temeva per la sua vita. Abitava/Risiedeva in quel luogo da dieci anni..." Sono solo io che noto queste cose? Può darsi.
    Perché scrivo? Per divertimento. Io quando scrivo mi devo divertire, devo ridere, devo provare paura, devo affogare come la protagonista, devo sentire la lama come la vittima. Lo stesso coinvolgimento di quando guardo un film. Che poi ci sia un messaggio, un'idea da passare al lettore, questo è secondario. O meglio, quel messaggio ha più probabilità di arrivare se si coinvolge il lettore, piuttosto che propinargli la lezione come un professore in cattedra.
    Scrivere è divertimento. Faticoso, certo. Anche correre una maratona è faticoso. E richiede allenamento. Come pure giocare una partita a golf o a tennis. O lavorare a maglia. La prima sciarpa viene tutta storta, poi si migliora la tecnica e ci si avventura pure in un maglione.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Nuovamente concordo con te. Ecco il tipo di errore che non mi piace.
      Ci serviamo di una lingua completa, anzi fra le più complete e ricche al mondo, errori di questo tipo ne denotano una scarsa conoscenza.
      Ma ce ne sono di più gravi. Alcuni ad esempio riguardano lo scorrere dei pensieri del protagonista. Poco credibili in quel determinato contesto, oppure frutto di una serie infinita di cliché.
      Torno a ripetere: bisogna consumare pile di classici, diffido di chi dice "che si legga di tutto, purché si legga". Bisogna attraversare la letteratura per potere vagamente aspirare a scrivere qualcosa di buono.

      Elimina
  17. Ciao Luz,
    Capito per caso qui sul tuo blog e ti faccio i complimenti. Lo trovo davvero molto interessante e fonte d'ispirazione! :)

    "Il mestiere dello scrittore" di Murakami è uno dei libri più belli che io abbia mai letto sul tema "scrittura". Sembrerò matta ma ho avuto paura di finirlo troppo in fretta, di non essermelo gustato con abbastanza calma tanta era la curiosità che mi faceva girare una pagina dopo l'altra. Te lo consiglio davvero (e non ti anticipo niente!).

    Anche se sono nuova qui su Blogger ti invito sul mio blog sperando che tu possa trovare qualche articolo di tuo interesse per poterci scambiare pareri e opinioni.
    Nel frattempo ti seguo e piacere di conoscerti!
    A presto,
    Diana.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Diana, benvenuta.
      Mi sono aggiunta alla tua schiera di follower, quindi ti seguirò e mi piacerà scambiare con te commenti reciprocamente.
      Non vedo l'ora di gustare quel libro di Murakami, non faccio fatica a comprendere che dispiaccia perfino girare le pagine, a volte. Certamente un testo su cui tornare più volte. :)
      Hai letto il suo "L'arte di correre"? perché anche lì esprime molto del suo pensiero riguardo alla scrittura.

      Elimina
    2. Grazie per il benvenuto e per seguirmi :)
      Sì, il libro di Murakami è davvero splendido e un valido strumento da tenere sempre presente quando si ha a che fare con la scrittura. Sembra strano a dirsi, perché in effetti lui racconta la sua esperienza personale, ma è davvero un libro stupendo.
      Non ho letto "L'arte di correre", ma ti ringrazio del consiglio, provvederò sicuramente! :)

      Elimina