sabato 8 aprile 2017

Cos'è il talento?

A scuola, durante quattro chiacchiere fra colleghi - si parlava dei diversi stili di apprendimento degli alunni - è venuta fuori una bella quanto controversa parola: talento
Se per lunghi periodi sembra svanire, in altri torna prepotentemente, quasi a volersi fare strada in ambiti differenti, quelli almeno che mi capita di frequentare. A scuola se ne parla poco, perché "le eccellenze", come si usa definire gli alunni che hanno ottime capacità un po' in ogni materia, sono rare, anzi una specie in via di estinzione. 
Nell'ambito dell'apprendimento di abilità e di competenze, termini cari al nostro burocratese, ci sono in effetti elementi di spicco, che spaziano fra logica, umanistica e creatività con disinvoltura. Ma è adeguato definirli dei "talenti" pur in materia scolastica? Non so. Ne dubito. Credo che talento sia un termine in certo senso "estremo", e se mi affaccio su qualsiasi dizionario ne trovo conferma. 
Intanto, sapevate che deriva dalla parabola dei talenti narrata in Matteo 25, 14-30? Se vi va di leggerla, si trova qui. Insomma, si tratta di un'unità di peso, più spesso di una moneta, in uso anticamente presso Ebrei e Greci.
Per estensione, il termine poi subisce un'evoluzione semantica e finisce con l'indicare una dote innata, una propensione particolare, un'attitudine non comune. (Se vogliamo essere precisi, non dimentichiamone altre accezioni, in uso fra il XIII e il XIV secolo, come quella di "desiderio, volontà").
Ho dato un tema sul talento ai ragazzi di terza e quello che ho letto - sorvolando sulla povertà lessicale della maggior parte della classe - conferma quanto pensavo. Pur facendo precedere lo svolgimento da una piccola dissertazione sul carattere "speciale" del talento, e dando quindi loro la libertà di esprimersi sulle proprie attitudini riservandosi la libertà di non definirle "talenti" ma solo e semplici attitudini, appunto, si sono sperticati in descrizioni del proprio "talento" perfino nel tifare la squadra preferita, il che è tutto dire. 
Marie Curie (1867 - 1934), scienziata di talento
Non è bastato neppure dedicare qualche tempo al "talento italiano", ossia il modello italiano esportato nel mondo quanto ad arte, cucina, moda, design. Resta un termine abusato e usato impropriamente.
Torniamo al suo vero significato: avere talento significa avere una dote non comune e saperla utilizzare. L'utilizzo del talento è una condizione essenziale dell'espressione, così come mettere questo utilizzo a servizio della comunità. Chiunque sia stato o sia persona di talento ha lasciato ampia traccia di sé, questo è innegabile. 
Il prodotto del talento entra a far parte di un patrimonio comune, trasversale a ogni epoca, basti pensare alla letteratura, l'arte, la scienza. I grandi nomi di queste branche del sapere sono state persone di talento, per certi aspetti definibili "geniali". 
Allora un nuovo quesito sorge spontaneo: possedere talento significa essere dei Leonardo da Vinci, dei Dante Alighieri, degli Einstein? No. Il termine diventa flessibile, siamo disposti a riconoscere del talento in diverse categorie e qui offro un elenco di persone di talento che mi è capitato di conoscere: 

1. l'uomo che era mio padre, con un piccolo titolo di studio ma con una grande creatività, che metteva a frutto lavorando il legno, il ferro, costruendo impianti elettrici, muretti a secco, cucinando, facendo l'aggregatore di persone, inventando poesiole comiche, prestando denaro che poi diventava un regalo, e nel frattempo svolgendo un lavoro da tutore dell'ordine;
2. il giovane che suona divinamente il pianoforte e compone musica ma che non è destinato a diventare un Mozart; 
3. l'insegnante di Educazione fisica che ogni anno tiene laboratori gratuiti sulla lotta al bullismo e fa volontariato alla Caritas e ha nel proprio curriculum anni di insegnamento in un carcere minorile;
4. un amico sarto col grande fiuto della carriera e il gran senso della famiglia, altruista e simpatico;
5. una giovane attrice che ogni volta offre se stessa, totalmente, in palcoscenico.

Potrei continuare, ma credo che basti a dimostrazione di ciò che penso: il talento non può restare chiuso, imbrigliato, ha bisogno di esplodere, determinarsi, offrirsi, è una sua imprescindibile peculiarità. Diventa risorsa cui attinge l'altro, il che lo rende atto estremamente interessante. 

Cosa ne pensate?

23 commenti:

  1. Articolo veramente gustoso (qui il richiamo al tuo post sul "divorare" i libri è evidente 😉 ). Devo dire che ho provato un certo brivido leggendo di tuo padre. Ho pensato a mio nonno, l'uomo che mi ha cresciuto, perché aveva molte caratteristiche simili. Anche lui fu un tutore dell'ordine, un poliziotto insomma. Organizzava eventi nel paese dell'entroterra ligure dove viveva, coltivava molte amicizie, prestava soldi agli amici in difficoltà che non tornavano mai indietro, sapeva fare qualunque tipo di lavoro manuale. Beh, un brividino leggendo del tuo papà consentimelo. In merito al talento, in senso generale credo che attenga allo specifico di ciò che riguarda il sé, qualcosa di innato insomma. La difficoltà iniziale può essere legata al riconoscimento di questo talento naturale, poi al come utilizzarlo. Qui entra in ballo il passaggio successivo, cioè il riconoscimento dei propri limiti e la capacità di trasformarli in abilità con la costanza e la dedizione, in questo caso forse, e dico forse, si possono raggiungere degli obiettivi. Opinione personale, sia chiaro, opinabile e discutibile. Mi ha colpito anche il passaggio finale, credo anch'io che il talento, o meglio i talenti, siano tali proprio perché spendibili, offerti, donati, condivisi, con l'altro da me. Il talento diventa quindi esaltazione della capacità espressiva, importa poco quale sia l'attività. Il talento è donarsi, regalare qualcosa che anche per un solo istante allontana dal contingente e ci offre la possibilità di assaporare qualcosa di bello. La bellezza, che concetto anacronistico in un mondo che predilige l'utile e al massimo il dilettevole eh?
    Il talento, la sublimazione di ciò che ci tiene incollati alla semplice sopravvivenza e moltiplicazione della specie. La bontà, la compassione, la scrittura, la pittura, la musica, la capacità di svolgere il proprio lavoro, qualunque lavoro, mirando all'eccellenza. Il talento, la capacità di trasmettere quella che Foscolo chiamava "la corrispondenza di amorosi sensi", quella cosa che rende gli altri stupiti, ammirati, toccati nel profondo, desiderosi di far meglio e essere migliori, vogliosi di coltivare i propri personalissimi talenti. L'essere umano all'ennesima potenza.
    Boh, non sono sicuro di essere riuscito a spiegare cosa intendo.
    P.s
    Mi offro di trovare rimedi terapeutici per sopperire a eventuali cali del tono dell'umore, dolori articolari in genere, provocati dalla lunghezza del commento 😉

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Più che lunghezza, direi valore del commento, del quale ti ringrazio.
      Ottime riflessioni, che arricchiscono il mio post di ulteriori spunti. :)

      Elimina
  2. Non v'è dubbio che il talento ha valore solo se viene accompagnato da un'adeguata volontà a essere sviluppato. E poi resto dell'idea che il talento in senso stretto esiste proprio come conseguenza della volontà e del training (penso a Mozart, geniale quanto si vuole, ma che all'età di otto anni aveva già trascorso migliaia di ore al pianoforte).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, ogni talento non può prescindere da un duro lavoro, indispensabile per "coltivarlo", come si dice con una metafora mutuata dalla terra.
      Quanto all'osservazione su Mozart, rilancio chiedendomi: senza quelle migliaia di ore al pianoforte, cosa sarebbe stato? Se il talento è iscritto nel Dna dovrebbe prescindere da quel lavoro di cesello cui si piegano i tanti nei quali una speciale attitudine è stata trovata o è condicio sine qua non?

      Elimina
    2. Per me è condicio sine qua non. Il talento in se stesso può aiutarti a apprendere più rapidamente, a trovare l'idea giusta, ma non sostituisce interamente il "duro lavoro".

      Elimina
  3. Mi piace il nesso cui accenni - per niente scontato - tra talento e offerta all'altro. Il talento, come dici, ha bisogno di essere espresso e svilupparsi verso l'esterno. Se non lo fa rischia di spegnersi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Avrai sentito parlare di Vivian Meyer (c'è per altro una sua mostra proprio in questi mesi a Roma). Baby sitter con la mania della fotografia nel tempo libero, ma solo apparentemente. In realtà raffinata fotografa di talento, nota solo per caso e dopo la sua morte. La sua "offerta di sé" è arrivata postuma, ma è realmente un regalo per chi guarda.

      Elimina
  4. Il talento, Luz... per me è una dote innata che però va coltivata e coltivata e coltivata. Avere talento non basta se poi ci si siede sugli allori. Credo che sia una "pianta" che va innaffiata con sudore e concimata con l'impegno costante.
    Buona domenica e complimenti per il post!

    RispondiElimina
  5. Mi trovo molto in quello che scrivi, l'attitudine è solo una base, ci vuole il desiderio di sfruttarlo e la voglia di aprirsi agli altri. E tanto olio di gomito.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. L'apertura al mondo è una condizione imprescindibile. Un talento senza questo sarebbe come un teatro vuoto di pubblico, quindi perdente il suo senso ultimo.

      Elimina
  6. Ho letto il post ieri, mi ha colpito così come i commenti degli amici. Vero che si parte da attitudini, che tutti abbiamo -credo-, da coltivare con pazienza, fatica e serietà. Però... penso che il talento sia un tratto distintivo ulteriore, che si sposa col carisma più che con il "darsi agli altri". Vedo persone di talento palese e certo che sono odiose, intollerabili. Altre che pur avendo potenzialità, non hanno potuto sviluppare appieno le attitudini innate. Talento aiutato anche dalla fortuna? Cioè, gira bene o gira molto male a volte, e la vita va un po' a farsi dei giri strani... XD Il solo impegno non basta secondo me.
    Mi ritrovo a pensare a quanti non sono potuti diventare "un Mozart", anche se forse ne possedevano, in potenza, il talento.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Credo anch'io che non si possa diventare dei Mozart perché non si è dei Mozart. Così come concordo riguardo alla tua osservazione su talenti che sono deprecabili nell'atteggiamento. Pensiamo a un Bukowski. Scrittore di talento, ma siamo certissimi che non fosse un pessimo personaggio a conoscerlo di persona? Non so, lo traggo dalle sue tante espressioni caustiche.
      Il talento senza un'offerta di sé generosa non trova espressione ideale.

      Elimina
  7. Bellissimo articolo, se concordo con te. E il talento è comunque "non sfruttabile" se non ci sono le condizioni giuste, ahimé.

    Moz-

    RispondiElimina
  8. Far credere che il genio sia solo Leonardo, o Caravaggio, o Einstein, è un errore piuttosto grave. Credo che serva a spingere le persone ad accontentarsi, a disprezzarsi soprattutto. Di certo i Caravaggio sono pochissimi, ma al di sotto di lui ci sono grandi possibilità di crescita.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Le cronache hanno da sempre parlato solo dei grandissimi, facendosi sfuggire perfino qualche grande talento. Poi c'è un sommerso di talenti di cui non sapremo mai nulla, o di cui sapremo troppo poco per poterne apprezzare totalmente il prodotto.
      Mi aggancio a queste osservazioni per pensare alle tante donne di talento che non hanno trovato modo, nella storia, di esprimere se stesse.

      Elimina
  9. Talento e attitudine: si gioca tutto su questa differenza. Il talento è quel "di più" che vanta chi nasce con determinate doti, una partenza diversa rispetto a chi ha una generica inclinazione e si lascia guidare da essa. Il talento può esserci ma non venire subito riconosciuto, può esplodere in un momento inaspettato, indotto da uno stimolo esterno; un'attitudine si sviluppa subito, perché è quasi sempre frutto di una passione. Mettere il talento al servizio della comunità è sempre auspicabile, ma spesso i presupposti mancano, si possono non avere gli strumenti, le possibilità. Restò convinta, comunque, che avere talento sia anche una bella responsabilità, saperlo gestire spesso un bell'impegno.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sul talento come responsabilità, e perfino come limite, mi è capitato di leggere in giro articoli che in effetti fanno riflettere e offrono spunti nuovi.
      Concordo sul fatto che il talento possa manifestarsi solo a patto di determinate condizioni. Riferendomi anche a una semplice attitudine, se non ci si esprime nel giusto ambiente, se non si ha terreno sul quale giocare le proprie prerogative, probabile che quelle attitudini rimarrebbero inespresse.

      Elimina
  10. Avevo visto la mostra fotografica di Vivian Meyer un paio di anni fa e mi sarebbe anche piaciuto farne oggetto di un post. Mi ha colpito la storia di questa persona molto comune, con un lavoro che le consentiva di vivere e uno sguardo, pur nascosto, che la rendeva curiosa e intraprendente e che si traduceva nei suoi scatti artistici su una realtà fatta di disagio sociale.

    Il talento è semplicemente qualcosa che hai già ma che va coltivato con molta fatica, proprio come un giardino. Non basta possedere un pezzetto di orto, devi anche curarlo giorno dopo giorno perché fiorisca e non venga invaso dalle erbacce. Non credo nel talento tout court, anche i migliori devono sudare le proverbiali sette camicie.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Bella la metafora del giardino.
      Anche su me Vivian Meyer ha questo fascino. Spero di riuscire a vedere la mostra di Roma.

      Elimina
  11. La parte dei prestiti era un "talento" anche del mio, sai? 😭😭😭
    E a nulla servivano i miei rimproveri...

    RispondiElimina