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Foto 1 |
Lupo Solitario giaceva svaccato sul divano, con gli occhi sgranati e un sorriso ebete: aveva lasciato scivolare di fianco una siringa, che ancora stillava gocce di cocaina tagliata con il fentanyl. Tutti gli altri bevevano a turno da una stessa bottiglia, in piedi, nella condizione precaria di quando in una stanza ci sono più persone che sedie. Il Cavaliere Oscuro ritrovò la voce e gridò qualcosa dalla finestra, alle sue spalle Le Gemelle canticchiavano, stonate, una ninna nanna, mentre John Travolta si rosicchiava le unghie sopra un tappeto, che raccoglieva l’incuria di settimane.
Nell’angolo vicino alla finestra, seduto con le ginocchia strette al petto e le braccia flesse in atteggiamento di preghiera, Il Bimbo tremava e piangeva in silenzio. Lady D gli si avvicinò con un laccio in mano e una siringa dalla quale aveva sfilato il cappuccio:
-Ti manca molto?
- Sì.
- Vorresti rivederla, vero?
- Sì.
Si chinò su di lui e gli prese il braccio. Con calma gli fece scivolare l’ago, orizzontale, sotto la pelle; le vene erano sottili, quasi invisibili, ma non abbastanza tormentate dall’abuso di sostanze tossiche. Il Bimbo piantò lo sguardo sul proprio sangue che si mescolava al siero, poi buttò la testa indietro e si adagiò di lato, in posizione fetale.
Le luci scoppiarono dentro la stanza in un bagliore innaturale, l’eccesso di saturazione dei colori bruciava ogni dettaglio: il blu delle tende si fece elettrico, le mattonelle bianche del pavimento divennero un’unica lastra di neon. Più Il Bimbo fissava la lampada al tetto più la sua luminosità sfumava verso una tonalità giallo-ambra. Lentamente gli effetti visivi scemarono in una gradazione neutra e la stanza, privata delle pareti, divenne soltanto una lingua di assi di legno allungata sulla superficie del mare, al tramonto.
Fu allora che la rivide e le corse incontro. Aveva ancora molte cose da raccontarle.
INCIPIT 3
Licenziamento per soppressione della posizione.
Una sequenza di vocali e consonanti che non dovrebbero comporre queste parole.
Non dopo tutto l'impegno, dopo tutte le pause saltate, dopo tutte le ore aggiuntive senza retribuzione.
Soppressione della posizione.
Ma se da mesi non c'è un attimo di tregua!
Soppressione della posizione.
Così, senza preavviso?
Soppressione della posizione.
E se mi rifiuto di firmare?
Marcello si è presentato all'appuntamento con il responsabile delle risorse umane sette minuti fa.
Sette minuti fa era quando pensava che avrebbe finalmente ricevuto un aumento.
Sette minuti fa era quando fantasticava di riuscire a portare l'auto dal carrozziere.
Ora invece le ammaccature di cui occuparsi sono improvvisamente ben più gravi del paraurti scassato.
Di colpo tutto diventa confuso, impossibile concentrarsi.
Metabolizzare, reagire, agire, elaborare, tutti verbi che sbiadiscono avvolti nel fumo della rabbia, nascosti dallo sconforto, vanificati dalla paura.
I sette minuti diventano settanta e la tastiera con il piedino rotto, la sedia sbilenca, il caffè annacquato del distributore sembrano già pezzi di vita rapiti.
E quando settanta sono le ore trascorse, ancora il rifiuto di accendere il portatile per scrivere un
curriculum è totale.
Quanti invii ci vorranno prima di ricevere la prima risposta negativa?
Quanti invii ci vorranno prima di dover smettere di selezionare gli annunci, perché in fondo un lavoro
serve?
Marcello è seduto per terra con la schiena appoggiata al muro freddo forse ancor più del pavimento, da quella posizione guarda le mensole sopra al tavolino che usa come scrivania.
Il tempo ha depositato strati di polvere su quei ripiani che accolgono libri, buste, la sveglia a carica manuale dei tempi della scuola, tre diverse action figures di Batman e la pallina blu.
Istintivamente Marcello sente l'esigenza di prenderla, si alza, allunga una mano, ma il semplice contatto accende nella sua mente il ricordo di quando per lanciare la pallina occorrevano entrambe le sue manine.
E di colpo si ricorda tutto.
Il lago, sua madre, i suoi piedini che restano fermi, i tonfi con il sedere al suolo.
Accetta di camminare solo se la mamma lo tiene per mano diversamente sono capricci, e da parecchio ormai ogni invito a provare a muovere qualche passo da solo riceve per tutta risposta un incaponimento: niente da fare, senza il sostegno di mamma i piedi rimangono ben piantati a terra.
Finché quel giorno, dopo l'ennesima esortazione, per protesta lancia la palla contro i fiori ma il rimbalzo
sul bordo del vaso la spinge oltre il giardino e la pendenza la fa rotolare fino all'acqua.
“La palla!”
Andata, persa.
Dopodiché Marcello non sa più se ha pianto, quanto tempo la mamma trascorre in acqua, quante volte la
nonna la chiama ripetendo “NO!”
Però rammenta nitidamente l'istante in cui le braccia della nonna lo posano sul molo, in fondo c'è la mamma stanca ma sorridente.
E ricorda bene il momento in cui i suoi piedi decidono di portarlo fino alle braccia di mamma pronte ad accoglierlo.
Appoggia la pallina sul tavolo, apre il laptop e inizia a digitare: Lettera di presentazione.
INCIPIT 4
Seduta
in fondo al pontile, oltre me solo lago e tramonto. I pensieri irrequieti
accomodati nella quiete del crepuscolo. Sento Luca dalla riva con in braccio
Edoardo, mi volto e gli dico: “Mettilo
giù, vediamo se corre da me”. Luca sembra esitare, poi lo deposita coi piedini
nudi sulle tavole lisce ma vagamente sconnesse. Edo sgambetta sorridendo, le vede
le mie braccia invitanti, sente la voce, mi sorride lanciando versi
intraducibili, Luca lo segue sorpreso,
poi tutto in un attimo devastante, forse il sole negli occhi, una minima
sbandata sul legno irregolare.
Edo scarta repentinamente e cade in acqua nello stesso istante che mi blocca il cuore, senza
un fiato, a peso morto, come il pontile continuasse un percorso invisibile .
Grido e vedo Luca inspiegabilmente bloccato - “Mio Dio, prendilo!” - come esitasse
a tuffarsi in acqua.
Urlo ancora mentre mi alzo terrorizzata, corro, non so nuotare ho sempre avuto
terrore dell’acqua ma quell’acqua si sta prendendo tutta la mia vita, Luca si è
tuffato e io subito dopo, contro ogni logica... ”Silvia no! ti prego!”, sento
Luca in affanno, chiamo Edo, l’acqua gelida mi entra in gola...
INCIPIT 5
Mamma deve essere morta pochi istanti dopo questo scatto, ne fa fede la data sul retro della foto! Morta annegata, questo lo sapevo, me lo avevano ripetuto spesso da quando ero stato in grado di comprendere il significato di tragica fatalità. Eppure di mia mamma non si parlava mai, non esistevano in casa oggetti che le fossero appartenuti né sue fotografie, a parte questa, apparentemente idilliaca, che fino a ieri non avevo mai visto.
Improvvisamente mi ritrovo, a cinquant’anni, a fare i conti con la mia infanzia che per decenni è stata avvolta in una nebbia densa, alimentata dalla dolce evasività di mia nonna e dai silenzi impenetrabili di mio padre.
Ormai sono morti entrambi e questa nebbia va diradandosi facendomi intravedere uno scenario terribile. Ho ucciso io la mamma?
Forse nello slancio della corsa verso le sue braccia sono stato troppo irruento, l’ho sbilanciata, e lei che era accovacciata sul bordo del pontile, è caduta nelle acque gelide del lago. Una colpa che mi annichilisce.
Ma c’è un’ipotesi ancora peggiore che sta venendo lentamente alla luce: che mamma si sia buttata volontariamente in acqua stringendomi a sé per una estrema disperazione o per un folle odio verso mio padre che forse voleva toglierle la mia custodia. Sembra un’ipotesi assurda, ma non è così. Sto cercando di mettere assieme frantumi di memoria, acuminati come schegge di vetro. Ho labili ricordi di liti tra di loro e mi tornano in mente brandelli di una telefonata tra mia nonna e un’amica…povero bimbo, sua mamma era proprio una poco di buono e altre parole, che non capivo, sibilate tutte con ferocia all’apparecchio. Io avevo 7-8 anni e quando le chiesi che cosa volesse dire poco di buono, lei mi rimproverò per aver ascoltato la telefonata e non mi rispose.
C’è poi la memoria impossibile di un bimbetto di tre anni, che forse è solo la suggestione di questi giorni turbolenti, eppure mi affiora una sensazione vaga di immersione in una specie di liquido amniotico gelido, mia mamma che mi stringe (mi trattiene?) sott’acqua e una mano che all’ultimo mi salva (mio papà?).
Ora, con l’aiuto di questa fotografia ingannevole da famiglia felice e dei pochi frammenti che mi appaiono e scompaiono come lampi, devo ricostruire il mio passato. Ma in testa ho come un fiume in piena, mille pensieri che si accavallano e mi travolgono, acque impetuose e impietose che ancora non so che direzione prenderanno.
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Foto 2 |
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Foto 3 |
INCIPIT 1
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