Questo argomento vagava fra i miei pensieri da un po', da quando seppi cosa fosse realmente quel magnifico vasetto attraversato da linee dorate nel quale è facile imbattersi in rete.
Esteticamente bello, sulle prime si potrebbe pensare a una decorazione realizzata a mano e "istintiva", invece è ben altro.
Poi, avvertimento: visto che è il secondo post che dedico al Giappone in pochi mesi (valle a capire certe fascinazioni improvvise), allora dividerò questi argomenti in capitoli, come potete vedere dal titolo.
Orbene, adesso scopriamo il kintsugi.
Riassuntino facile facile: tecnica nata circa sei secoli fa, il nome significa "onorare con l'oro" (kin = oro, tsugi = riunire, riparare), ed è nata per riparare la ceramica destinata alla cerimonia del tè.
Altri dettagli interessanti: una leggenda dice che il kintsugi è legato alla storia dell'ottavo shogun della dinastia Ashikaga, che pare avesse rotto una delle sue preziose tazze tenmoku e preteso la sua riparazione, cui seguì l'invenzione della preziosa tecnica. Non aggiungo altro, trovate tutto in rete.
Mentre noi occidentali butteremmo senza indugio alcuno o in altri casi faremmo di tutto per fare svanire le crepe, questa tradizione invece mette in risalto ogni linea di rottura e lo fa usando polvere d'oro (o lacca o argento).
L'oggetto di prima non esiste più, è diventato un oggetto "altro" arricchito dalla preziosa frattura e pertanto unico, irripetibile. Le linee di rottura, lungo le quali l'oggetto ha rivelato la propria fragilità, diventano i suoi punti di forza, svelandone una nuova e più grande bellezza.
Allora la bellezza più autentica risiede nell'imperfezione (vedasi il bellissimo concetto "wabi sabi").
Il kintsugi è legato allo Zen, la filosofia buddista che ha al suo centro la meditazione sul distacco dalle cose e sull'accettazione del limite e del passare del tempo (meriterà un approfondimento).
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Un maestro di kintsugi al lavoro |
Tutti possiamo essere resilienti
Questa magnifica arte ci piace non solo per il prodotto finale, ma perché siamo consapevoli che il suo principio di base può essere applicato alla vita e ai destini di tutti.
Facciamo fatica, però, perché il nostro mondo occidentale rifiuta l'imperfezione, la bolla come "diversa" e "non conforme", e con l'imperfezione fugge il fallimento, inorridisce dinanzi alla caduta, in particolare i giovanissimi sono stati debitamente allenati a pensarla così.
Da prof, vedo quanto costi a chi siede fra i banchi accettare un brutto voto, accettare la propria imperfezione nei rapporti, non essere come tutti gli altri. Ogni unicità se non va in direzione di una performance vincente è ritenuta inferiore, emarginata, stigmatizzata. Percepisco perfino lo sforzo enorme di chi, dotato di certe spiccate qualità intellettive e umane, deve farsi strada oltre il branco e spesso rinuncia fingendo di conformarsi. Ma noi adulti siamo del tutto immuni?
Se siamo fortunati, non ci saranno cadute rovinose né crisi insormontabili, ma nella maggior parte delle vite accade l'esatto opposto. Tutti abbiamo il nostro fardello, anche quando abbiamo fatto tutto bene, senza salti nel vuoto, la vita ci riserva sorprese spiacevoli.
Non si può sfuggire, è un principio ineluttabile: il dolore fa parte della vita. Si prende un suo spazio non solo dinanzi a casi estremi (lutti, separazioni, imprevisti gravi) ma anche in piccole cose comuni che alla lunga possono procurarci dolore.
E allora, se fossimo una tazza kintsugi, che tipo di crepe avremmo? Le mie sarebbero di certo spessore, tante sono state le sofferenze, le crisi. Tempeste attraversate e altre in fase di superamento, e ogni volta inventarsi nuove strategie per dare un senso alle cose.
Il primo post sul Giappone:
Vi domando: come vi sembra questa tradizione e la sua applicazione alla vita umana? Celebrare la crisi con l'oro, potreste abbracciare anche voi questa metafora?
non in questo periodo della mia vita
RispondiEliminaTi invio un abbraccio colmo di affetto, MaC.
EliminaE’ una delle poche cose del Giappone che apprezzo senza se e senza ma. Mi affascina questa sorta di uovo di Colombo, tanto semplice quanto profonda. Hai rotto la tazza a cui tenevi tanto? Bene le ridaremo vita, sarà più bella di prima con le sue ferite dorate e ci aiuterà a ricordare di porre attenzione nel maneggiare le cose care. Mia moglie è diventata brava nel kintsugi, cocci che prima buttavamo con dispiacere, ora fanno bella mostra di sé sui mobili con una nuova dignità di vita.
RispondiEliminamassimolegnani
Ho guardato in rete quando ho scritto il post se è possibile reperire dei kit per imparare a farlo, e ne ho trovati tanti! Non so se tu vi abbia già dedicato uno dei tuoi mirabili scritti, ma mi piacerebbe leggerlo. :)
Eliminain effetti, sì: https://orearovescio.wordpress.com/2021/05/31/oro-sulle-cicatrici/
Elimina:)
ml
Vero che a primo acchito, per qualcuno, potrebbe sembrare una cosa imperfetta. Immagino che comunque lo debba sembrare anche a loro, il riparare (es. con colle e simili), ecco perché scelgono un collante prezioso. Fa anche design, eh! XD
RispondiEliminaMa tornando zen, penso che sia una filosofia giusta: le crepe, le rotture, diventano non dico punti di forza, ma cose preziose. Superate e riunite, con un valore molto alto perché appunto siamo passati oltre. Un po' come quando si dice che il nostro valore si misura anche dalle cicatrici.
Le mie crepe sarebbero invisibili perché sono già tutto d'oro :p
Moz-
E il bello è proprio non nasconderle, ma farne strumento di bellezza.
EliminaAh, bene, se sei tutto d'oro, allora perfetto, mitico Moz. XD
Da nipponomane l'ho sempre trovata una cosa interessante sul piano prettamente estetico, e accumulando gli anni - e il vissuto non sempre positivo, anzi, spesso alquanto negativo - ho compreso pienamente anche il suo aspetto metaforico. D'altronde, c'è una frase ormai celebre attribuita a Anna Magnani che avrebbe detto al suo truccatore che voleva "coprire" le sue rughe col make-up: "Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. C'ho messo una vita a farmele". Ecco, rende bene il senso del considerare ogni segno di vecchiaia o di malattia sul corpo non come una bruttura da cancellare ma una traccia di esperienze che abbiamo vissuto e che fanno parte di noi.
RispondiEliminaIl parallelo con la celebre frase di Anna Magnani ci sta. Anche se in fondo non è del tutto certo l'abbia pronunciata realmente, ci piace credere lo abbia fatto perché sarebbe perfettamente nel suo personaggio (vita irripetibile, straordinaria). Però, se pensiamo alle rughe come una sorta di "battaglia" della vita, non so. Le crepe del kintsugi fanno un chiaro riferimento a momenti critici, profonda sofferenza, rottura. Nel nostro mondo, e in particolare oggi nel mondo social dove trionfa l'apparenza e tanto viene taciuto e falsificato, il dolore diventa spettacolo, esibizione, mezzo per ottenere popolarità. Oppure, viene nascosto. Ho esempi fra i parenti davvero rivelatori, come se la sofferenza fosse motivo di vergogna, di stigma anche familiare. Che tristezza. Vale anche restare riservati su certi aspetti della vita, ma mentire no, non è segnale di maturità e buonsenso. L'essere umano si porta dietro il proprio bagaglio di dolore, simularlo è una mistificazione che non mi piace. Ecco, quest'arte mi ricorda quanto altissima sia la dignità di chi non nasconde i propri "segni".
EliminaCara Luz, ti confesso che la mia vita è stata spesso costellata di crepe che ho imparato a decorare con l’oro. Senza scendere in particolari ho attraversato un divorzio, una malattia grave e dei lutti tremendi, alcuni anche abbastanza recenti. Questa usanza giapponese la trovo molto affascinante perché si parte dagli oggetti per arrivare alla visione della vita umana che è appunto una ricostruzione partendo dalla crisi. Gli occidentali hanno molto da imparare da questo modo di essere.
RispondiEliminaCara Giulia, hai attraversato tempeste davvero pesanti e me ne dispiace. Sono contenta che tu abbia colto il senso del kintsugi, hai fatto tesoro anche tu di ogni tipo di esperienza e compreso come faccia appieno parte di tutto quel che sei oggi.
EliminaConoscevo questa magnifica arte: la trovo mirabile, soprattutto per il suo significato metaforico, che dovrebbe essere da monito per tutti. Affrontare la sofferenza facendola diventare il punto di partenza per qualcosa di "nuovo", di "altro", qualcosa che porti a una ricostruzione che rinnovi il senso di ogni cosa. Bello. Nella realtà, forse, il Kintsugi è meno percorribile, cioè a riparare i cocci di un vaso rotto potremmo essere capaci tutti, fare altrettanto nella vita, abbellire con dei "fili dorati" le crepe che ci portiamo dentro, è molto più difficile. Ci vuole spirito di sopportazione, capacità di rialzarsi, una buona dose di ottimismo, che io personalmente attribuisco alla speranza, un orizzonte che vedo sempre davanti a me, qualunque cosa accada.
RispondiEliminaInfatti, proprio per questo è arte. Realizzarla richiede saper fare arte, e vale nel mettere insieme i cocci con l'oro così come saper valorizzare le proprie cadute e crisi e rivestirle di valore e significato. Bisogna saperlo fare e non è certamente da tutti.
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