venerdì 14 giugno 2024

Oriana. Una donna - Cristina De Stefano

Non avrai molto tempo per capire e fare le cose. Il tempo che ci danno, quella cosa chiamata vita, dura troppo poco. E così bisogna che tutto accada molto in fretta. 

Partiamo dal perché ho letto una biografia di Oriana Fallaci. 
Dopo l'esperienza di studio, scrittura della drammaturgia e messa in scena di Anna Magnani (non ancora archiviata, lo spettacolo va avanti), ho intenzione di raccontare in teatro Oriana Fallaci
Questo comporta anzitutto appunto studiarne la biografia, leggerne dei libri (come per la Magnani fu la visione di diversi suoi film) e poi lanciarsi nella scrittura. 
Non ho ancora del tutto chiaro il come vorrò raccontarla sul palcoscenico. Come sempre accade, ho una visione abbozzata sulle prime, per ora mi appare chiaro che Fallaci sarà seduta a una scrivania, sigaretta in mano, dinanzi a una macchina da scrivere vecchio tipo, una Olivetti, una di quelle da lei preferite. 
Percorrerà la propria vita e allo stesso tempo narrerà una storia, una specie di fiaba in cui si avvicenderanno tre figure di donne. 
Non c'è altro, per ora, nella mia immaginazione.  
Non so quando sarà pronta questa drammaturgia. Sono abituata a sedimentare l'oggetto del racconto dentro il mio immaginario e poi, solo in un secondo momento, scrivere. 

La notizia di voler portare in teatro Oriana Fallaci ha lasciato perplessi alcuni miei amici, ma era prevedibile. Fallaci è una delle figure più controverse del panorama intellettuale italiano
Il suo difetto maggiore, secondo i più, è essere diventata icona della destra, perché di fatto la destra se ne è impossessata come ha fatto con la bandiera italiana. 
Cosa piace tanto alla destra - e a individui come Feltri e Salvini - della Fallaci? Il Fallaci-pensiero dell'ultimo periodo, quello seguito al disastro delle Torri Gemelle, la ferma posizione anti-islamica, il pensiero estremista di una dichiarata avversione verso l'orizzonte islamico tutto (in particolare l'immigrazione incontrollata a suo dire di flussi provenienti dal mondo islamico e l'impossibilità di un vero dialogo con questa cultura troppo diversa dalla nostra). 
Salvini in particolare ha usato e usa molta parte di quel pensiero per le sue campagne islamofobe e sovraniste all'urlo "in nome di Oriana", cosa che non dubito lei avrebbe aborrito e impedito - "questo popolo di villanzoni" disse della destra che distribuiva copie dei suoi libri. Una strumentalizzazione vergognosa e praticata in assenza del soggetto, perché il soggetto non può rispondere. 

La destra insomma ne ha abbracciato l'estremismo essendo avvezza a ogni estremismo possibile; si sa, laddove ci sono posizioni inneggianti al disprezzo del "nemico" la destra è padrona del campo. La applaudì definendola "d'avanguardia" e tuttora ne difende e usa come ho scritto quella visione.
[Non si può negare che, nell'ultimo periodo, quando votò la scrittura a una sorta di predica che risvegliasse le coscienze sulla pericolosità del nemico islamico, Fallaci si rivolse proprio a Feltri perché le sue idee potessero avere circolazione. Il Corriere le chiuse le porte, lei andò a bussare altrove. Ma da qui a voler diventare baluardo di una destra alla quale non è mai appartenuta, ce ne corre]
La sinistra invece dimostra di avere memoria corta, perché preferisce ricordarne solo l'ultimo controverso periodo dimenticando totalmente tutte le battaglie di Oriana Fallaci, l'impegno civile, la scrittura raffinatissima, l'appartenenza alla sinistra radicale e libertaria, il coraggio di farsi reporter di guerra che denuncia le bassezze di ogni conflitto, la tendenza a una libertà costruttiva perché votata al racconto, alla denuncia. Dimentica pure la sua grande storia d'amore con un comunista greco: Alexandros Panagulis. 
In altri termini, tutto quello che piace alla sinistra e che invece, in tal caso, si rifiuta di riconoscere. 

Eppure basterebbe partire da alcune dichiarazioni molto chiare di Fallaci, tutte le volte che si dichiarò ferma antifascista, dal fatto che fosse figlia di un fervente partigiano toscano e di una donna di grande intelligenza che prese posizione contro il regime e i suoi metodi vergognosi. Fallaci stessa staffetta partigiana prima della Liberazione. 
Basterebbe partire dalla sua partecipazione al dibattito su aborto e divorzio, ponendosi in netto contrasto con la destra di Almirante e le posizioni cattoliche conservatrici (è la Fallaci radicalmente anticlericale). 
Dalla sua battaglia femminista concreta, che rifiutò la partecipazione ai cortei per lasciare invece un solco profondo con scritti veementi contro ogni discriminazione maschilista e patriarcale. 
Se si leggessero i libri della Fallaci, esisterebbe questa profonda avversione della sinistra verso di lei? Perché il suo repertorio non si limita a titoli come La rabbia e l'orgoglio e La forza della ragione, ma a molto, moltissimo altro. 
Staffetta partigiana a 14 anni
E dubito resterebbe così simpatica alla destra se si conoscesse Oriana Fallaci a 360°. 
Insomma, cari amici miei di sinistra, Oriana Fallaci, non è stata una razzista né una xenofoba, ma, guardata nella totalità della sua formazione, nella sua ideologia e nella sua professione, tutt'altro.
Da ciò, senza dubbio, dobbiamo escludere l'ultimo periodo, gli ultimi 5 anni della sua vita, dal 2001 al 2006, perché quella Oriana, abbrutita dalla malattia e dalla solitudine, diede atto a una scrittura livorosa e apertamente islamofoba che pretendeva di profetizzare la fine dell'Occidente nel giro di pochi anni, se gli stati europei non avessero aperto gli occhi. Come se il terrorismo islamico e qualsiasi posizione da un fronte opposto non avessero matrice nelle stesse azioni dell'Occidente - Usa ed Europa - e nei numerosi errori del nostro passato e presente (basti pensare oggi alla posizione ambigua di parte dell'Europa verso la guerra in Ucraina o al mancato appello delle destre verso il cessate il fuoco a Gaza). 

Raccontare Oriana Fallaci è la mia sfida, perché devo dimostrarlo senza edulcorare questa figura così forte e sotto molti aspetti caustica. Mi pongo l'obiettivo di travalicare il cliché e perlomeno offrire una visione più completa di questa giornalista e scrittrice. Riuscirci è tutto da vedere, ovviamente. Io ce la metterò tutta. 
Segue un riassunto della sua biografia. Inevitabilmente è lungo, a me è servito per ripercorrere il libro e consolidarne i passaggi più significativi. 


Chi era Oriana Fallaci?
Io sono cresciuta nella guerra. Fin da bambina non ho visto che la guerra, non ho sentito parlare che della guerra. Ero una bambina esperta di fame e di freddo. E di paura. Tutto ciò che sono, tutto ciò che ho capito politicamente, lo sono e l'ho capito durante la Resistenza. Essa è caduta su di me come la Pentecoste sulla testa degli apostoli.  
Nasce nel 1929 e le viene dato il nome della duchessa di Guermantes di Proust. Tosca, sua madre, è una giovane donna volitiva e di carattere. Le racconta che non la voleva e aveva cercato di abortire, perché la sua ambizione era viaggiare, conoscere il mondo, lei che era abituata a frequentare i circoli intellettuali e artistici di Firenze. 
La gravidanza porta Tosca al matrimonio e a una vita da serva nella casa dei suoceri. Alla sua bambina Oriana Tosca ripeterà incessantemente di "non fare la sua fine" e invece studiare e andare nel mondo.
Oriana vive infanzia e adolescenza in una grande famiglia allargata, costituita da nonni, le zie, le sue due sorelle e una terza sorella adottiva. 
Poi c'è lo zio Bruno, l'intellettuale di famiglia, sposato con una giornalista e direttore del giornale "Epoca". Praticamente il mentore di Oriana - e parente ricco - del quale assorbirà i consigli a partire da un imperativo: mai annoiare il tuo lettore. 
Oriana ricorda la propria infanzia povera, con una madre che si toglie il pane di bocca per le figlie. La madre lavora come donna delle pulizie, il padre è falegname. 
La famiglia Fallaci, si è detto, è dichiaratamente antifascista. Oriana impara dall'esempio che significhi esserlo. Nel 1944 suo padre si ammala di pleurite e resta senza lavoro. Cercano di convincerlo a prendere la tessera fascista che faciliterebbe un suo impiego: "Mai!", tuona dal suo letto. Nello stesso anno sarà catturato e torturato perché riveli i nomi dei suoi compagni, ma lui non confesserà. Arriverà a un passo dalla fucilazione, ma stando ai racconti verrà salvato da Tosca, donna come si è detto di grande forza, che cercherà prove contro uno dei torturatori e ne scoprirà il passato antifascista. 
Oriana visiterà suo padre al carcere delle Murate, ne resterà scioccata, chiede alla madre il perché di tutto quel male. Le parole di Tosca sono illuminanti: "Perché tuo padre fa politica. Perché combatte per rendere questo mondo un po' più decente"
Suo nonno Edoardo Fallaci è come suo padre, non si piegò mai: iscritto al Partito socialista, si scontrò spesso con le squadracce e prese parte al gruppo clandestino Giustizia e Libertà. 
Anche il nonno materno è un esempio per Oriana, ne scriverà come di un anarchico che si rifiutò di andare in guerra - la Prima guerra mondiale - "un'inutile rissa fra imperialisti". 


Cronista di guerra a Saigon


Nella Resistenza la giovane Oriana ha un nome di battaglia: Emilia. Glielo dona una sua professoressa di filosofia diventata combattente. Emilia/Oriana è una staffetta, viene impiegata per il trasporto di messaggi, manifesti, giornali, a volte anche armi. 
Il padre è amico di Emilio Lussu, uomo che ispira in Oriana una grande ammirazione, e di Carlo Levi, al quale la stessa Oriana era assegnata per la consegna di viveri nell'appartamento in cui era nascosto. 
A casa Fallaci si rifugiano due soldati inglesi prima prigionieri e in fuga risalendo la penisola. Dai due giovani Oriana, quattordicenne, imparerà molto sul significato di vivere in un paese libero e anche su un valore per sempre vivo in lei: il coraggio. 
[in Penelope alla guerra uno dei due soldati tornerà come "primo amore" della protagonista]
Qualsiasi cosa mi capitasse di fare, di vedere, di udire, io la misuravo usando quel metro, il coraggio. Perfino l'amore. Ormai donna, sciupai i primi anni della giovinezza paragonando gli uomini che conoscevo ai miei eroi, rifiutandoli perché non somigliavano affatto ai miei eroi. Poche creature, io temo, sono state perseguitate da un ricordo quanto lo sono stata io. 
Oriana sarà preziosa nel momento in cui a Firenze arrivano camion di nazifascisti alla ricerca di partigiani e dissidenti. Proprio Oriana distruggerà diversi documenti compromettenti del Partito d'Azione, poco prima della Liberazione. Alla fine della guerra, suo padre darà seguito al Partito d'Azione diventando responsabile del giornale La libertà del lavoro
I nomi della famiglia Fallaci sono conservati negli archivi della Resistenza a Firenze. 
A Oriana viene riconosciuta l'appartenenza alla Liberazione col titolo di soldato semplice e si iscriverà alla Federazione giovanile del partito. È la più giovane rappresentante ufficiale della Resistenza

L'amore di Oriana per i libri si deve ai suoi genitori, la loro biblioteca trabocca. Anche nei momenti di maggiori ristrettezze i Fallaci non rinunciano all'acquisto a rate di libri e pubblicazioni. 
Oriana forma la sua passione per la lettura su grandi classici come Le mille e una notte, sul repertorio di Shakespeare, e poi scrittori come Melville, Jack London. In particolare proprio in London vede l'esempio del giornalista e scrittore, un connubio possibile. Sogna di fare "lo scrittore", non declinerà mai il nome al femminile. 
Frequenta il Liceo Classico come studentessa brillante, politicizzata e ribelle. Con Oriana gli insegnanti non possono sbagliare, la sua preparazione è eccelsa e lei non può tacere dinanzi a errori. 
Oriana perde la fede in quegli anni in via definitiva. Ha visto gli orrori della guerra e nel dopo assiste a ingiustizie e atti discutibili da parte di sacerdoti e suore che frequenta nel suo ritiro per la prima comunione. Non sopporta in particolare l'aspetto della ghiottoneria del clero. 
All'università si iscrive a Medicina, dove resterà per un anno perché nel frattempo viene assunta come giornalista nella redazione del Mattino, dove il nome di suo zio giornalista Bruno Fallaci le apre le porte. Oriana è una giornalista giovanissima, va in giro in bicicletta e scrive bene, benissimo. 
Le danno articoli di costume, moda e cronaca nera. 
Essendo donna deve dimostrare molto di più rispetto ai colleghi maschi, per questo non si concede riposo. Suo zio Bruno le dirà "sei brava, scrivi come un uomo", espressione che la infastidisce e accetta perché ogni sua parola è sacra per questa nipote di talento. 
Il primo importante articolo è sull'elezione del nuovo sindaco di Firenze, uno scritto politico che le vale il riconoscimento di tutta la redazione, ma Oriana vuole di più, lascia Firenze. Arriva a Roma. 


L'intervista a Paul Newman


Negli anni Cinquanta per Oriana Roma significa scrivere sul grande cinema italiano, sebbene lei propenda per la politica. Si deve accontentare di essere mandata dove le redazioni vogliono, perché è una donna e le donne giornaliste italiane sono pochissime. Coltiva il desiderio di scrivere narrativa ma intanto lavora per costruirsi un nome.  
Ero una ragazza povera, al giornalismo devo il fatto di non essere una donna povera. Ero una donna piena di curiosità, desiderosa di vedere il mondo, questo l'ho fatto grazie al giornalismo. Ero cresciuta in una società dove le donne sono oppresse, maltrattate, e al giornalismo devo il fatto di aver potuto vivere come un uomo. 
Il suo primo contatto col mondo arriva nel 1954, quando riesce a essere ammessa in un gruppo di inviati stampa per l'inaugurazione della linea Roma - Teheran. L'imperatrice Soraya accetta di incontrarla perché è l'unica donna della delegazione italiana. 
Ne verrà fuori il primo notevole articolo di Oriana Fallaci. Oriana fa parlare l'imperatrice anche quando lei in realtà tace, descrivendone i silenzi, gli sguardi, i movimenti del capo. È lei che decide dove l'intervistata deve andare e così costruisce una storia, una narrazione. 
È per adesso una parentesi, perché nell'anno successivo si occuperà quasi esclusivamente di cinema e mondanità. Un momento interessante sarà l'intervista al discusso Peter Townsend, amante della principessa Margaret d'Inghilterra, sorella della regina. 
La svolta alla sua carriera arriva nel 1956, in occasione della Rivolta ungherese. Oriana ottiene di farsi inviare sul posto ma non riesce ad arrivare a Budapest, ormai caduta in mano ai sovietici. Su un convoglio della Croce Rossa si imbatte in un combattente ungherese in viaggio verso la capitale. Oriana scrive su di lui facendone un ritratto straordinario. Ottiene di visitare i campi profughi e così registra e racconta il panorama che si dischiude dinanzi a lei dando voce ai torturati dal regime sovietico e comprendendo di essere non più solo una voce narrante ma una testimone che compie l'atto doveroso di raccontare. Come può tornare dopo questa esperienza a raccontare la mondanità?
Chi è ancora capace di apprezzare le frivolezze e di ignorare l'agonia di un popolo che muore, venga qui a Vienna e dia uno sguardo a quello che succede. 
Nasce la Oriana Fallaci cronista di guerra. Diventa inviata di punta dell'Europeo
Perché il suo nome diventi noto, le ci vuole l'America. Oriana ama gli Stati Uniti d'America, ha imparato a farlo negli anni della guerra, quando gli americani sono stati i liberatori. L'occasione di vedere finalmente questa terra le arriva nel viaggio di inaugurazione della rotta aerea Roma - Los Angeles, nel 1955. È come al solito l'unica donna del gruppo di giornalisti. 
Negli Usa Oriana cerca di intervistare Marilyn Monroe, la diva introvabile, che si nasconde, e non riuscendovi scriverà ugualmente un pezzo sulla sua surreale non-intervista, diventando protagonista del racconto. Di lì a poco Oriana si trasferisce a Hollywood dove intervisterà praticamente i maggiori divi e dive e registi e produttori dell'epoca. Ne nascerà il suo primo libro: I sette peccati di Hollywood, con la prefazione di Orson Welles. 
La attendono tempi difficili. L'amore infelice per il giornalista Alfredo Pieroni, la gravidanza indesiderata, la disperata ricerca di un luogo dove possa abortire, la perdita del bambino - vicenda mai narrata in maniera chiara. Cade in una specie di depressione. Tenta il suicidio, viene ricoverata per un periodo in una clinica psichiatrica. La sua sola salvezza può essere il ritorno alla scrittura. 




Dall'Europeo la inviano alla scoperta della condizione delle donne nei vari Paesi del mondo. Sulle prime Oriana non vede il senso di farne un tema, poi il racconto sofferto di un'amica le aprirà gli occhi. 
Mi venne in mente che i problemi fondamentali degli uomini nascono da questioni economiche, razziali, sociali, ma i problemi fondamentali delle donne nascono anche e soprattutto da questo: il fatto di essere donne. 
Visiterà Turchia, Pakistan, India, Indonesia, Malesia, Hong Kong, Giappone, Hawaii. Mentre in Turchia si imbatte in donne emancipate, in Pakistan l'incontro con la condizione femminile è traumatico. Incontra una sposa-bambina e comincia a farsi un'idea su come l'Islam tratta le donne. 
Denuncerà lo sguardo degli uomini su di lei, donna occidentale, il trattamento che le si riserva ovunque vada, benché affronti risolutamente ogni divieto. 
In un articolo al vetriolo parlerà del trattamento riservato alle donne in una vasta area dall'Oceano Atlantico all'Oceano Indiano. 
Sono dunque le donne più infelici del mondo, queste donne col velo, e il paradosso è che spesso non sanno di esserlo perché non sanno ciò che esiste al di là del lenzuolo che le imprigiona. 
Incontrerà il progredito mondo femminile del raja di India, le matriarche della Malesia, ma anche le donne di Cina coi piedi fasciati e deformi, le donne giapponesi divise fra progresso e legame alle tradizioni. Ne scaturisce il libro Il sesso inutile, tra i suoi più riusciti, tradotto in undici lingue. 
Penelope alla guerra è del 1962, una sorta di romanzo/autobiografia, un libro che lei stessa definirà "femminista", con una protagonista che scopre New York e vive un amore infelicissimo. 
Sono gli anni in cui sceglie di vivere a New York e la sua protagonista mostra di avere, come Oriana stessa, un rapporto conflittuale con la città. Il femminismo insito nel romanzo deriva da una visione nuova di Oriana nei riguardi della donna occidentale - probabilmente nato dal confronto con altre culture. Oriana dichiara che il rapporto fra i sessi è cambiato, e che la donna può assumere un ruolo egemone. 
Mette in atto il suo pensiero vivendo liberamente diverse relazioni, anche solo per puro piacere fisico, come dirà in alcune lettere. 
Interviste importanti dell'epoca sono quelle alla senatrice Merlin che ha fatto dichiarare illegali le "case chiuse", a Natalia Ginzburg, della quale racconta la grandissima dignità di moglie di un uomo torturato e ucciso dai nazifascisti, a Pietro Nenni per il quale ha una autentica venerazione. 


Assieme ad Alekos Panagulis


Torna negli Stati Uniti, dove incontrerà e racconterà la grande avventura dell'allunaggio. Si fa assegnare al team di giornalisti alla Nasa e vive con gli astronauti per circa un anno. Ne scriverà nel 1965 il libro Se il sole muore, ancora autobiografico, nel quale immagina un dialogo con suo padre che non è del tutto convinto di questa grande impresa alla conquista dello spazio. Il libro è un nuovo grande successo che le vale inviti anche in televisione. La sua descrizione anche umana degli astronauti incanta i lettori.
Innanzitutto è gente che studia, moltissimo. Studia di giorno, studia di notte, studia a casa, studia in allenamento. Sono tutti ingegneri, laureati in ingegneria astronautica. Studiano geologia, chimica, matematica, fisica, biologia. Non soltanto studiano, sono sottoposti ad allenamenti severissimi, hanno un orario di ufficio da condannati ai lavori forzati. 
Intreccia una grande amicizia con l'astronauta Pete Conrad, comandante dell'Apollo 12, che porta una foto di Oriana bambina durante la sua missione. L'amicizia sodale con Pete è destinata a spegnersi a causa di una discussione politica. Oriana è una progressista anche critica verso gli americani, Pete è un conservatore. Una lettera ardente di Oriana chiude in via definitiva l'amicizia, perché lei se ne scuserà ma lui non le darà mai una risposta. 
Oriana costruisce una nuova idea degli Stati Uniti in occasione della guerra in Vietnam. Sarà inviata di guerra in Vietnam dal 1967, vuole testimoniarne gli eventi, l'orrore, ma dividendosi fra Saigon e il fronte. Acquista un'uniforme, solleva il giornale da ogni responsabilità. Sul fronte è munita di macchina fotografica, si muove con l'essenziale, vivrà diverse volte anche l'esperienza degli aerei da guerra. 
Si considera un ragazzo fra ragazzi, come fra i partigiani. 
Ne deriverà il libro Niente e così sia, pubblicato nel 1969. 
Nel libro Un cappello pieno di ciliege, pubblicato dopo la sua morte, descriverà un tentativo di stupro subito in Vietnam. 
Nel 1970 gli americani aprono un altro fronte, in Cambogia. Oriana scrive articoli del tutto critici verso la decisione di Nixon e dichiara il vero epilogo della guerra in Vietnam, la disfatta americana. 




Archiviata l'esperienza, Oriana ha un nuovo amore, un giornalista francese sposato e cattolico. La loro relazione durerà cinque anni. Grazie a François, Oriana comincia a interessarsi alle questioni politiche del Sudamerica, il che inasprirà la sua visione degli Stati Uniti, colpevoli di appoggiare le dittature. 
Ancora una volta Oriana si infila dentro la Storia intervistando prigionieri politici.
Prova raccapriccio dinanzi a questa destra che le ricorda il fascismo. 
Il tema della giustizia sociale rimane in me come una spina nel cuore. E per chi non ha quella spina nel cuore provo un'istintiva ostilità, anzi un'istintiva ripugnanza. Io non potrei mai schierarmi con la squadra di calcio che ha nome Destra. 
Rompe con Indro Montanelli nel momento in cui, in uno scambio di lettere, lui insiste a criticare la Resistenza. 
Non infangare la Resistenza che è stato uno dei nostri momenti più belli! Io non te lo permetto, e se ci proverai scrivendo sull'Italia dei giorni nostri nei tuoi libri di storia, ti farò a pezzi. Te lo giuro. 
Teme il ritorno del fascismo e si dichiara scandalizzata per la presenza del Movimento sociale in Parlamento. 
Quello dei fascisti non costituisce il nostro unico malanno. I fascisti sono, semmai, la proiezione più cupa della nostra irresponsabilità, della nostra mancanza di serietà. Per il mio lavoro sono spesso lontana dall'Italia e, ogni volta che ci torno, la trovo peggiorata, moralmente e materialmente. 
Inaugura una serie di interviste a Sandro Pertini, conquistata dalla sua storia antifascista.
Non si intervista Sandro Pertini, si ascolta Sandro Pertini. Nelle sei ore che trascorsi con lui feci sì e no quattro o cinque domande. Per il resto c'era solo da restare incantati. 
L'esperienza di Vietnam e Cambogia rese Oriana corrispondente politica e le aprì la strada alle grandi interviste con i potenti del mondo. Le sue interviste diverranno materia di studio nelle università americane. Parte per la guerra indo-pakistana, va a guardare sul campo le sommosse maoiste e in Medio Oriente il conflitto israelo-palestinese. 
È il momento delle celebre interviste ad Arafat, un uomo senza sincerità, e a Kissinger, cui cerca di fare ammettere la disfatta in Vietnam, a Golda Meir, premier donna in Israele, Indira Gandhi.
È all'apice della sua carriera, lei stessa sceglie chi intervistare. 
Nel 1974 esce Intervista con la storia, nel quale precisa alcuni ritratti ed esprime con molta libertà la propria visione politica del mondo. 

L'anno prima Oriana incontra il dissidente comunista greco Alexandros Panagulis. Il giovane eroe che lotta contro la dittatura la conquista del tutto, le offre una nuova causa da seguire. Panagulis ha resistito a cinque anni di torture, ha posto se stesso a strumento di lotta per la libertà, non può che avere tutta la sua ammirazione. Lui la chiama alitaki, monello. Sa tutto di Oriana, ne ha letto le interviste politiche, gli articoli da cronista di guerra. 
Con Panagulis Oriana intreccia una relazione intensa e sofferta. Lui ha dieci anni di meno e alle spalle un'esperienza devastante. Nella loro convivenza, in Toscana, Oriana diventa insofferente, le liti ricorrono spesso, Alekos è un uomo impegnativo, abulico, tormentato. 
Nel 1974 cade la dittatura in Grecia e lui decide di tornarvi e di candidarsi al Parlamento. Riesce a farsi eleggere ma ingaggia una nuova battaglia su alcuni politici a suo dire corrotti, fra cui il ministro della Difesa. 



Nel 1975 prende dal cassetto il carteggio di una serie di bozze risalenti a dieci anni prima e ne esce Lettera a un bambino mai nato. Oriana si pone in maniera equidistante fra progressisti e conservatori: la protagonista si chiede se un bambino è già tale quando è un primo grumo di cellule, dichiara apertamente che una donna ha tutto il diritto di decidere della propria gravidanza. 
La donna che racconta nel libro non è certa di volere un figlio e non è nemmeno certa che questo bambino voglia nascere. Il libro è senz'altro un inno alla vita ma senza retorica facile. Ci sono passaggi intensi, brutali, altri in cui la madre narrante mostra il suo legame con quella vita che palpita. È una donna che lavora e decide di rifiutare il riposo che le viene imposto. 
Cosa credi che sia, un contenitore, un barattolo dove si mette un oggetto da custodire? Se riuscirai a nascere, nascerai. Se non ci riuscirai, morirai. Io non ti ammazzo, sia chiaro: semplicemente mi rifiuto di aiutarti ad esercitare fino in fondo la tua tirannia. 
Oriana dichiarerà di aver desiderato diventare madre ma di non esserci riuscita. Una vita che si forma è una vita, qualcosa di avverso a quanto ritiene inaccettabile, quella morte che ha visto disseminata fra le guerre e ogni conflitto cui ha assistito. 
Ciò non toglie che siano le donne ad avere tutto il diritto di avere un figlio o di portare a termine una gravidanza, si dichiara pertanto favorevole alla legge sull'aborto. 
Il libro invece non è né pro né contro l'aborto, è un libro sul dubbio, dirà a quanti non sono riusciti a collocarlo in una direzione precisa. 

Negli ultimi mesi prima della sua uccisione, Alekos vive lontano da Oriana. Lui ad Atene, lei a New York. Non possono vivere insieme perché sono due spiriti liberi. Si riconoscono molto legati ma il loro rapporto è ormai deteriorato. 
Lui morirà nel 1976, apparentemente si trattò di un incidente automobilistico, ma Oriana sarà sempre certa si sia trattato di omicidio. Nello stesso periodo Oriana vivrà la morte dell'amatissima madre, un'esperienza devastante. La sua sola via di scampo è la scrittura. 
Nasce Un uomo, pubblicato poi nel 1979. 
Il dolore la cambia. Può permettersi di dimettersi dall'Europeo e lascia la sua immagine di donna pubblica per richiudersi in se stessa. Un isolamento che durerà tre anni. 

Nel 1979 Oriana realizza una delle sue interviste più celebri, quella a Khomeini, in Iran. È una missione difficile: donna, occidentale, intenzionata a intervistare il fautore di una rivoluzione islamica che ha rovesciato lo scià e trasformato profondamente il paese. Vi compie il noto episodio del chador che si strappa dal capo davanti al potente ayatollah.
Oriana gli fa domande sul cambiamento di condizione delle donne in Iran dopo l'avvento della dittatura, il leader le dice che non è obbligata a portare la veste islamica, perché il chador è destinato alle donne perbene, Oriana se lo toglie con stizza. Khomeini si rifiuta di parlare dinanzi a una donna col capo scoperto e lascia la stanza. Il giorno dopo ottiene di completare l'intervista e gli rivolge una domanda:
"Allora, imam, riprendiamo da dove abbiamo interrotto ieri. Mi stava dicendo che sono una donna indecente". 
E allora l'imam fa qualcosa di sorprendente. La guarda, il che è già un'eccezione, e poi abbozza un sorriso che è costretto a reprimere. 
Nello stesso anno Oriana intervista un altro leader controverso, Gheddafi, da dieci anni a capo della Libia dopo un colpo di stato. Oriana dirà che mentre Khomeini aveva dimostrato una certa acutezza nelle risposte, Gheddafi si dimostrò invece del tutto scemo. L'intervista assomiglia a un pezzo di teatro dell'assurdo, Gheddafi caparbiamente risponde fischi per fiaschi. Lo definirà "clinicamente infermo, mentalmente malato, un idiota pazzo"

Nel 1982 Israele invade il Libano per costringere le forze armate palestinesi a ritirarsi dal paese. Oriana intervista Ariel Sharon e quando viene creata una forza multinazionale di pace si reca in Libano. Si lega a un sergente, Paolo Nespoli, che ha circa la metà dei suoi anni, un suo ammiratore. 
Nel 1885 Nespoli si trasferisce nel suo appartamento a New York, sono gli anni in cui Oriana sta scrivendo Insciallah, un libro epico di ottocento pagine, ambientato a Beirut. È un romanzo sulla guerra che la racconta senza filtri mostrandone gli orrori, tutto ciò che ha imparato in tanta esperienza. 
L'aspetto particolare del libro è il suo essere in certo senso profetico. Oriana individua nel Libano il luogo dove si prepara il terrorismo islamico del futuro. In pratica, vent'anni prima rispetto all'11 settembre, Oriana profetizza che l'Islam radicale è destinato a uscire dal Medio Oriente e affrontare l'Occidente in modo diretto.



Dopo la morte del padre, Oriana torna a New York e comincia a dedicarsi al suo romanzo familiare, un monumentale racconto romanzato della sua famiglia. Si serve di diari di famiglia, di lettere, fotografie. Il romanzo sarà anche un affresco della vita contadina toscana, dal finire del 1700 fino al 1944. 
Individua in suo nipote Edoardo il suo erede, al quale confessa di avviarsi verso un'ultima fase della vita in solitaria, tutta dedita al suo grande romanzo di vita. E per scrivere, vuole essere precisa, appellarsi alla grande scrittura dei suoi autori prediletti. 
Hemingway diceva che una pagina scritta bene è come un campo di neve privo di buche, di sassi, di inciampi, sicché ci puoi sciare, anzi scivolar via senza rimbalzi né scossoni né sbandamenti. La parola scritta non è muta. È voce. Anche quando scrivo io non sto zitta. Bisbiglio a me stessa le frasi, me le detto, me le recito, ne faccio una colonna sonora il cui tono corrisponde a quello del racconto e dei dialoghi. 
Il grande romanzo Un cappello pieno di ciliege (scritto proprio così, senza la "i" al plurale, come lo scriveva sua madre Tosca sui barattoli della conserva) è in fondo il romanzo di Edoardo e Tosca, Oriana racconta la loro giovinezza, quando erano loro a risollevarla, quando erano "belli, forti, spavaldi". Non lo terminerà mai, il romanzo si interrompe al 1889. 
Nel 1991 vedrà per l'ultima volta un fronte di guerra quando andrà nel Golfo Persico, ma si accorge che il giornalismo di guerra è cambiato, che il controllo dell'informazione dei cronisti anche esperti come lei è maniacale. Non si può raccontare tutto, non si può dire tutto. 
Dalla scoperta della malattia che la consumerà lentamente - la prima diagnosi nel 1992 - fino alla fine, la vita di Oriana Fallaci è eremitica. Si chiude nel suo appartamento di New York, fra i suoi libri, il suo disordine caotico, e scrive. Il suo carattere difficile si inasprisce, cade nella paranoia, tende a discutere e litigare con tutti coloro che si mettono in contatto con lei. Se esce, ed esce raramente, si nasconde dietro occhiali scuri e grandi cappelli. 
Uno scrittore non dovrebbe mai rivelarsi ai suoi lettori. Dovrebbe nascondersi, non farsi vedere da vicino. Il guaio è che io l'ho scoperto troppo tardi, quando la gente mi riconosceva per strada, punizione che merito giacché per anni ho permesso che la mia fotografia fosse pubblicata sulle copertine dei miei libri. Se potessi tornare indietro, non lo farei più.
L'affetto dei suoi lettori la stupisce. Le scrivono da tutto il mondo, estimatori dei suoi libri e poi comitati che le chiedono di appoggiare una causa, istituzioni che la invitano per parlare, università perché tenga dei corsi. Il vero critico per Oriana è il pubblico e di questo predilige la gente semplice. 
Arrivare a loro è tutto.  



L'ultima fase di Oriana
La mattina dell'11 settembre 2001 Oriana Fallaci è nel suo appartamento di New York. Sta lavorando al romanzo familiare. Il World Trade Center è a pochi isolati di distanza. Si accorge subito che qualcosa non va ma non ha la visuale libera. La televisione è senza audio ma le immagini parlano da sole. Vuole andare a vedere di persona, chiama un amico poliziotto e gli chiede di portarla lì. Il poliziotto chiede un permesso speciale per una corrispondente di guerra, ma non ottiene nulla. 
Oriana vivrà, come il resto del mondo, tutto in diretta, dinanzi alla tv. 
Le scrivono, le telefonano, le chiedono come stia. Oriana rassicura tutti e non vuole visite. 
La città che ama da sempre, quella che conosce da quarant'anni, è ferita, falcidiata. 
Il direttore del Corriere della Sera la contatta per un'intervista, lei accetta, ma è lui che deve venire fino a lei a New York. Ferruccio De Bortoli arriva all'apertura dello spazio aereo, il 15 settembre. Ne scaturirà un editoriale che avrà titolo La rabbia e l'orgoglio

Viene pubblicato il 29 settembre e innesca una specie di nuova esplosione. Non ha il solito suo tono, ma più passionale, solenne. Oriana accusa apertamente l'Europa di non avere passione, di essere vigliacca dinanzi alla minaccia dell'Islam radicale ed elogia il patriottismo americano, sentimento mancante negli italiani
L'editoriale ha un successo enorme, fra aspra critica e consensi, allora Oriana amplia il discorso e ne esce in dicembre il libro che in due settimane vende 700.000 copie. 
Inizia quell'ultima fase controversa, nella quale Oriana viene accusata di incitamento all'odio razziale e religioso, le giungono minacce da siti islamici radicali, il che la spinge a esprimersi senza farsi intimorire. 
È come una missione ormai, Oriana è ossessivamente dentro il dibattito e non molla. Nel 2004 escono due libri, La forza della ragione e Oriana Fallaci intervista se stessa. L'Apocalisse. In entrambi fa un appello agli europei tutti perché difendano la propria identità e i valori. 
I suoi detrattori ci vedono i deliri di un predicatore medievale, lei invece dice di ispirarsi a Gaetano Salvemini, in esilio a New York, che scrisse agli americani perché aprissero gli occhi dinanzi alla minaccia di Hitler e Mussolini. 
Sempre più indebolita dalla malattia, riserva le ultime forze alla polemica, all'invettiva politica. Allo stesso tempo difende il proprio diritto di esprimersi in un paese libero verso un paese libero, convinta da sempre che impedire la parola sia cosa da fascisti. 

Le viene cucito addosso il personaggio della donna aggressiva e intrattabile, in particolare da molti giornalisti italiani che la descrivono fino alla caricatura. La stampa guarda solo all'ultima Oriana Fallaci e ne fa un fantoccio da deridere, da compatire come vecchia ormai fuori di testa oltre che cattiva. 
Uno dei suoi amici, dopo la sua morte, dirà:
Anche gli onori che le vengono tributati appaiono diversi da quelli che vengono riferiti ai "grandi uomini", in vita o in morte, del nostro giornalismo. Di Oriana si celebra l'eccezionalità, la personalità, il carattere, l'imprevedibilità. Ma nessuno, neanche il più aperto dei suoi estimatori, è disposto a riconoscerne l'autorevolezza. Lei lo sapeva e le faceva male. Oriana è stata il più grande elemento disvelatore del maschilismo nel giornalismo italiano. Lei, una diva internazionale, una cui il Washington Post aveva chiesto un contratto in esclusiva per l'America, in Italia è stata dipinta come una matta, una spostata, e negli ultimi anni anche come una venduta alla destra.
Oriana dedica gli ultimi mesi di vita a prepararsi a morire. Adopera le ultime forze per procedere col romanzo, lascia disposizioni per le opere postume, sistema la successione e l'eredità. Nomina il nipote erede universale e dona i libri antichi all'Università Lateranense. Vuole un funerale laico in forma privata, vuole essere sepolta accanto ai suoi genitori. 
Vuole morire a Firenze, dove arriverà alle prime ore del mattino del 4 settembre 2006. 
Oriana Fallaci muore a 77 anni nella notte fra il 14 e il 15 settembre 2006. 
Io non ho mai capito la morte. Non ho mai capito chi dice la morte è normale. La morte è logica, tutto finisce quindi anch'io finirò. Io ho sempre pensato che la morte è ingiusta, la morte è illogica, e non dovremmo morire dal momento che si nasce.
Non mi resta che concludere dando voce a Oriana, a questa straordinaria Oriana del dibattito sull'aborto, tema in questo momento quanto mai attuale perché diritto messo nuovamente in discussione da una destra che sta tentando di offuscarlo e il rischio è davvero grande, sebbene all'interno della Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Sono 7 minuti imperdibili.
 
 


Grazie, se avrete letto tutto. Mi piacerebbe conoscere un vostro parere su Oriana Fallaci. 

11 commenti:

  1. Completo ed esaustivo (e ovviamente ben scritto). Sapevo quasi tutto ma è un ripasso molto utile. La sinistra più che avere la memoria corta ha poco coraggio e a volte poca faccia tosta. La Fallaci è sempre stata talmente indipendente da non essere comunque mai stata davvero una icona della sinistra. Purtroppo i suoi ultimi anni (e le ultime generazioni conoscono solo quelli) sono stati talmente (e direi sguaiatamente) reazionari da renderla respingente. La destra se ne è appropriata come sempre fa in modo superficiale e truffaldino, come fa sempre (lo fanno anche con Gaber). In questo l'ignoranza sempre più diffusa li aiuta. Da questo punto di vista il tuo lavoro può essere uno dei modi per aiutare a restituire un po' di giusta prospettiva al personaggio, che indubbiamente è u o dei più complessi e interessanti del novecento (mi permetto di dire, un proposito simile a quello che abbiamo voluto perseguire noi con Gaber nelle serate che conosci, portando in scena non le sue canzoni più facili e famose ma proprio quelle più complesse e sfaccettate). Saranno cose utili? Chissà. Per l'appunto, a volte l'importante è "buttare lì qualcosa" 😊

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    1. A me dispiace molto che la sinistra si sia persa questo grandissimo personaggio. A maggior ragione se pensiamo che, in virtù di quei disgraziati ultimi anni, è finita in mani pessime. Se guardiamo a questo, automaticamente cancelliamo tutto, tutto il bene, quello straordinario che è stato prima e che ho cercato di sintetizzare al massimo in questo riassunto (impossibile comunque scrivere tutto, c'è moltissimo altro nella biografia e a tanto ho dovuto rinunciare qui, cercherò di recuperare nella drammaturgia). Come sai, tenevo molto al tuo parere, perché è inevitabile che la mia scelta appaia impopolare a molti amici. Se sarò riuscita, con lo spettacolo, a rendere giustizia a Oriana Fallaci (che detta così pare un'impresa colossale), questo sarà uno dei momenti più belli di tutto il mio teatro.
      Sono contenta che tu veda in questo mio intento qualcosa che tu e Carlo avete realizzato con Gaber. Mi piace perché ci allinea lungo una visione del teatro come atto utile, impegnato, e in questo caso buono perfino per riscattare qualcuno di importante. Io "giocherò" con materiale esplosivo se penso ai temi che voglio portare sul palcoscenico. Speriamo bene. :)

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  2. Io ho letto solo una raccolta postuma di articoli scritti dagli anni '70 ai primi del XXI secolo che l'editore ha furbescamente intitolato "Le radici dell'odio - La mia verità sull'Islam" che in realtà raccontano il medio oriente e la questione palestinese da molti decenni prima dell'attentato alle torri gemelle, e che aiutano a capire meglio come sia avvenuta l'imponente crescita di città come Dubai e Riyadh e come la questione palestinese e la guerra in Iraq nascano anche dal troppo disinteresse iniziale dell'occidente verso le situazioni che accadevano in quella parte di mondo.
    Riguardo il suo anti-islamismo, vado controcorrente ma credo che fosse convinta, e non solo a causa della malattia e di una quasi "demenza" che qualcuno ha voluto attribuirle.
    L'islamismo è una religione molto integralista nella maggior parte degli stati in cui è maggioritaria. Ci sono certamente nazioni a maggioranza musulmana dove le questioni religiose sono ormai secolarizzate, ma ce sono tante dove vigono leggi che da noi sarebbero considerate semplicemente illegittime. In parecchie nazioni a maggioranza musulmana esiste ancora il reato di "apostasia", esiste il diritto talvolta di escludere dall'asse ereditario, talvolta addirittura di fa arrestare colui che abbia "deviato" dalla fede, esistono leggi molto restrittive per i diritti delle donne, esiste la persecuzione degli omosessuali.
    Oriana Fallaci, proprio perché ha combattuto contro un totalitarismo, non sopportava i "regimi" in generale, anche quelli mascherati da repubblica democratica. La sua paura che anche l'Europa finisca per tollerare sacche di totalitarismo religioso all'interno dei propri confini non è così assurda in realtà. Già adesso succede in alcuni paesi occidentali.

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    1. Ecco, per esempio in Le radici dell'odio parte del libro è curato da Lucia Annunziata, notoriamente del PD, che mostra grandissima stima verso Fallaci. La conosceva personalmente, probabile che derivi da questo, e la stimava oltre misura. Mi domando: quella è come dici una pubblicazione furba, si serve di scritti degli anni '70 per calcare la mano di questa sua fase estremista, ma una nota esponente del PD fa nel testo la trait d'union fra la Fallaci inviata di guerra o giornalista che incontra i grandi e l'ultima Fallaci. È significativo, non tutta la sinistra si è dimenticata di lei.
      Scrivi: "Riguardo il suo anti-islamismo, vado controcorrente ma credo che fosse convinta, e non solo a causa della malattia e di una quasi "demenza" che qualcuno ha voluto attribuirle". Sì sì, non ho scritto da nessuna parte che non fosse convinta, era convintissima. Fallaci è stata sempre coerente col proprio pensiero, la verità, la sua verità è ciò che ha sempre manifestato con grande libertà. Diciamo che la sua visione apocalittica era appunto tale. La sua fine era vicina, dinanzi all'11 settembre, dinanzi al quale tutto il mondo occidentale è rimasto scioccato, fece un'ossessione dell'aspetto dei rischi dell'integralismo islamico. Non aveva del tutto torto se pensiamo ai terribili attentati in Europa, ma da qui a immaginare un Islam che si sarebbe imposto sull'intero Occidente ne corre. Lei diceva che non esiste un Islam moderato.

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  3. Non ho mai letto nulla di suo e in generale conosco poco il personaggio. So che negli ultimi anni viveva in un appartamento a Manhattan. So che oggi il suo nome è tirato fuori soprattutto quando si parla di pseudocolonizzazione dell’Europa da parte dei musulmani. (Dico pseudo perché non è stata violenta, ma permessa dagli europei, anche se di fatto i musulmani, specie quelli delle classi più basse, si sentono conquistatori e conquistatori religiosi. Se fosse vero si tratterebbe di un vero e proprio cavallo di Troia; mentre noi pensavamo che venissero con intenzioni pacifiche e con la voglia di prendere il nostro stile di vita, di fatto loro venivano solo per la nostra ricchezza. È possibile che l’islamizzazione dell’Europa si verifichi, complice l’apostasia silenziosa dei cristiani e come predetto dalla Fallaci; una volta che fossero al potere, però, la ricchezza andrebbe a farsi benedire perché gli stati da loro governati sono colabrodo, mangiati da guerre interne ed esterne, poiché non è gente che sa vivere in pace; se non fosse così, perché tanti avrebbero avuto bisogno di migrare?). In ogni caso, grazie per l’illuminante articolo su questa figura controversa, reclamata come propria sia da destra sia da sinistra e in bocca al lupo per il lavoro che ti accingi a intraprendere. Vedo che il taglio è biografico, posso dire ciò che interesserebbe più a me: leggere i suoi scritti, se è vero, come dicono, che la sua scrittura è così buona. Auspico che il tuo lavoro spinga a volerla conoscere più da vicino.

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    1. Una parola come "colonizzazione" o "pseudocolonizzazione" è troppo forte se pensata alla presenza di immigrati di etnia araba o in generale di religione mussulmana in tutto l'Occidente (intendendo anche pertanto gli Usa). I mussulmani presenti in Europa, secondo stime dello scorso ottobre, non raggiungono il 7% della popolazione totale. Ve ne sono, ma il loro numero è esiguo rispetto al totale, i numeri sono chiari. Siamo abituati a vedere "colonizzazioni" e "invasioni" laddove utilizzare questi termini è fuorviante, folle. E poi la Storia, verso cui abbiamo memoria corta, ci racconta di emigrazioni che avvengono dalla notte dei tempi. Lo spostamento di genti, popoli, generazioni, è insito nell'essere umano.
      L'adattamento degli immigrati di religione islamica non è sempre facile, questo è innegabile. Il fenomeno di femminicidio ai danni di ragazze musulmane da parte dei propri familiari è purtroppo diffuso, il caso di Saman Abbas è solo l'ultimo. Per parte mia posso dirti, da insegnante, di conoscere casi di alunni (maschi o femmine) musulmani sottoposti a certe restrizioni, in particolare le femmine, e casi in cui neppure ti accorgi che la famiglia è di religione islamica. E sì che dalle mie parti, sui colli a sud di Roma, la presenza di famiglie islamiche non è forte come può esserlo nella capitale o in altre regioni d'Italia.

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  4. Ciao, mi ha fatto piacere imbattermi per caso in questo blog ricco di contenuti e farlo trovando un post su Oriana Fallaci, scrittrice che ho amato molto, anche se di lei ho letto soltanto due libri, "Un uomo" e "Lettera ad un bambino mai nato". Li lessi poco più che ventenne ma mi folgorarono l'anima.
    Oriana era una persona complessa e particolare, ricca di sfaccettature e tu ne hai fatto un bellissimo ed esauriente resoconto.
    Complimenti per il blog e anche per la tua attività teatrale. :)

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    1. Benvenuta! Felice di imbattermi in una lettrice della Fallaci. Dei due libri che citi, "Lettera a un bambino mai nato" mi è particolarmente caro. Mi fece compagnia durante le lunghe ore di attesa mentre mio padre affrontava un'operazione chirurgica delicatissima. Per sempre sarà il libro di quelle ore, di quei momenti. Grazie e a presto. :)

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    2. Grazie per il benvenuta!
      I libri hanno anche questo potere, di legarsi a periodi particolari della nostra vita e di riportarci con la mente lì ❤️
      A presto, felice di avere scoperto questo blog :)

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  5. Un super articolo … Oriana è stata una donna straordinaria, ho sempre condiviso le sue opinioni, tranne quelle dell’ultimo periodo… forse sarà stata condizionata anche dalle esperienze vissute nei paesi islamici. Detto questo, è sempre stato l’esempio di donna di cui questo paese aveva bisogno, da staffetta partigiana a giornalista importante, nonché scrittrice di grande spessore. Tutto questo mentre le donne erano ancora chiuse in casa, sottomesse al patriarcato. Ha aperto una strada alle donne semplicemente vivendo, dando l’esempio concretamente, andando oltre le manifestazioni. Dispiace che venga ricordata solo da una certa destra, da quella che lei ha sempre combattuto. Ma più che la destra che la cita, fa male la sinistra che l’ha dimenticata. Grande l’idea di fare uno spettacolo teatrale su di lei … tienici aggiornati!!

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    1. È stata e resta indubbiamente tutto quello che hai scritto anche tu, e saperla trascurata e dimenticata e appannaggio delle follie della destra è doloroso. Nella Storia e nella letteratura continuano a far sprofondare nomi eccellenti di donne che meriterebbero un racconto delle loro vite e azioni non meno dei tantissimi uomini di cui si dice, si scrive e si racconta. Se questo non è patriarcato, come lo si deve chiamare? Perché farsi una risata, e mi riferisco a chi nega, non basta. Bisognerebbe argomentare e mettere a confronto l'evidenza con la negazione di questa. Ma non c'è niente da fare, non ci si riesce.
      Grazie, Caterina, speriamo bene. :)

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