martedì 16 aprile 2024

Mangiasti?

Quella del titolo è la domanda che faceva mia nonna Maria, siciliana della provincia di Agrigento, a ogni componente della sua famiglia, a qualsiasi ora del giorno... tanto tempo fa.
Nonna Maria, come l'altra nonna, Agata, calabrese di Cosenza, erano donne nate negli anni Dieci, donne che hanno vissuto le guerre e pertanto la fame e la povertà.

Nonna Maria era una giovane donna durante la Seconda Guerra Mondiale, con tre figli da sfamare cui si sarebbe aggiunto un quarto negli anni Cinquanta.
Nel 1943, quando gli alleati sbarcarono in Sicilia, mio padre aveva 8 anni e a distanza di diversi decenni ricordava non solo questi stranieri alti e nerboruti venuti a liberarli, ma anche questa madre solida, chiamata "Mariccia la pupa" in paese, che in tempi di gravi ristrettezze si era messa un piccolo commercio in generi alimentari. 
Nonna Maria fece di necessità virtù e non solo sfamò i propri figli - mio nonno era malato da tempo e per giunta un carattere fragile, lei era invece reattiva e battagliera - ma riuscì a farlo senza contrabbando, con regolare tessera fascista rilasciata negli anni Trenta. 
Nonna Agata aveva avuto un destino diverso e un carattere diverso e viveva in una città dove circolava più facilmente il cibo - benché mia madre abbia raccontato che lei e i suoi altri sei tra fratelli e sorelle raggranellassero perfino le briciole di pane nella credenza in tempi di vera "magra". 

Durante la guerra e dopo, nella lunga e faticosa fase di ricostruzione, i generi di prima necessità erano scarsi e difficili da reperire. Dai racconti di mia madre, la dieta era costituita da pane (alimento base di certa sacralità in queste comunità più semplici), pasta e legumi. La carne bovina era un lusso rarissimo, il pesce pure, la carne suina invece era diffusa, perché nelle comunità rurali vicine alla città il maiale veniva allevato ed era pertanto disponibile. A ottobre il padre di famiglia acquistava il maiale dal contadino e questi veniva incaricato della macellazione e della conservazione. 
L'uccisione del maiale era un vero e proprio evento, una festa per tutti. Mia madre, ma anche una delle mie zie, mi raccontarono che i fratelli e sorelle maggiori erano soliti assistere alla macellazione. Ricordo dettagli raccapriccianti, mia madre in particolare raccontava le urla dell'animale e poi questo silenzio. La famiglia contadina sbrigava il tutto, ma la famiglia acquirente assisteva perché venissero garantite tutte le richieste fatte. Niente veniva buttato. Perfino il sangue suino diventava "sanguinaccio" (una legge dal 1992 ne impedisce la vendita), ma poi cotiche, scarafuagli (le cartilagini mescolate alla gelatina, mia madre le adorava), oltre alla parte nobile che diventava salsiccia, prosciutto, soppressata. 
A parte le consuete salsicce, per la mia generazione è stato difficile capire come potessero essere appetitose altre parti dell'animale, gustarne sapore, consistenza, odore. 
La fame di quell'epoca spiega molte cose, e relativizza gusti e preferenze. Oggi l'enorme disponibilità di cibo rende molto difficile comprendere certe usanze. 

Mio padre lasciò la Sicilia nel '57. Indossò la divisa militare dei carabinieri e partì per il Piemonte, in una Torino gelida e in reparti colmi di giovani appartenenti a ogni parte d'Italia. Raccontava che siciliani, calabresi e campani erano presi di mira da quelli del nord. Li chiamavano "terùn" e i "terroni" si univano a fare la forza, facendo sorgere amicizie mai tramontate. Nei pensieri di mio padre, ogni giorno - come diceva sempre - c'era la madre amatissima. Nonna Maria ebbe due figli emigranti e due invece fedeli alla terra natìa. Non restò sola, questo fu un vantaggio molto importante. 
Quando mio padre nel '63 portò la sua bella fidanzata cosentina a conoscere la futura suocera, mia madre, in pantaloni alla caprese, dovette cambiarsi in stazione, perché in paese non avrebbero capito e il rischio sarebbe stato di crederla una poco di buono. Ovviamente viaggiò assieme a una sorella, una 21enne da sola in viaggio sarebbe stato impensabile. Negli stessi anni, i primi splendidi anni Sessanta, altrove le ragazze erano emancipate, frequentavano il bel mondo. Mia madre era sarta, sempre elegante, in una Cosenza comunque molto aperta e "moderna", ma anche figlia di un padre gelosissimo.
Mia nonna, la futura suocera, usava rivolgerle quella domanda, "mangiasti?", perché era il centro di tutto, avere lo stomaco pieno, stare bene. Non avere fame. 
La riteneva pure troppo magra, all'epoca essere grassottelle era indice di certa bellezza al sud (ancora oggi in certi luoghi permane l'usanza). 

La Chiesa Madre di Palma di Montechiaro, paese in cui nacque mio padre

Mangiasti? era la domanda che mi rivolse mia nonna quando la vidi nel 1983, in una delle rare volte in cui andammo in Sicilia. Eravamo appena arrivati in quel paese divorato da un sole implacabile. L'acqua era centellinata, tutti erano muniti di cisterna e non avremmo potuto scialare come facevamo di solito. Avevo 12 anni, avevo tagliato i capelli come si usavano negli anni '80, "sfrangiati", come si usa dire. 
Nonna ci fece trovare il bombolone ripieno di gelato, fu al nostro arrivo e poi ogni mattina, per colazione. Non camminava più, avevano disposto il suo letto al pianterreno, lei pareva un'imperatrice, con quei capelli lunghissimi bianchi raccolti in una treccia e una camicia da notte candida e ricamata di fino. Disponeva di tutto e di tutti, era una tuttofare anche da seduta su quel letto. Tutti le si raccoglievano attorno, famiglia, ma anche vicini. Dava disposizioni perché agli ospiti, noi, non mancasse nulla, ma purtroppo non ebbi l'intelligenza di parlarle e stare con lei ad ascoltare i suoi racconti. Io e mia sorella ce ne andavamo in paese a fare passeggiate assieme ai cugini, uno di loro con una bella Vespa con cui scorrazzare per le vie. 
Mi pentii di non esserle stata più vicina, perché fu l'ultima occasione in cui la vidi. 

Mangiasti? è la domanda che nonna Maria pose dal suo letto d'ospedale a mio padre, pochi giorni prima che morisse. Mangiasti? era la domanda su tutte, per questa straordinaria generazione di donne che ressero famiglie in mezzo al disastro di guerre e fame. Era il prendersi cura, il loro "ti guardo e voglio fare in modo che non ti manchi nulla". 
Nel frastuono di questo tempo apparentemente pieno di cose e in realtà così vacuo da essere avvilente, pensare a questi valori è necessario, averne memoria è doveroso. Non è impossibile arrivare ai giovanissimi, abbiamo il dovere di raccontare. 

Anche voi avete ricordi di questa intensità? Un dettaglio, un particolare rivelatore? Vi leggo con molto piacere. 

20 commenti:

  1. Bellissimo racconto. Questa nonna ha un carattere d’acciaio. Il suo: “Mangiasti?”, lo vedo e lo sento chiaramente. Caratteri d’altri tempi, verrebbe da dire banalmente, ma non è così, caratteri così si ripropongono in ogni tempo ed emergono in caso di situazioni di bisogno. In effetti anche mia madre è una donna che si è rimboccata le maniche per crescere da sola un figlio negli anni ’80 e ’90 e si vede nella libertà verso la vita e le persone e nella tendenza a organizzare, decidere e disporre. Non ho racconti altrettanto significativi, almeno non così su due piedi, sono cose impegnative, magari qualcosa, col tempo, eventualmente, lo metto sul blog. Mi ha colpito l’immagine matriarcale della regina nel letto a pian terreno coi capelli bianchi raccolti a treccia e la veste da notte candida. Più di tutto, di lei vorrei avere la disposizione a preoccuparmi per come stanno gli altri. Mi pare una persona che ha vissuto per gli altri e il suo: “Mangiasti?” rappresenta bene ciò. Questa, ritengo, è la vera fortezza di carattere.

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    1. Non si può negare che anche oggi esistano donne che sono rocce, capaci di cavarsela anche in situazioni estreme. Oggi le situazioni estreme sono di altro tipo, oggi è necessario difendersi da un sistema che non favorisce gli svantaggiati soprattutto se donne, e difendersi anche da chi dice di amarle e invece ritiene di doverle possedere e perfino uccidere. Oggi il fronte nemico è cambiato e purtroppo si è perso di quel tempo il senso della comunità, il saper aiutare il prossimo, anche al di fuori della famiglia. Mia nonna Agata, la calabrese, divideva il suo pane a volte con mendicanti che venivano a bussare alla sua porta, e aveva sette figli da sfamare. Un po' come quello straordinario personaggio della madre in "Furore" di Steinbeck.

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  2. "un tempo così vacuo da essere avvilente".. noi facciamo in modo che passioni e bellezza siano colonna portante della nostra vita ma devo ai miei, ad esempio, la passione per i viaggi. Non erano tempi di grande scialacquo nonostante un presunto boom .. ma ricordo che papà ci metteva in cinquecento e con mamma e mia sorellina più piccola giravamo l'Europa tra mille difficoltà ma ricolmi di entusiasmo.. i nonni poi, hai ragione, mi facevano mangiare sempre.. una costante, insomma qualcosa di buono è rimasto.. le basi c'erano tutte, poi sta a noi titare fuori il meglio, quando riusciamo.. ;)

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    1. Ho sempre amato molto quel tipo di famiglia che viaggia coi figli piccoli in giro per l'Italia e l'Europa, immagino come si siano addensati i tanti ricordi. Io purtroppo ho viaggiato coi miei solo in occasione di matrimoni, perché i miei cugini siciliani (che non sono rimasti tutti al sud) si sono sposati e li abbiamo raggiunti volentieri per riunirci tutti attorno a questo evento. È vero, ogni generazione può avere qualcosa di buono. Mi dispiace rilevare che purtroppo gli esempi virtuosi siano pochi quanto a organizzazione, viaggi, occasioni per stare insieme, ecc.

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  3. Un racconto straordinario, alla Luz.
    Una figura femminile *Mangiasti* che è la l'archetipo della concretezza* a differenza della sciatteria avvilente dell'archetipo della donna che *piange* ma non fa niente per gli altri.
    Io non ho storie particolari. Donatore di sangue che un giorno sarà costretto a riprenderlo.

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    1. Grazie, Gus, mi piace questa specie di marchio di fabbrica che percepisci. :)
      Tu sei donatore di sangue, non è poco. E se abbiamo ricordi belli e significativi di chi ci ha preceduto, allora possediamo un tesoro senza saperlo.

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  4. Mi hai fatto commuovere...una lacrima mi è scivolata sul viso mentre leggevo. Mi hai fatto ricordare di mia nonna che "hai mangiato" me lo ha ripetuto ogni giorno, per tutta la vita che siamo state insieme. Proprio stamattina leggevo Laura Morante raccontare un piccola storia, ovvero di come sua zia, la grande Elsa Morante, se ne andasse in giro negli ultimi anni della sua vita a chiedere quale fosse la frase d'amore più vera. E a tutti quelli che usavano parole ricercate le rispondeva: No, la frase d'amore, l 'unica è "Hai mangiato?" Quelle donne hanno fatto mille sacrifici e rinunce, e quante volte hanno rinunciato al cibo per darlo a coloro che amavano di più. Bellissima la tua storia, grazie di averla condivisa.

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    1. Cara Caterina, sono contenta che il mio racconto ti sia arrivato con questa intensità... Il legame con una nonna è importantissimo. Conosco numerosi esempi a riguardo. Io le mie nonne le ho "vissute" poco, ma entrambe hanno rappresentato in certo senso dei modelli.
      Bella la storia della zia della Morante, voglio cercarla. Grazie a te per avere apprezzato.

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  5. I nonni li ho conosciuti poco, gli uomini erano già defunti quando ero molto piccolo, le donne hanno vissuto sino a quando andavo alle medie ma ero un nipote scostante. Della nonna paterna ricordo il sorriso, era sempre sorridente anche quando la salute non la assisteva, quella materna parlava abruzzese e io capivo la metà di quel che diceva. Ma come dicevo, non sono stato un granché come nipote.

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    1. Può capitare di non avere un granché di ricordi, dipende dalla nostra esperienza personale. Io ho frequentato molto mia nonna materna, perché abbiamo vissuto in Calabria, ma mi sarebbe piaciuto vivere la mia tenace nonna Maria. Ci siamo incontrate solo due volte, pensa. Da neonata fui portata in Sicilia, e poi a 12 anni. Troppo poco. È un rimpianto. Ma non dipese da una mia scelta.

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  6. Che bel racconto Luz, mi sono commossa nel ricordo di tua nonna, con i lunghi capelli bianchi raccolti in una crocchia, mi ha ricordato nonna Diletta, la madre di mia madre che mancò quando avevo compiuto 5 anni.
    La ricordo molto bene, forse perché da bambina passavo molto tempo con lei. È stata una donna eccezionale, ai tempi della guerra diede forza alla famiglia con la sua presenza mentre mio nonno era lontano (forse al fronte ma non so molto di più).
    È vero del maiale non si buttava via nulla (é ancora così e il sanguinaccio lo conosco bene), anche in l’Emilia Romagna comunque c’erano le famiglie che crescevano il maiale per ucciderlo e fare provvista di prosciutto e tutto il resto (ancora oggi i “ciccioli” fatti con le scarti del maiale vengono serviti a tavola - assieme ad altri affettati più nobili - con le crescentine fritte nelle trattorie di una volta). Anche mia mamma mi chiedeva sempre: hai mangiato. Per chi ha vissuto la guerra il cibo era una fonte di amore, ricordo ancora quando lei si privava di una polpetta di carne (magari l’unica) e dal suo piatto lo passava nel mio anche se io ne avevo già mangiato un certo numero ed era felice solo a guardarmi mangiare. Bellissimo post, anche a me è scesa la lacrimuccia…

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    1. Giulia, grazie per aver partecipato anche tu emotivamente a questo post, che mi è venuto così, di getto. In questi giorni, a causa di un problema di salute di uno degli anziani zii, è stata creata una chat di cugini che ci tiene in contatto tutti i giorni. Mi è venuto spontaneo mettere per iscritto un ricordo caro. Non mi stupisce che anche in altre regioni del sud o del nord le usanze riguardo al cibo si assomiglino un po' tutte. Il Dopoguerra fu un periodo che si portava dietro strascichi della mancanza di cibo durante il conflitto e la ricostruzione non fu una passeggiata. Immagino in Emilia Romagna, che fu teatro di eventi terribili. Sull'Appennino correva la Linea Gotica, una fortificazione tedesca lungo la quale i nazisti posero un presidio molto agguerrito. Le popolazioni civili soffrirono moltissimo, ben più che in Sicilia o in Calabria, dove non si combatté praticamente mai se non qualche attacco via mare (sul lungomare di Paola, dove sono cresciuta, ci sono ancora bunker della contraerea). Ne sono testimonianza eventi terribili, come l'eccidio di Marzabotto e di Sant'Anna di Stazzema.

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  7. Un racconto che parla di te, io adoro quando ti dedichi anche a questi aspetti così intimistici. Che belle queste figure di donne, madri, nonne, sempre attente a non fare mancare nulla: quel "mangiasti" rivelatore di infinito affetto e della costante preoccupazione che si possa sempre godere di salute e serenità. Io avevo un nonno con queste attenzioni, quel nonno di cui parlo sempre: lui sapeva quanto fossi golosa e mi preparava sempre un dolce (sapeva fare delle torte degne di una pasticceria) oppure mi regalava qualcosa, un libro, pennelli e colori (ricordo i pezzi del presepe che metteva da parte per me ogni volta che allestiva il suo).
    Pensavo che la vita delle nostre nonne (in qualche modo anche delle nostre mamme)è stata molto diversa dalla nostra, oggi: vite di privazioni, di sacrifici, ma anche di gioie coltivate nelle cose semplici, cosa che considero un valore, ormai soppiantato dalle mille esigenze. Erano donne che tenevano su famiglie, forti, battagliere, che non potevano permettersi di scoraggiarsi di fronte alle difficoltà (solo chi ha vissuto una guerra può capire cosa significhi) e che hanno tramandato tradizioni importanti, che sarebbe bello riuscire a mantenere. Intanto sono belli i ricordi: almeno quelli, non facciamo fatica a tenerceli stretti!

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    1. Sai, non è mai facile lanciarsi in uno di questi post. A volte ho l'impressione di entrare troppo in fatti strettamente familiari, ma poi penso che queste storie assomigliano a quelle di tante altre famiglie. Un uomo come mio padre, donne come le mie nonne, sono stati l'emblema di un'epoca e forse è anche in certo senso doveroso ricordarli, perlomeno in uno spazio protetto come questo (non lo racconterei per esempio su Fb e non ho condiviso il post nel mio profilo). Il ricordo dolcissimo di tuo nonno è una cosa indelebile, la forza della memoria che si impiglia fra momenti e gesti che restano perché significativi... è molto prezioso tutto questo. E noi ce lo diciamo spesso, superata la boa dei 50, diventiamo nostalgici. :)

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  8. Bello questo racconto che ho letto con piacere. Anch'io ho avuto parenti siciliani, soprattutto nonne e zie e spesso anche loro, appena mi vedevano quando ero ragazzino, mi chiedevano "Mangiasti?". Non parliamo poi del caffè...se bevevo un caffè dalla zia o dalla nonna e poi non bevevo un caffè da un'altra zia allora erano guai: "Ma come? Hai bevuto un caffè dalla nonna e dalla zia e non bevi il caffè qui da me?". Poi io venivo da Genova, cioè dal nord, e scherzando mi chiamavano "il nordista".

    Devi anche sapere che sin da bambino, e ancora oggi è così, ho problemi a mangiare melanzane e peperoni. Mi viene subito acidità di stomaco...figurati la nonna o le zie siciliane! Erano sbigottite quando gli parlavo di questo problema. Mi dicevano: "Non puoi mangiare melanzane e peperoni? E di cosa vivi? Ma te ne danno da mangiare al nord lì a Genova?.

    Un salutone e complimenti per il post

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    1. Mi sembra di sentire risuonare nelle tue le stesse domande che mi facevano giù in Sicilia. Intanto l'ospite è conteso, c'è un grande senso dell'ospitalità e devi accontentare tutti per non offendere nessuno. E poi il fatto che non si riesca a mangiare un determinato tipo di cibo genera discussioni e incredulità, pare impossibile e giù le domande su "di cosa vivi?". Sono caratteristiche del sud, una parte d'Italia dove vigono usanze molto radicate e legate all'accoglienza e alla condivisione. Oggi posso dire di essere fiera di provenire da quel mondo, da giovanissima mi facevo due risate su queste esagerazioni. :)

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  9. dalla concisa domanda di tua nonna, così densa di affetto e preoccupazione nella sua lapidarietà, prende la stura una piacevolissima pagina di un tempo che fu.
    massimolegnani

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  10. Seppure in un'altra regione, qui la freddo e nebbioso nord, riconosco parte del tuo racconto. Però io ho assistito all'uccisione dell'ultimo maiale, e ricordo molto bene i due pezzi appesi dal tetto della stella per raccogliere il sangue, proprio per i sanguinacci. Come ricordo anche il lavoro intenso per fare tutti i salumi, appesi poi al fresco delle cantine.
    Anche mia nonna, e una mia prozia che era quasi un'altra nonna per me, si preoccupavano sempre di darci da mangiare. Il vostro "Mangiasti?" qui era "Gheto magnà?" Le domeniche della mia infanzia sono costellate di tortellini in brodo, pollo arrosto e patatine, dolce alle mele e sfogliatine, in gran quantità. Avevano conosciuto fame e miseria, quindi il cibo rappresentava benessere e salute. La mia prozia era ghiotta di frutta, in particolare di banane, che considerava un vero e proprio lusso. Noi le diamo così scontate oggi al supermercato. Poi ahimè per eccesso di zuccheri è finita ad avere problemi di diabete seri, ma sapendo cosa avevano passato con le due guerre, nessuno riusciva a farne una colpa. Donne forti, cognate in questo caso, che lavoravano i campi con la stessa pari forza di mio nonno.

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    1. Sai cosa mi fa pensare quel "gheto magnà?" Mi è venuto in mente un viaggio immaginario, in volo, su tutta la penisola. Da ogni dove si sente questa stessa domanda, ma in dialetti diversi, pertanto con accenti diversi, ma tutti con voce femminile, appartenente a una donna/nonna. "Mangiasti?" in Sicilia, dove il passato prossimo non è in uso, ma è preferito il passato remoto, poi dalla Calabria "Ha' mangiatu?" e via via regione dopo regione. Perché sono certissima che questa domanda ha risuonato in milioni di bocche, su tutto il territorio e in diverse epoche. Bellissima sensazione. :)

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