lunedì 6 febbraio 2023

La banalità del male - Hannah Arendt (viaggio nell'inferno dello sterminio nazista)

Incipit: "Beth Hamishpath" - la Corte! Queste parole che l'usciere grida a voce spiegata ci fanno balzare in piedi giacché annunziano l'ingresso dei tre giudici: a capo scoperto, in toga nera, essi entrano infatti da una porta laterale per prendere posto in cima al palco eretto nell'aula. Ai due capi del lungo tavolo, che presto si coprirà di innumerevoli volumi e di oltre millecinquecento documenti, stanno gli stenografi. Subito sotto i giudici c'è il banco degli interpreti, la cui opera è necessaria per i dialoghi diretti tra l'imputato (o il suo difensore) e la Corte; per il resto, sia la difesa sia la maggior parte degli stranieri seguono il dibattimento, che si svolge in lingua ebraica, ascoltando con la cuffia la traduzione simultanea, che è ottima in francese, passabile in inglese, e veramente pessima e spesso incomprensibile in tedesco. 

Questo è un post inevitabilmente lungo e impegnativo da leggere. Per me è un'esperienza di approfondimento e consolidamento dei contenuti del libro, per chi vorrà leggere forse un'occasione di riflessione su una delle pagine più tragiche e brutali della Storia.  
Mi sono accostata a questo saggio con la ferma intenzione di colmare una lacuna: non conoscevo nei particolari uno dei più importanti eventi storici, il processo tenutosi a Gerusalemme nel 1961 a carico di un esponente importante del nazismo, Adolf Eichmann
Sette anni fa, in occasione della Giornata della Memoria della mia scuola (mi ero trasferita da poco in quell'istituto), quando una collega si occupò di raccontare alle classi terze alcuni punti della vicenda, coadiuvata da un documentario che mostrava Eichmann e la sua carriera controversa, entrai meglio nel merito di questo testo. 
Successivamente vidi un film sulla vicenda, doveva essere se non erro The Eichmann Show. Insomma, una storia che mi ha sfiorato più volte ma mai realmente approfondita. 
Dall'esterno, è facile pensare al classico evento del processo a un criminale nazista, un argomento in fondo semplice da individuare, invece questo processo è anche molto altro, molto di più. 
Il processo ad Adolf Eichmann fu un evento molto complesso, apertosi l'11 aprile e terminato il 29 giugno 1961. La Corte si riunì nuovamente solo quattro mesi dopo, l'11 dicembre, e diede lettura della sentenza di primo grado. Tempi lunghissimi, dibattimenti senza fine, decine di testimoni, un carteggio che raggiunse le migliaia di pagine. 
Insomma, più complesso del processo-fiume tenutosi a Norimberga fra il '45 e il '46 a ben venti criminali nazisti, fra cui gli spietati Göering e Von Ribbentrop (citati e ampiamente narrati nel saggio di Arendt), sebbene quello avesse sollevato questioni molto simili. 
"Con la liquidazione degli ebrei io non ho mai avuto a che fare; io non ho mai ucciso né un ebreo né un non ebreo, insomma non ho mai ucciso un essere umano; né ho mai dato l'ordine di uccidere un ebreo o un non ebreo, proprio non l'ho mai fatto". 
Adolf Eichmann (1906 - 1962)
Il processo mirava a individuare le responsabilità di Eichmann all'interno della grande macchina nazista, e giudicarlo per le sue azioni criminose. Il programma non prevedeva di farne un "capro espiatorio" delle atrocità contro gli ebrei, questo sulla carta e ampiamente dichiarato all'apertura dei lavori. 
Il passaggio è importante: 
Dovevano essere giudicate le sue azioni, non l'antisemitismo o il razzismo. In pratica, i suoi crimini in quanto dirigente uno sterminio di uomini, donne, bambini, a prescindere se fossero ebrei, rom, dissidenti politici, omosessuali o disabili. 
Non fu poi realmente così, poiché l'accusa si avvalse di decine di testimonianze dei sopravvissuti alla Shoah. In sostanza, un criminale nazista doveva essere giudicato da un tribunale ebraico, ragion per cui la difesa non riuscì a ottenere l'estradizione dell'imputato in Germania, dove a suo dire Eichmann aveva tutto il diritto di essere processato. 
Il principio è semplice: non si sarebbe trattato di un tribunale internazionale, poiché Eichmann in quel caso avrebbe avuto a suo carico "crimini contro l'umanità" e non "crimini contro il popolo ebraico". 
Qui emerge un primo importante tassello: la comunità ebraica di Gerusalemme si assume il diritto di mettere in atto il processo, rifiutando di cedere l'imputato ad altro tribunale non ebraico. 
L'obiettivo non era solo fare giustizia, ma intendeva richiamare la nuova generazione nata dopo il genocidio alla memoria dei fatti accaduti, per scongiurare il pericolo che fossero ignorati dai giovani ebrei. Doveva essere un grande processo "spettacolare", secondo la volontà del primo ministro Ben Gurion, e come tale fu realizzato. 

Non era mancata la riflessione sulle atrocità dopo il loro termine. Nel 1947 era stato pubblicato un saggio in Francia in cui venivano riportati passaggi come questo:
Il trionfo delle SS esige che la vittima torturata si lasci condurre dove si vuole senza protestare, che rinunci a lottare e si abbandoni fino a perdere completamente la coscienza della propria personalità. E c'è una ragione. Non è per puro sadismo che gli uomini delle SS desiderano il suo annientamento spirituale: essi sanno che distruggere la vittima prima che salga al patibolo [...] è il sistema di gran lunga migliore per tenere un popolo intero in schiavitù, assoggettato. Nulla è più terribile di questi esseri umani che vanno come automi incontro alla morte. 
All'indomani della guerra, i tribunali delle due Germanie si mostrarono abbastanza indifferenti al fatto che non tutti i criminali fossero stati giudicati a Norimberga. La notizia della cattura di Eichmann e dell'imminente processo scosse gli spiriti e risvegliò il problema dei molti colpevoli a piede libero, così furono consegnati alla giustizia diversi membri dei vari Commando, pur se le condanne furono poi abbastanza "morbide". 
La ragione è presto detta: l'opinione pubblica sarebbe stata scossa dai fatti narrati a Gerusalemme e la Germania doveva dimostrare di prenderne le distanze. 

Durante la fase istruttoria, Eichmann si dichiarò innocente, affermando di non aver mai ucciso nessuno. Riconobbe che lo sterminio era stato un gravissimo crimine, ma ammise solo di aver "aiutato e favorito" gli eventi. Si illuse, in sostanza, di potersi mantenere neutrale in virtù del fatto di non aver ucciso materialmente alcuna delle vittime. 
Hannah Arendt (1906 - 1975)
Da queste prime affermazioni possiamo dedurre un aspetto importante della sua personalità: non mostrava una particolare intelligenza, appariva confuso e si contraddiceva, mostrando oltretutto, nella fase della ricostruzione della sua carriera, un certo orgoglio ferito. 
Dagli atti e dalle sue parole emerse un uomo insignificante, istrionico, schiacciato dalla burocrazia, alla disperata ricerca di un'occasione di spinta per la sua carriera, in realtà sopraffatto dagli ufficiali di grado superiore e mai del tutto soddisfatto degli incarichi
All'epoca ufficiale delle SS col grado di "comandante superiore di battaglione", si dichiarava un uomo normale, tutt'altro che un uomo indegno, ai tempi semplicemente non aveva pensato, in coscienza, di disobbedire a ordini riguardanti il trasferimento di milioni di innocenti verso campi di sterminio. E del resto tutte le perizie psichiatriche lo avevano classificato come "normale". 
C'è da dire che Eichmann non fu neppure spinto da odio verso il popolo ebraico, non risultò essere un antisemita, come diversi altri ufficiali nazisti. 
Emerse perfino un'amante ebrea a Vienna, ai tempi dei primi incarichi riguardanti l'emigrazione forzata. Non lesse mai il Mein Kampf, non conobbe mai per intero il programma del partito nazionalsocialista. In tutto e per tutto un uomo superficiale, ambiguo, perfino insignificante. Un uomo capace perfino di pensare a un trasferimento in massa di tutti gli ebrei in Madagascar (!)

Assegnato nel 1938 al programma di emigrazione forzata (dal 1933 il popolo ebraico di tutti i territori annessi prima e dopo era stato colpito dalle leggi razziali), Eichmann si dimostrò zelante: 45.000 ebrei lasciarono l'Austria in soli otto mesi - in Germania ne furono costretti a emigrare "solo" 19.000. 
Assieme a Heydrich, uno dei più spietati ufficiali del partito, attuava il sistema di obbligo di pagamento da parte degli ebrei più facoltosi e ne gestiva i documenti per l'espatrio. 
Non solo quindi ottenne questo massiccio trasferimento, ma assicurò alle casse del partito milioni di marchi. Restò il problema di coloro che non potevano pagare. 
Quando scoppiò la guerra, il 1° settembre 1939, lo scenario cambiò, iniziò la fase del "concentramento". Fu istituito un particolare settore preposto all'annientamento degli ebrei tedeschi, austriaci, polacchi e di tutti i territori annessi: l'RSHA, di cui Eichmann fu parte integrante. 
L'ufficio si occupava dei vari aspetti della vasta operazione di sterminio. Dal rastrellamento all'amministrazione. Eichmann parlò al processo di "economia" dei campi di sterminio, e ne parlò fieramente, appellandosi al talento di aver saputo organizzare e gestire questa complessa macchina. 
Il processo entrò in una fase sofferta, di rievocazione di quei fatti terribili. Il difensore di Eichmann, Servatius, si appellò alla "questione medica" in fatto di uccisione mediante gas
"Si trattava di uccidere, e anche uccidere è una questione medica".
Va da sé che il racconto dello sterminio toccò categorie al di fuori del popolo ebraico. Nell'illustrare il funzionamento dell'ufficio preposto, si citarono gli "avversari dello stato", distinti fra oppositori accusati di comunismo, sabotaggio e omicidio (!), e settori riguardanti le "sette", cioè cattolici, protestanti, massoni ed ebrei. Quest'ultima categoria, fra tutte, divenne la "questione ebraica" e assunse dimensioni sempre più rilevanti fino all'orrore inimmaginabile. 
La "questione ebraica" divenne ben presto occasione per sfruttare manodopera gratuita. Sono migliaia i racconti - in primis Primo Levi - che riguardano i lavori forzati nei campi di concentramento. 
In base alla capacità di contenimento dei campi, la RSHA gestì il trasferimento di esseri umani preposti al lavoro duro negli stabilimenti industriali costruiti in quegli anni proprio nei pressi di questi luoghi. Ne rende testimonianza, fra gli altri, proprio Liliana Segre quando racconta di essere stata un'operaia di uno di questi, e per questo graziata. 
Fabbriche come la Krupp e la Siemens, attivissime in quegli anni, sorsero nei pressi di Auschwitz. 
Il lavoro durissimo, è appena il caso di menzionare questo aspetto, falcidiava migliaia di "schiavi".
Eichmann gestì anche un campo di concentramento particolare, non destinato allo sterminio: Theresienstadt, un ghetto creato appositamente per alcune categorie di ebrei "privilegiati". Si trattava di quella borghesia fatta di personaggi noti, veterani di guerra decorati, funzionari d'alto livello, ecc. Nel momento in cui anche in questa oasi ci fu un esubero, non si badò alla posizione. 

La cosiddetta "soluzione finale", ossia l'intenzione di sterminare, in modo programmato, tutti gli ebrei d'Europa, iniziò nel 1941. Riguardò Germania, Austria, Moravia, Boemia e le regioni occidentali polacche (la Polonia era stata spartita da Germania e Urss nel Patto Molotov-Ribbentrop). I documenti salvati dalla distruzione non riportano parole troppo franche, vengono riportati termini come "trattamento speciale", e fu una fase che i dirigenti di questa operazione non percepirono mai come criminale

Le migliaia di scarpe delle vittime dell'Olocausto in uno dei campi 

Eichmann dichiarò di non aver mai assistito a nessuno dei massacri, ma di aver visto i preparativi delle camere al monossido di carbonio di Treblinka. Dichiarò che in certi altri campi venivano utilizzati "camion a gas". Ecco a cosa assistette:
... gli ebrei erano raggruppati in una grande stanza, ricevettero l'ordine di spogliarsi, poi arrivò un camion che si fermò proprio dinanzi all'ingresso della stanza e gli ebrei nudi furono fatti entrare. Gli sportelli si rinchiusero e il motore del camion partì. 
"Non so dire [quanti fossero], cercavo di non guardare. Non potevo, non potevo, ne avevo abbastanza. Le grida e... Ero troppo sconvolto, corsi via. [...] Il camion si fermo davanti a una fossa, gli sportelli si aprirono e i corpi furono gettati giù. Sembravano ancora vivi, tanto le membra erano ancora flessibili. Furono scaraventati nella fossa, e mi sembra ancora di vedere un civile che estraeva i denti con una tenaglia". 
Quella parte di udienze rilevarono che Eichmann non aveva preso parte all'uccisione delle vittime, ma si era occupato del trasporto, dei vari trasferimenti prima e dopo i massacri. La Corte si industriò a capire se in lui, in tutta la fase dello sterminio, si fosse mai generato il rimorso, la crisi di coscienza
Avrebbe potuto rappresentare un attenuante? 
Come poteva essere giustificata la morte violenta "perché fossero mitigate le loro sofferenze"? Perché la difesa si espresse anche in questi termini. E poi: al pari di milioni di ebrei erano stati sterminati anche gli "zingari", pertanto sarebbe mai esistito un processo per difendere la memoria di questi? Qualcuno avrebbe sollevato questioni riguardanti le altre categorie falcidiate? 
La difesa cercò di gettare discredito sulla Corte puntando sul paradosso del processo mai esistito se si fosse trattato di stragi di non ebrei. Puntò anche sulla ribellione a Hitler di alcuni gerarchi, sulla cerchia di traditori del Reich che tentarono di ucciderlo in un attentato, ma era evidente che il peso dell'imminente sconfitta avesse fatto emergere atteggiamenti in altre circostanze inesistenti. 
Così come crollò la difesa dell'imputato dinanzi alla presunta legittimità di azioni che in tempo di guerra non appaiono criminose, ma del tutto "normali", non avevano fatto strage di civili anche gli angloamericani con i loro bombardamenti su Berlino, Dresda, Lubecca? 
Per non dire della illegittimità del rapimento di Eichmann in Argentina - uno stato amico degli ex nazisti che non avrebbe mai concesso l'estradizione. 
Ma tutto questo castello di carte crollò miseramente dinanzi ai fatti. Nulla poteva essere paragonato allo sterminio sistematico di milioni di innocenti, all'odio antisemita che aveva origini pregresse, al di fuori delle esigenze di guerra, se proprio ci si voleva appellare alle "condizioni particolari". 

Se guardiamo ad alcune fasi della programmazione dello sterminio, c'è da restare interdetti per il modo in cui furono discussi i dettagli. Uno dei problemi: come dovevano essere trattati i mezzi ebrei e gli ebrei per un quarto? Si dovevano uccidere o sterilizzare? 
Giuristi legati al Reich prepararono documenti da far ratificare riguardanti gli apolidi: gli ebrei non solo privati della cittadinanza ma lasciati senza patria né diritti. Per legge, nessuno stato europeo poteva di diritto proteggere il loro destino e lo stato in cui avrebbero risieduto poteva confiscare i loro beni. 
La macchina dello sterminio, perfettamente burocratizzata, mise a segno l'individuazione di milioni di ebrei residenti nei territori di lingua tedesca e annessi al Reich da classificare in maniera tale da creare il massimo vantaggio per il regime. 
Furono coinvolti nella vasta operazione perfino alcuni Consigli di rabbini, che cominciarono a gestire in parte la macchina, registrando centinaia di persone ogni giorno. Così come uno speciale corpo di polizia ebraico provvide alla cattura di molti di coloro che tentarono di fuggire. 
Nei campi di sterminio speciali reparti ebraici si occupavano della gestione delle camere a gas e dei crematori, di estrarre i denti dei cadaveri, di scavare le fosse. 
Uno dei capitoli più oscuri della storia degli ebrei europei, l'aver coadiuvato il regime nello schedare e deportare esponenti del loro stesso popolo, per poi partecipare al loro eccidio. 
È l'apice dell'annientamento della loro identità. Uomini contro il loro stesso popolo. Per paura, per annichilimento e per quella consapevolezza, coltivata per secoli, che il popolo d'Israele si sarebbe comunque salvato. 
L'odio antisemita, uno dei caposaldi del Terzo Reich, era ritenuto dal regime un orizzonte che tutti i paesi europei avrebbero condiviso, a maggior ragione ritenendo che il nazismo sarebbe durato mille anni. Andando sul concreto, lo stesso odio poteva invece trovarsi solo in Europa orientale: ucraini, estoni, lettoni, lituani, e in parte anche i romeni condividevano lo stesso disprezzo del Reich. 
Molto meno propensi erano invece i popoli scandinavi, pur ritenuti dai tedeschi affini per origini. 

Ci siamo mai domandati come reagirono i vari stati europei dinanzi allo sterminio, fossero essi alleati con il Reich o meno? A maggior ragione se pensiamo che centinaia di migliaia di ebrei furono deportati non solo nei campi di concentramento noti e meno noti, ma anche "ceduti" ad altre nazioni. 
Per esempio, 7500 di essi furono trasportati nella Francia di Vichy, con governo collaborazionista, che provvide a rinchiuderli nel campo di Gurs, alle pendici dei Pirenei, poi tutti trasferiti ad Auschwitz. 
Nella vasta operazione divisa fra judenfrei e judenrein - letteralmente "territorio libero da ebrei" e "territorio ripulito da ebrei" - la Francia fu poi renitente a cedere gli ebrei naturalizzati francesi prima della guerra, il che permise a cinquantamila persone di salvarsi.
Il Belgio oppose una forte resistenza al trasferimento dei propri ebrei nei campi di sterminio, boicottando le partenze, creando tafferugli e disordini. 
L'Olanda era stata attraversata dall'ondata di scioperi di studenti quando le leggi razziali avevano colpito i loro insegnanti e anche dopo, durante la loro deportazione, organizzarono piccole rivolte. C'è da dire però che proprio in Olanda il movimento nazista aveva messo radici, animato da un atteggiamento di xenofobia diffuso proprio fra le nuove generazioni. Questo paese - dove per altro si era nascosto Otto Frank con la sua famiglia - fu il principale sostenitore e fautore dello sterminio. 
Fra i paesi scandinavi, la Svezia non era stata occupata e alla Finlandia, benché alleata del Reich, non si presentò mai una "questione ebraica". La Norvegia invece fu collaborazionista e 7000 ebrei norvegesi furono catturati e internati. 
La Danimarca presenta una storia del tutto particolare, perché fu un esempio di non violenza e resistenza passiva, pur dinanzi a un avversario violento. I ministri danesi si sarebbero dimessi se fossero state messe in atto misure antisemite. Rifiutarono di fare esporre ai loro ebrei la stella gialla. Rifiutarono di discriminare, e quindi trattare in maniera diversa, ebrei danesi ed ebrei rifugiati, pur dichiarati apolidi. E nel momento più difficile, quando i tedeschi annunciarono che avrebbero fatto rastrellamenti, il governo danese proibì loro di usare la forza, perché la polizia danese sarebbe intervenuta. Su 7800 potenziali deportati, i nazisti portarono via 477 persone, solo quelle che "avevano aperto la porta". 
La Romania, il paese più antisemita dopo la Germania, varò leggi antiebraiche severe e partecipò ampiamente allo sterminio. 

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Il giorno della sentenza, arrivata come si diceva dopo mesi di dibattimento, la Corte dimostrò di aver tenuto ben presente la macchina burocratica della "soluzione finale". Promisero dopo l'ultima udienza che non avrebbero pensato alle sofferenze, all'aspetto puramente solo umano, poiché "esse vanno al di là della comprensione umana e sono materia di grandi scrittori e poeti".
Avrebbero puntato sui fatti, sulle prove innegabili di colpevolezza. 
Appurarono la sua responsabilità delle condizioni di vita indicibili dei deportati, del loro trasporto e smistamento, andarono cioè ai semplici dettagli della sua gestione burocratica. 
Non si dimentichi che, poco prima della resa dei nazisti in Europa orientale, il sistema burocratico fu convertito al disperato tentativo di far sparire ogni prova di quello che era stato. Ma era davvero possibile cancellare ogni traccia dei massacri? 
Eichmann, dopo la cattura, divenne un soggetto condannabile da un tribunale israeliano, poiché fautore, assieme a centinaia di altri come lui agli alti ranghi, di un crimine orientato a distruggere la stirpe degli ebrei europei
I capi d'imputazione erano quindici, e in un'epoca in cui fu chiaro il concetto di "crimini contro l'umanità", Eichmann non poteva avere alcuno scampo, malgrado si fosse poi appellato in secondo grado. E se pure la difesa avesse fatto tutti i suoi tentativi di indebolire il processo riferendosi alla sua illegittimità in quanto orientato alla condanna per crimini contro gli ebrei, Eichmann avrebbe ugualmente risposto per crimini contro l'umanità
La difesa affermò che l'imputato sarebbe stato un capro espiatorio, che la sua patria d'origine l'aveva abbandonato alla Corte di Gerusalemme, "sottraendosi alle proprie responsabilità", egli stesso si dichiarò "vittima di un equivoco". 
Il 15 dicembre 1961 fu emessa la condanna a morte. 
Il processo in appello fu breve, la condanna fu eseguita dopo il respingimento di tutte le istanze di grazia - avanzate dallo stesso Eichmann, da sua moglie e da parenti dell'imputato. 
Adolf Eichmann fu impiccato, il suo corpo fu cremato e le ceneri furono disperse nel Mediterraneo.

Il lungo processo ad Eichmann offrì l'opportunità di guardare un criminale nazista e vederlo giudicato da un tribunale, il paradosso dell'essere stato parte della macchina dello sterminio malgrado la sua insignificanza, la sua non brillante intelligenza, il suo essere un uomo del tutto comune
In ciò sta quella "banalità del male" cui fa riferimento Arendt al termine del capitolo sulla sua sentenza.

Cosa pensate di questa cosa indicibilmente terribile? 
Ritenete che la Memoria possa avere la forza di ribadire la totale ingiustizia perpetrata e il monito che queste atrocità non accadano mai più? 
Se è facile pensare che al mondo esistono altre atrocità, siamo concordi nell'affermare che questa enorme macchina di morte, così come fu pensata, ordita, messa in atto, non abbia precedenti nella Storia? 

11 commenti:

  1. libro in attesa. ma attende da troppo

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  2. Hannah Arendt scrisse nel libro *La banalità del male* la normalità di Otto Adolf Eichmann era la più spaventosa di tutte le atrocità poiché implicava che “questo nuovo tipo di criminale commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male.”
    Eichmann era un funzionario e criminale di guerra tedesco considerato uno dei maggiori responsabili operativi dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista.
    Eichmann era l’esempio di un male che andava oltre le sue forme tradizionali, non era una malvagità intenzionale, né una patologia dagli effetti malvagi, né un insieme di idee che spingessero a compiere il male, era un individuo scioccante, perché contraddiceva le loro teorie sul male, perché non ha radici in nessuna figura tradizionale, è un male che si può espandere come un fungo sulla superficie del mondo intero.
    La banalità del male della Arendt è un libro che sarebbe d’obbligo leggere per conoscere le atrocità commesse, per capire l’animo umano quanto possa essere banalmente malvagio e spietato e per poter avere un’idea reale di ciò che è accaduto in quei terribili anni del Nazismo.
    La banalità del male sta nel fatto che i burocrati del Reich erano in realtà tutte persone "terribilmente normali" che erano però capaci di mostruose atrocità per il semplice fatto che non si fermavano a riflettere sugli ordini a loro dati e che il loro pensiero restava limitato alle leggi di Hitler che dovevano essere eseguite.

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    1. È anche un libro prolisso, complesso. Bisognerebbe creare un compendio del pensiero di Arendt sul grande processo ad Eichmann e poi sì, proporlo alle scuole. È proprio come dici, nella lunga discussione di mesi di udienze emerse questa burocrazia, questa "banalità" delle cose, come se si stesse parlando di tutt'altro.
      Agghiacciante come può esserlo rendersi conto di milioni di vite in pugno a un ristretto numero di criminali.

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  3. Grande libro, per certi aspetti all'epoca non fu totalmente capito, ma è un grande libro. Ricordo anche il film del 2012 di M. von Trotta con Barbara Sukowa nel ruolo principale, un film veramente molto bello e molto vicino al libro. Lei è stata una scrittrice e una filosofa di grande livello ha capito ed ha vissuto in prima persona il totalitarismo ed è riuscita ad analizzarlo in modo oserei dire perfetto. Come quando dice che i totalitarismi portano in se il seme dell'autodistruzione (credo siano queste le parole).

    Quel libro dovrebbero farlo leggere nelle scuole a vari livelli.
    Un salutone e alla prossima

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    1. Quel film non l'ho mai visto e devo assolutamente rimediare. Sì, Arendt è stata una grandissima filosofa e giornalista. Mi è piaciuta la sua raffinata obiettività. Nessun passaggio del libro, neppure lontanamente, è intriso della solita retorica. È un libro tecnico, anche difficile e per lettori tenaci, ma come te penso che dovrebbe essere molto più diffuso.
      Con questo post ho voluto crearmi una mia personale sintesi da utilizzare proprio nel mio lavoro di insegnante.

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    2. Dice la Hannah Arendt: "L'autorità e il Potere sono opposti: dove l'una governa per il bene comune l'altro è assente. La violenza compare dove l'Autorità è scossa e lasciata a sé stessa finisce per scomparire. Questo implica che non è corretto pensare all'opposto della violenza in termini di non violenza, parlare di potere non violento è di fatto una ridondanza. Il Potere può distruggere l'Autorità; è assolutamente incapace di ricrearla."
      L'Autorità si esprime attraverso la politica che è stata sconfitta proprio per l'abbandono dei giovani delusi dalla corruzione e dal luogo comune: i partiti sono tutti uguali.
      Anche se così fosse i partiti si possono cambiare solo partecipando alla loro vita. Tutti sono succubi del Potere ed è questo il problema principale, perché se fossero solo i deboli a cedere non ci sarebbe problema. Aggiunge Hannah: “L'aspetto probabilmente più sorprendente e sconcertante della fuga dalla realtà è l'abitudine a trattare i fatti come se fossero mere opinioni. Tutti i fatti possono essere cambiati e tutte le menzogne rese vere... ciò in cui ci si imbatte non è tanto l'indottrinamento, quanto l'incapacità o l'indisponibilità a distinguere tra fatti e opinioni.”
      La politica un mercato di persone, (ma chiamarle poi persone o individui mi sembra generoso) che sceglie la roba migliore, il cittadino che arranca, si lamenta, attende cosa sperando in qualcosa di cambiato che lui stesso non cambia.

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  4. Non credo che si possa affermare che non abbia precedenti nella storia. Quello che è accaduto all'interno dell'impero ottomano quarant'anni prima è stato ugualmente un tentativo organizzato, sistematico e brutale per far "sparire" armeni e curdi dall'Anatolia, ci sono documenti allucinanti in tal merito. Idem fecero i bolscevichi in Russia, anche se il loro sterminio non fu su base razziale ma sociale e politico, con atrocità ugualmente spaventose ma meno note visto che Stalin governò altri vent'anni sino alla morte ed ebbe tutto il tempo di far sparire le prove più compromettenti.
    Certamente sembra pazzesco che il cosiddetto "uomo medio" possa diventare il "burocrate" di un massacro sentendosi innocente poiché non ha inflitto lui materialmente la morte, però mi guardo intorno, ascolto certi discorsi, leggo certe cose sui social networks, e penso con terrore che la "stupidità del male", parafrasando la Arendt, alligna in parecchie menti, e non dipende dal grado di istruzione, è ugualmente diffusa. Temo che un fenomeno del genere potrebbe anche ripetersi in qualche paese, e ovviamente spero di sbagliare in pieno.

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    1. Il genocidio armeno fu una pagina di Storia terribile e tragica, di cui non ci si è occupati abbastanza, e che noi insegnanti accenniamo soltanto, è vero. Lì si trattò di un milione e mezzo di morti, un genocidio oltretutto negato dalla Turchia, non riconosciuto come tale, ma questo non sorprende. Se guardo ai genocidi del passato non posso citare quello dei nativi americani, un milione di morti almeno, i sopravvissuti stritolati nelle maglie di un genocidio culturale, cui ho dedicato un post la scorsa estate.
      Eppure questo, l'immane Shoah che si porta dietro un odio razziale trascinato per secoli, poi diventato sistematico piano di sterminio, a mio parere non assomiglia a nessuna delle aberrazioni umane. E si parla solo di genocidi, quando dovremmo citare il ripristino della schiavitù nel Seicento in America - mi riferisco a quella legalizzata con tanto di documenti - e tutte le brutalità inenarrabili ai danni di culture "altre" rispetto a quella egemone.

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  5. Sicuramente ci sono stati tanti genocidi nella storia, alcuni popoli del centro e del sud America sono stati estinti. Però credo che la Shoah sia differente. Non si trattava solo di eliminazione fisica, ma anche morale, eliminazione della dignità umana. È stato un meccanismo lungo, un abituare lentamente la popolazione ad accettare l'inferiorità degli ebrei, svuotando l'identità degli stessi ebrei che, pensa non si sono mai ribellati. Perché tante persone, quando venivano catturate e deportate, non hanno mai fatto una rivolta? È una domanda che mi sono posta spesso. C'è stato un lungo lavoro di usura dell'anima, di consumo di un popolo fino a indebolirlo e a farlo smarrire. I nativi americani hanno combattuto una guerra contro i bianchi ( ovviamente sono stati vittime di atroci forme di violenza), ma hanno combattuto fino alla fine, fin quando hanno potuto. La Shoah è iniziata con le leggi razziali, con l'isolamento degli ebrei nei ghetti. È un meccanismo perverso e disumano, secondo me unico nella storia, fatta comunque di crimini efferati.

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    1. Sì, i nativi americani hanno resistito. Credo che la vera e propria disfatta sia stata la cosiddetta "pista delle lacrime", o il fatto che Cavallo Pazzo si fece uccidere da un soldato bianco. Era il tramonto di un'epopea e nel tardo Ottocento se ne resero perfettamente conto.
      La Shoah è come tu scrivi differente. Gli assetti politici europei, il paradosso di una Germania che usciva a pezzi dalla Grande Guerra e diventa una potenza militare in grado di fomentare una guerra mondiale, è un insieme che resterà un unicum. L'antisemitismo, ma trovo in rete anche il termine "giudeofobia", era un fenomeno radicato in Europa da diversi secoli e poi imploso mediante la persecuzione nazista.

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  6. Questo è uno dei libri che vorrei leggere e prima o poi conto di farlo. Tutta l’Europa fu in qualche modo complice di questo eccidio, non solo la Germania con il nazismo e l’Italia con il fascismo, ma molti altri stati europei (altrimenti Anna Frank che viveva in Olanda si sarebbe salvata...)
    È proprio questo che sconvolge e fa più paura, la follia di interi popoli, il fatto che un uomo creda di essere migliore di un altro al punto da volerlo annientare e cancellare.

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