lunedì 20 febbraio 2017

Scrivere nel Medioevo

Salterio di Macclesfield, 1330 ca.
Sono trascorsi diversi anni, ma questa è stata una delle più belle e interessanti esperienze che abbia fatto: un anno di studi presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia, a Roma in Vaticano. 
Mi ero appena laureata ed ero venuta a vivere a Roma da pochissimo, desideravo proseguire i miei studi, specializzarmi, attratta da alcuni mesi di volontariato in una biblioteca civica. 
Tentai una prima volta invano di accedere alla prestigiosa scuola, l'ammissione non andò a buon fine perché le cosiddette "lettere di malleveria" occorrenti non erano sufficienti. Ebbene sì, occorreva una o più lettere di presentazione, a garanzia della mia serietà e desiderio di studiare in un luogo ambitissimo da tanti. 
Il secondo anno, forte di un carteggio alto un paio di centimetri, fui ammessa. Oggi, ricordo quell'anno con affetto e un pizzico di malinconia. Fitto di studio, ore in aula, la conoscenza di insegnanti che sono tuttora grandi nomi nell'ambito della conservazione dei beni librari in Vaticano. 
E soprattutto un periodo in cui ho imparato cosa fosse realmente l'umiltà, quella di cui furono esempio proprio loro, i miei insegnanti, che con dedizione e passione ci portarono fino ai faticosi esami. Ricordo anche il viaggio che facemmo a fine anno accademico, a Parma e Milano, in visita alle biblioteche parmense e ambrosiana. E ricordo un bel pomeriggio a Roma in visita all'Istituto per la Patologia del Libro, in cui imparai argomenti ai quali dedicherò un post a parte.
Veniamo alle discipline studiate, eccone l'elenco:
1. Bibliografia e documentazione
Parte della Biblioteca Vaticana
2. Bibliologia
3. Il libro manoscritto antico, medievale e moderno
4. Ordinamento generale e servizi di biblioteca
5. Conservazione e restauro del libro
6. Storia delle biblioteche
7. Catalogazione e classificazione
Di queste sette discipline, cinque furono gli esami scritti e orali (che dovetti spezzare in due sessioni, perché nel frattempo affrontai il concorso per la cattedra di Lettere e Latino).
Vorrei tanto ritrovarne tutti gli appunti, sto cercando alacremente. Spero di rinvenirli nelle latebre della mia cantina colma di cose. Mi ritrovo quelli sulla miniatura, dei quali mi servii per il concorso.

Scrivere nel Medioevo è qualcosa di importante e difficile. La Storia ci dice che grazie alle migliaia di manoscritti fino a noi pervenuti abbiamo potuto conoscere la Letteratura, la Storia antica e molto altro. I codici manoscritti sono stati concepiti come opere d'arte e il decoro ne è parte integrante; possono essere ritenuti patrimonio a sé stante, ci suggeriscono al solo sguardo il lavoro incessante del maestro, l'occhio che ne cura ogni dettaglio. 
Il termine deriva dalla parola latina minium, un pigmento rosso col quale si coloravano le lettere iniziali, secondo una tecnica che si sviluppò dal V secolo. Il codice, l'antenato del libro moderno, nasceva proprio allora, a cura di monaci amanuensi che negli scriptoria del monastero o della cattedrale si impegnavano alacremente in questa opera.
Non bastano due sole figure, chi scrive e chi decora, a creare un codice miniato. Il "team" è numeroso: il calligrafo (chi scrive), il rubricatore (chi prepara il foglio per i vari interventi), il miniatore (chi disegna), l'alluminatore (chi fissa il disegno), il legatore (chi compone il libro in fascicoli). 

Una cosiddetta "grottesca".
Il supporto su cui si scrive è la pergamena, ottenuta da pelli ovine, la più pregiata delle quali è quella di vitello. Con un punteruolo, il rubricatore prepara il foglio e gli dà una prima "impaginazione". Il foglio passa al calligrafo, che intinge la cannuccia - spesso consistente in una penna d'oca - in un inchiostro ottenuto dal nerofumo o da galla di quercia, una sorta di protuberanza che può comparire sulle foglie di quercia, causata da batteri o funghi. Procede su ogni foglio lasciando libero lo spazio destinato alle miniature e alle iniziali, che in molti manoscritti occupano un'intera pagina.
Ecco che subentra il miniatore, che decora i margini e disegna l'iniziale e le illustrazioni. La comune grafite utilizzata oggi per le matite non era conosciuta, così usava una punta di piombo. 
Le fasi di costruzione del decoro sono diverse, costituite da più stesure in cui si utilizzano gesso, argilla, colla ottenuta dal grasso animale. 
Il colore si ottiene da pigmenti vegetali, animali o minerali, ad esempio il minio - ottenuto dalla cottura della biacca, il carbonato di piombo - è rosso, il porpora è ottenuto da un mollusco, l'ocra dal cinabro - un minerale assai velenoso, il verde è ottenuto dalla reazione fra rame e aceto, l'azzurro da una costosa pietra afgana, il lapislazzulo.
Per dare lucentezza al disegno, l'alluminatore procede col passare allume di potassio servendosi di un pennello. Questa procedura ha preservato nel tempo l'integrità dei manoscritti. 
Scrivere nel Medioevo è costoso. Per alcuni manoscritti si suppone siano stati adoperati fino a 500 animali, in molti di essi sono state adoperate foglie d'oro, il che accresce la loro preziosità. 

Se avete mai sfogliato un manoscritto, mi piacerebbe saperlo. Se vivete in una città che conserva manoscritti o palinsesti, correte a vederli. 

18 commenti:

  1. Invidia suprema.
    Io sono un appassionato di antichi codici miniati, originali purtroppo non ne ho mai potuti sfogliare, però ho diversi libri illustrati sull'argomento (tra cui uno stupendo della Taschen e una copia anastatica di un libro d'ore della famiglia Farnese).
    Effettivamente nella copia anastatica vi è anche una lunga parte introduttiva in cui viene spiegato che quel libriccino costò ai Farnese quanto una casa a due piani...

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    1. Non ci crederai ma io non possiedo copie anastatiche, non ancora. Mi imbattei anni fa in un'edizione da collezione che ritenni troppo costosa e non ne cercai più.
      Non mi meraviglia quel costo, spesso il Libro d'ore era proprio uno "status symbol" per il suo costo, e possederlo era un prestigio assoluto. Queste grandi casate se ne facevano comporre appositamente una copia, il che è tutto dire. :)

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  2. Bellissimo, sai?
    E si vede che sei appassionata.
    Io un manoscritto credo di averlo sfogliato, ma non ricordo precisamente dove (forse, e dico forse, in un convento).

    Moz-

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    1. Può darsi, perché alcuni conventi prevedono l'accesso alle collezioni. Capita che uno dei manoscritti venga esposto - dubito che abbia particolare valore, perché il manoscritto andrebbe maneggiato con particolari guanti, come capitò a noi allievi.

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  3. A questo punto sono ufficialmente combattuto tra la meraviglia per un manoscritto e la tristezza per il destino di quei 500 vitelli....

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    1. In effetti... :)
      Comunque non credo che venissero macellati appositamente per farne manoscritti.
      Credo che fossero a prescindere destinati al consumo su tavole prestigiose e le pelli inviate ai monasteri per essere trattate e utilizzate.

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  4. Argomento molto interessante e che casca proprio a fagiolo con alcuni miei studi attuali (sto seguendo un corso di filologia romanza, piuttosto complicato ma molto affascinante). Da me a Bologna, se non sbaglio, dovrebbero esserci dei codici, ma sono ancora alle prime armi in un ambito vasto e piuttosto spaventosoxD Credo comunque che la tua sia stata un'esperienza davvero indimenticabile. Continua a cercare quegli appunti, che noi siamo curiosi!

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    1. Filologia romanza non è stata, ahimè, fra le mie discipline di studio all'università, oggi la inserirei in un piano di studi più "coerente". Sì, perché devi sapere che la mia laurea in Lettere ha compreso dodici esami di Storia dell'arte e una tesi finali di Antropologia culturale, una vera miscellanea di argomenti.
      Questo ambito è vastissimo, dici bene, infatti ti sarai resa conto che i dipartimenti addetti a questa branca di studi sono fitti di personale, spesso hanno biblioteche apposite, ecc. E' un campo di studi molto difficile, il nerbo delle letterature.
      Invidio chi naviga in questo mondo.

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  5. Beh io ho maneggiato un po' di manoscritti molti anni fa, per un corso in archivistica si poteva accedere ad un fondo ecclesiastico con il compito di aiutare in un riordino. Ad oggi so che che quella collaborazione è finita con il decesso dell'ecclesiastico che se ne preoccupava, ahimè... Poi qualche capatina in archivi di stato e biblioteche, ma diverso l'impatto: copie per lo più e meno polvere XD

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    1. L'archivistica è stata fra le discipline di studio della Scuola Vaticana, ma non mi affascinava in modo particolare. La Scuola comprende per altro un corso di studi specifico sulle metodologie di archivio di documenti. Anche noi visitammo degli archivi, ma non mi piacquero quegli ambienti polverosi e allo stesso tempo asfittici.
      Io desideravo la biblioteca, perdermi in fra corridoi colmi di libri catalogati. Insomma, quello che nella pratica avevo vissuto molto in piccolo lavorandoci.

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  6. Ma che meraviglia e quanto lavoro. Certo, considerato il risultato, tutta quella disposizione di materiali e strumenti, valeva la pena, anche se a caro prezzo! :)

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    1. Quello che affascina anche me è la cura del dettaglio che fa parte anche di tanta arte del passato. :)

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  7. Il va sans dire che l'argomento ha destato il mio interesse. :-) È incredibile leggere di quanta arte fosse dispiegata per preparare questi capolavori, ognuno dei quali era preziosissimo. Non ho mai avuto occasione di sfogliarne qualcuno, ma soltanto di ammirarli dietro le teche dei vari musei che ho visitato in giro per l'Europa.

    Tra l'altro proprio di recente ho letto un articolo molto interessante a proposito dei miniaturisti sulla rivista dell'Associazione Italia Medievale. Com'è ovvio essi non potevano "firmare" le proprie opere, perché lavoravano per la gloria del Signore. Una delle poche eccezioni alla regola è il Salterio di Eadwine, dal nome del monaco che vi viene raffigurato, detto anche Salterio di Canterbury. Il miniaturista aveva inserito un particolare divertente, cioè una scritta in latino sul fatto che il suo nome e la sua fama sarebbero stati imperituri, in quanto la bellezza del libro dimostrava il suo genio. In pratica si è lodato e si è imbrodato da solo. ;-)

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    1. Sì, questo particolare mi viene in mente adesso.
      Se ne parlò anche a proposito dei palinsesti, i documenti che risultano essere scritti su documenti precedenti poi cancellati, anzi "grattati" letteralmente via per recuperare la pergamena. Nel tempo moltissimi manoscritti furono ritenuti di scarso valore, o dai contenuti "trascurabili" e così furono letteralmente cancellati. Su diversi di questi, a uno studio anche ai raggi X per quelli meno leggibili, risultarono alcune firme che gli studiosi avevano visto campeggiare in altri volumi. Si tratta spesso solo di sigle, simboli, coi quali un numero ristretto di amanuensi "lasciavano un segno" sul proprio lavoro. :)
      Grazie per il contributo, Cris.

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  8. Ma che bellissima esperienza di studio! Sarò davvero felice se condividerai altri ricordi o appunti!

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  9. Che meraviglia! Mi conosci e sai quanto possa rimanere incantata da questo mondo e dall'arte che descrivi e, di certo, comprenderai la mia amarezza di fronte al fatto che le preziose collezioni della biblioteca Capitolare di Verona (dove, fra gli altri, hanno studiato anche Dante e Petrarca) siano del tutto inaccessibili al pubblico, anche se iscritto ad un corso di filologia o similare o interessato a visite didattiche. Anche lì, insomma, occorrono dei lasciapassare (conferiti a pochi accademici "in alto") e il risultato è che l'ambiente stesso (quel poco che si può vedere oltre alla sala adibita a convegni) è spoglio, per nulla accogliente... più simile al carcere in cui Bracciolini trovò il suo Quintiliano che ad un tempio del sapere quale dovrebbe essere.

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    1. Ciao, Cristina. E' strano che in una città come Verona ci sia questa situazione nella Biblioteca Capitolare. In quei mesi di studio si insistette molto sull'accessibilità legittima a ogni collezione che possa definirsi tale, all'interno di un vasto patrimonio come può essere quello del nostro paese. La trovo una mancanza gravissima e me ne dispiace.
      Dici bene, quando non sono frequentate, quando in esse non brulicano studiosi e appassionati, le biblioteche diventano per così dire "squallide", mancano di quella umanità fervente di desiderio di conoscenza.

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