venerdì 9 dicembre 2016

Il boss e i classici

Può accadere che i classici non comunichino nulla a chi li legge, che non insegnino, non formino, non lascino alcun segno? Può accadere che restino soltanto una piacevole lettura con cui trascorrere il proprio tempo, mentre il lettore si compiace della bellezza formale racchiusa in questi mirabili testi e nulla di più? A quanto pare, strano a dirsi, è possibile.
Un boss della mafia calabrese, latitante della 'ndrangheta da diversi anni e arrestato poche settimane fa, sarebbe un lettore fedelissimo di grandi classici, come testimonia la sua piccola preziosa biblioteca rinvenuta nel suo covo. Decine di ottimi testi, fra cui anche libri di Proust. Al momento dell'arresto, il boss ha chiesto di portare con sé alcuni libri, fra cui L'età della ragione di Jean-Paul Sartre, che non aveva ancora terminato. Non è il solo esempio.
E' di questi giorni la notizia dell'arresto di un medico anestesista che pare avrebbe ucciso decine di pazienti. La sua colpevolezza è al vaglio delle indagini ma quando questo presunto killer viene trasferito in carcere porta con sé libro che riunisce testi dei massimi esponenti della tragedia greca, Eschilo, Sofocle, Euripide. Chi ha qualche nozione dei contenuti che si studiano al Classico, sa che la tragedia greca racconta i grandi drammi dell'esistenza, drammi tragici, spesso assai cruenti. Una lunga serie di delitti terribili - basti pensare all'efferato omicidio di Medea verso i propri figli - che costellano la grande produzione della drammaturgia greca antica. Questi classici vengono studiati nelle scuole proprio nel loro obiettivo più profondo e significativo: sono modelli di esemplificazione di come ci debba affrancare dal compiere quegli stessi delitti. Ciò che si chiama "catarsi estetica", questo magnifico principio che parla di "purificazione" dagli atti peggiori che l'uomo può arrivare a compiere. 
Medea, dipinto del 1866-68
Insomma, abbiamo creduto che leggere, acculturarsi, conoscere la grande letteratura classica, fosse sempre un baluardo contro il male, come se i libri, quei determinati libri che da secoli ci parlano di grandi gesta fossero in qualche modo la "panacea" contro il delitto. E invece questo non può essere un principio assoluto. Resta indispensabile che ci siano scuole aperte la sera nei quartieri difficili, aggregazioni di volontariato che gestiscono biblioteche nelle periferie o aprono teatri in mezzo a un nulla inseguendo l'onda dell'impensabile, tentando di strappare i giovani alla criminalità. Resta un imperativo categorico per gettare un piccolo seme di speranza laddove sembra non essercene alcuna.

Il più vile degli assassini è quello che ha dei rimorsi.
- da Le mosche, Jean-Paul Sartre

26 commenti:

  1. Cavolo, ottima riflessione, Luz.
    Non so risponderti: secondo me la cultura e l'indole di una persona non sempre vanno di pari passo; anzi forse oserei dire che la gente più sensibile alla cultura in genere (che sia anche quella dei liquori!) magari è gente capace di oltrepassare i limiti.

    Moz-

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    1. Questa riflessione è stata ispirata da un servizio tv che ho visto qualche settimana fa.
      In effetti è proprio questo aspetto in fondo la vera "soluzione" al problema. La conoscenza in generale arricchisce, riempie, ma proprio nel senso di creare delle voragini in cui il proprio io ha modo di spaziare. Si pensi ai gerarchi nazisti e alla loro passione per la musica classica. Un altro esempio.

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  2. Mi piace. Mi piace molto questa riflessione. Ho sempre pensato che la cultura sia solo nozionismo fine a se stesso se non mediata dalla comprensione e dalla volontà di cambiare noi stessi. Spesso la grande letteratura così come il calarsi nelle arti è un modo per nascondersi, sentirsi al sicuro, evitare il confronto con la vita, il mondo, la nostra stessa anima. Un po' come il prete che si illude che l'abito talare e la ritualità lo possano mantenere al sicuro e protetto dalle tribolazioni della vita, diventando un banale cronista di nozioni apprese, mai interprete e protagonista. Il sapere, la conoscenza, la cultura, l'arte, non valgono una cippa se non si trasformano in pratica quotidiana, corrispondenza di amorosi sensi con l'altro da me, consapevolezza di ciò che smuove la parte più nascosta e buia del nostro sentire. La cultura , il sapere, li vedo solo inseriti in un contesto circolare, olistico. Medium per conoscere la vita e il mondo. Altrimenti si tratta solo di giochi di stile e di svolazzi puramente estetici e formalmente gradevoli. Leggere i classici, leggere qualunque capolavoro, senza vivere la propria essenza di essere umano, senza capire, è pratica sterile. Si finisce per conoscere tante cose, si diventa in grado di fare tante belle citazioni, ma, come diceva il vecchio Shakespeare in "Molto rumore per nulla", si finisce come quello che da buoni consigli e conforto su dolori che non prova.

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    1. Non è difficile trovare in tanti questo "slegamento" di cui parli, Max. Non so se ti sei mai imbattuto in persone come queste, io ne ho fatto esperienza con un collega che conoscevo in altra scuola. Una mente brillantissima, grande lettore di classici, un artista a tutto tondo, sensibile anche. Ma anche totalmente incapace di avere feeling per farti un esempio con gli alunni in difficoltà o magari poco interessati alla sua materia. Aveva anche il vizio di disprezzare altezzosamente quelli diversi da lui, e ciò lo rendeva a tratti insopportabile, ed era ipersensibile all'adulazione. Studioso, per tanti aspetti intellettuale, e poi pusillanime in questo modo.
      Bella riflessione anche la tua.

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    2. Vero, gli intellettuali che si guardano la pancia, autoreferenziali, inutili. L'insegnamento è cosa sacra, arte, chimica dell'anima.

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    3. Tanti insegnanti purtroppo non hanno questo senso profondo del valore di trasmettere conoscenza. Lui ne è stato un esempio lampante.

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  3. C'è chi legge Tolstoj come leggerebbe un bugiardino di un medicinale o l'etichetta di uno shampoo. Si può leggere un classico o altro, ma se non si è disposti a farsi "vaso", a forzare i propri limiti, a essere curiosi e a osare di più, in riferimento alle proprie conoscenze e possibilità per "crescere" come individuo, nulla potrà l'etichetta in sé.
    Certamente concordo con la tua riflessione, soprattutto la parte finale. Cultura e Bellezza possono fare molto se portate con garbo e umiltà in contesti difficili.
    Ciao Luz ^_^

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    1. Sì, Glò, in definitiva guai arrendersi.
      La metafora dell'essere dei "vasi" da riempire, se si attinge alla conoscenza, è molto bella, la uso continuamente con i miei alunni.

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  4. Non ho nulla da aggiungere a quanto hai scritto in questo post: commento soltanto per esprimerti la mia ammirazione di fronte ad una riflessione tanto acuta e soprattutto profonda. Grazie per avermi fatta soffermare su questa riflessione.
    A presto, Luz!

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    1. Cara Julia, come ho scritto più sopra sono stata ampiamente ispirata da un servizio televisivo in cui si è fatto cenno a questo fenomeno strano, meritava una riflessione.
      Grazie per avere apprezzato.

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  5. Una bella riflessione ricca di sfumature. Nella mia esperienza mi sono resa conto che molto spesso i cosiddetti intellettuali sono pieni di erudizione, ma altrettanto pieni di supponenza nei confronti delle persone più semplici che non hanno avuto la possibilità di studiare, ma che in molti aspetti potrebbero essere i loro insegnanti. Io penso che tutti debba partire da un punto di vista interiore e spirituale. San Paolo scriveva: "Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei un bronzo risonante o un cembalo squillante."

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    1. Infatti, Cristina, concordo.
      Fare tesoro del patrimonio di conoscenza cui abbiamo la possibilità di attingere, è come un dovere sacrosanto. Altrimenti come si fa ad attribuire alla letteratura questo valore per certi aspetti ineffabile?
      Qui poi la riflessione riguarda gente che è capace di efferati delitti, il che è tutto dire. Forse che nella letteratura ci sia quell'ineffabile talmente lontano dalle nostre vite da poterlo considerare scevro da qualsiasi nostra scelta di carattere? Chissà.

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  6. Credo che il vero baluardo contro il male sia solo una sensibilità capace di empatia. Senza quella, non c'è messaggio culturale che possa fare il miracolo. Per fortuna la maggior parte delle persona quella sensibilità la possiede in forma più o meno spiccata, e la cultura può contribuire a svilupparla.

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    1. Sì, concordo. La letteratura non c'entra nulla e i fatti lo dimostrano. La conoscenza può solo attecchire laddove ci sia una sostanza di base.

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  7. Bellissima osservazione. Personalmente penso che i grandi classici abbiano sempre qualcosa da insegnare ma questo da solo non basta: la natura di un essere umano, quella sì, arriva prima di tutto. Una persona può leggere e apprezzare tutti i classici di questo mondo ma se non è per natura (e a volte anche per educazione) propensa all'empatia, nei confronti degli uomini prima ancora che dei libri, ne trarrà solo belle parole ma non ne coglierà mai il significato più profondo. Infine, credo esistano anche persone che amano considerarsi erudite ma soltanto ai fini di un vantaggio personale, leggono per "fare numero" non per imparare realmente: "Io ho letto, io conosco questo e quello, quindi IO so". In tutto questo, concordo con la tua affermazione finale: la cultura è indispensabile per combattere l'odio e la criminalità, perché laddove ce ne sarà uno che sfugge ai suoi insegnamenti, altri nove ne trarranno sicuramente giovamento.

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    1. Il senso del trasmettere conoscenza è proprio riuscire a lasciare un segno - "insegnare" significa appunto questo - anche in una persona su dieci.

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  8. Ah, Luz, che riflessione impegnativa ed essenziale ci proponi! In linea di massima, concordo con quanto hai scritto e con l'intervento di Massimiliano: la cultura non è tale se non ha un'effettiva ricaduta nella persona e, ahinoi, non basta riempirsi la testa di letture grandiose e delle profonde filosofie che le alimentano per poterci dire al sicuro dalle tentazioni peggiori e dalle brutture. Si può leggere molto e non imparare niente, purtroppo, o, peggio ancora, c'è chi dalle molte letture ricava un'educazione distorta... come scrivono MikiMoz e Mami, alla fine è questione di indole e non credo che la Letteratura possa salvare il mondo intero, dovremmo farci bastare quei pochi di cui parli nella tua ultima risposta.

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    1. ... e noi insegnanti, Cristina, dobbiamo essere consapevoli di quanto possiamo instillare nei nostri allievi, sapendo che potrebbe anche non rappresentare nulla.

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  9. La cultura non è, purtroppo, un baluardo contro il male. Lo è contro la stupidità, l'omologazione e la manipolazione. Un boss che legge classici, ahimé, sarà un boss più consapevole e, quindi, anche più temibile. Il picciotto che legge classici sarà un picciotto consapevole che potrà scegliere se diventare boss oppure no, sapendo che ci sono altre strade. Contro il male dobbiamo sperare nell'animo umano, per dare quest'ultimo possibilità di scelta, però, dobbiamo appellarci alla cultura.

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    1. Un dettaglio di cui poco si è detto, è vero.
      Conoscere i classici sarà per il boss strumento di consapevolezza di ogni sua azione.

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  10. Non oso immaginare che discussione poteva venire fuori se i libri che leggevano fossero stati invece Moccia, Volo e D'Avenia. :)

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  11. Buongiorno Luz, complimenti per il blog e per gli articoli che pubblichi, sempre molto interessanti. Ho letto ciò che hai scritto ed anche i vari commenti. Sono d'accordo con chi sostiene che la cultura sia un'arma contro l'ignoranza, ma non contro il male. Quello purtroppo fa parte della natura umana. Leggendo il post mi è apparso come un flash un fotogramma di Arancia Meccanica, quando il protagonista prima di compiere efferati omicidi trae "ispirazione" dalla musica classica. E' un contrasto stridente, molto forte, che per certi versi assomiglia a quello che dici...
    Un caro saluto
    Paola

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    1. Grazie per il tuo apprezzamento, Paola.
      Arancia Meccanica esprime assai bene il concetto, fino a confermarlo. A me veniva in mente anche il Lecter de "Il silenzio degli innocenti": un cultore di Bellezza, fine conoscitore di arte, letteratura, un onnisciente. Ma anche un psicopatico cannibale.
      Sono personaggi di fantasia, ma la loro forza sta nel fatto che nascono dall'ispirazione che guarda alla realtà e la reinterpreta.

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  12. La grande illusione di questi tempi è credere che i libri possano rendere migliore una persona. Ma una persona migliora se lo vuole, e ci riesce anche senza libri. Lo scrittore Knut Hamsun, Nobel della letteratura, scrisse il necrologio per Hitler. Regalò la medaglia del Nobel al gerarca nazista Goebbels. Sapeva cosa faceva. E poi scriveva dei meravigliosi romanzi.

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    1. Più che il discorso di "migliorare" ciò che esiste già, si scriveva sul fatto di "formare" l'individuo, di educarlo. Concordo sul fatto che la buona letteratura non migliori nessuno. Resto stupita di come non possa formare nessuno. Come se la Bellezza fosse un mondo a sé, non complementare alla vita.

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