Incipit: Stamattina mi ha telefonato Rino, ho creduto che volesse ancora soldi e mi sono preparata a negarglieli. Invece il motivo della telefonata era un altro: sua madre non si trovava più.
"Da quando?".
"Da due settimane".
"E mi telefoni adesso?"
Il tono gli dev'essere sembrato ostile, anche se non ero né arrabbiata né indignata, c'era solo un filo di sarcasmo. Ha provato a ribattere ma l'ha fatto confusamente, in imbarazzo, un po' in dialetto, un po' in italiano. Ha detto che s'era convinto che la madre fosse in giro per Napoli come al solito.
"Pure di notte?".
"Lo sai com'è fatta".
"Lo so, ma due settimane d'assenza ti sembrano normali?".
"Sì. Tu non la vedi da molto, è peggiorata: non ha mai sonno, entra, esce, fa quello che le pare".
Cara Elena Ferrante (o forse dovrei chiamarti Anita Raja?), chapeu. Chiudo l'ultima pagina sul quarto volume di questa epopea e mi immagino in una platea, al termine di un grande spettacolo, alzarmi e applaudirti. Mi hai intrattenuta, stupita, fatta arrabbiare, commossa. Ho attraversato emozioni diverse e capito cosa sia, cosa significhi ordire una trama praticamente perfetta e costruirla con stile e maestria.
Metto qui l'altro incipit, quello che dà l'inizio ufficiale a questa magnifica sinfonia, quello dove tutto comincia:
La volta che io e Lila decidemmo di salire per le scale buie che portavano, gradino dietro gradino, rampa dietro rampa, fino alla porta dell'appartamento di don Achille, cominciò la nostra amicizia.Mi ricordo la luce violacea del cortile, gli odori di una serata tiepida di primavera. Le mamme stavano preparando la cena, era ora di rientrare, ma noi ci attardavamo sottoponendoci per sfida, senza mai rivolgerci la parola, a prove di coraggio. Da qualche tempo, dentro e fuori scuola, non facevamo che quello.
Così, dopo quel prologo, inizia il lungo flashback, il lungo racconto che Lenù, scrittrice affermata, mette insieme rievocando la sua amicizia con Lila durata una vita. Incontriamo Elena Greco (Lenù) e Lina Cerullo (Lila) ancora bambine e poi le seguiremo nelle loro vicende, dall'infanzia all'età adulta e poi fino alla vecchiaia, fra tutti i colori che due vite possono assumere. Di questo straordinario successo editoriale è stato scritto a iosa e ne è stata tratta una sceneggiatura televisiva e una serie ormai celebre.
L'amica geniale è un "caso" esemplare nel panorama della narrativa italiana, i cui numeri sono impressionanti: solo il primo volume ha venduto più di dieci milioni di copie in 40 paesi in tutto il mondo e il New York Times lo ha dichiarato il più bel romanzo del primo ventennio del millennio.
C'è chi ha storto il naso dinanzi a questi risultati, assai probabilmente senza neppure averne letto un rigo, altri hanno definito la cosa eccessiva, ma senza spingersi oltre il primo libro. In Italia abbiamo il brutto vizio di non gioire per i successi italiani nel mondo, in particolare se sono scritti da donne e parlano di donne. Ma tant'è.
La voce dei detrattori non ha spento l'entusiasmo dei più. Ancora oggi la quadrilogia vende e il primo dei quattro libri resta un lungo meraviglioso incipit di una storia complessa e straordinaria.
Come ti costruisco la storia perfetta
Essendo una lettrice "forte" e potendo pertanto avere un ampio panorama di confronti, mi sono divertita a leggere fra le righe il "come" di questa saga e forse comprendere le ragioni del suo successo. Anzitutto spicca in me la certezza che sia stata costruita sapientemente a tavolino, con quell'intento di farne un best seller attingendo ai fondamentali della narrazione.
Basta osservare i trope presenti nella storia nel suo insieme, ne tento una sintesi.
- amicizia fra due bambine che diventano donne
- ambientazione povera, difficile
- l'eroina A resta nell'ambiente delle origini, l'eroina B parte e si realizza
- figlie femmine e conflitti con la madre
- mantenere nelle due vite un ordine asimmetrico con apparenti simmetrie
- Napoli, con tutte le sue contraddizioni (rione, centro, Chiaia, Ischia)
- Storia italiana fra gli anni '60 e primi anni '90
- un narcisista patologico (Nino Sarratore)
- un brav'uomo (Enzo Scanno)
- un marito noioso (Pietro Airota)
- un transgender (Alfonso Carracci)
- due sgherri (Michele e Marcello Solara)
- un brigatista rosso (Pasquale Peluso)
- i fascisti
La combinazione di questi elementi è affidata a una voce narrante - e pertanto a un solo punto di vista - quello di Lenù, una voce che filtra gli eventi attraverso le maglie del proprio vissuto e di volta in volta dei rapporti con la sua amata/odiata amica Lila.
Lila e Lenù sono come due pezzi perfettamente combacianti di un'anima sola, lo yin e lo yang, l'una bruna, l'altra bionda, l'una destinata a interrompere gli studi al termine delle elementari, l'altra a continuarli fino all'università, l'una dotata di un'intelligenza brillante e acutissima, l'altra alla perenne ricerca di conferme (benché poi scrittrice di successo).
In fondo, malgrado Lenù stia raccontando se stessa, ci offre un ritratto completo di Lila, la costruisce attraverso il ricordo cui sovrappone via via il proprio vissuto. Lenù sembra in primo piano, Lila le ruba continuamente l'attenzione, è la sensazione che si offre di continuo al lettore: Lenù mi sta raccontando questa storia ma Lila appare purissima, giganteggia nella buona e cattiva sorte, nei momenti di generosità e in quelli di cattiveria, in tutte le sfumature possibili.
Allora chi è l'amica geniale? È Lila, sebbene il suo destino non le offra modo di realizzarsi appieno, sebbene nel quarto libro si rivolga a Lenù dandole questo appellativo? O forse è proprio Lenù, l'imperfetta, fragile Elena, alla ricerca disperata di una identità, in lotta con quelle che sente propri limiti, in competizione con Lila, eppure scrittrice e giornalista di successo, dai grandi numeri? La sentenza appartiene a ciascuno di noi, anche la risposta non è definitiva.
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Le sei interpreti di Lila e Lenù nella versione televisiva |
Perché questa storia piace?
Dicevamo di quegli ingredienti perfetti, sapientemente disseminati. Non stupisce che ne sia venuta fuori una storia di successo di questa portata. Se Elena Ferrante è Anita Raja, ha al fianco un'altra punta di diamante della narrativa italiana, Domenico Starnone, scrittore e sceneggiatore come Anita nato nell'area napoletana, quindi anche lui grande conoscitore del territorio.
Se dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante ci sono Anita Raja e Domenico Starnone - Premio Strega, Campiello, Premio Napoli - tutto torna.
Questa storia piace perché è interamente costruita su un certo realismo. Non ci sono eroi né eroine. C'è una umanità realistica, verosimile, quella che sarebbe venuta fuori da un rione degradato della periferia di Napoli. I due scrittori sanno come erano quelle famiglie, conoscono il loro modo di pensare, il dialetto (una lingua, quella napoletana, che ha ampia parte nel romanzo), ne conoscono movenze, gerarchie, sanno quali scelte avrebbero fatto, "sanno", "conoscono" la loro materia narrata, questo è l'ingrediente imprescindibile di qualsiasi narrazione realista.
L'invenzione è lucidissima: nella violenza, nella postura mai eroica dei personaggi, nella volgarità perfettamente espressa in certi confronti terribili, in dialoghi memorabili. Ferrante usa le parole come una materia che conosce e sa plasmare. Insomma, un "cosa" e un "come" amalgamati e dinamici.
Raccontare la difficile realtà campana, napoletana, è materia di successo di diversi romanzi e serie tv. Basti pensare a Mare fuori, Gomorra, I bastardi di Pizzofalcone, giusto per citare quelli più noti. Napoli è una preziosa materia di narrazione, prima o poi mi piacerebbe dedicarle un articolo qui sul blog (a partire dalle opere di De Filippo fino a certi film di Paolo Sorrentino).
Queste storie suscitano una certa attrattiva sul pubblico, a volte sono stereotipate, ma le migliori narrazioni svicolano dall'intreccio facile per toccare vere e proprie punte di lirismo.
L'amica geniale, pertanto, ha anche questo prezioso ingrediente, una sorta di "marchio di fabbrica" col quale parte in certo vantaggio.
Lila e Lenù sono il prodotto possibile di una realtà, quella della periferia napoletana dagli ultimi anni Cinquanta fino al Duemila e oltre, due bambine e poi donne dialetticamente contrapposte, a volte sovrapposte perché in fondo simili, accomunate dalla ricerca di un'affermazione e di un "senso".
Cercherò di mettere assieme una sintesi dei migliori passaggi della quadrilogia.
La fase di passaggio più significativa per le due protagoniste avviene nel secondo libro, Storia del nuovo cognome. Il racconto dell'adolescenza e prima giovinezza rappresenta per Lila l'accesso obbligato al matrimonio (nel quale cerca di afferrare la convenienza di una vita agiata secondo i canoni del rione, giacché suo marito è un commerciante), per Lenù il termine del liceo e l'accesso alla prestigiosa Normale di Pisa. Due realtà fra le quali si estende un abisso, la distanza siderale fra la prigionia del rione e le innumerevoli opportunità di una vita in un ambiente colto. Ciò che accomuna i quattro libri è la lunga serie alcuni eventi che segnano lo "svantaggio".
Lila
Lo svantaggio di Lila è il mancato accesso agli studi prima, poi la vita matrimoniale con Stefano Carracci, costellata di violenza e mossa da un continuo alternarsi di affermazione di supremazia: per Stefano in quanto uomo e pertanto padrone della casa e di sua moglie, per Lila in quanto donna dotata di una forte personalità e di intelligenza. E poi ancora le disavventure nella fabbrica di salumi, fino alla terribile sorte che l'attende nel quarto libro.
Lila vive ogni fase della propria vita esercitando una lotta con se stessa, la realtà del rione, i protagonisti "attivi" all'interno del perimetro, ha in sé un'energia totalizzante, è un vortice umano, una creatura con il potere di creare attrattiva nel bene e nel male. Sa essere straordinariamente buona o cattiva, non esiste in lei un tono mediano, investe cose e persone al proprio passaggio e lascia dietro di sé un segno indelebile. Lila semplicemente è, e quando non riesce a essere e a esprimere questa dilagante energia, si riprende la scena anche con profonda cattiveria. Ha un alto grado di imprevedibilità.
Ferrante crea in Lila il personaggio che sfugge a una precisa categorizzazione, insomma.
Diventare. Era un verbo che mi aveva sempre ossessionata, ma me ne accorsi per la prima volta solo in quella circostanza. Io volevo diventare, anche se non avevo mai saputo cosa. Ed ero diventata, questo era certo, ma senza un oggetto, senza una vera passione, senza un'ambizione determinata. Ero voluta diventare qualcosa - ecco il punto - solo perché temevo che Lila diventasse chissà chi e io restassi indietro. Il mio diventare era diventare dentro la sua scia. Dovevo ricominciare a diventare, ma per me, da adulta, fuori di lei.
Lila è all'inizio una bambina dotata, una di quelle intelligenze che oggi vengono definite "gifted", una creatura alata alla quale il destino impedisce il volo e l'esercizio pieno delle sue virtù intellettive. O meglio, l'intelletto di Lila è lì, non si può annichilire, ma non avendo accesso alle stesse opportunità di Lenù allora Lila esercita il proprio brillante intelletto in tutto ciò che il rione le può offrire: gli affari della calzoleria e poi del negozio di informatica, le relazioni dentro le quali si ritaglia un ruolo apicale, il tutto senza la volontà di compiacere o crearsi una reputazione positiva.
Lila è e si determina per quello che è.
Lenù
Lo svantaggio di Lenù è la mancanza pressoché totale di fiducia in se stessa. La separazione fra le due bambine al termine della quinta elementare dovrebbe rappresentare la sua conquista di un ruolo che emerga dai margini, con l'accesso alla scuola media precluso all'amica. Eppure in Lenù continua a muoversi l'attaccamento a Lila, il suo dipendere dalla sua approvazione, la certezza che se Lila fosse al suo posto farebbe molto meglio.
In particolare mi hanno fatto pensare tutti i passaggi in cui Lenù crede di aver conquistato il modo perfetto di esprimere un giudizio sulla politica o un fatto di attualità oppure il modo di scrivere un certo articolo o l'argomentazione in un tema in classe, solo perché ne ha parlato con Lila. Lenù crede che Lila eserciti in lei una leva, le faccia scattare una capacità inesistente senza l'apporto dell'amica. È probabilmente l'aspetto più interessante dal punto di vista dello scandaglio psicologico di questo personaggio. Perché Lenù non è meno complessa di Lila e rappresenta un interessante esempio di quelle dipendenze, più "emotive" che "affettive" che possono generarsi nei rapporti.
Forse per questo la cercavo di continuo. Seguitava a emanare un'energia che dava agio, che consolidava un proposito, che in maniera irriflessa suggeriva soluzioni. Era una forza che non investiva solo me.
La vita di Lenù, tutte le sue conquiste, gli studi specialistici, le pubblicazioni, i romanzi di successo, la notorietà, ci portano verso l'idea di una vita completa, appagata. Ma Lenù svela pienamente se stessa nel proprio privato, negli errori di valutazione, nel suo sofferto rapporto con le figlie, e soprattutto nel suo rapporto tossico con l'uomo che ama da sempre: Nino Sarratore.
Nino Sarratore
Nino, il narcisista patologico, è fra i migliori villain in cui mi sia imbattuta. È la perfetta sintesi dell'uomo in cui si sommano tutti i pregi e i difetti del seduttore al quale le donne affidano un grande potere. Ferrante qui non si lascia sfuggire un dettaglio, il camaleontico e ammaliatore Nino è e si comporta esattamente come accadrebbe nella vita reale. Usa le parole tipiche, incorre negli errori e negli atteggiamenti tipici.
Pensate che attorno a questo personaggio è stato perfino pubblicato un libro, Lo stronzo geniale, Guida semiseria ai Nino Sarratore, nel quale a quanto pare si trova un'analisi dell'archetipo.
Ferrante ci mette dinanzi un personaggio verso il quale saremo capaci di un odio profondo, in particolare per il suo potere di farci oscillare nella considerazione di Lenù, ma anche per molto altro.
Nino è nato nel rione ma è destinato a ben altro, è il degno figlio di suo padre - quel Donato Sarratore al centro di una scena che ci lascia sgomenti nel secondo libro - e allo stesso tempo ne prende le distanze. Sembra essere migliore di suo padre ma gli eventi lo porteranno al di là delle misere azioni di lui. Nino è un personaggio che si trasforma, progredisce, cresce a dismisura nella considerazione di Lenù e di molte altre donne, sa cogliere opportunità, è dialetticamente prestante e il principe della lusinga e della simpatia.
Nino è un abile oratore, ha carisma ed è un manipolatore che si serve di meccanismi ripetitivi, sfrutta la posizione sociale delle donne con cui viene a contatto, si posiziona nel raggio d'azione per trarne un vantaggio e ci riesce.
Nino è un "senza patria" nel largo perimetro delle sue relazioni. Prima il liceo e poi l'università e gli ambienti legati alla politica gli riconoscono intelligenza e merito, ma non riesce a essere "stanziale". Tradisce, mente, inganna, distrugge, trascura. E allo stesso tempo è irresistibile, capace di donare allegria, gratificazione, l'impressione di vulnerabilità, l'illusione di un sogno.
Fu terribile confessarmelo, ma seguitavo a volerlo, lo amavo più delle mie stesse figlie. All'idea di nuocergli e di non vederlo più mi spampanavo dolorosamente, la donna libera e colta perdeva petali, si staccava dalla donna-madre, e la donna-madre prendeva le distanze dalla donna-amante, e la donna-amante dalla vaiassa inferocita, e tutte sembravano sul punto di svolazzare via in direzioni diverse. Più viaggiavo verso Milano, più scoprivo che, accantonata Lila, non sapevo darmi compattezza se non modellandomi su Nino. Ero incapace di essere io il modello di me stessa. Senza di lui non avevo più un nucleo a partire dal quale espandermi oltre il rione e per il mondo, ero un mucchio di detriti.
La Storia attraverso L'amica geniale
La lunga narrazione di Lila e Lenù si ancora nella storia italiana fra gli anni '60 e '80 dicevamo. Ferrante coglie l'opportunità dei grandi cambiamenti sociali, culturali, politici dell'epoca per sostanziare le vite delle due protagoniste, ma da due distanze.
Lila, rimasta sul territorio, si scontra con la durissima realtà della classe operaia, lo sfruttamento delle masse, la scomoda posizione femminile nel lavoro e nella lotta di classe. Lenù, proiettata all'esterno, viene a contatto con il determinarsi della Democrazia Cristiana fino alla sua crisi e all'emergere del Partito Socialista, e poi i primi passi verso il berlusconismo. Lenù ha l'opportunità di emergere in quanto donna, scrittrice, opinionista, e di incrociare i propri passi con la seconda, e più determinante, ondata di femminismo. Proprio quei rivolgimenti sociali le permettono di muoversi con più agilità fra scelte che spezzano il patto iniziale - matrimonio, accudimento marito e figlie - e portarsi verso nuove relazioni, continuare a coltivare il proprio talento narrativo, viaggiare.
Non mancano tossicodipendenza - la grande ondata degli ultimi anni Settanta - estremismo di sinistra, neofascismo. Via via diversi personaggi del rione saranno coinvolti nelle pieghe della cronaca.
Il grande finale (spoiler)
Mi sono chiesta perché mai Ferrante abbia come punito il personaggio di Lila nell'ultimo capitolo della saga. E lo fa sottraendole il suo bene più grande, la figlia avuta dal buon Enzo Scanno, Tina.
Fino alla sua sparizione, siamo portati a pensare che se vi è riscatto per Lila è tutto in quella bimba molto somigliante a lei, che ama visceralmente e rende la sua vita finalmente pacificata e luminosa.
Tina, però, è destinata a scomparire nel nulla, come i tanti bambini di cui la cronaca è piena. La perde un mattino domenicale qualunque, Ferrante ce la mostra mentre insegue una palla e va verso lo stradone, mentre un grosso camion sta passando. Tina non finisce sotto quelle ruote, semplicemente all'improvviso non è più, come se la terra l'avesse inghiottita.
La perdita di Tina distrugge del tutto Lila, è la sua grande disfatta, il disfacimento di ogni suo proiettarsi sul futuro, il suo ultimo progettare. Lila negli anni a seguire si autosabota fino a sfaldarsi, vivendo il suo ultimo lampo di vita in una ricerca tutta sua, ma non più di sua figlia. Lila cerca idealmente e realmente una Napoli "segreta", quella che le è stata celata per tutta una vita ma che è lì e smuove in lei un ultimo desiderio di conoscenza.
Napoli è dunque per Lila come una grande madre che l'accoglie e le dona il desiderio. Fugace, Lila lo sa benissimo. Le ultime pagine che la riguardano, prima che anche lei svanisca in un nulla, la vedono smarginarsi come quel terrore che l'ha colta da sempre.
Lila è come un personaggio epico che svanisce come in una dissolvenza.
Lì ho compreso perché Tina doveva sparire. Tina è, mia opinione, un versione simbolica di Lila stessa. Una sua copia perfetta nei lineamenti e nell'acutissima intelligenza e sensibilità, ha il "dono" posseduto da sua madre e quindi è una sua replica perfetta. A Tina, è evidente, la vita avrebbe offerto opportunità decisamente diverse e sarebbe stata una Lila compiuta. Ferrante invece ce la sottrae, fino all'ultimo immerge il suo personaggio nel crudo realismo di ciò che deve essere e non può essere altrimenti.
Può dispiacerci, ma in fondo sentiamo che deve andare così.
*****
La trasposizione televisiva della quadrilogia più amata della narrativa italiana ne è una versione fedele e di altissimo pregio, benché risulti, necessariamente, sintetica e appena abbozzata in tanti passaggi.
Ho letto questi libri dopo averne visto quella versione, che ho amato molto, e ne sono uscita del tutto persuasa del fatto che L'amica geniale continuerà ad avere spazio nella nostra letteratura, in particolare quel grande inizio, il primo dei quattro volumi.
Se non la conoscete, recuperatela. Non perdetevi neppure la versione televisiva, una delle migliori produzioni degli ultimi decenni.
Vi lascio qui la sigla al secondo capitolo nella sua versione Usa, con le musiche del talentuoso Max Richter.
Il backstage al primo capitolo:
Conoscete questa mirabile saga? Amate i racconti di genere "neorealista"?
Per poter parlare, bene o male, di un libro sarebbe doveroso leggerlo o quantomeno sfogliarlo per saggiarne almeno qualche sua parte; a meno che uno non voglia fare come quel tale che, alla domanda, hai letto il tale libro, lui rispose: No, e non mi piace. Tu, a mio parere, meriti un bel dieci per questa tua esauriente e appassionata e amabile recensione. Una sorta di standing ovation per Elena Ferrante e la sua opera omnia.
RispondiEliminaOra io non so chi sia questa Elena Ferrante (ma non lo sanno neanche i suoi adoratori), e non ho letto nessun libro di questa misteriosa e fantomatica scrittrice, per due semplici e banali motivi: il primo è che non amo molto gli autori contemporanei, preferisco quelli passati già a miglior vita e che non vanno in televisione a presentare i loro capolavori, autocelebrandosi; e poi – cosa che riguarda tutti noi - non sono in grado di leggere tutto ciò che è stato e viene pubblicato. Pare che Elena Ferrante, con oltre dieci milioni di copie vendute della tetralogia de “L’amica geniale”, sia da considerare la scrittrice italiana (senza volto) più conosciuta nel mondo. A questa notizia non posso che rimanere sbalordito. Ora io mi domando: ma se il romanzo fosse stato pubblicato da Anita Raja o da Domenico Starnone (quest’ultimo, un bravo scrittore, ma poco conosciuto) – che, secondo i bene informati, si nasconderebbero dietro quel nome fittizio di Elena Ferrante - avrebbe avuto lo stesso successo editoriale, lo stesso consenso di lettori, a prescindere dalla storia raccontata e venuto meno quell’alone di mistero che si porta dietro quel nome? E poi, perchè hanno escogitato questo stratagemma? Per disorientare e sorprendere i lettori? Perchè sapevano che questa mossa avrebbe scatenato un gran parlare intorno a questa scrittrice sconosciuta, e quindi molta pubblicità al libro? E’ risaputo che la curiosità è quel qualcosa in più che ci spinge ad andare oltre e di fronte ad una vicenda romanzata come l’amica geniale, la cui autrice è una donna misteriosa che nessuno conosce, il lettore è stimolato a cercarla, anche tra le righe del libro, indipendentemente dalla forza e dalla qualità letteraria della scrittura. Ecco, allora, che si crea un immediato passa parola, la critica fa il suo mestiere, ne parlano i giornali, la televisione, nasce il caso letterario Elena Ferrante: e “L’amica geniale” diventa un best seller a livello planetario. Lo ripeto: non avendo letto il libro non posso giudicare né la qualità della sua prosa che appassiona un pubblico così vasto ed eterogeneo, né di mettere in discussione le riconosciute capacità affabulatorie di una scrittrice di cui nessuno conosce il vero volto. Quando si crea un’empatia così forte tra chi scrive e chi legge, il lettore aspetta sempre con trepidazione l’ultima fatica del suo autore preferito: e in questo caso Elena Ferrante non lo delude mai.
Il tempo ci dirà se “L’amica geniale” passerà alla storia e da bestseller diventerà un classico della letteratura italiana. Io, lo ammetto, raramente leggo un bestseller: mi sembra una sorta di imposizione, un seguire la moda; per me, leggere un libro che in quel momento tutti leggono è come passeggiare in una strada superaffollata di Roma la domenica pomeriggio. Preferisco, invece, le strade laterali, preferisco che un romanzo invecchi come un buon vino, aspetto che si liberi dal bla bla mediatico e pubblicitario. E quando, poi, me lo ritrovo tra le mani dopo molti anni dalla sua pubblicazione, magari scovandolo sul banchetto di in un mercatino dell’usato, ti assicuro – cara Luz - che il piacere di leggerlo è davvero grande, e per due motivi: il libro non lo legge più nessuno e, nel frattempo, è pure diventato un classico della letteratura. Sorridiamo! Ciao e stammi bene. :)