mercoledì 9 settembre 2020

I leoni di Sicilia - Stefania Auci

Incipit: Il terremoto è un sibilo che nasce dal mare, s'incunea nella notte. Gonfia, cresce, si trasforma in un rombo che lacera il silenzio. 
Nelle case, la gente dorme. Alcuni si svegliano con il tintinnio delle stoviglie; altri quando le porte iniziano a sbattere. Tutti, però, sono in piedi quando le pareti tremano. 
Muggiti, abbaiare di cani, preghiere, imprecazioni. Le montagne si scrollano di dosso roccia e fango, il mondo si capovolge. 

Questo romanzo di Stefania Auci - best seller nel 2019 con più di 300.000 copie vendute - mi ha attratto fin dai suoi esordi, fin da quando lessi che racconta diverse generazioni di una famiglia, i Florio, che costruirono nella Sicilia del XIX secolo un impero finanziario fra i più importanti della storia italiana.

Strano che, a fronte dei vari Lauro, Agnelli, Ferrero, Olivetti ecc. non ci si imbatta in questo nome, eppure a leggere dei Florio in rete, scopriamo che alla quarta generazione "disponevano di una flotta di novantanove navi, un impero che spaziava dalla chimica al vino, al turismo, all'industria del tonno".  Un impero che, purtroppo, sprofonderà in pieno XX secolo.
I leoni di Sicilia si rivela essere il primo volume della saga, poiché narra gli avvenimenti dalla prima alla terza generazione, dalla partenza dei Florio dalla Calabria, in seguito al terremoto che sconvolse la regione nel 1799, fino al 1868.


La straordinaria storia dei Florio. 
Immaginate una famiglia calabrese costituita da due fratelli e una sorella, abitanti in un paesino, Bagnara Calabra, in un sud all'epoca Regno di Napoli, già vessato da povertà e stenti, in cui la rivoluzione napoletana porta il re alla fuga, dove si fa fatica a sopravvivere e per giunta il terremoto getta tutti nello sconforto. Dinanzi al moltiplicarsi delle vicissitudini, aggravate dai briganti che depredano i commercianti sulla costa, per iniziativa del fratello maggiore, Paolo, la famiglia parte per la Sicilia.
I Florio possiedono, assieme al cognato, un'imbarcazione a vela, lo schifazzo - si chiama San Francesco di Paola - col quale commerciano per mare. Hanno tutto l'interesse di lasciare la Calabria e trasferirsi a Palermo, al tempo uno dei maggiori porti del Mediterraneo. Ci sanno fare, a Bagnara avevano già messo in piedi un deposito per le merci, poi rivendute in Sicilia.
Paolo e Ignazio, in particolare, hanno un grande senso degli affari.
I Florio sono dunque migranti, e di questa scelta devono viversi tutti i problemi: l'ostracismo dei palermitani, gli stenti degli inizi, la lotta quotidiana per farsi largo nella feroce concorrenza.
Senza entrare troppo nei dettagli della trama, basti sapere che leggendo questa storia si conquista un punto di osservazione privilegiato, da cui impariamo cosa significhi essere stati migranti all'inizio del XIX secolo, in una Palermo brulicante di genti e affari, in cui irrompe imperiosamente la Storia con le sue insurrezioni - il 1848 lascia un solco profondo - fino allo sbarco di Garibaldi e dei Mille e poi ancora la proclamazione del Regno d'Italia.


Coperchio originario del tonno sott'olio prodotto dai Florio

L'uomo d'affari: Vincenzo Florio.
La seconda generazione, di Vincenzo Florio, è quella in cui l'impresa familiare comincia a decollare fino a conquistare una posizione egemone in buona parte della Sicilia occidentale. I Florio, pertanto, da un piccolo emporio di spezie espanderanno i propri interessi altrove, esportando prodotti all'estero, acquisendo la tonnara di Favignana - sono i pionieri delle conserve di tonno sott'olio - facendosi armatori di navi da trasporto, assumendo importanti incarichi politici.
L'irrequieto Vincenzo Florio è il pilastro dell'impero familiare, è un infaticabile uomo d'affari sotto molti aspetti geniale, ha fiuto, dialettica, coraggio. L'autrice ce lo racconta romanzando una vita totalmente orientata verso il raggiungimento di una posizione sociale invidiabile.
Vincenzo, di fatto, è il personaggio chiave del romanzo.
Vive, e ricorda bene, gli anni in cui i Florio sono ancora agli inizi, si porta dentro la ferita della perdita prematura del padre, ma soprattutto la diffidenza dei palermitani, la boria con cui loro vengono trattati, lo sguardo dall'alto in basso che riserva loro la nobiltà cittadina, malgrado i Florio posseggano più denaro.
Vincenzo vive ogni giorno, ogni ora, concentrato sugli affari, ogni volta spostando il proprio orizzonte più in là, puntando su obiettivi sempre più ambiziosi, investendo i propri affetti nella spirale dell'ambizione. Ne ricaviamo un ritratto abbastanza realistico dell'uomo Vincenzo Florio e dell'uomo del XIX secolo, immerso in convenzioni e usi sociali che restituiscono un effetto "straniante".

Una delle sale della Palazzina dei Quattro Pizzi, accanto alla prima tonnara

Le donne nel romanzo. 

Leggere oggi, in un'epoca in cui il dibattito sul ruolo sociale della donna è predominante, una storia in cui le è riservata una posizione del tutto subalterna, fa appunto uno strano effetto.
Eppure anche in questo il romanzo è realistico, perché non avrebbe potuto essere altrimenti, anche se a uno sguardo più attento questa subalternità lascia il posto ad altro.
In particolare due donne emergono fra le righe: Giuseppina e Giulia, la madre e la moglie di Vincenzo Florio. Giuseppina è la donna strappata a una Calabria che non intendeva lasciare, che subisce la volontà di suo marito ed è costretta ad adeguarsi al suo status di migrante - poi ampiamente "risarcita" dalla sua nuova posizione sociale; Giulia è la donna che Vincenzo non deve sposare, ma che viene scelta per la sua arguzia, l'intelligenza, l'ardore con cui lo ama.
In particolare, Giulia è un personaggio sotto molti aspetti indimenticabile. L'amore le dona la forza della sopportazione, dell'accettazione, le dona la capacità di farsi largo in un ambiente in cui è reietta, disprezzata, dileggiata.
La storia non ci presenta una linea di demarcazione fra un mondo maschile e uno femminile, anzi. La posizione predominante del maschio è ampiamente accettata dalla donna, il contrasto si inasprisce nel confronto fra le posizioni sociali, dove non c'è spazio per la solidarietà fra donne.
Per quanto Vincenzo Florio, dalla sua posizione di maschio "irreprensibile", troneggi in buona parte della narrazione - senza risparmiarci punte di greve maschilismo - capiamo come, nelle pieghe di un carattere granitico e orgoglioso, si nasconda una certa fragilità, un bisogno.
Se proprio vogliamo, o facciamo uno sforzo, allora scorgiamo un riscatto femminile nel suo profondo legame con la madre - cui è legato da alcuni richiami "sensoriali", come l'odore e il ricordo della donna forte del passato - e soprattutto nell'amore verso Giulia, che sceglie anche perché sotto la scorza della sottomissione palpita una donna volitiva, pensante, colta.
È come la dracena che dà ombra al porticato della villa: verde, luminosa, ma inflessibile. 

Vincenzo Florio (seduto) con accanto Giulia, sulla sinistra suo figlio Ignazio

... e poi la Sicilia.
Scrivere di ciò che si conosce è sempre una mossa appropriata. La Sicilia del romanzo è essenzialmente la Palermo di due secoli fa, fatiscente e grandiosa.
Non ci sono grandi descrizioni - e questo dettaglio mi è mancato - tutto viene disseminato a servizio della storia, i personaggi sono costantemente in primo piano e Palermo è sullo sfondo. Pur mancando l'elemento della presenza forte di una città fatta di contrasti, non se ne esce del tutto insoddisfatti.
Il brulicare della città portuale, fatta di calli e vicoli in cui si alternano la decadenza dei palazzi nobiliari e le botteghe in cui ferve il lavoro incessante, le voci dei marinai della tonnara, lo sciabordio delle onde che lambiscono la città, puntellano qua e là la narrazione.
Grande rilievo ha l'uso del dialetto nei dialoghi, funzionale al realismo della ricostruzione storica.
Minchia, se io sugnu un galoppino, tu e to' frate siti du' facchini. Ancora mi ricordo a to' frati chi cuogghieva munnizza dintra a' putìa.
Sono le parole di Carmelo Saguto, rivale in affari dei Florio. Questi saranno sempre i bagnarotifacchini calabresi, portarrobbe, pirocchi arrinisciuti. Cani di bancata.

Lo stile di Stefania Auci. 
La scrittura della Auci è piana, scorrevole, senza grandi slanci. Se si trattasse di una saga familiare in più volumi - finirà invece in due parti complessive - sarebbe stato piacevole entrare più a fondo nella psiche dei personaggi, invece si ravvisa uno scivolamento del tempo che non lascia spazio all'approfondimento. Insomma, siamo molto lontani dalla Sicilia e dai personaggi di Verga, Tomasi di Lampedusa, De Roberto. Per un'amante dei classici, insomma, c'è poco spazio per le emozioni forti. L'autrice sceglie di narrare al presente, il che all'inizio produce un effetto non proprio piacevole, che svanisce con il procedere della narrazione.
Il tema suscita una certa fascinazione, il romanzo è nel complesso rifinito. Mi è piaciuta in particolare la suddivisione della trama in "quadri temporali", annunciati ciascuno da un'introduzione delle vicende storiche di quel preciso arco di tempo.
Insomma, ne leggerei volentieri il seguito, annunciato da tempo e di prossima pubblicazione.


Lo avete letto? Cosa pensate dei romanzi di saghe familiari?

18 commenti:

  1. La storia dei Florio mi intriga parecchio e intendo indagare un pochino su di loro. Il romanzo di Stefania Auci, invece, non mi ispira granché e il fatto che sia previsto un secondo volume mi scoraggia.

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    1. A prescindere da questo libro, in effetti è una storia familiare molto intrigante. Leggi di Franca Florio, guarda che personaggio particolare.

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    1. Dal punto di vista tematico lo sarebbe, sì. Come romanzo, è molto lontano dal Verismo, l'ho scritto nel post. :)

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  3. Sono molto indecisa e da un po'giro intorno a questo romanzo, cercando di capire se possa fare al caso mio. Si tratterebbe infatti di imbarcarsi in un'impresa notevole (che dovrebbe ritagliarsi spazio fra le tante avviate), data l'articolazione della storia in una saga, inoltre l'aver letto che, pur in un romanzo di tale mole, non c'è grande spazio per le descrizioni mi lascia un po'perplessa, perché me le aspetto sempre nei romanzi storici e sono una sorta di elemento di sicurezza. In ogni caso aspetterò il completamento della saga, per evitare che, nell'attesa fra un volume e l'altro, la memoria sbiadisca. Vedremo...

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    1. Non è una saga sullo stile dei Cazalet, quella sì che è un'impresa (io sono rimasta al primo volume e ho da tempo secondo e terzo). Questo romanzo è di taglio semplice, lo finiresti in una settimana al massimo. Certo, deve affascinare la storia in sé. Non è un grande romanzo d'autore, questo no.

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  4. Pensa che avevo assistito alla presentazione del romanzo l'anno scorso nell'ambito di Bookcity al Castello Sforzesco. Era stata l'unica conferenza cui avevo presenziato perché non avevo molto tempo, ma mi attirava moltissimo. Non avevo poi comprato il libro per non appesantire il numero dei libri da leggere, ma verrà anche il suo momento. Come ben sai, le saghe familiari mi attirano moltissimo. ;)

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    1. La Auci è una persona amabile, pensa che è un'insegnante di sostegno. Scrive da sempre, si è cimentata anche col romanzo storico ambientato nel Medioevo e col fantasy, poi ha avuto l'intuizione giusta. Curioso che l'editore Nord abbia accettato di pubblicare il romanzo, mentre per esempio Fazi e altri lo abbiano ignorato. Bisogna riconoscere a Nord una certa lungimiranza, un caso letterario da centinaia di migliaia di copie.

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  5. Ce l’ho e ancora non l’ho letto. Hai fatto una bellissima recensione, la curiosità di avventurarmi adesso è maggiore. Avrei dovuto condividerne la lettura con il mio solito gruppo, invece non ho potuto aggregarmi e ho seguito le impressioni dei miei amici lettori da esterna: dai loro commenti si evinceva un entusiasmo blando, qualche critica sulla struttura della storia e antipatie diffuse per questo o quel personaggio (adesso non ricordo chi). L’ascesa dei Florio in Sicilia è affascinante, fa parte di un patrimonio che si è disperso nel tempo e nella storia (che peccato!): la Sicilia era una terra ricca, che poteva benissimo fare a meno del resto d’Italia. Con l’unione ha perso tutto (lo dico, pur semplificando, ovviamente.)
    Comunque, lo leggerò e poi ti farò sapere che impressioni ne ho tratto.

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    1. Secondo me una siciliana, o un'amante della Sicilia, non può perderselo. Perché comunque contiene una buona storia, con un fascino irrinunciabile.
      Poi ci confronteremo. :)

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  6. Non mi aveva colpito molto quando lo lessi.
    Ricordo che avevo notato un'abilità nel rendere per "immagini" quanto narrato.
    Ho poi scoperto che dal libro è già prevista una fiction (immagino su Rai1, con Beppe Fiorello :-)).
    Nell'insieme non mi ha appassionato.
    In particolare quell'accenno iniziale alla Storia per inquadrare le vicende dei protagonisti in un ambito più generale mi è parso slegato.
    Non riesco forse a spiegarmi, ma in Guerra e Pace la commistione fra storie dei singoli personaggi e quanto accade nel contesto storico è "naturale", non vi è separazione netta.
    Non so se leggerò la seconda parte già programmata.

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    1. Non è un capolavoro letterario, come ho cercato di enunciare nel post (con la massima delicatezza possibile). Direi che la scrittura non impegnativa è riscattata dalla bellezza della storia.
      Certo, i grandi romanzi storici sono altra cosa, piuttosto si sarebbe potuto avvicinare a certo Verismo, ma le fanno difetto l'approfondimento psicologico e le descrizioni. Però... però con questa scrittura così leggera e "scorrevole" (termine che detesto ma rende bene il concetto), la Auci ha conquistato centinaia di migliaia di lettori ed è arrivata a questa trasposizione per la tv. Insomma, tanto di cappello. Probabilmente impariamo che ci sono romanzi che non sopravvivono al confronto, ma devono essere presi in sé, in una sorta di valore intrinseco.
      P. S. Beppe Fiorello... proprio no. Thumb down. Avrei visto molto bene Michele Riondino nei panni di Vincenzo Florio.

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  7. E' un gran bel libro e in molti me ne hanno parlato bene. Appena posso lo leggerò anch'io
    Un salutone

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    1. Un bel racconto di saga familiare, poi fammi sapere. :)

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  8. Non l'ho letto, me ne sono tenuta distante perché troppo pubblicizzato (a volte il marketing funziona al contrario su di me). Ad esempio non sapevo che fosse "storia vera", che i Florio fossero esistiti e che queste fossero le loro vicende romanzate.
    Dalla tua recensione penso che avrei qualche difficoltà: salvo qualche rara eccezione, non amo i romanzi storici (sebbene quelli che chiamiamo classici oramai vi rientrano, direi) e qui incespicherei soprattutto nel dialetto, che non capirei a fondo. Ma chissà, potrebbe essere un'eccezionale scoperta... :)

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    1. Anch'io ricordo di aver letto decine di post riguardanti questo romanzo, il che non è precisamente il motivo per cui poi l'ho letto. Diciamo che il binomio "Sicilia + famiglia realmente esistita" funziona per me molto bene e mi hanno fatto venir voglia di leggerlo.
      Il dialetto nel romanzo si gusta molto bene. Ricorda anche solo vagamente l'uso che ne fa Camilleri.

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  9. Io l'ho letto e l'ho amato moltissimo(tanto che mi ha spinto a fare ricerche in rete sui Florio) ma io sono un amante appassionata della Storia mentre i dettagli psicologici dei personaggi troppo prolissi a volte mi annoiano.
    Era perciò il libro giusto per me, infatti attendo con ansia il seguito
    ciao
    Betty

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    1. Come ho scritto nel post, anch'io sono stata spinta a fare ricerche sulla storia dei Florio, che davvero merita di essere conosciuta.
      Non cercavo prolissità, ma quella sottile capacità di rendere il personaggio entrando meglio nella sua personalità. Un dettaglio che ahimé manca quasi del tutto. Vero è che la narrazione procede quasi esclusivamente attraverso l'azione, scelta diffusa nella letteratura contemporanea, quindi ci sta. Anch'io aspetto il seguito, che leggerò, ma senza aspettarmi nulla di più rispetto a questa prima parte.

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