mercoledì 27 maggio 2020

L'eredità delle dee - Katerina Tučková

Incipit: Dentro non si vede niente. Si solleva sulle punte, appiccica il naso al vetro per sbirciare al di sopra della tenda, appesa a metà finestra. Tra i rigogliosi cespi di gerani che di solito pendono all'esterno e oggi, per motivi incomprensibili, sono intrappolati dietro i vetri, è tutto buio. Ma è quasi sempre così. Attraverso quelle finestrelle la luce filtra in casa solo nelle giornate di sole. 

Questo è uno dei tre libri che mi sono arrivati in dono durante la quarantena, inviatimi da persone molto care. 
Ci conosciamo poco, eppure hanno scelto per me dei libri che rispondono non solo ai miei gusti, ma che sono pregni di significato, di valore. 

Con questo romanzo, un best seller tradotto in 15 lingue, ho potuto incontrare per la prima volta la letteratura ceca, e questa giovane autrice dallo stile fluido e accattivante.
Anche la veste tipografica è di quelle belle, l'editore Keller ci regala una copertina doppia con all'interno una tavola di piante officinali, quelle utilizzate dalle misteriose protagoniste del romanzo.

Definirlo "romanzo" è riduttivo, perché questa storia è stata messa insieme attingendo a fonti iconografiche ed etnologiche patrimonio della regione morava fra Repubblica Ceca e Slovacchia, territorio chiamato dei Carpazi Bianchi. 
Ecco, immaginate di immergervi in quelle terre di questa Europa orientale che la tradizione ha conservato pressoché intatte, ricche di riferimenti a un passato sepolto in secoli di usi e costumi. Piccoli villaggi incastonati in una natura che le genti conoscono bene, poiché ne sanno indovinare stagioni e movimenti. Gente semplice, che ancora oggi conserva la genuinità di un passato remoto, popoli che si trovarono stretti nella morsa del nazismo prima e poi del comunismo

La storia è una lunga e tenace ricerca compiuta dalla protagonista, Dora Idesová, sola e con un fratello disabile, nata da un padre femminicida che uccide la propria moglie brutalmente. 
Allevata assieme al fratello dalla zia Surmena, Dora entra nel mondo delle guaritrici di Zitková, chiamate "dee", le donne che posseggono un dono che si tramanda da generazioni, quello di curare, leggere il futuro, cambiare i destini di coloro che vanno a bussare alle loro porte. 
In particolare, Surmena è una delle più potenti perché è in grado di modificare le forze della natura - notevole la scena della lotta contro la tempesta. 
Sembrerebbe una bella favola, invece non lo è. Nel villaggio vigono comportamenti ambigui, invidie e gelosie tra le famiglie, denunce, perfino omicidi. E una maledizione che grava sulla famiglia di Dora, distruttiva fino al finale. Eppure è la Storia a schiacciare realmente le vite delle dee.

La scrittrice Katerina Tučková

L'ombra della Storia sulle dee.
La tradizione delle guaritrici morave è antichissima e non poteva sfuggire alle maglie dell'Inquisizione al tempo della caccia alle streghe. Di fatto, nella sua ricerca, Dora si imbatte in documenti di processi tenutisi secoli prima, con tanto di torture e condanne al rogo. 
La scrittrice, nel ricostruire il percorso della protagonista, si rifà a tutta una serie di documenti in cui si racconta che per un certo periodo la tradizione delle dee suscitò l'interesse del nazionalsocialismo, al tempo della politica di annessione di Hitler e in pieno periodo di teorizzazione delle origini ariane del popolo germanico. Le guaritrici vennero ritenute discendenti della stirpe "nobile", in virtù dei loro poteri - è noto questo aspetto magico/mistico del nazismo
L'intreccio è complesso e annovera molti personaggi che via via ci portano verso un epilogo inevitabile, ma ciò che commuove è la fine di Surmena. Una mattina viene convocata per un interrogatorio da cui non farà più ritorno, viene reclusa in una clinica psichiatrica e programmaticamente distrutta, mediante farmaci ed elettroshock. 
Sono i metodi del socialismo nel quale nel dopoguerra l'Europa dell'est viene risucchiata, un'ideologia che non tollera queste antiche usanze legate al mistero. 

L'etnologia custodisce il segreto dei popoli.
Come saprete, ho compiuto studi di antropologia all'università, e fra questi un paio di esami di etnologia indimenticabili. L'etnologia è una disciplina con la quale si schiudono mondi sconosciuti, a volte perfino incredibili. 
Prendiamo il nostro paese, l'Italia. Su tutto il territorio italiano sono disseminati centinaia di usi e costumi antichissimi, ancora in vita nei piccoli centri, nei villaggi, nei luoghi lontani dalle grandi città. Provare per credere. 
Provate a fare una passeggiata in zone sconosciute della vostra regione e vi imbatterete in mondi che non pensate esistano ancora. Mi capitò molti anni fa, quando viaggiai nelle zone più interne della provincia cosentina, fino a imbattermi in comunità di Arbëreshë ancora intatte, con tanto di lingua, costumi tradizionali, pettinature, usi tipici di comunità antiche. Ma questo è nulla. Più impressionante fu scoprire che in zone insospettabili esistono usi come il picnic nel cimitero, intere comunità che si trasferiscono nei cimiteri il Giorno dei Morti, con tanto di vettovaglie e paramenti da festa con cui imbandiscono le tombe. Cose che avrei immaginato solo in Messico!

La pièce teatrale tratta dal romanzo, andata in scena a Praga

Conoscete qualche usanza particolare della vostra regione d'origine? 
Vi è mai capitato di assistere a qualche cerimonia rilevante dal punto di vista etnologico? 

17 commenti:

  1. Non sono molto aiutata nello scoprire le particolarità dei luoghi dal fatto di avere avuto una famiglia mista ferrarese, maceratese e bolognese, e di essermi spostata più volte nella mia vita. Qui in Friuli, però, terra di confine, le tradizioni sono tante, con grandi differenze nel dialetto anche a pochi chilometri di distanza. Spero che approfondirò un po' la loro conoscenza, nel tempo.

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    1. Mia madre aveva una cara amica friulana. Si trattava di una famiglia che si era trasferita in Calabria momentaneamente e con spirito di iniziativa aprirono un bar-rosticceria. Li frequentavamo spesso e ricordo che usavano una lingua del tutto lontana dall'italiano, se non sbaglio si trattava di ladino. La cucina era anche molto particolare, aveva anche qualcosa di slavo, sapori e profumi lontani da quelli cui eravamo abituati. Questa famiglia di friulani fu un divertente diversivo per qualche anno. Li ricordo ancora con molta simpatia. Le loro usanze sono tante e tutte molto interessanti, non è escluso che abbiano pure questo tipo di veggenti di cui si parla nel romanzo.

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    2. Sono sicura di sì. Del resto queste figure esistono in molte culture. In Friuli si parla ladino, o qualcosa di molto simile, a parte le zone più meridionali, di pianura, dove la lingua si è venetizzata.

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  2. Anche per me questo libro ha avuto il particolare merito di riportarmi agli studi universitari, anche se per ragioni diverse. Penso che le manifestazioni folkloristiche più interessanti della mia regione siano quelle delle comunità cimbre, fra la Lessinia veronese, il Vicentino e il Trentino meridionale: mi affascinano le leggende delle foreste, la lingua a rischio di estinzione, i modi di vita che ancora gelosamente si conservano. Chissà se ci sono tracce di figure simili a quelle delle dee anche in questa tradizione...

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    1. Non lo escluderei. Mi ricordo che anche in Calabria, e non fino alle comunità albanesi, ma proprio nella provincia più vicina, c'è questa tradizione di donne "guaritrici". Una la conoscevamo perché era amica d'infanzia di mia madre. Non che fosse come le donne del romanzo, per carità, ma riusciva in cose come la risoluzione di un brutto mal di testa, sapeva alleviare il gonfiore delle gambe, aveva un particolare modo di massaggiare da riuscire a infondere subito una sensazione di leggerezza. Anche nella tua regione la ricchezza etnologica è sconfinata, sì. Peccato che non si parli di queste realtà, non le si valorizzi se non all'interno delle stesse, per puro spirito di sopravvivenza.

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  3. Ciao Luz,

    sul momento mi viene in mente il Grasmere Rushbearing. Nel villaggio di Grasmere, nel Distretto dei laghi, ogni anno, a luglio, si tiene una processione in cui frasche e giunchi che crescono sulle sponde del lago sono portate alla chiesa e accomodate sul pavimento. Si tratta di una tradizione antica che risale a quando i pavimenti delle chiese non erano pavimentati e, ogni anno, si copriva la nuda terra con le frasche che crescono vicino al lago.

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    1. Da quanto tempo, Ludo! Bentornata, spero di rileggerti come un tempo.
      Ho visto diversi siti della celebrazione che citi, molto interessante. Fa parte del folklore e forse proprio questa è la parola chiave di tante tradizioni assomiglianti a quanto è narrato nel libro.
      Molto interessante, grazie.

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  4. Ciao
    A suo tempo avevo cominciato una serie di post sulle figure del folklore regionalistico italiano, per quanto riguarda il Veneto posso raccontarti la tradizione del Filò, un tempo gli abitanti di uno stesso villaggio contadino durante gli inverni rigidi avevano l'abitudine di riunirsi dentro un unico fienile riscaldato per passare le notti, gli uomini utilizzavano spesso l'occasione per bere un poco di più, i giovani ne approfittavano per conoscersi e molti corteggiamenti cominciavano in quell'occasione. La cosa interessante è che per passare le ore, le persone si mettevano davanti ad un fuoco e gli anziani e le anziane raccontavano storie e leggende locali, si cominciava di norma col rammentare antichi accadimenti del villaggio e si finiva con racconti sulle streghe e sui fantasmi locali.

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    1. Bello, perché in pratica hanno creato un'apposita occasione di aggregazione del villaggio.
      Questo cercarsi nelle comunità è tipico, un tempo anzi lo stare assieme, ogni forma di aggregazione, era fondamentale per queste culture molto antiche. Ed è significativo che certe usanze abbiano un riverbero anche nel presente.

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  5. So che in Puglia esiste una comunità di Albanesi che parlano la lingua e seguono i costumi dell'Albania, non ho avuto modo però di conoscere questa comunità da vicino. Credo comunque che l'Italia sia piena di queste realtà interessanti.

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    1. Sono le comunità Arbëreshë che ho citato nel post. Ce ne sono moltissime e tutte per la maggior parte disseminate nel meridione, per ovvie ragioni di vicinanza. Antichi popoli in fuga dall'assalto di pirati e Turchi. Mi ricordo di avere avuto due colleghe universitarie di origine albanese, italiane a tutti gli effetti ma pur ventenni con una certa conoscenza della lingua delle origini. Era una delizia sentirle parlare.

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  6. Vedi? Ti posso dire una cosa sincera? Io non avrei scommesso un euro su un libro del genere. La copertina non mi prende e il titolo ancora meno, eppure, ora che ho letto la tua recensione, ammetto di essere incappata nuovamente in uno dei miei famosi pregiudizi. Sembra una gran bella storia, piena di contenuto e significato. Come puoi immaginare la Sicilia è terra di riti e tradizioni che si tramandano, sono per la gran parte tutte di matrice religiosa e, forse, non troppo “originali” come quella del picnic al cimitero, che io trovo un’usanza straordinaria: ci scriverei un racconto, quasi quasi!

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    1. Ah ah ah non mi stupisce affatto, Mari'. Anch'io ho avuto la tua stessa impressione appena vista la copertina. Per non parlare dell'autrice sconosciuta. Il titolo è banale nell'edizione italiana. In realtà si intitola "Le dee di Zitkova" e io lo avrei lasciato così. Succede che un libro ci trovi diffidenti quando non ce lo scegliamo. Poi ho preso in considerazione la sensibilità e l'intelligenza di chi me lo ha donato e mi sono fidata al volo.
      Considera SEMPRE che se un romanzo "non vale la pena", non lo troverai mai recensito da me. O se lo farò (nelle prossime settimane te ne darò prova) è per capire cosa non ha funzionato e magari per salvare quello che c'è di salvabile.
      Quanto a quello che scrivi, amerei moltissimo leggere un tuo racconto sulle usanze di Sicilia. Ti prego, scrivilo. :)

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  7. Niente, non mi viene in mente niente di straordinario o eccentrico o particolare della mia zona. Devo risalire ai ricordi di bambina, con i nonni ancora in vita, e anche allora niente di particolare, tutti rituali di origine cattolica, condivisi con il resto d'Italia...
    Comunque tu nomini i Carpazi e il mio pensiero veloce va a Vigo il carpatico, nato 1505, morto nel 1610. Noto anche come Vigo il Crudele, Vigo il Torturatore, Vigo lo Schifato, Vigo il Sacrilego. Costruito talmente bene per il film Ghostbusters II che ancora oggi qualcuno crede che la leggenda sia vera... Ma del resto i Carpazi fanno da sfondo alla Transilvania di Dracula, sono zone naturalmente ricche di immaginazione e fascino.

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    1. Sì, quei luoghi dell'Europa orientale sono intrisi di storie tutte molto particolari e non è un caso che vi abbiano guardato anche romanzieri inglesi in epoca vittoriana. Sappiamo pochissimo di quella parte d'Europa, ahimè.

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  8. Come al solito, splendida recensione... grazie per averci proposto questo libro, che sembra un'autentica chicca, e averci presentato questa promettente autrice.
    Per quanto riguarda usanze o cerimonie in uso nella mia regione, al momento mi viene il carnevale di Bagolino con le figure dei Balarì (ballerini e suonatori) e quelle grottesche dei Maschér (maschere). E, a proposito di streghe, vicende di cui è ricca la stessa Milano, per esempio con le streghe che si radunavano nel bosco del Quadronno, oggi una zona densamente popolata e all'epoca fuori dalle mura cittadine.

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    1. Grazie per avere apprezzato, Cristina. :)
      Ecco, non avevo mai letto o sentito parlare di questi Balarì e Machér ma la bellezza di queste tradizioni è la somiglianza fra esse. Singolarissimo come anche a distanza di migliaia di chilometri l'uomo sia ricorso alle stesse forme, o molto simili, per la rappresentazione di un qualcosa.

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