L'espressione più comune quando viene a mancare qualcuno che è stato particolarmente importante è siamo un po' più soli, e forse è proprio così da qualche giorno, da quando è esplosa notizia della morte di Umberto Eco. Scrittore, filosofo, semiologo, non sono che etichette che non ne esauriscono il genio e l'intelletto, perché Eco è stato un maestro anzitutto, una di quelle menti intessute di cultura e con il dono della curiosità, con lo sguardo attento sul tempo dal passato fino al futuro immaginabile. Una delle sue ultime affermazioni, quella sulla libertà di espressione
agli imbecilli che i social sanno offrire è solo una delle infinite
arguzie di questo grande studioso - e per altro mi trova del tutto d'accordo.
La prima volta che mi imbattei nel suo genio fu nei primi anni universitari, quando ebbi modo di studiare alcuni suoi saggi e testi durante due esami di Semiologia delle arti. Conoscevo l'autore de Il nome della rosa, il film di Annaud che ci aveva stregati nel 1986, fu una scoperta esaminarne gli scritti per quei due esami. L'arguzia, la dialettica rigorosissima e allo stesso tempo ironica, l'analisi dei linguaggi, irrinunciabile per studenti che intendevano formarsi su quelle particolari e attualissime discipline, fu un'esperienza che ricordo con tutto il piacere dell'arricchimento che ne è derivato.
Più avanti lessi il celeberrimo Il nome della rosa, romanzo storico di ambientazione medievale, cercandovi quel suo stile impeccabile e fu un piacere ritrovarvi lo studioso, che in quell'occasione si era dilettato nell'inventare un intreccio avvincente. Il romanzo, edito nel 1980, vincitore del Premio Strega, "fra i cento libri del secolo" secondo i francesi, aveva suscitato entusiasmi in tutto il mondo, fino ad approdare all'importante produzione cinematografica. Fu un successo confermato e Eco divenne celebre. Col tempo, più volte dichiarò di detestare quel romanzo, che in fondo a suo parere non era stato che un artifizio che si era divertito a costruire, mescolando generi differenti, e in qualche modo frutto di un otium intellettuale.
Qualche anno dopo lessi L'isola del giorno prima, nel quale il naufragio e i mille espedienti per raggiungere la terraferma sono innumerevoli, ciascuno un'attenta citazione di strumenti d'epoche antiche. Anche qui quello di Eco non è che un gioco molto raffinato, e l'impressione è che abbia sapientemente intrecciato conoscenza, anzi sarebbe meglio dire erudizione, e immaginazione. Mi era piaciuto molto Il nome della rosa, questa lettura fu un'esperienza differente, che spostava l'osservazione da un monastero benedettino durante il Medioevo a un vascello naufragato nel XVII secolo, ricco di cose che il protagonista scopre pian piano. Ricordo che il finale mi lasciò spiazzata e in parte anche insoddisfatta.
Poi fu la volta di Baudolino, che ricordo per la fatica che costò portare a termine la lettura. Non lo mollai, fiduciosa nell'innegabile utilità di ultimare un romanzo poderoso come quello, perché Eco è scrittore prolifico e imbevuto di sapere, quindi si è coscienti di cosa ci si possa trovare dinanzi quando lo si sceglie. Ne uscii frastornata, a oggi non posso dire che mi sia piaciuto, forse lo lessi nel periodo meno adatto ad affrontare una lettura come quella, chissà. Certamente Eco aveva scelto uno stile, quello della fittissima ricostruzione storica, nulla lasciato al caso, un lavoro rigoroso e in linea con le sue scelte stilistiche di sempre, quelle che lo avevano reso noto in tutto il mondo. In copertina leggo "questo romanzo celebra la forza del mito e dell'utopia", non mi stupisce il connubio.
La misteriosa fiamma della regina Loana mi divertì molto. Qui Eco fa un viaggio nella memoria che gli appartiene, l'intreccio non è che un espediente che gli offre l'opportunità di percorrere il tempo cui guarda nostalgicamente. E' un romanzo che di differenzia molto dai suoi notissimi intrecci storici, è ricco di ironia, di leggerezza, pur celata dietro il rigore che sempre gli è stato proprio. Se devo consigliare uno dei libri di Eco definendolo imperdibile, è proprio questo. Una sorta di gioco in cui lo scrittore si diverte a ripercorrere infanzia, giovinezza, attraverso l'osservazione di linguaggi appartenuti a quelle epoche, straordinario come si possa far conciliare ironia a rigore.
Se guardo a questo immenso maestro, mi piace ricordare l'anno in cui scrissi
la mia tesi seguendo i consigli del piccolo saggio dedicato a questo momento tanto importante della formazione, Come si fa una tesi di laurea. Uno di quei testi che tutti i laureandi dovrebbero leggere, e allo stesso tempo un piccolo saggio a prescindere, che analizza gli intenti, le scelte, i tempi, la metodologia di compilazione. Ricordo che il principio fondamentale di cui Eco scrive è che è impossibile scrivere una buona tesi se non si possiede passione per ciò che si scrive, se non si ha entusiasmo, curiosità, ecco perché è necessario che lo studente scelga il suo argomento e non gli venga imposto. Sul finire dei miei esami, due docenti ai quali chiesi di farmi da relatore dissero che lo avrebbero fatto se avessi accettato la proposta di un tema dato da loro, evidentemente bisognosi di materiale per le loro pubblicazioni - atto assai discutibile. I suggerimenti di Eco nel suo mirabile piccolo libro mi portarono invece a sviluppare il tema che io preferivo, così mi laureai con una tesi in Antropologia culturale sulla donna fra i nativi americani.
Ieri ho sentito una definizione diversa di questo maestro: "Umberto Eco è il Pico della Mirandola del nostro tempo", e credo che non ne esista una che lo descriva meglio, perché Umberto Eco è stato umanista, imbevuto di sapere enciclopedico, abile con la parola, cultore della memoria - lui che ha detto "l'uomo non è nulla senza memoria" - lettore originale della cultura di massa, intellettuale che lascia una traccia profonda nel sapere.
Splendido post. Un modo molto bello di ripercorrere l'influenza di Eco sulla tua vita tramite le sue opere. "L'uomo non è nulla senza memoria" è una sua citazione che non conoscevo. Grazie per questa perla e per i consigli sulle sue opere! :)
RispondiEliminaGrazie per questo ulteriore apprezzamento. Un abbraccio.
EliminaNon l'ho mai affrontato come autore, salvo che per L'atlante dei luoghi immaginari, che è però più un'enciclopedia che altro. Mi riprometto da diverso tempo di leggere La misteriosa fiamma della regina Loana perché ho amato tantissimo l'omonima storia a fumetti di Cino e Franco.
RispondiEliminaSono certissima che l'apprezzeresti molto.
EliminaE' un libro molto "al maschile", per altro, ti piacerebbe.
Pur senza aver mai desiderato incontrarlo di persona, mi piaceva sapere che era da qualche parte a scrivere e a pensare. La notizia della sua morte, la certezza che non ci saranno più altri romanzi o altri saggi mi ha lasciato una tristezza infinita.
RispondiEliminaCome sai, condivido il tuo pensiero.
EliminaCi sono persone la cui sola esistenza fa parte del nostro quotidiano, grandi nomi della cultura, dell'arte, che sono assieme a noi da sempre. La fine del loro viaggio è toccante, si sente che manca qualcosa.
Io ho letto solo Il Nome della Rosa, tanti anni fa che nemmeno me lo ricordo più. Direi che ormai è uno di quei libri irrinunciabili della letteratura italiana, come I promessi sposi, Il fu Mattia Pascal e altri intramontabili capolavori.
RispondiEliminaSì, anch'io credo che rientrerà a buon diritto fra i grandi nomi della nostra letteratura.
EliminaPer me è stato un momento molto triste: Eco è uno dei pochi scrittori italiani che apprezzo, pensare che non ci saranno più nuovi libri è piuttosto demoralizzante :P
RispondiEliminaTra tutti i libri letti dell'autore, Il nome della rosa è quello che mi è piaciuto meno (la scala di giudizio parte alta però eh!). L'isola del giorno prima è il titolo in assoluto che preferisco: leggerlo è stato compiere un viaggio incredibile, atlante alla mano (e non solo: in consultazione svariati altri tomi XD). Baudolino è il più intelligente affresco della mania delle reliquie mai pensato, oltre ad essere un romanzo sottilmente ironico e assai divertente! E La fiamma... è un recupero della memoria non troppo lontana.
Fortuna che mi manca ancora Il pendolo *__* E poi passerò alle varie riletture -_-
Non immaginavo lo avessi "attraversato". Felice che lo abbia apprezzato anche tu.
Elimina"Di cosa ci vuole parlare?" "Umberto Eco, Il Nome della rosa."
RispondiEliminaEra il lontanissimo 1983, il romanzo di Eco era uscito da pochissimi anni, stava appena iniziando a diventare il caso letterario che tutti oggi conoscono (all'epoca i best-sellers non scoppiavano nel giro di un mese, spesso forzatamente, come ormai accade oggi).
A me toccava l'esame di maturità. Liceo Artistico. Fatti gli scritti i primi di Luglio (Tema su Leopardi e disegni di figure a carboncino per 'Figura disegnata') era consuetudine portare all'orale alcune materie come preferenziali e almeno un argomento "a piacere", come domanda di apertura.
A me venne in mente un pò follemente di buttare tutti i programmi di storia, letteratura e arte e portare come argomento a piacere il romanzo di Eco. L'idea era mettere insieme, esattamente come lui ha fatto per tutta la vita, gli aspetti letterari, quelli storici e quelli artistici (in quel caso specifico l'arte medievale), cuciti insieme dalla lettura dei segni che era la sua materia, la sua invenzione, il suo contributo fondamentale alla cultura mondiale.
Il romanzo lo avevo letto, e mi aveva fatto impazzire. Per prepararmi quindi mi misi a leggere anche altri scritti di Eco, che all'epoca aveva scritto molti articoli e saggi, ma nessun altro romanzo, ché quello ancora era il primo.
Arrivai all'orale il 4 agosto. Nel mio liceo quell'anno si erano presentati qualcosa come un centinaio di privatisti, che fecero gli orali prima di noi. Poi la lettera estratta fu la "C", quindi mi ritrovai a dovermi presentare all'ultimo giorno utile.
Al di là dell'estenuante attesa di un mese intero fra gli scritti e l'orale, questo arrivare buon ultimo, unito all'originalità della mia scelta, mi portò fortuna.
Accadde infatti che dopo un mese consecutivo di "Leopardi, Manzoni, Foscolo, Manzoni, Foscolo, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Manzoni, Foscolo, Foscolo..." la commissione ormai stremata, con probabili istinti omicidi nei confronti di Leopardi, Manzoni, Foscolo e dei loro genitori fino alla quarta generazione, vide arrivare il sottoscritto che alla domanda "Di cosa ci vuole parlare?" si sentì rispondere:
"Umberto Eco, Il Nome della rosa."
I volti si illuminarono, alcuni professori ormai dormienti si risvegliarono, la presidente di commissione, professoressa di italiano, non riuscì a trattenere un sorriso liberatorio che le rischiarò il volto.
E fu almeno mezz'ora di brillanti discussioni su abbazie, monaci, libri antichi, simbologia, portali di cattedrali medievali e sanguinosi omicidi.
Oggi il libro di Eco fa parte dei testi scolastici, con tanto di edizioni appositamente commentate per i licei. Allora fu un'invenzione, e sono soddisfazioni.
L'esame fu trionfale. 60/60. (eh si ragazzi, allora i voti erano in sessantesimi, oggi non lo so neanche più... :-) )
Insomma Umberto, come se non bastasse tutto il resto, ti devo anche questo.
Ciao e grazie.
Alessandro, finalmente riesco a risponderti.
EliminaDeve essere stata una bella esperienza, posso immaginare, se nel tuo ricordo è ancora così vivida. Immagino talmente bene quella commissione che si risveglia. :)
Del romanzo ho anch'io un ricordo intensissimo. Avevo visto il film al cinema, ma nel lessi il libro solo alcuni anni dopo, doveva essere la fine degli anni Novanta, poco tempo dopo il mio arrivo a Roma. Eco mi aveva affascinato durante i miei studi di arte (dapprima ero iscritta all'indirizzo arte della Facoltà di Lettere, poi passai ad Antropologia). Mi colpiva la sua monumentale preparazione ma allo stesso tempo la sua ironia, la capacità di comunicare il suo sapere.
Quanti eruditi ci sono al momento di cui non si saprà mai nulla perché non sanno essere altrettanto "carismatici"?
Grazie del tuo contributo. :)