Oh, Capitano! Mio capitano!, scrive Walt Whitman nel 1865, addolorato per la morte di Abraham Lincoln.
È un'invocazione che molti di noi hanno imparato in un cinema nel lontano 1989, dinanzi a uno dei film più belli mai pensati e prodotti: L'attimo fuggente.
Erano tempi in cui noi 18/20enni non ci lasciavamo intimidire da quelli che oggi vengono definiti "film lenti", non avevamo la sfortuna di essere bombardati dai mille stimoli dell'era digitale e dell'IA.
Noi, i ragazzi degli anni Ottanta, avevamo invece la fortuna di saper assaporare il campo lungo delle inquadrature che giocavano con colonne sonore indimenticabili, saper ascoltare dialoghi in cui si parla di poesia e di vita come "potente spettacolo", saper amare una pellicola ambientata negli anni Cinquanta. Come per ogni generazione, anche allora nella nostra comitiva ci fu chi dormì nel cinema, chi si annoiò, ma si trattava dei soliti buontemponi sfaticati, che non sono mai mancati, quelli che preferivano una partita di pallone al prepararsi per l'interrogazione dell'indomani, che strappavano appena un "6" e festeggiavano per quel poco che la pigrizia e l'indolenza concedevano.
