giovedì 9 maggio 2024

Povere creature! Lanthimos e il suo modo di intendere lo straordinario

Ho terminato la visione di questo film con la certezza che esista ancora un cinema in grado di dirci qualcosa. Un cinema autoriale, di contenuto, ma anche ardito, spiazzante come può esserlo ogni film a firma Lanthimos. 
Di questo regista, sceneggiatore e produttore avevo visto The lobster e La favorita, opere che ha reso riconoscibili, originali nella misura in cui la sua visione diventa scena, narrazione. Dei due apprezzai maggiormente il secondo, con una straordinaria Olivia Colman nei panni della regina Anna di Gran Bretagna, ruolo che le valse l'Oscar. 
Lì una fragrante Emma Stone era la Abigail della scalata sociale che la pone "favorita" della regina e Lanthimos la sceglie nuovamente per questa produzione, Povere creature!, Leone d'Oro alla Mostra internazionale del cinema di Venezia, quattro premi Oscar (Migliore attrice, scenografia, costumi e trucco) e due Golden Globe, oltre a numerosi altri premi e candidature. 

A questa rubrica, il cinema, dedico poco spazio. 
Mi capita ormai raramente di vedere film che mi fanno venire voglia di scrivere. Il mio entusiasmo per Povere creature! mi dà la giusta energia per mettere insieme alcuni aspetti del film, con tutti i limiti del mio non essere un critico esperto. Non sono un critico esperto ma scrivo messe in scena, narrazioni destinate allo spettacolo, e il primo aspetto che ho apprezzato è proprio la storia, l'intreccio. 
Sceneggiatura non originale, nel senso che è stata tratta da un romanzo dello scozzese Alasdair Grey pubblicato nel 1992, Poor things! (vincitore di due premi in Gran Bretagna), ora edito nuovamente in italiano in seguito al successo del film. 
La trama del libro non presenta particolari novità rispetto alla consuetudine di prendere a modello generi e romanzi celebri del passato e rifarli in maniera "moderna". Subito riconoscibile l'ispirazione al Frankenstein di Mary Shelley, ma anche, leggo in rete, reminiscenze da Lewis Carroll e Arthur Conan Doyle. Una sorta di "pastiche", all'epoca pubblicato in Italia in due edizioni: Poveracci! e Vita e misteri della prima donna medico d'Inghilterra

Il medico che ha scritto questa cronaca delle proprie esperienze giovanili è morto nel 1911 e forse i lettori ignari della storia audacemente sperimentale della medicina scozzese scambieranno il libro per un romanzo grottesco. Chi esaminerà le prove fornite in fondo alla presente introduzione non nutrirà alcun dubbio sul fatto che nell’ultima settimana del febbraio 1881, al numero 18 di Park Circus a Glasgow, un chirurgo geniale utilizzò resti umani per creare una donna venticinquenne. Lo storico locale Michael Donnelly non è d’accordo con me. Fu lui a recuperare il testo che costituisce la maggior parte di questo volume, perciò sono costretto a riferire come questi lo trovò. 
Incipit del romanzo

Il punto è tutto lì: prendere un romanzo pubblicato trenta anni fa e credere di poterlo trasformare in una sceneggiatura in stile Lanthimos, che sappiamo non produce film mainstream. Per primo proprio il regista ci crede, e lo realizza così come è nella sua visione. La sceneggiatura di McNamara - già scrittore in La favorita - trasforma il romanzo in un film in cui è evidente il tocco congiunto dei due, perché Lanthimos non rinuncia mai al suo marchio di fabbrica: vuole spiazzare, indurre nello spettatore sentimenti contrastanti, deliziarlo o infastidirlo, è tutto pianificato perché l'occhio che guarda ne ricavi esattamente questo insieme di sensazioni. 
E ogni volta il maestro Lanthimos non delude. Sai già cosa aspettarti. Critica e pubblico lo hanno reso celebre negli anni esattamente per questo "espressionismo", questo eccesso. 
Il talento sta nel rendere l'eccesso come incastonato in uno scenario che nel suo insieme è barocco, colto e greve, una anormalità nella normalità. 
Lanthimos stesso ha dichiarato di aver voluto creare un film pieno di citazioni. Fellini, per esempio, e sono ben felice di aver esclamato durante il film... è molto "felliniano"! Questo per dire che ci sono dettagli rivelatori di tali citazioni. 

Ho apprezzato ogni dettaglio tecnico del film, perché questo film è anche in certo senso un'opera artistica. Dalla fotografia, che spazia dapprima in un bianco e nero in tutte le possibili gradazioni, al colore materico di una tavolozza d'artista, fino agli scenari, vagamente steampunk e per questo sempre sospesi fra reale e impossibile. 
Un'opera colta nella quale ho visto citazioni dal cinema di Méliès (quei passaggi di capitolo che annunciano la prossima città delle lunghe peregrinazioni di Bella), paesaggi vagamente disneyani (la fiabesca Lisbona), il gioco d'incastri fra contenuto e forma man mano che Bella conquista un'identità. 


Bella dinanzi alla città di Lisbona

Il perché Lanthimos sia andato a riesumare questo vecchio romanzo è presto detto. In un'epoca come questa, in cui l'emancipazione femminile è al centro di numerose narrazioni e forse LA narrazione dal movimento #metoo in avanti, Povere creature! è quella perfetta e ha il meccanismo giusto perché il maestro possa divertirsi nel mettere in piedi questa cattedrale. 
Non dimentichiamo però che il romanzo fu scritto trent'anni fa, quando il nuovo femminismo era molto di là dall'arrivare, quindi pensarlo un film neofemminista è a mio parere riduttivo. 
Basterebbe fare un confronto fra romanzo e sceneggiatura e individuare gli snodi lasciati intatti dall'originale e quelli modificati nella riscrittura. Non ho il romanzo, ma in rete leggo che in generale l'opera originale è stata rispettata, suscitando la stessa soddisfazione del figlio dello scrittore, scomparso nel 2019. Qualche inevitabile adattamento, il finale molto più in linea con l'epoca attuale, ma la trasposizione è stata in definitiva fedele al romanzo originale. 
Una donna che traccia la propria rotta verso la libertà. Incantevole...
Bella Baxter e il suo viaggio alla scoperta di sé
Questo paragrafo contiene qualche spoiler. 
Bella è come il Mostro che Victor Frankenstein crea nel celebre romanzo di Shelley: è un'entità rediviva, fatta dal corpo di una donna in stato avanzato di gravidanza, morta suicida nel Tamigi e ricomposta con il cervello del suo feto. 
Operazione estrema, esperimento senza freni, dettato dalla volontà del geniale medico Godwin Baxter di osservare combinazioni in natura impossibili. Ciò spiega anche la presenza di ibridi inquietanti nella sua casa, galline con la testa di cane, cani con la testa di oche, ecc. Godwin stesso è il risultato di atroci esperimenti da parte di suo padre, non possiede stomaco, la sua faccia è un insieme di facce ricomposte, i suoi pollici sono perlopiù inerti, sacrificati per sviluppare abilità senza pollici opponibili. 
Godwin, detto anche "God" e non per pura casualità, alleva Bella, questa donna adulta tale solo nel corpo, fin dai primi passi, imparando anche ad amarla, facendosene padre. 
Va da sé che Bella debba reimparare a stare al mondo. Non possiede sovrastrutture, non conosce le convenzioni sociali né filtri nella comunicazione. È come una bimba di appena due anni, ha bisogni primari e tutto, ogni dettaglio del perimetro in cui si muove e di se stessa, è uno spazio da scoprire. 
In ciò sta a mio parere l'aspetto più affascinante di questo personaggio/metafora. Privati del passato, tornati dalla morte ma con una coscienza e conoscenza tutte da conquistare, cosa saremmo?


Emma Stone durante una scena del film 

Bella è l'immagine dell'essere umano senza sovrastruttura alcuna, nudo e crudo in tutto il suo potenziale, proiettato sui propri bisogni, coi sensi all'erta e una fame incommensurabile di conoscenza.
Il personaggio di Bella risponde a una regola aurea di ogni narrazione: si trasforma, progredisce, evolve, cresce, la primissima Bella e l'ultima sono due donne diverse, l'ultima è frutto di tutte le sue esperienze.
Fra le mura della grande casa di Godwin nella quale è reclusa, Bella scopre l'esplorazione di sé dopo aver esaurito l'esplorazione dello spazio. Il primo impatto con il Sé è il piacere fisico che si provoca, poi l'affinare la comunicazione con l'altro e poi la volontà, quando decide di partire assieme a Duncan Wedderburn, spregiudicato sciupafemmine che non sa di stare andando verso la propria fine.  
E in quel mondo, in quel "fuori" in cui Bella impara a muoversi, sono due le scoperte, la prima delle quali mi ha emozionato: la compassione dinanzi alla povertà più estrema.
Bella dinanzi agli ultimi fra gli ultimi è forse quello che saremmo noi se fossimo del tutto "nuovi" in questo mondo. Sperimenta il dolore profondo, l'inquietudine e in particolare l'irrefrenabile desiderio di "fare qualcosa". È bello pensare che saremmo tutti, o quasi, un po' come lei. 

L'altra scoperta è la scelta di poter disporre del proprio corpo per la sopravvivenza. Qui arriva la parte più controversa della sua storia, perché Bella decide di prostituirsi e lasciare che gli uomini dispongano del suo corpo per procurarsi ogni tipo di soddisfazione sessuale (sono i "furiosi sobbalzi" che aveva appreso con Wedderburn ma amplificati nelle oscure camere in cui si infilano borghesi in apparenza rispettabili). Lo stile Lanthimos emerge in ogni scena. Proviamo raccapriccio, incredulità, perdiamo il contatto con Bella. 
Eppure non mi sono lasciata depistare in tutta questa parte del film. Mi sono concentrata sul talento di Emma Stone e sulla coerenza di Bella, liberandomi di una sovrastruttura "morale". Bella vuole quella libertà, senza sensi di colpa, e il paradosso vuole che la lunga esperienza nel bordello le insegni molto del mondo. 
La tenutaria Sweney le dice: 
Dobbiamo sperimentare ogni cosa. Non solo il bene, ma anche il degrado, la tristezza. Così possiamo conoscere il mondo. E quando conosciamo il mondo, allora il mondo è nostro. 
Quando Bella decide di smettere di essere una prostituta, l'attendono nuove prove, che non svelerò.
Lo straordinario è tutto nella sua trasformazione esperienza dopo esperienza. Assieme a lei si trasformano l'abito che indossa, il colore delle cose, il suo linguaggio sempre più consapevole. Uno dei punti di forza del film sono proprio i dialoghi e le parti narrate. Ad esempio, Bella conquista la parola "circumnavigare", pensando al mondo che ancora non conosce, la sfera semantica del mare per rappresentare una se stessa in esplorazione. Ma ce ne sono tante altre. 
Quella di Bella è una conquista "totale", una volontà che si materializza nel corpo di una donna tornata in vita (e destinata anche a scoprire chi fosse la donna che era, la suicida nel Tamigi). 
È l'eroina che si conquista un posto nel mondo, un corpo che ha vissuto e vive, strumento di conoscenza e di autodeterminazione. E per tutti questi motivi, straordinaria. 

Con Povere creature! Lanthimos ha creato un'opera totale, un'estetica che, sebbene non del tutto inventata, perlomeno è reinventata e incastonata nel suo particolare modo di intendere lo straordinario. 
Consigliatissimo, se vi predisponete a un cinema non all'interno dei soliti canoni, ma pure colto, ricco, esagerato, in una parola geniale. 



Lo avete visto? Conoscete i film di Yorgos Lanthimos? Cosa pensate di questo tipo di cinema? 

11 commenti:

  1. Tanto per riprendere gli interrogativi finali: l'ho visto, conosco i film di Lanthimos, questo tipo di cinema - quello di Yorghos per intenderci - non mi piace.
    Come ne La Favorita - decisamente di altro livello -, gli uomini di Lanthimos sono sempre creature eccentriche e bislacche, e anche stavolta, non vanifica la regola il team centrale formato da: scienziato e chirurgo svalvolato, studente ingenuo, mentore abietto e, dulcis in fundo, marito vannuccizzato.
    In mezzo Emma Stone che senza dubbio giganteggia, sia sparando eccessi all’impazzata, da pupa capricciosa e robotica, sia fino alla sua definitiva, seppur davvero elementare, emancipazione, chiave del film, dove opera a cervello aperto e sorseggia drink conscia della sua autonomia e del suo raggiunto potere.
    Nel mezzo non posso non dare atto di geniali scenografie mozzafiato, ricami surrealisti e colonna sonora di grande impatto, ma l’evoluzione di Bella resta legata a stereotipi di libera e confusa sessualità meccanica (“non dovremmo scegliere noi i clienti?”) mentre non avvertiamo nessun afflato sentimentale se non un sussulto alla notizia della malattia del padre/creatore.
    Bella si dimena (letteralmente) tra le sue (s)coperte, si commuove addirittura per le ingiustizie sociali, sciorina aulicamente a pappagallo nuovi vocaboli, balla gli ormai immancabili balletti marca Yorghos (ormai non salta un film senza 'sti balletti..), si affeziona forse, ma non si innamora mai, rimane “libera” e si arricchisce di soldi e concetti “socialisti” istillati dalla “collega” nera “politically correct”, come nero anche il tipo in nave vestito da bignamino filosofico.
    Bella può abbandonare anche un altare per continuare a scoprire, ma guai a volerla rinchiudere. Una complessità sbandierata che tenderebbe a far fuori preconcetti e falsi moralismi sguazzando nel voler sorprendere a tutti i costi, e mentre tecnicamente riesce, rimane impaludata nel messaggio rudimentale del corpo come passepartout.
    Alla fine un po’ tutte povere creature ‘sti personaggi, lo scienziato manomesso da piccolo che giustamente si rifà col resto del mondo, il sordido avvocatucolo che si scandalizza, il fidanzatino che abbozza sempre, Emma stessa, che magari nei panni della maitresse ipertatuata (e non di strafiga), avrebbe dovuto computare da capo le sue stime di sopravvivenza. Che ne pensi a riguardo?
    E poi c’è Felicity!! Se sei fresca di visione l'avrai ben presente..la nuova ragazzetta automa sperimentale (“avete creato un mostro!”).. e quando portiamo a Parigi pure lei? ;)
    Faccio davvero fatica a definirla "straordinaria"..

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    1. Un commento che rispetto ma non mi vede d'accordo in diversi punti. Lungi da me voler confutare la tua posizione, rispettabilissima anche solo per la capacità di argomentare e "smontare" pezzo a pezzo il racconto, ma... Vediamo.
      Non concordo sull'inconsistenza dei personaggi maschili. Il mentore/padre, interpretato da un Willem Dafoe sempre all'altezza del ruolo, è in realtà un deus ex machina coerente in ogni sua azione, il creatore che sconfina nell'affetto paterno, egli stesso frutto del delirio di onnipotenza di un padre scienziato, suo malgrado copia perfetta del padre/creatore e distruttore. Mi è piaciuto che non abbia impedito a Bella di sconfinare dal regno grottesco e inquietante della casa, e in definitiva abbia assecondato la sua sete di conoscenza. Così come mi è piaciuto il personaggio di Wedderburn, letteralmente devastato dall'emancipazione di lei, il classico seduttore imploso dinanzi all'ineluttabile forza del femminile inarrestabile. Bella da strumento da usare diventa l'utilizzatrice dello strumento Wedderburn per conquistare il suo "fuori".
      Bella è in effetti "robotica", sembra non possedere sentimenti, ma è innegabile la sua metamorfosi, che non può essere troppo "umana" vista la sua origine (la ri-nascita dopo la fantomatica operazione iniziale). Il suo cambiamento non vuole essere la conquista di una umanità, poiché è impossibile che lo diventi. Può esserlo solo nel senso di una conquista di libertà totale. Che sia poi grottesco quel finale è indubbio, ma probabilmente il romanzo è di fatto una totale metafora. È innegabile quel politically correct nella scelta di alcuni elementi del cast, ma non ci ho visto niente di forzato, direi invece coerente, soprattutto se guardi al ruolo cameo di Hanna Schygulla, lei la nobildonna tedesca, lui il personaggio onnisciente, un'accoppiata esteticamente azzeccata. Così come ho trovato azzeccata la fantastica Kathryn Hunter (nota attrice in ruoli maschili nel teatro shakespeareano) nel ruolo di Madame Swiney, una nota molto felliniana.
      Il corpo come territorio e strumento di conquista per Bella sovverte proprio il senso comune dell'intendere il corpo femminile. Anche perché Bella è anche cervello oltre che corpo e smette di usarlo esattamente quando la sua volontà interviene e intercetta nuovi obiettivi.
      Felicity è l'inevitabile, il gioco che ricomincia e pertanto è destinato nuovamente a fallire, il rimpiazzo. Non c'è essere più triste di Felicity, ma proprio il fatto che non possa esserci una nuova Bella fa pensare.
      In definitiva, bisognerebbe dividersi fra quanto mi piace questa trama (che non è originale ma una sceneggiatura tratta da un romanzo) e quanto mi piace la sua trasposizione. Ecco, posso ben dire mi piace la storia e la sua trasposizione. Certo, devo suscitare da me stessa una certa capacità di sconfinare dai miei soliti parametri di giudizio, ma in generale questi film tendono a piacermi perché sono arditi, azzardati, barocchi appunto, ma con dei tratti di genialità nella traduzione della storia in immagini tali da riuscire a stupirmi positivamente.

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  2. Luz carissima hai ragione è una pellicola fuori dagli schemi. Ho visto anche "La Favorita" ma in entrambi i casi mi ha lasciato, forse proprio perché eccessivo, l'amaro in bocca.
    Forse, come scrive anche Franco, ci sono cose lasciate fuori ed altre troppo esaltate.
    Però veramente bellissimo nella recitazione e nella costruzione delle immagini. Arte pura e geniale in affetti. Ma tutto sommato mi è piaciuto molto.
    Grazie per questo tuo interessante ed istruttivo, se non illuminante (almeno per me), post.
    Ciao e buona giornata.

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    1. Pia, hai colto uno dei dettagli del film, l'aspetto della costruzione delle immagini, fondamentale per questo regista. C'è molto di artistico in Lanthimos. Soprattutto da quando s'è spostato dall'Europa agli Usa, dove può attingere a risorse ben maggiori e rendere i propri film particolarmente spettacolari.

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  3. Naturalmente è un film che ha preso un sacco di premi, anche meritati, quindi c’è poco da criticare. La tua recensione va a collocarsi nel seguito di coloro che hanno amato il film. Pure mio nipote, che ha visto tutti i film, lo ama. E io rispetto sempre i giudizi di mio nipote.
    Peronalmente dico solo che, pur amando Emma Stone e Mark Ruffalo e non avendo visto null’altro di Lanthimos, ho tratto alcune conclusioni.
    In generale non sono amante dello stile barocco, in qualsiasi genere di arte, specialmente in quelle visive e letterarie. In scrittura non amo la parola peregrina ma sono sempre stato per sintesi e semplicità. Amo però la musica classica barocca, ma è un altro discorso.
    Lanthimos mi dà l’idea del grande genio europeo, che in altri tempi avremmo chiamato auteur sull’onda di certa cultura cinematografica francese. Non amo questo genere di autore, anche se ne riconosco la grandezza.
    Con gli anni sono diventato estimatore del cinema americano (pur con le sue piccolezze), ossia il sistema industriale in cui si è formata una tradizione nella quale il singolo autore può inserirsi, facendo la sua parte, senza dover essere per forza un genio di assoluta grandezza. So di essere limitato, ma a ben guardare è proprio questo sistema a riconoscere i propri limiti e a osannare l’estemporaneità di opere come Poor things.
    La storia originale, in sé, non mi sembra un guizzo di originalità, Lanthimos probabilmente ha voluto dimostrare il proprio genio anche trasformando un’opera ordinaria in qualcosa di suo.
    Sicuramente un film enorme, audace, visionario, con una prova d’attore della Stone incomparabile. Semplicemente, non il mio genere, credo di aver spiegato perché. Grazie della bella recensione.

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    1. Grazie, il tuo commento mi è piaciuto molto e collima col mio modo di vedere alcune opere per esempio letterarie. A me non piace Garcia Marquez, per esempio, perché non riesco ad andare dietro a una cattedrale come "Cent'anni di solitudine". Ovviamente ci riuscirei se il racconto riuscisse a coinvolgermi dopo le prime 20/30 pagine, ma dopo due tentativi ho desistito. Non direi mai che Garcia Marquez non sa scrivere né utilizzerei quel termine che detesto "sopravvalutato". Semplicemente non fa per me. Non sono la sua lettrice ideale (ho dedicato un post a questo aspetto). Lo stesso effetto potrebbero suscitare in me diversi altri scrittori, lo stesso Proust che per il momento ho abbandonato a due romanzi della Recherche. Sono grandissimi, giganti, ma non sono nelle mie corde.
      Parrebbe un azzardo ma la sensazione che suscitano registi come Lanthimos, Lars von Trier, Payne, i Coen e altri assomiglia a ciò di cui stiamo parlando. Sono registi fuori dai canoni, non mainstream, pertanto raccontano in modo originale. Possiamo esserne spettatori ideali o meno, ma non possiamo non riconoscerne il genio. Mi piace quello che hai scritto.

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  4. Non ho ancora visto il film, ma mi incuriosisce e probabilmente più avanti lo farò. Mi sgomentano sempre un po’ le storie estreme tipo quella di Frankenstein perché mi immedesimo nel mostro e nella sua solitudine, ma questo sembra avere un risvolto diverso…

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    1. Ti consiglio di vederlo. Non so se ti piacerà ma è indiscutibilmente un'esperienza.

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  5. Io, del film, ho ritenuto incredibile la recitazione della Stone e la fotografia. Punto. Per il resto ne sono una detrattrice sfegatata. :D Ho trovato il film tutto brutto e sgradevole nella storia, nei personaggi e nei messaggi fra le righe (non tanto fra le righe). Insulsa l'idea di fare passare per autodeterminazione della donna una scelta che ne mortifica il ruolo: se il "femminismo" che dobbiamo difendere passa dal concetto che la donna è libera di uniformarsi al comportamento del peggiore degli uomini (libertà sessuale sfrenata, che poi diventa anche giustificazione della prostituzione come un semplice affare: "facciamo business" - a un certo punto viene detto, o qualcosa di simile - ) credo non si faccia buon uso della battaglia legittima contro ogni stereotipo sulla donna! C'è pure il fidanzato che, alla fine, è contento che Belle abbia fatto la prostituta e le dice "No problem, il corpo è tuo e puoi farne ciò che vuoi!" Ma quale uomo sano di mente vivrebbe serenamente e beatamente accanto a una donna così, dai! :D Quindi il concetto è: sei moderno e "antipatriarcale" se accetti di vivere accanto a una donna che è libera di fare ciò che vuole col proprio corpo? Poi ci sarebbe la solita questione dei figli, che sono un peso, perché frustrano la libertà delle donne ecc ecc... Allora, a me forse mi sfuggono tanti altri messaggi, poi io non conosco nulla di questo regista, quindi può darsi che non riesca a mettere a fuoco bene le sue tematiche o il suo modo di trattarle e mi ha fatto piacere leggere questa tua recensione perché hai sottolineato altri aspetti validi che invece io ho totalmente ignorato, ma se devo giudicare il film mi viene spontaneo dire che l'unico goal raggiunto è il fare parlare di sé , nel bene e nel male, il riuscire a creare discussione: ecco, questo è il suo reale merito (se proprio vogliamo chiamarlo così) :)


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    1. Probabilmente questo film vuole accordarsi al nuovo femminismo di questa epoca, ma poi lo snodo è tutto lì, non vuole essere una dimostrazione di lotta al patriarcato, vuole essere come una di quelle opere d'arte che, fuori dai canoni, non puoi etichettare dentro un filone narrativo. Come scrivevo nel post, non si perda di vista che il romanzo risale a un trentennio fa, quando il nuovo femminismo era molto lontano. Leggere ogni passaggio di sequenza alla luce di quanto dovrebbe diventare tradotto in termini di nuovo femminismo è fuorviante. Questo film non ci sta dando quei messaggi, non dobbiamo commettere l'errore di tradurre ogni conquista della protagonista come conquista legittima e possibile di una donna "X" oggi. Il racconto è simbolico, una metafora costruita in perfetto stile Lanthimos.
      Non so se potrebbero piacerti, ma se desideri uscire dai soliti canoni di sceneggiature comuni, se vuoi sfiorare il senso di un cinema diverso (se non lo hai già fatto, s'intende), ti consiglio film come Dogville, Melancholia, il Decalogo di Kieślowski per dirti qualche titolo. Non so se potranno piacerti, ma ci potresti trovare un "qualcosa" che ti renda più agevole cogliere alcuni aspetti di un film fuori dai canoni. Io ebbi la fortuna di andare anche verso questo cinema con un corso di Filmografia all'università. Mi si aprì un mondo. Mea culpa, non riuscii ad apprezzare tutti i film di Pasolini (era il cuore del nostro studio monografico), in primis Sodoma e Gomorra (sono uscita dall'aula in preda a una forte angoscia e a nausea), ma sfiorare quel tipo di cinema mi ha fatto guardare a nuovi scenari e oggi cerco di utilizzare quelle conoscenze per cogliere aspetti che, all'apparenza, potrebbero risultare troppo semplicistici o di immediata aderenza con la nostra esperienza. Dovrei riprendere quel filone, però, perché ne avrei di film da scoprire.

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    2. Uh, io adoro Kieslowski: ho visto la Trilogia, Film blu il mio preferito e, per carità, ho visto così e colà pure le 120 giornate di Sodoma di Pasolini (orribile!). Comunque, mi ripropongo di approfondire questo Lanthimos: ho fatto prevalere i miei pregiudizi forti su un certo cliché, oggi, nel cinema (come nella letteratura) sull'universo femminile in ribellione (diciamo così). Il romanzo è del 1992, nemmeno tanto risalente, forse bisognerebbe leggere anche quello per dare un giudizio, poi, sull'interpretazione che ne ha fatto il regista.

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