martedì 7 marzo 2023

Age Pride - Lidia Ravera (sul perché "vecchio" può essere anche "bello")

Incipit: Non ho mai visto mia madre felice. 
Non l'ho mai vista appagata, contenta di sé o di me.
Non l'ho mai vista contenta. 
Non l'ho mai vista fiera dei miei progressi, solidale quando mi scontravo con i miei limiti e ne uscivo frustrata e decidevo di provare a superarli, perché questo è il lavoro dei bambini.
Non l'ho mai sentita complice, non abbiamo mai giocato insieme. 

Termino questo librino di un centinaio di pagine consapevole di aver imparato qualcosa di importante. È uno dei regali più belli che può farti una lettura. Farti uscire cambiata riguardo a una certa idea, all'idea che ci si fa di una cosa benché lontana. 
Cominciamo però dalla sua autrice, Lidia Ravera. Ho avuto il piacere di ascoltarla, assieme a Marina Guarneri, alla Casa delle Letterature a Roma. Proprio oggi, per pura combinazione, anche Marina ha pubblicato le sue riflessioni su questo libro. Le trovate qui
Proprio quella Ravera del best seller degli anni Settanta, Porci con le ali, uno dei più importanti esponenti del femminismo vero, quello che assieme alla generazione di poco maggiore rese vincenti i baluardi aborto e divorzio, la giornalista e sceneggiatrice. Insomma, una rappresentante di spicco dell'intellighenzia che lasciò un solco nella storia italiana.  
Oggi 72enne, Lidia Ravera appartiene a quell'ambito di intellettuali che ancora militano in campo politico. 
Varcata la soglia dei settant'anni, ha cominciato a sentire su di sé il peso degli anni, a prendere coscienza di un'età, quella che definisce orgogliosamente "vecchiaia", senza abbellimenti sul tipo di "silver" o "senior", ma proprio vecchiaia, terza età, e lo scorso anno, durante il Salone del Libro di Torino, ha tenuto un dialogo sul fenomeno "vecchiaia" con la filosofa Maura Gancitano. Da qui alla proposta della Einaudi di farlo diventare un libello di riflessioni è stato un passo. 
Sì, ma che c'entro io con un libro di un'anziana sugli anziani? Beh, come mi è già capitato di scrivere, superati i cinquant'anni per me è diventato normale cominciare a pensare all'età futura. 
Sono pensieri che arrivano e portano riflessioni sulla logistica del futuro (arriverò alla vecchiaia? sarò una vecchia sana o ammalata? come fare a provvedere al mio accudimento? a chi lascerò tutti i libri che possiedo? e la casa?). Non che me ne faccia un'ossessione, ma il pensiero a volte esplora gli eventuali scenari, anche perché, non avendo figli, devi fare i conti con bisogni diversi. 
Per farsi trovare pronti. Se si è di natura previdenti, si è naturalmente portati a pensarci. 

Accanto a ciò, mettete anche che mi interessano i discorsi di questo tipo a prescindere. Come era ritenuta la vecchiaia in epoche passate? Come è ritenuta adesso? Quale peso hanno gli anziani nella società? E un'anziana che per giunta è anche donna? 
Ebbene, questo librino è sotto molti aspetti una rivelazione. 
Ravera parte dalla constatazione che, essendosi allungata l'età, oggi ci sono molti più vecchi, non sono più una "minoranza silente" come al tempo in cui era bambina. 
Nel 1960 gli italiani ultrasessantacinquenni erano il 9 per cento della popolazione, oggi sono il 23 per cento. Oggi la vecchiaia è un fenomeno di massa. 
E proprio perché "massa", scrive, la compagine degli anziani potrebbe rivestire un ruolo, in particolare coloro che hanno avuto parte attiva nelle lotte sociali del passato, ma in generale ogni anziano, perché depositario di sapere ed esperienza. C'è però un piccolo problema.
Peccato che le persone nate fra il 1946 e il 1964, meglio note come baby boomer, di essere vecchie, o quasi vecchie, si vergognino. 
Peccato che provino, per il proprio involucro terrestre, per l'usura della pelle, per gli inevitabili cedimenti e smottamenti della muscolatura, quel sentimento di disgusto che pensavano non avrebbero mai provato. 
Parlo delle donne, innanzitutto. 
Donne che negli anni Sessanta fecero la rivoluzione dei costumi, si riappropriarono del proprio corpo, vissero liberamente la sessualità, inseguirono libere il piacere, furono più consapevoli della loro fisicità, oggi, da vecchie, rifiutano quello stesso corpo. Se è innegabile che la bellezza di un tempo è solo un ricordo, esserne schiave, scrive Ravera, è un grave segno di debolezza. 
In ciò c'è una prima grande differenza con gli uomini. Detestano invecchiare, ma per il calo di testosterone, viene loro a mancare quella stessa potenza sessuale. Non sono del tutto schiavi del loro corpo (anche se si moltiplicano le vendite di prodotti di cura del corpo per uomini, per non dire di filler e lifting, aggiungo io). 

Lidia Ravera

Le donne detestano il proprio corpo invecchiato in particolare perché non sono più oggetti del desiderio. Non sono attraenti dal punto di vista sessuale. 
Eppure la vecchiaia possiede delle prerogative altrimenti non possedute, o non ancora. E se si è agito in passato tenendo presente il rispetto di sé, allora ce la si può fare a ritenerla un'opportunità. 
L'appello è rivolto ai vecchi di questo presente che sono i primi a essere diventati "massa". Sono la prima generazione giunta a vivere tanto a lungo. Se prima i vecchi erano quella minoranza abbandonata e ignorata, "che moriva in famiglie grandi", oggi quelle famiglie numerose non esistono più e gli anziani possono conquistarsi una propria posizione. 
Stiamo ovviamente parlando di chi può permettersi di fare discorsi del genere. Salute e sicurezza economica possono rendere la vecchiaia quel "mondo ancora da esplorare".
Leggendo, mi rendevo conto che Ravera doveva rivolgersi a questa categoria precisa, perché si sa, gli anziani in grado di vivere in piena salute e con una pensione equa non sono tanti, anzi. 
E da lei, che è nata e vissuta nell'alta borghesia romana, aspettavo un cenno al problema che, con sollievo, ho letto in pagine appositamente dedicate a chi non può vivere una vecchiaia serena. 

Come fare per ritenere la vecchiaia apprezzabile?
Abbiamo detto stima di sé, poi diciamo anche smettere di ritenere il passato decisamente migliore del presente. Vi capita? A me sì, ci ho dedicato la mia riflessione sul Natale. 
Il passato ci sembra felice, bello, sereno, spensierato. Lo vagheggiamo come un'età d'oro, eppure, se ci concentriamo a pensare a quella determinata età, ricordiamo le frustrazioni, le insoddisfazioni, i dolori. 
Non solo quella non era un'età dell'oro, ma abbiamo perso anche molto tempo dietro ad ansie, elucubrazioni inutili, problemi che ci sono parsi poi del tutto questioni futili. 
Poi dobbiamo lottare contro gli stereotipi. I vecchi che devono lasciare spazio ai giovani perché sono ormai da rottamare, la vecchiaia intesa come ingombro, sono tutti atteggiamenti da combattere. 
Lasciare spazio ai giovani, sacrosanto, ma affiancarli e trasmettere loro saperi ed esperienze, questo perfezionerebbe l'avvicendamento, valorizzerebbe la terza età come risorsa. 
Siamo ancora seduti a tavola, non abbiamo nessuna intenzione di alzarci prima di essere sazi ed eventualmente gratificati da qualche superflua golosità. 
Nelle redazioni dei giornali si viene licenziati per "anzianità", le giornaliste in video devono essere giovani e fresche, e stiamo dicendo di una carriera in cui il sapere è essenziale. Negli Stati Uniti, la carriera "intellettuale" riceve più tutele, perché quei vecchi sono ritenuti depositari di saperi che possono trasmettere fino a quando lo desiderino. 

C'è un bel decalogo dei diritti della terza età, lo riassumo:
  • Non essere discriminata perché non più giovane. 
  • Non essere costretta a certi comportamenti, abbigliamento, linguaggio, ruoli, relazioni.
  • Non essere ridicolizzata se non mi attengo al "copione" da vecchia. 
  • Essere rispettata in base al mio passato, lungo e ricco di esperienze.
  • Essere libera di intrecciare relazioni con persone più giovani.
  • Essere libera di intrecciare relazioni con persone più vecchie.
  • Essere liberata dagli stereotipi attorno alla vecchiaia: avara, acida, invidiosa, rimbambita.
  • Non essere considerata un'eccezione se non sono avara, acida, invidiosa, rimbambita. 
  • Essere trattata come chi appartiene a una schiera nutrita, il 22,8 per cento degli italiani.
  • Essere considerata con la preoccupazione politica che merito. 
Maggie Kuhn (1905 - 1995)
Rivendicare, insomma, quella dignità di persone ancora del tutto immerse nella vita, desiderose di ulteriori esperienze, di studio, di prendersi cura di sé nel senso più ampio del termine. 
Se ci fosse un Ministero delle Politiche Senili, scrive in sostanza Ravera, sarebbe la prova che la politica ha a cuore questa grande compagine di cittadini e cittadine. E ne riceverebbe quel tanto che la terza età sa restituire in termini di trasmissione di esperienza. 
Una chicca: negli anni Sessanta, un'attivista anziana, Maggie Kuhn, fondò un vasto movimento per la rivendicazione dei diritti della terza età: le Pantere Grigie
Subendo la legge del pensionamento obbligatorio a 65 anni, Maggie Kuhn attirò l'attenzione dell'opinione pubblica attorno alla "teoria del disimpegno", secondo cui nella terza età, in quanto vicina alla morte, ogni individuo dovesse allontanarsi dalla società e porsi in attesa. 
L'attivista parlo apertamente di età ancora in gioco, avente tutto il diritto di una vita completa e attiva, anche sessualmente, di un lavoro in cui si potesse esercitare l'esperienza accumulata, di un welfare che doveva migliorare il proprio approccio col problema degli anziani.  
In Lidia Ravera riverberano quelle stesse rivendicazioni, ma alla luce di un'età moderna che può ancora rappresentare una vita attiva, diversa eppure non meno intensa. Chi può negarlo?

Chiudo riportando una citazione che sintetizza l'intero suo pensiero.  
Basterebbe esporre con orgoglio le poderose conquiste dell'intelligenza, del gusto, dell'ironia, della leggerezza, dell'empatia, basterebbe sventolare la bandiera della durata, che non è noia, non è ripetizione, non è calma piatta e inevitabile declino, o almeno non solo, ma anche, e nobilmente, il frutto della fatica di vivere, del talento che richiede equilibrare consapevolezza e aspettative, basterebbe creare invece di copiare, rilanciare invece di sottostare, riscrivere i codici di accesso a una felicità, relativa, ma di nuovo possibile, basterebbe ribellarsi invece di obbedire alla legge del mercato dei corpi eterni. 
Cosa pensate di tutto ciò? Vorrei conoscere il vostro parere. E poi, anche a voi viene in mente quello che sarete o farete in vecchiaia (fermo restando la buona salute)? Come vi immaginate?

17 commenti:

  1. Ho bloccato il tempo. Non posso permettermi di diventare vecchio perché sono solo e mi piace stare bene. La vecchiaia è una malattia senza speranze di guarigioni. Tutto il corpo, dalla testa ai piedi, si assesta per prepararti al gran salto. Nessuna buona compagnia, ma malattie tipiche dell'anziano.
    In particolare, l'Alzheimer che in certi soggetti è anche precoce. In ufficio, un impiegato di 50 anni, un giorno mi disse: "Augusto, dovresti accompagnarmi a casa perché non ricordo dove abito".
    Questa storia durò diversi anni.

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    1. L'Alzheimer è uno dei timori più diffusi, in particolare fra i maschi. In famiglia ho una zia affetta da questa malattia. Ha smesso di essere lei da qualche anno. Certo, se si pensa a tutto il florilegio di malattie possibili, assale l'angoscia, ma dobbiamo essere positivi e prenderci cura di noi stessi, come stai facendo tu, Gus. :)

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  2. Lidia Ravera mi piace da sempre, sin da quando ho letto per la prima volta il suo libro "Porci con le Ali" nel 1977 (un anno dopo l'uscita del libro) e avevo 17 anni. Di pregiudizi sulla vecchiaia ce ne sono a bizzeffe da sempre. La paura degli anni che passano e della vecchiaia esiste al pari della paura della morte. Non c'è autore del passato o del presente che non abbia trattato questo argomento.

    Le insidie sono sempre tante, come le paure, ma ho sempre pensato che dipende come ci si arriva alla vecchiaia che non è solo lo stato fisico e di salute (certamente importante) ma è anche come ci si arriva mentalmente e il rapporto con sé stessi. Allo stesso modo ritengo importante o necessario cercare degli interessi personali e una vita sociale, qualcosa da condividere con altri.

    Ma sono anche una persona che sa gestire la propria solitudine sin da quando lavoravo sulle navi (e anche in questo caso parlo della fine degli anni '70 e inizio anni '80), quando ho fatto almeno una decina di traversate in Oceano Atlantico (dall'Europa all'America, dal Sud America all'estremo nord della Scozia sin quasi al Circolo Polare Artico) passando una media di 12/13 giorni sempre in mare con il blu del cielo e il blu del mare. Lì ho imparato a gestire il silenzio, la solitudine e la paura che ti viene quando sei in mezzo agli eventi (cicloni, uragani, mare forza 7 ecc.).

    Io e la mia compagna non abbiamo figli (anche questo conta) abbiamo dei nipoti, ma abbiamo un certo numero di amici nostri coetanei e a volte parliamo di questo argomento avendo tutti superato i 65 anni. A Milano e in Lombardia sono nati diversi co-housing, abitazioni con persone che hanno superato i 70 anni e che condividono tutto, dagli spazi comuni di socializzazione alla cucina (ed eventuali convivenze) con l'aiuto di personale che spesso è italiano, altre volte sono persone dell'est Europa.

    Io mi auguro di arrivare alla terza età con la mente lucida e fisicamente abile per non dipendere dagli altri (questi sono i desideri di tutti) e mi impegno già da oggi per questo primo fra tutti l'alimentazione. Faccio anche meditazione da molti anni (ho iniziato nel 1982) che credimi aiuta molto e per me non è una moda come un'altra.

    Insomma, avrò il mio da fare...

    Un salutone e alla prossima

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    1. Se una vita è stata ricca di esperienza, come la tua, allora la futura vecchiaia potrà fregiarsi di questo "bagaglio" per apparire più ricca, perché l'esperienza non si perde mai, plasma quello che siamo. Nel libro della Ravera si parla di questo fenomeno del co-housing, sempre più diffuso in particolare a nord. E in effetti è una bella idea, perché piuttosto che essere chiuso in un istituto dove come si sa la cura dell'anziano lascia a desiderare a meno che non si tratti di residenze a cinque stelle, coabitare fra persone che si sono scelte, mettere insieme le proprie risorse per avere dell'ottima assistenza, avere compagnia, è davvero una soluzione possibile. Si spera di arrivarci e di viverla con una buona salute, che permetta di autoaccudirsi anche in età molto avanzata, ma sono circostanze non sempre possibili.
      Mi interessa molto la meditazione, ho un testo abbastanza buono a riguardo, ma vorrei saperne di più. Mi piacerebbe offrirti spazio qui nel mio blog per scriverne.

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    2. L'argomento meditazione è abbastanza vasto ma è ormai accessibile con diversi testi di riferimento. Lasciami riflettere e cercare il modo migliore per parlarne e poi ti dirò.
      Un salutone e alla prossima

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  3. Beh, premesso che comincio a sentirmi un po' vecchio già adesso (e ho più o meno la tua età, quindi io sto vivendo "male" il passare degli anni in modo sin troppo traumatico) la vecchiaia - se mai ci arriverò - la vedo in modo abbastanza stereotipato, mi basterebbe stare in buona salute e avere una casetta tranquilla in un paesino grazioso dove il forno, il negozio di alimentari, il bar (e la farmacia ovviamente ;-) sono tutti concentrati nella stessa piazza.
    Altre volte ho immagini meno confortanti, ma vabbé, quello dipende dall'umore, e il mio è molto instabile.

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    1. Sì, sentirsi in certo modo vale, e molto. Io ti direi invece di andare verso la direzione opposta, quella di concentrarsi su quello che si può fare e al massimo delle proprie potenzialità, perché davvero se non ci sono impedimenti, se una persona è sana ed è equilibrata nel corpo e nella psiche, nulla può impedire di stare bene e continuare a creare, a progettare, a vivere, anche da vecchi. L'idea di quella piazzetta piace molto anche a me. :)

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  4. La vecchiaia fa paura un po' a tutti. Non è facile accettare l'idea del corpo che cambia in peggio, ti guardi allo specchio e hai un altro volto. Molto però è legato all'idea che la società ha della vecchaia. Nonostante oggi l'età si sia allungata, la vecchiaia è un vero e proprio tabù e lo dimostra il trionfo della medicina e della chirurgia estetica, un fenomeno che non riguarda più soltanto i vip. Il fatto è che gli anziani vengono emarginati dalla società, bollati come persone all'antica i cui pensieri non vanno più. Forse è di ciò che ha paura la gente e la fisicità del fenomeno ( capelli bianche, rughe) porta con sé la paura di essere spostati al margine. C'è una canzone di Renato Zero, Spalle al muro, il cui testo è stato scritto da Mariella Nava, che sottolinea la dimensione sociale di un fenomeno assolutamente naturale come la vecchiaia. In tal senso colpiscono i versi " e faranno in modo che il tuo viso sembri stanco, inesorabilmente più appannato per ogni pelo bianco" oppure " e lasceranno che i tuoi passi sembrino più lenti, disperatamente al margine di tutte le correnti". Si sa che un corpo anziano si rallenta, ma la società si sofferma su questo fenomeno corporeo senza considerare la mente della persona che rimane sempre giovane ( a meno che non ci siano malattie degenerative). Insomma bisognerebbe cambiare il nostro modo di considerare la vecchiaia.

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    1. Esattamente, il discorso è tutto lì: cambiare il nostro modo di considerarla. Perché in effetti siamo incastrati in quella visione, tanto ben rappresentata da quel brano ma anche da quello di Baglioni, I vecchi, bellissimo e triste perché negli anni Ottanta il modo in cui veniva concepita quella terza età è esattamente quello:
      I vecchi, tosse secca che non dormono di notte
      Seduti in pizzo a un letto a riposare la stanchezza
      Si mangiano i sospiri e un po' di mele cotte
      I vecchi senza un corpo
      I vecchi senza una carezza...
      E tanto altro. Ecco, quel tipo di vecchiaia, dice Ravera, non esiste più. Quella vecchia generazione che concepiva la vecchiaia come termine ultimo, attesa, uno stare ai margini, non può né deve esistere più. Voler stare ancora in gioco è invece legittimo, importante. Porta con sé la gioia di vivere.

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  5. Questa bella recensione rende giustizia al contenuti del libro e alle intenzioni di Lidia Ravera. Assistere dal vivo al suo bel "comizio" è stato molto "educativo", perché, in effetti, io un po' mi lamento quando sono presa dallo sconforto davanti allo specchio e mi comincio a vedere vecchia (i figli, poi, sono terribili: te lo dicono proprio con serenità che lo sei!) Penso che certe cose siano superate, certi desideri sfioriti (come il corpo), anche i sogni non sono più quelli della gioventù. Invece, la prospettiva della Ravera è assolutamente straordinaria: okay, l'età c'è, avanza ed è inesorabile, ma chissenefrega, ho fatto il mio percorso e sono arrivata fin qui con fallimenti, ma anche obiettivi raggiunti... e ancora mi piace pensarmi su una strada lunga. E poi i sogni non finiscono mai, cambiano veste, ma non si esauriscono con gli anni.
    Davvero un pomeriggio perfetto, quello trascorso insieme!

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    1. Grazie per averla apprezzata. Questa cosa l'abbiamo vissuta insieme, quindi era importante averne le stesse impressioni. Noi commettiamo l'errore di ragionare in termini di "vecchiaia" come se avessimo la stessa età della Ravera, io almeno a volte lo faccio. Dalle tue parole, mi accorgo che tu vai anche oltre me. Ti senti più in là di quanto tu sia realmente. Ed è vero, gli sfottò dei giovani hanno un loro peso. Io li vivo, sfiorandoli, coi miei alunni più grandi e con gli allievi sui 16/17 anni. Con una differenza, a scuola incarno l'autorità e finisco con l'essere percepita più vecchia, a teatro il dinamismo che impiego mi fa apparire in una sfera totalmente diversa, tendo a essere percepita giovane o giovanile. Quando un allievo ti percepisce "anziana" allora è tempo che smetta di essere allievo, qualcosa si rompe. Provare per credere. :) Sul lavoro, quando racconto loro gli stili degli anni Ottanta, o capita che ascoltiamo qualche secondo dei brani musicali dell'epoca, si stupiscono che fossimo così "avanti". Per loro il nostro passato è collocato fra il Pleistocene e il Giurassico. XD

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  6. Ho visto proprio la presentazione di questo libro alla trasmissione "Quante storie" su Rai3. Un'altra persona che adoro è Barbara Alberti, donna di grande intelligenza e che ostenta con orgoglio il fatto di essere "vecchia" e non "anziana" (termine di finto rispetto che la infastidisce). Di recente hanno proposto di spostare l'ingresso ufficiale della vecchiaia perché a 65 anni spesso si è ancora in gamba e con grandi potenzialità. A meno che non sia una scusa per spostare ancora più in là l'età pensionabile. ;) Penso che nella fascia della vecchiaia ci siano appunto situazioni molto diverse tra loro, partendo soprattutto dal punto di vista economico: vecchi che finalmente possono avere del tempo tutto per sé e altri che stentano ad arrivare alla fine del mese.
    Quando finalmente potrò andare in pensione, mi iscriverò di nuovo all'università per conseguire la seconda laurea e soprattutto potrò frequentare. Ora come ora, non sono ancora del tutto in buona salute per farlo e soprattutto sto ancora lavorando.

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    1. Quando mi capita di vedere "Quante storie", c'è sempre qualcosa da imparare. Adoro quella trasmissione. Ricordo Barbara Alberti ospite fissa al Maurizio Costanzo Show, una trentina di anni fa pareva già anziana, ma quella immagine mi è sempre piaciuta. Ricordo che durante una discussione lei disse che non capiva questo nuovo femminismo, che si offende se un uomo fischia per strada o dà particolari nomignoli alle belle ragazze. Con la sua ironia disse che avrebbe pagato per ricevere ancora complimenti, ma ormai era vecchia. Insomma, una sagoma. :)

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  7. Avevo lasciato un commento ieri, ma non me l'ha tenuto. Ci riprovo! Ho visto una parte dell'intervista a Lidia Ravera e il suo libro su "Quante storie", una bella trasmissione su Rai3 dove presentano un libro in maniera intelligente e non facendo il classico spot da vendita. Mi piacerebbe recuperarla su raiplay. Lidia Ravera ha evidenziato aspetti fondamentali dell'essere una donna nella fascia cosiddetta anziana, ancora una volta le donne si sentono sminuite. Prima c'è la competizione dell'età riproduttiva, dove bisogna essere piacenti, sgominare le concorrenti, accasarsi e fare figli, poi subentra quasi un senso di inutilità perché non c'è più niente di tutto questo. Naturalmente è il pensiero che una società all'insegna della performance può generare. Gli anziani vengono visti al limite come bacino di consumatori, quelli che naturalmente possono permettersi di spendere e non devono lottare per arrivare alla fine del mese.
    Per quanto mi riguarda, con i chiari di luna che ci sono, già arrivare al traguardo pensionistico sarebbe un bel risultato! ;)

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    1. L'ho trovato fra i commenti in spam, vai a capire perché, l'ho pubblicato e ho commentato. Sì, nel testo Ravera non manca di suddividere queste diverse fasi della vita. Certo, la sua è un'esperienza da ragazza degli anni '70 che lottò per rivendicare i diritti sacrosanti sul femminile. La cosa che meraviglia è che invecchiando proprio la sua generazione poi abbia dimenticato di aver amato il proprio corpo, un controsenso se adesso non riescono a rivendicarne la "bellezza" in senso lato, solo perché anziane. Insomma, un saggio sulla società che ho trovato davvero molto interessante. Da rileggere a tempo debito. :)

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  8. Come ho scritto nel commento sul blog di Marina, apprezzo Lidia Ravera, mi piace la sua franchezza nel rivendicare certi diritti, ho letto Porci con le ali e ricordo di averlo apprezzato molto (ma vorrei rileggerlo perché non lo ricordo più bene) da adolescente. Ho seguito delle interviste a Lidia Ravera e concordo con il suo pensiero, a 58 anni comincio a sentirmi vicina all’età del terzo tempo, tra l’altro questa nostra società ci costringe a lavorare fino a settanta anni, quindi siamo utili finché dobbiamo lavorare e dopo cosa dovremmo fare, aspettare la morte? Io vedo il terzo tempo come
    il periodo in cui potrò godermi finalmente il mio tempo libero e in buona salute (spero), anche perché noi boomer abbiamo una tempra abbastanza forte.

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    1. Sai che mi sento strana al pensiero che tu abbia 58 anni? Non so come, ma continuo a percepirti mia coetanea, se non più piccola. :) Segno che hai un bel modo di comunicare e raccontare te stessa. Mi piace il termine "terzo tempo", lei parla anche di un "quarto tempo", quello in cui cessiamo di essere autosufficienti. Ecco, è il tempo che mi spaventa di più, ma è cosa intelligente e giusta non pensarci troppo.

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