mercoledì 13 maggio 2020

Furore - John Steinbeck

Incipit: Nella regione rossa e in parte nella regione grigia dell'Oklahoma le ultime piogge erano state benigne, e non avevano lasciato profonde incisioni sulla faccia della terra, già tutta solcata di cicatrici. Gli aratri avevano cancellato le superficiali impronte dei rivoletti di scolo. Le ultime piogge avevano fatto rialzare la testa al granturco e stabilito colonie d'erbacce e d'ortiche sulle prode dei fossi, così che il grigio e il rosso cupo cominciavano a scomparire sotto una coltre verdeggiante. 

Tra i libri in fila sugli scaffali della mia biblioteca, in attesa di una lettura, c'era questo grande capolavoro e io non lo ricordavo più. Nelle lunghe giornate di questa quarantena da poco terminata - ma con tutte le misure ancora da osservare - mi sono concessa di fare un'altra conoscenza. Dopo Roth, Steinbeck.
Ebbene, qui un po' come nel caso precedente, ma per ragioni diverse, c'è da rimanere basiti dinanzi alla magnificenza. 
Ancora una volta uno stile impeccabile, ma con un tocco realista che preferisco. La linearità degli eventi mi è maggiormente congeniale rispetto a Roth. Per molti aspetti qui ci troviamo dinanzi ad un autore classico, ineccepibile. 
Non posso scegliere fra l'uno e l'altro, direi che appartengono a due livelli di bellezza equidistanti.

Furore è considerato uno dei più alti esempi di letteratura americana, negli Stati Uniti è un romanzo tuttora celebratissimo, un caposaldo letterario dei programmi scolastici. 
Pubblicato nel 1939, divenne un best seller immediato, portato sul grande schermo da John Ford l'anno successivo - Oscar alla regia e all'attrice protagonista. 
Il grande romanzo realista che narra gli effetti della Grande Depressione, gli anni terribili della crisi economica esplosa nel 1929 e protrattasi negli anni Trenta, ha nome The Grapes of Wrath, L'uva dell'odio, un titolo che non ne avrebbe reso il contenuto quanto il "furore" di cui il romanzo è disseminato. 
La crisi che devasta l'economia statunitense morde in particolare i più deboli, i fragili braccianti del Midwest che da generazioni lavorano per latifondisti legati alle banche. Una serie di coincidenze eccezionali, in cui si mescolano salari mancati, terra improduttiva e siccità, mette in ginocchio mezzo milione di contadini divisi fra Oklahoma, Kansas, Nebraska, Colorado. 

Steinbeck nelle prime pagine ci racconta proprio quella terra ormai arida, in cui nubi di polvere si sollevano per giorni, insinuandosi ovunque, mentre il vento rende impossibile vedere, immaginare che domani sia migliore. Gli uomini sono come annichiliti, spenti nel loro vigore, abbrutiti dalla cupezza della fame, che avanza inesorabile impoverendo le loro risorse. 
Non resta che raccogliere i propri averi e venderli, per ricavare una somma sufficiente ad acquistare un piccolo vecchio autocarro e partire. Ecco, partire è la sola speranza possibile di riaversi, malgrado il dolore dello strappo dalla terra natale. Partire e diventare migranti, ma anche esuli, profughi, tutti termini con cui l'autore descrive i disgraziati in viaggio. 
La famiglia Joad è dunque una delle tante, una grande famiglia allargata e un po' grottesca, che fin dalle prime pagine impariamo a conoscere come se ne potessimo seguire ogni passo, riconoscendone movenze e abitudini.

Emigranti lungo la Route 66, di cui esiste vasta documentazione fotografica

La grande famiglia Joad
Non so come abbiate imparato ad amare i libri, io l'ho fatto leggendo l'epopea di David Copperfield di Dickens, che nonostante sia del tutto diversa da questo romanzo, ha qualche caratteristica in comune. 
Lo sguardo del narratore è ampio, non si insinua più tanto nei pensieri dei protagonisti, anche perché i loro pensieri sono sempre espressi, tipici della gente franca e aperta, semplice e leale. 
Steinbeck ci porta dinanzi a questa povera vecchia casa cadente e ce li fa conoscere uno ad uno, facendoci seguire i passi di Tom Joad, il figlio uscito dalla galera per aver ucciso un tipo durante una rissa, rude e generoso, coraggioso e idealista. 
Tom si ricongiunge ai suoi accompagnato da Casey, altro "gigante" del romanzo, un ex predicatore ormai investito dal disincanto, saggio e riflessivo, cui l'autore affida alcuni passaggi molto profondi sull'amore verso l'umanità nonostante tutto. 
Ed eccola la famiglia riunita. Il padre, stanco e dal carattere accomodante, lo zio John, afflitto dai sensi di colpa per una moglie che ha perso, i nonni intrattabili, i fratelli Noah e Al, il primo taciturno e un po' "strano" fin dalla nascita, l'altro giovane brillante d'intelligenza, e poi la sorella incinta Rosa Tea, e i piccoli Ruth e Winfield
Ma su tutti, lei, la madre
Nel descrivere la madre, Steinbeck ci regala una delle pagine più belle in cui mi sia mai imbattuta. 
Guardava nel sole. La sua faccia carnosa, senza esprimere dolcezza, era affabile, e disciplinata. Gli occhi marroni sembravano aver sperimentato tutte le tragedie, scalando a grado a grado il dolore fino alla vetta, per spaziare nelle supreme sfere d'una comprensione e d'una tranquillità sovrumane. Sembrava conoscere, accettare, gradire la sua posizione: era la cittadella della famiglia, la roccaforte inespugnabile. E siccome i mali e le paure potevano offendere il babbo e i bambini solo quand'ella ne avesse ammesso la sussistenza, aveva adottato il sistema di negarla. E poiché in ogni ricorrenza il babbo e i bambini guardavano lei per leggerle in volto i segni della gioia, ella s'era avvezza a crearla fuor da un nonnulla. Ma più balsamica che la gioia era la calma che palesava. La famiglia sapeva di poter contare sull'imperturbabilità della mamma. E dall'alta, umile posizione che occupava in casa, ella aveva derivato dignità, e una nitida, calma bellezza. Dalle loro funzioni risanatrici le sue mani avevano derivato sicurezza, freschezza ed efficienza. Nelle sue funzioni di arbitro ella era diventata remota ed infallibile come una dea. Si rendeva conto che, se vacillava lei, la famiglia tremava; se lei tentennava o disperava, la famiglia crollava. 
La Madre
Florence O. Thompson, una migrante
Bene, questa "cittadella della famiglia", la "roccaforte inespugnabile", resta in tutto il romanzo, fino all'ultima pagina, la vera risorsa degli Joad. 
È la Madre, con la maiuscola, la donna che ha partorito sei figli, tutti diversi e tutti bisognosi di qualcosa. Tranne Noah, che sceglie di staccarsi dal nucleo familiare ma solo perché non ha tutte le rotelle a posto. La Madre lo lascia andare e si concentra verso le diverse età degli altri "cuccioli", ritagliandosi un dialogo privilegiato con il solo realmente sensibile: Tom.
Tom e sua madre si intendono perfettamente. Mi piace il rispetto del rissoso Tom per lei, il suo ingentilirsi dinanzi a ogni sua richiesta, il suo affidarsi totalmente. Il loro dialogare. 
Conosciamo a fondo la Madre anche attraverso l'agire altrui verso di lei e ne restiamo affascinati quando il suo essere madre è esteso anche ai figli altrui, lei che è capace di dividere in tante parti i pochi averi perché nessuno resti indietro. 
La famiglia Joad passa attraverso pericoli, rischi, miseria, delusione, abuso del più forte, e nel cercare la sopravvivenza, la Madre è la sola risorsa in grado di impedire il crollo totale di ogni speranza. 
Un personaggio sublime, epico. Indimenticabile. 

Il diritto alla felicità
Ciò che in fondo lascia abbacinati e increduli è il racconto dell'indifferenza dell'America verso questi fratelli e sorelle fragili e disperati. Dimenticati, abbandonati al loro destino.
Se abbiamo imparato a scuola che negli Stati Uniti è successa una cosa tragica come la crisi di Wall Street da cui è scaturita la Grande Depressione, non sapremo mai realmente nulla di ciò che è successo se non leggiamo uno di questi romanzi, meritevoli di aver descritto un'epoca. 
Gli Stati Uniti, terra di contraddizioni, lasciarono indietro anche questi disperati, cittadini americani senza terra né lavoro, li lasciò a lottare contro la fame e il sopruso. 
Assistiamo allo spettacolo tragico di una gravissima ingiustizia, ma soprattutto al tradimento di uno dei principi della Costituzione americana, quel "diritto alla felicità" che se non fu garantito a minoranze falcidiate dall'odio, come i nativi e il popolo di colore, fu negato anche alla parte bianca del paese - brutto definirla così, ma tant'è - lavoratori dediti alla terra, indefessi braccianti che nei decenni precedenti avevano contribuito alla ricchezza. 

La straordinaria contemporaneità del romanzo
La mia analisi prende le distanze sempre di più dal nucleo del romanzo, i suoi protagonisti immersi in un periodo storico travagliato, per andare adesso a una visione macroscopica: l'innegabile trasversalità della narrazione.
Le pagine che raccontano la terribile "accoglienza" riservata ai migranti/profughi in California, il loro guardare in faccia una realtà prima inimmaginabile, assomigliano a quelle che un autore potrebbe scrivere oggi, raccontando la realtà dei profughi siriani, dei migranti africani, dei disperati messicani.
Qui impari che l'atteggiamento di odio e intolleranza insito nell'uomo è sempre lo stesso, si aggroviglia attorno agli stessi nuclei tematici: vengono qui a rubarci il lavoro, sono brutti e sporchi, sono stupratori, vogliono fare i furbi, si lamentano troppo, ringrazino piuttosto, ecc.
Il disprezzo degli Okies - nome col quale vengono stigmatizzati i migranti, ritenendoli tutti provenienti dall'Oklahoma - segue le stesse logiche, si carica dello stesso odio manifesto. Con l'aggravante di una polizia autorizzata a picchiare o uccidere.
Gli Joad, assieme agli altri disgraziati coinvolti nella diaspora, non hanno neppure il tempo di stupirsene, risucchiati dal bisogno di sfamarsi e avere un posto asciutto dove restare.

Insomma, leggetelo. Leggete questo capolavoro, ad un buon lettore non può mancare.

Vi lascio con una chicca, la splendida struggente canzone di Bruce Springsteen dedicata allo sfortunato Tom Joad. In queste note Furore si colloca in modo perfetto.



Mi aggirerò nell'ombra, sarò ovunque. Ovunque tu guarderai, io sarò là. Dove si lotta perché gli affamati abbiano da mangiare, io ci sarò. Dove un poliziotto picchia un uomo, io ci sarò. Sarò nelle grida di rabbia della gente. Nelle risate dei bambini che hanno fame, e ridono perché sanno che la cena è pronta. E quando la gente mangerà i prodotti della propria terra e vivrà nella casa che si è costruita, cercami. Io sarò là.
Tom Joad a sua madre, durante il loro addio

18 commenti:

  1. Ho Furore in lista da tempo, ed è ora che gli dia il via. Il connubio con la canzone di Springsteen mi sembra perfetto.

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    1. A fine lettura, ascoltare quel brano è perfino commovente. È un connubio perfetto, sì.

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  2. Ce l'ho anche io in lista, proprio per l'attualità delle tematiche. Vedrò di leggerlo se possibile nei prossimi mesi.

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  3. Letto molto anni fa, del resto Steinbeck è da sempre uno dei miei autori preferiti, anche nelle opere meno conosciute. A Fuorore, che rimane immenso, ho preferito La Valle Dell'Eden, ma chiaramente sono due libri potenti, che meritano un bel 10 e lode e giustamente appassionano ancora oggi. Ormai sono dei veri classici.

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    1. Me ne hanno consigliato diversi di suoi, volendo continuare a conoscere questo autore.
      De La valle dell'Eden ricordo il magistrale film.

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  4. Molto sinteticamente, nel mio "Curriculum del lettore" lo citavo fra mille altri libri con questa frase (a volte la necessità di sintesi ci costringe ad essere lapidari :-)" : Furore di Steinbeck, letto appositamente durante un viaggio in USA e per alcuni capitoli proprio percorrendo la route 66, ha colmato di recente una mia mancanza riguardo agli “on the road” americani. Potente, duro e asciutto. I primi capitoli che descrivono la grande siccità e l’invasione della polvere rimangono impressi più di qualunque film o documentario.

    https://lineadorizzonte.wordpress.com/2020/01/19/il-mio-curriculum-del-lettore/

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    1. Come ti ho scritto altrove, deve essere stato meraviglioso percorrere la celebre Route 66 e simultaneamente leggere quelle pagine. Facendo il viaggio verso quell'ovest che li tradì tutti, uno ad uno.
      Alla mirabile descrizione della siccità è contrapposta l'alluvione del finale, ci ho pensato ultimamente. :)

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  5. un ricordo lontano di una professoressa di lettere che paragonava Hemingway a Steinbeck, e non capiva come potesse piacere Steinbeck. Io ero del parere opposto, penso di esserlo ancora adesso, di sicuro Hemingway è più "romantico". probabilmente (ma avevo 14-15 anni) mi piaceva questo stare dalla parte dei meno tutelati, dei più deboli. E poi c'era il film di John Ford con Henry Fonda, imperdibile. Purtroppo per noi, Furore è tornato d'attualità. E' un libro bello ma scomodo, fa pensare e a tanti pensare non piace.
    (a quella professoressa devo comunque molte indicazioni di lettura che poi ho seguito)

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    1. Io lessi Per chi suona la campana negli anni di liceo, ma non mi piacque minimamente. Fu una fatica finirlo, evidentemente non ero pronta per quel tipo di letture, che avrei apprezzato più avanti.
      Non credo che i due possano essere paragonati, comunque, e allo stesso tempo mi domando cosa non le piacesse di Steinbeck, che sotto certi aspetti mi ha ricordato il migliore Verga.
      Anche a me ha colpito molto l'attualità del romanzo, quella è davvero stupefacente.

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  6. Da leggere, assolutamente, soprattutto dopo questa appassionata recensione. Anch’io devo farlo da anni, voglio leggerlo non sai da quanto tempo. Anche “Uomini e topi”, consigliatomi da un amico. Ma quanta vita dovremmo avere per dedicarci a tutte le letture in lista!

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    1. Felice che tu abbia colto la passione con cui l'ho scritta. :)
      Sì, appena puoi, buttati in questo mondo struggente tutto da scoprire, poi mi dirai.

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  7. Bellissimo post, condivido in pieno le tue riflessioni (sopratutto quella sulla madre. Non ci avevo mai pensato. Ti faccio i miei complimenti). È un romanzo che molti dovrebbero leggere, sopratutto adesso che probabilmente vivremo una nuova crisi post virus. Ci si scorda facilmente che quell'oppresso che disprezziamo potremmo essere noi.

    Io ricordo ancora benissimo la scena finale del romanzo, mi ha colpito moltissimo quando lessi il romanzo.

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    1. A ciascun lettore, un romanzo può apparire in modo diverso, magari tu sei rimasto più "suggestionato" da altri personaggi. Quello della madre mi ha catturato dalla descrizione che ho riportato, da lì non l'ho più mollata. Anche quello sguardo verso i bambini affamati che la guardano preparare il pranzo per i suoi, anche quella è una scena che non dimentico.
      Speriamo che lo scenario post virus sia qualcosa che potremo attraversare senza scossoni...

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  8. Struggente la canzone di Springsteen rende proprio il senso del romanzo e di quegli anni difficili, purtroppo l'America, ancora oggi, per come è organizzata lascia troppo indietro i più fragili, questo non lo dico io ma una mia amica che ha vissuto lì qualche anno e poi ha deciso di tornare in Italia. Insomma il sogno americano in certi casi può diventare un incubo se non hai le spalle coperte...

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    1. Immagino. Io da ragazzina ne avevo una passione, per me era la terra dei sogni. Poi a percorrere la sua storia capisci come le contraddizioni siano tante, troppe. Alcune veramente insopportabili.

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  9. Mi manca Steinbeck e non credo di aver visto nemmeno il film. Vedrò se riesco a recuperare. Io però, oltre a quello dell'odio e dell'intolleranza per migranti e profughi, ci trovo anche un altro terribile parallelismo: la crisi del '29 (crisi speculativa prima), la crisi del 2008 (dei mutui subprime, altra speculazione)...la crisi del 2020 (o 2021)? Leggevo che anche in questa emergenza sanitaria, in america quelli maggiormente colpiti sono stati poveri e minoranze e che la crisi economica che ne seguirà colpirà nuovamente il ceto medio, assottigliandolo. La Storia si ripete...

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    1. Sì, la Storia si ripete, ciclicamente, e se la prende coi più deboli.
      L'America è stata pioniera in questa forte contraddizione fra le opportunità e la condizione di chi sprofonda in una crisi nera. Quella del '29 non risparmiò neppure i grandi ricchi, ma i più "piccoli" ne fecero gravissime spese. Oggi queste crisi si ripetono e ogni volta presentano caratteristiche simili.

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