martedì 13 settembre 2022

Villette - Charlotte Brontë

Incipit: La mia madrina viveva in una bella casa nell'antica e tranquilla città di Bretton. 
La famiglia di suo marito vi risiedeva da generazioni e, anzi, ne portava il nome - Bretton di Bretton -, non so se in ragione di una coincidenza o del fatto che qualche remoto antenato fosse stato personaggio di tale importanza da dover lasciare il proprio nome al luogo da lui abitato. 
Quando ero piccola andavo a Bretton un paio di volte l'anno e sempre molto volentieri. La casa e i suoi inquilini mi piacevano veramente. 

Villette
Charlotte Brontë

Editore: Fazi
Pagine: 634
Prezzo: € 14,90

Tornare ai classici, evento sempre più raro a dire il vero, significa per me scegliere di tanto in tanto un porto sicuro, un focolare accogliente, la certezza di un luogo immaginario piacevole e rassicurante.
È l'effetto della scrittura austeniana, di solito, ma per me in particolare della scrittura brontiana, di quell'insieme di romanzi delle celebri sorelle della brughiera che hanno il potere di avvincermi, ammaliarmi. Alle impareggiabili Brontë ho dedicato un piccolo post riferito al mio romanzo prediletto, Jane Eyre, una recensione del romanzo maggiore di Anne, Agnes Grey, e un articolo sulla bella biografia di Lyndall Gordon, che mi ha dischiuso molti scenari sulla vita e il carattere della maggiore e a mio parere più talentuosa Charlotte.
Nel piccolo mondo brontiano biografie e narrativa di mescolano, si fondono, questo le rende un unicum nel repertorio di scrittrici e scrittori di quella straordinaria epoca vittoriana. 
Dentro di me tutto si era rimpicciolito secondo la mia sorte. 
Veniamo a Villette, l'ultimo libro di Charlotte Brontë, romanzo complesso e prezioso perché tanta parte di questa narrazione attinge proprio alle vicende personali dell'autrice. Riduttivo però se guardiamo a questo aspetto, perché in realtà l'esperienza vissuta è solo motivo ispiratore, poi c'è tutto quello che si erge su questa materia narrata, quella Charlotte dell'età matura che scrive questa storia quando ha appena perso, in una manciata di mesi, le due amatissime sorelle e il fratello. 
Villette è un romanzo nettamente diverso da Jane Eyre ma per nulla inferiore. Chiunque lo approcci aspettandosi le atmosfere e gli slanci del capolavoro, resta deluso, ma questo romanzo chiede al lettore qualcosa che va oltre il puro gusto e il solito sentimento con cui entriamo in queste storie.
Villette ha una complessità e un'architettura sublimi, quello che urla dalle pagine del romanzo è lo spirito più autentico di Charlotte, è la donna matura che sa, che ha imparato cosa sia il dolore, la rinuncia, il destino degli uomini. 
Charlotte in realtà getta le basi di una trama anche a tratti convenzionale, un po' prevedibile (fatta eccezione per l'inatteso e "disturbante" finale), ridondante in alcune decine di pagine, ma ne fa semplicemente fondamenta per costruire al di sopra di questa una cattedrale. 
Lo straordinario è anche il fatto che si possa cogliere questa cattedrale solo nell'ultimo terzo del romanzo, quando Lucy Snowe, la protagonista, conquista la forza che richiede essere consapevoli di cosa sia vivere, accettarne il fardello, abbracciare la sofferenza come parte integrante e non "accidentale" del vivere.
 
Lucy Snowe, eroina sovversiva. 
Ritratto di Charlotte Brontë (1850)
Orfana e senza sostanze, supportata da una fede incrollabile, ma anche dotata di spirito pratico e alla ricerca di un proprio posto nel mondo (aspetto che ha in comune con Jane Eyre), Lucy Snowe lascia l'Inghilterra, "cara patria delle nebbie", e tenta la fortuna oltre Manica trovando nella belga Villette - città immaginaria identificabile con Bruxelles - un posto da insegnante di Inglese in un collegio femminile. 
Esattamente come la scrittrice, poiché Charlotte dieci anni prima era stata studentessa e poi insegnante in uno studentato femminile a Bruxelles. Materia nota, pertanto, e lo si vede dalle tante descrizioni, dal fatto che Charlotte ci restituisca appieno lo spirito e i costumi di un ambiente siffatto. 
Lucy impatta con una società e uno stile di vita diverso dal proprio, si adegua ma custodendo con determinazione - e a volte con alterigia - la propria personalità. Il tutto con la discrezione sua tipica, parca di parole, mai alzando di un tono la propria voce se non in momenti estremi e per assoluta necessità. Facendosi insomma il più delle volte osservatrice e mai parte attiva, se non costretta dalle circostanze.
Ci sono pagine in cui Lucy descrive il proprio rapportarsi con le colleghe insegnanti, con le studentesse, con la direttrice del collegio - la Beck è un personaggio straordinario -, per esempio in questo passaggio, dove non risparmia il proprio disprezzo:
Ognuna delle insegnanti, a turno, mi fece profferte di intimità; le misi alla prova tutte. Una la trovai onesta ma di mentalità ristretta, di sentimenti volgari ed egoisti. La seconda era una parigina, esternamente raffinata ma dal cuore corrotto, senza fede, senza principi, senza affetti: una volta penetrata la crosta esterna e decorosa del suo carattere, al di sotto si trovava una palude. Nutriva una passione sfrenata per i regali; e, su questo punto, una terza insegnante - donna per altro priva di personalità e insulsa - le somigliava assai. 
E sì che Charlotte, e il suo alter-ego Lucy, avvertono la distanza fra due mondi inconciliabili, il proprio modo di essere austere e concrete e la femminilità "altra" del continente: 
La "femmina" continentale è del tutto diversa dalla "femmina" insulare della medesima età e classe sociale; non ho mai visto in Inghilterra occhi e fronti come quelle. 
Parrebbero le parole di una bacchettona, ma il nostro sforzo di lettori deve muoversi continuamente verso una comprensione che va oltre la contingenza delle parole adoperate. Sono espressioni di una donna matura della brughiera inglese, la figlia di un pastore irlandese immersa nella devozione verso valori anche lontani dal chiassoso mondo della cittadina belga. 
Le pagine più severe, quelle in cui Charlotte non risparmia nulla alla religione cattolica, mi hanno lasciato spiazzata, ma anche qui, faremmo un torto al valore di questo romanzo se cadessimo nella trappola di sentirci "colpiti". È lo sguardo di una protestante verso le convenzioni e gli usi della Chiesa romana, di quel papismo che la Storia ci insegna essere stato abbondantemente criticato e ricusato da tutto il fronte protestante. 
Alle povere ragazze era stato imposto di riferire a orecchie cattoliche tutto ciò che l'insegnante protestante diceva loro.  
...e quindi cominciare la lecture pieuse. Scoprii ben presto che questa lecture pieuse era dedicata soprattutto alla mortificazione dell'intelletto e all'utile umiliazione della ragione; una medicina che il buon senso doveva digerire con calma per assimilarla nel miglior modo possibile. 
...assurde convenzioni che, in qualità di eretica inglese, mi si permetteva solamente di ascoltare con orecchie stupefatte. Quel libro conteneva le leggende dei santi. Buon Dio! - pronuncio queste parole con reverenza - che leggende erano quelle! Che furfanti vanagloriosi sarebbero stati quei santi se si fossero vantati davvero di quelle prodezze o avessero inventato quei miracoli. Quelle leggende, tuttavia, non erano altro che stravaganze monacali, delle quali ridevo tra me e me; anzi, erano faccende da preti, e l'ipocrisia clericale del libro era di gran lunga peggiore della sua bigotteria. 
Lo scontro fra protestantesimo e cattolicesimo è netto, anzi su questo Charlotte costruisce una parte determinante del rapporto fra Lucy Snowe e il cattolicissimo professor Paul Emanuel, destinato ad avere un ruolo centrale nella vicenda. 

Monsieur Paul Emanuel, l'antieroe. 
Edizione Penguin del romanzo
Monsieur Paul non è il tenebroso Rochester né emerge imperioso nel cuore del romanzo come in Jane Eyre, piuttosto si fa strada a piccoli passi, ma ogni volta senza che le sue azioni abbiano qualcosa di eroico, semmai l'opposto. 
Mentre i pensieri di Lucy si volgono al bellissimo e gioviale Graham, il "giovane britanno", amorevole amico d'infanzia di cui è segretamente innamorata, l'irascibile Monsieur Paul compare a tratti e per breve tempo, sempre lasciando una parola di disprezzo per i suoi modi "inglesi" e noi conosciamo dalle sue descrizioni non proprio lusinghiere questo terribile e severo "ometto" che Lucy sulle prime deride anche apertamente. 
Paul è dapprima sullo sfondo, con questi ingressi in scena fugaci e coloriti, poi emerge lentamente, mentre Graham gli cede il suo posto nella narrazione, perché sempre più lontana è la speranza di conquistarlo, fino a spegnersi. Se per due terzi di romanzo Paul è in sostanza un "nano", pian piano conquista una sua posizione da gigante, perché tale è la sua personalità, la complessità del suo vissuto, la sua magnanimità, l'altissima sapienza che custodisce e impartisce alle sue allieve. 
La stessa Lucy diventa sua allieva, poiché Paul si prefigge di plasmare quella creta così promettente e lei vi si abbandona con riconoscenza e devozione. Paul è il suo mentore, un personaggio che Charlotte ricalca dal professor Constantin Heger, uomo del quale si era innamorata nei suoi anni a Bruxelles.

A Paul Emanuel è legata la lunga contesa riguardante il finale, che non è la semplice conclusione di una storia complessa. 
Paul in certo senso rappresenta un riscatto emotivo che risponde al bisogno profondo di Lucy di essere amata e anche di avere un proprio "lieto fine", quella costante ricerca di un risarcimento nel quale vediamo l'autrice stessa, che in quei mesi perdeva altri affetti strappati alla vita da gravi malattie. 
Charlotte, che aveva già sofferto in passato la perdita della madre e della prima sorella, vede lo sgretolarsi del proprio mondo affettivo nella morte di Branwell, Emily e Anne. Le resta solo suo padre e a questo padre decide di votare il resto della propria vita. 
In quegli stessi mesi scrive Villette, abbiamo detto, e imprime al romanzo una forte impronta autobiografica, non vede nella scrittura una fuga dal proprio vissuto, a mio parere, quanto una conferma del proprio vissuto, una sovrapposizione tra finzione letteraria e realtà. 

Se ai tempi di Jane Eyre la sua scrittura era quel mondo nel quale il suo alter-ego Jane trovava la felicità sul finale memorabile, in questo presente intriso di dolore Charlotte sceglie l'ineluttabilità e la accorda alle vicende di Lucy, scrivendo il solo finale possibile. 
Non ho pretese da fine analista, ma trovo che Charlotte abbia applicato al finale un valore simbolico, ne abbia fatto strumento per sé, lo abbia in certo senso "usato" per assegnargli una funzione catartica. 
Quel finale spiazzante ci lascia anche un messaggio forte, spoglia l'intera vicenda della sua aura romanzesca per farle assumere il carattere di una verosimiglianza con la realtà e con le aspirazioni della stessa Charlotte. Ella, che ama le sue protagoniste, rendendole affamate d'amore ma anche acute e ambiziose, dona a Lucy il bene e il conforto del proprio progetto di vita, ne fa una donna riscattata a prescindere da qualsiasi velleità amorosa. E questo la rende un personaggio estremamente moderno. 

Lucy, come Charlotte, è in grado di interpretare la realtà perché uomo e Natura vivono in una condizione di interdipendenza e la Natura stessa invia all'uomo dei segnali per trarne gli strumenti coi quali dotarsi di forza, consapevolezza, accettazione.
Tre volte nel corso della mia vita i fatti mi hanno insegnato che questi strani suoni nella tempesta - questo grido senza riposo, senza speranza - indicano uno stato dell'atmosfera contrario alla vita. Le epidemie, pensavo, erano spesso annunciate da un vento ansimante, singhiozzante, tormentato che proveniva dall'est e gemeva fin dal lontano. 
Si tratta anche di quella nota oscura, gotica, sempre presente nei romanzi brontiani. A questo riguardo, se in Jane Eyre il "gotico" è rappresentato dall'inquietante Bertha Mason chiusa nella soffitta di Thornfield, qui Charlotte ci regala la diafana, e altrettanto inquietante, figura di una monaca morta diversi anni prima, il cui spettro si aggira negli angoli più remoti dello studentato in Rue Fossette. 
Anche qui, il gioco narrativo è sapiente, fatto di apparenze, sensoriale perché cogliamo le paure di Lucy, ma poi anche la sua agnizione svela in fondo quanto si sia divertita la scrittrice a sfidare il lettore. E quale sia il legame fra l'oscuro Monsieur Paul e questo fantasma in abiti sacri. 

Lucy impara che, per quanto la vita sia in definitiva una lotta per autodeterminarsi, a ciascuno è assegnato un destino, una strada. Vivissimo in ciò il credo luterano della predestinazione. Affida questa intuizione a una pagina di puro lirismo. 
Sono profondamente convinta che esistono alcuni esseri nati, cresciuti e guidati in modo tale, dalla morbida culla fino alla tomba placida e tardiva, che nessuna sofferenza troppo grande s'introduce mai nella loro sorte, e nessun buio tempestoso incombe sul loro viaggio. E spesso non si tratta di esseri viziati ed egoisti, ma degli eletti della natura, armoniosi e benigni; uomini e donne, miti e caritatevoli, buoni agenti dei generosi attributi di Dio. 
Una curiosità: nel romanzo si fa riferimento alla "gommapiuma", ma questa è una forzatura dell'edizione italiana che probabilmente non traduce a dovere un'espressione o parola inglese. Peccato che alcune traduzioni difettino di vera attenzione o si perdano dietro errori così scontati. 
Per il resto, trovo che l'edizione Fazi sia ottima. 
Chiudo qui, consigliandovi questo classico, una "chicca" nel patrimonio brontiano. 

Sul finale controverso mi è venuto in mente questo dipinto, l'ultima immagine di un romanzo che ho amato e sono certa non dimenticherò. 

"Nave nel mare in tempesta", Ivan Konstantinovič Ajvazovskij (1858)

Ogni tanto vi concedete la lettura di un classico?
Quale autore o autrice vi ha conquistato pienamente della letteratura ottocentesca?

9 commenti:

  1. Per me i classici sono fondamentali. Ogni volta che vado in libreria a fare acquisti, non ne esco se non ho comprato almeno un classico, e ti dirò che io adoro Charlotte Bronte e Jane Eyre è il mio romanzo preferito, lo amo. Ho letto anche Shirley, ma questo mi manca. Leggendo la tua recensione, subito ho provato il desiderio di leggerlo e devo dire che forse è meglio che mi avvicino ad esso con le tue spiegazioni, che trovo molto utili. In fondo quando si legge un romanzo, soprattutto un classico, non si possono non avere delle informazioni sulla vita e sul pensiero dello scrittore. Anche se a volte capita anche a me di concedermi , concedimi l'espressione, un appuntamento al buio con qualche romanzo. Se vuoi il nome di uno scrittore ottocentesco che mi ha conquistato pienamente e allora non posso che dirti Dostoevskij.

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    1. Anche per me Jane Eyre supera di una spanna tanti romanzi dell'Ottocento vittoriano. Dostoevskij è uno scrittore eccelso, vorrei leggere tutto quello che ha scritto e di fatto devo ricominciare a percorrerlo. Grazie per la fiducia, ho amato molto Villette, secondo me merita di essere scoperto e riscoperto.

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  2. Classici del passato li leggo eccome, con molta più frequenza dei contemporanei.
    Ho letto diverse opere dei cosiddetti scapigliati, dai racconti di Tarchetti al romanzo breve "Memorie del presbiterio" di Emilio Praga sino a "Cento anni" del Rovani.
    Ho letto quasi tutti i romanzi di Jane Austen, e poi "Il ritratto di Dorian Gray", "La ballata del carcere di Reading" e "De Profundis" di Oscar Wilde. Ho letto diversi libri di Dostoevskj, i racconti di Cecov, "Una famiglia originale" di Bulwer-Lytton, molti libri di Ada Negri (che però è già a cavallo fra i due secoli), "Sanshiro", "Guanciale d'erba" e "Il signorino" di Natsume Soseki, "La stanza rossa" di Strindberg, "Moby Dick" di Melville... Solo per dirne alcuni.

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    1. Mi piace molto questo tuo repertorio. Quello che noto in tanti lettori e lettrici più giovani di noi, Ariano, è il voler ignorare i classici per partito preso. Si sentono tirati per la collottola quando noi di età più matura ricordiamo loro che esistono i classici e che se si è veri lettori non se ne può fare a meno. La risposta è arrogante. I lettori "forti" sono anche quelli dei numerosi fantasy che imperversano nelle posizioni alte delle classifiche. Nulla contro il fantasy, per carità, ma si tratta di moltissimi che ignorano consapevolmente di spaziare in altro. Si attaccano a un genere e quello è il non plus ultra. La sensibilità è cambiata, i lettori di classici sono sempre più rari fra molto giovani (fascia di età fra i 15 e i 30 anni).

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  3. Ho molto amato Jane Eyre, ma Villette non lo conosco. Mi hai incuriosito, anche se al momento le 600 pagine mi intimidiscono un po'. Dovrò trovare un giusto momento per dedicarmici.

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    1. Sì, il tomo è bello sostanzioso. Richiede uno di quei periodi in cui riesci a leggere più tranquillamente. Strano che lo abbia letto d'estate, è piuttosto un libro da copertina e tisana. :)

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  4. Uhm, non ho letto Villette ma dalla tua recensione (e dallo spoiler del finale che ho cercato per comprendere un po' di più, salvo trovare che il finale è ambiguo) non credo sia nelle mie corde, almeno per il momento. Concordo che i classici non debbano mancare in una buona lista di lettura, ma quest'estate ho capito che sono letture invernali, almeno per me che soffro terribilmente il caldo. Al termine di "Guerra e pace" di Tolstoj, al momento di nuovo sospeso per motivi di studio, penso di iniziare un altro classico lì sul comodino, Pamela di Samuel Richardson. Sempre che non decida di buttarmi prima su Il conte di Montecristo. Mi sa che se la giocheranno ai dadi. ;)

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    1. Concordo, ci sono letture "invernali". Non so come mi sia ritrovata a leggere un classico bello poderoso, sarà stato il po' di fresco del seminterrato, sarà stato il mio desiderio di fuga dalla realtà noiosa e torrida di questa estate da dimenticare. :(

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    2. Riguardo a Pamela di Richardson, lo lessi diversi anni fa, dopo aver saputo che Elisa di Rivombrosa (la prima stagione mi aveva appassionato) era ispirato proprio a quel romanzo. Però... mi deluse molto. Non so se la reazione oggi sarebbe la stessa, ma all'epoca non mi entusiasmò. La storia era bella, lo stile invece non mi piacque.

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