Il cartello all'ingresso dei tecnici, Teatro La Fenice, Venezia |
Se si scrive di teatro, soprattutto se nel frattempo lo si pratica, diventa necessario improvvisamente dedicare uno spazio allo spettatore.
Chiunque faccia esperienza di palcoscenico sa perfettamente che senza spettatori il teatro diventa impossibile. Per dare forza a questo principio, attingo a un passaggio di Grotowski, che sul rapporto attore-spettatore ha scritto pagine notevoli.
Il teatro, nella sua più autentica essenza, è ciò che accade tra l'attore e lo spettatore. [...]
Nella relazione tra attore e spettatore si instaura un flusso immaginativo che permette il contemporaneo manifestarsi di identificazioni e disidentificazioni, l'attivazione di emozioni e il giudizio, l'assorbimento e l'osservazione distaccata.
Insomma, un nobile relazionarsi, un essere parte di un organismo unico, in cui il palcoscenico si fonde con la platea e questa "creatura" che è l'arte del teatro respira, vive.
Ci sono fior di studi sulla fenomenologia dello spettatore, molti dei quali studiano questo indispensabile fruitore per creare strategie di attrazione, per andare incontro ai suoi gusti e per dirla tutta per fare in modo che il teatro non soccomba del tutto.
La drammaturgia ha fatto la sua parte in particolare nel Novecento, con i maestri della scrittura teatrale che hanno focalizzato tutta la loro attenzione sullo spettatore, dando luogo a sperimentazioni anche piuttosto ardite, come creare spazi scenici in cui non c'è una reale distinzione tra attori e fruitori, oppure mescolando gli attori agli spettatori in platea, o ancora con situazioni tali che è lo spettatore stesso a "creare" la propria scena, come nel caso dello spettacolo Buio, in cui chi arrivava determinava la scena interagendo di volta in volta in modo diverso con gli interpreti.
Ma ora spostiamoci dall'ambito "nobile" del fenomeno e andiamo a quello più "basso".
Nei secoli passati, il pubblico interagiva con la scena molto di più, anzi i drammaturghi scrivevano per suscitare reazioni anche rumorose nel pubblico, per farlo infuriare o ridere fino allo sfinimento o commuovere fino alle lacrime. Uno su tutti, il teatro di Shakespeare, in cui il pubblico, notoriamente posto in piedi, poteva anche letteralmente invadere la scena, si appoggiava al palcoscenico, vi si sedeva sopra per assistere.
Un'immagine dal film "Shakespeare in love", 1998 |
In tanti anni di pratica teatrale mi sono capitate decine e decine di esperienze di "pubblici" diversi. C'è da dire che ho cominciato con la commedia brillante, il pubblico che sedeva nelle platee era quello orientato verso lo spettacolo divertente, i colpi di scena, gli equivoci, la velocità d'azione.
C'erano sere di pubblico attivissimo, sollecitato alla risata assai facilmente, pronto ad applaudire a scena aperta, quel tipo di pubblico che gasa l'attore, che di conseguenza si muove più agevolmente. Poi c'erano sere in cui avevi l'impressione di stare facendo un altro spettacolo, con pubblico passivo, distratto, decisamente diverso. Ho sempre attribuito una parte della responsabilità a chi sta in palcoscenico quando accadono cose del genere, ma sono altresì certissima che ci sia un pubblico effettivamente diverso dall'altro e che non sempre può andarti bene, quanto a sensibilità.
Da tre anni in qua non pratico più la commedia brillante, mi sono data a un teatro che mi piace definire "poetico", una scelta di stile, un cambiamento di rotta evidente.
Ho portato in scena Falene, ispirato al film "The Hours" intorno alla figura di Virginia Woolf; poi ho scritto una specie di "shakespeareana" dal titolo Mi riveli il segreto di William Shakespeare?, un intreccio sulla crisi del drammaturgo e il teatro del Bardo; poi è stato il turno di Frida del mi alma, il racconto di Frida Kahlo, per arrivare a Foglie d'erba. Spettacoli impegnati, appunto "poetici", che richiedono un pubblico assai sensibile e in grado di fare una riflessione.
Ebbene, se penso alle centinaia di persone che si sono avvicendate in platea, devo dire che il parterre è stato vario. Sorvolo su tutte le fantastiche persone che sono state in silenzio, attentissime, si sono lasciate narrare queste storie senza fare un fiato, per andare all'esatto opposto.
Può forse mancare un elenco dei tipi di spettatore? Giammai.
Spettatori in una caricatura del XIX secolo |
1. Quello che fa polemica al botteghino.
Aveva la prenotazione? Non ricorda. Ha prenotato ma con nome di battesimo e si incavola se non sta nella lista. Ha prenotato a suo nome una decina di persone, gli altri non sa quando arriveranno.
2. Quello che esige il posto assegnato.
Hai voglia a ripetere: guardi che i posti non sono numerati, se è arrivato in ritardo non posso farci nulla, deve prendere posto in fondo alla sala. Lui esige di stare almeno a metà platea e si quieta solo dopo una decina di minuti di sterile discussione.
2. Quello che arriva in ritardo.
Lo spettacolo è fissato per le 21:00 o per le 18:00 nel caso della pomeridiana, lui si presenta con un ritardo che può sforare la mezz'ora dall'inizio dello spettacolo.
3. Quello che chiede continuamente del caffè o dell'acqua.
Avete letto bene, come se fossimo esercenti di un bar o se ci trovassimo al cinema prima dell'inizio del film. Ma anche lì, devi acquistare prima di entrare, o no?
4. Quello che si porta dentro il teatro le patatine o le ha comprate alla macchinetta distributrice del foyer e sul più bello comincia a suonare la pessima orchestra del rumore della busta.
5. Quello che nel bel mezzo dello spettacolo ha un impellente bisogno.
Costui è tipico. Non è che venga a teatro dopo aver espletato tutte le sue funzioni fisiologiche, attende proprio di venire sul posto e che lo spettacolo sia nel suo clou per alzarsi e fare spostare intere file. E non si tratta di anziani.
6. Quello che si porta un neonato.
Ora, per carità, apprezzo cotanto amore per l'arte drammatica, ma... sarà proprio il caso di portarti una creatura di pochi mesi che giustamente vagisce ed esige la poppata durante lo spettacolo?
7. Quello che commenta ad alta voce la scena.
Sì, proprio dando sfogo all'emozione, si mette a parlare, quasi aspettandosi che l'attore gli risponda per dare spiegazioni o dargli ragione.
8. Quello che non applaude.
Nè a scena aperta, quando il resto della platea dà il suo "premio" alla bravura, né tantomeno alla fine.
9. Quello che si alza e se ne va prima che gli applausi finali e i saluti siano finiti.
Non che sia fra quelli peggiori, ma trovo che sia un tantino poco adeguato. Quando sono spettatrice, mi piace restare fino al termine, dando testimonianza del mio esserci a prescindere se mi sia piaciuto o meno.
10. ... rullo di tamburi... Quello cui squilla il cellulare.
Dulcis, ma molto dulcis in fundo. Lo lascio al termine perché è quello più maleducato, il più fastidioso, il principe della molestia, l'insensibile, l'indifferente a tutto. Nell'ultima replica di Foglie d'erba abbiamo avuto un saggio assai illuminante a riguardo. So che in diversi teatri, anche di professionisti del mestiere, hanno interrotto lo spettacolo per redarguire questi inetti delle buone maniere.
Resta sacrosanto l'avvertimento iniziale. Guai a perdersi l'avviso, perché ci sarà sempre anche solo uno cui squilla il cellulare e perfino chi risponderà alla chiamata, magari anche a voce alta. Il trionfo dell'assurdo, quasi fossimo in uno scenario ioneschiano.
Ancora una volta Marina Guarnieri ha ispirato una riflessione. :)
Avete qualche tipo da aggiungere al repertorio?
Avete qualche tipo da aggiungere al repertorio?
Quello che commenta ad alta voce la scena non riesco proprio a digerirlo. Sarà perché mi immedesimo molto nella parte, sarà perché magari proprio in quel momento mi sto commuovendo: non ce la faccio a sentire commenti. In quei momenti ho bisogno di asslouto silenzio per interiorizzare la scena.
RispondiEliminaAllora fai parte della schiera degli spettatori realmente in grado di sedere in una platea. :)
EliminaIl cellulare che squilla a teatro era successo anche a me. Beh, non esattamente a me.. era successo a mia cognata che era seduta a fianco a me. Avrei voluto morire io per lei.
RispondiEliminaEcco, ci si sente come dei ladri con le mani nel sacco quando si è sensibili.
EliminaDirei che li hai detti tutti. Comunque l'incultura teatrale si supera con "le cattive". Mi ricordo di un mio conoscente che mi raccontò di come in Polonia (la sua compagna è polacca) giunsero in ritardo a uno spetaccolo teatrale e, beh, benché avessero un biglietto regolarmente pagato per un posto in platea gli impedirono di entrare in sala perché lo spettacolo era già iniziato e avrebbero "dato fastidio" agli spettatori già in sala e agli attori in scena. Dovettero sistemarsi in piccionaia e attendere l'intervallo per accomodarsi al loro posto in platea. Eppure il mio conoscente, dopo l'iniziale arrabbiatura, capì che era giusto così.
RispondiEliminaQuesto è un ottimo segnale di rispetto che arriva direttamente da chi "offre il servizio".
EliminaForse quello che manca è proprio questo aspetto del non "educare" preventivamente le persone che arrivano a vedere uno spettacolo. Si dà per scontato che siano normalmente fruitori di cultura, invece spesso si tratta di persone che non hanno questa abitudine.
Mi piace quella serietà tutta polacca.
Quella sera hanno squillato diversi cellulari (poi tutti con suonerie allucinanti!), ma in assoluto il più assurdo è stato il signore che ha risposto mentre percorreva il corridoio laterale, ha aperto una porta, l'ha richiusa, è tornato indietro e alla fine è uscito. Cose da matti!
RispondiEliminaMi veniva anche in mente l'applauso fuori luogo: quello che pensi possa fare piacere, perché comunque è una gratificazione, ma è inopportuno perché parte durante una piccola pausa in mezzo a una scena. Anche nei concerti si raccomanda di non battere le mani fra un movimento e l'altro, perché spezza il ritmo e disperde la concentrazione, oppure l'applauso durante la performance di un comico: certe volte è proprio questi a frenare con un gesto l'impeto del pubblico.
Sì, ricordo benissimo quel momento è la stretta allo stomaco che ho avuto.
EliminaRiguardo all'applauso, dipende secondo me da vari ambiti. Durante un concerto di classica in effetti applaudire fra un movimento e l'altro non avrebbe neppure senso, perché di solito vengono raggruppati in un'unica tranche brani coerentemente inseriti in un programma.
In questo caso è perfetto quell'applauso alla fine di ogni tranche, che quasi diventa liberatorio.
Riguardo all'applauso a scena aperta, qui mi divido. Dipende dal tipo di spettacolo e ti faccio un esempio. Quando interpretai Frida Kahlo, c'erano molti momenti "forti", sofferti, intensi. Poi finivano e la scena cambiava, andando ad altri momenti della sua vita, magari inframmezzati da proiezioni delle sue opere.
Ebbene, quando dalla platea nasceva un applauso dopo uno di questi momenti, me ne commuovevo perfino, perché sapevo di essere arrivata, di aver creato l'esigenza di un apprezzamento. Non c'era alcuno spezzare l'atmosfera, tutt'altro. In altre sere, gli spettatori applaudivano dopo un'ora e un quarto di spettacolo, magari a lungo, ma mi erano mancati quei momenti assaporati con un altro tipo di pubblico, ecco.
Mah... preferenze di "artista". :)
Io andavo moltissimo a teatro da ragazza, facevo proprio l'abbonamento; ora un po' meno, ma mi sembra di notare un aumento esponenziale della maleducazione nel pubblico. Ho frequentato grandi teatri milanesi e piccoli teatri e quasi sempre ho trovato un pubblico attentissimo, o comunque non rumoroso.
RispondiEliminaIl cellulare che ti suona durante lo spettacolo è agghiacciante, tanto più il tizio che risponde invece di silenziarlo freneticamente. A me era capitato una volta di essermi dimenticato acceso il cellulare a un concerto (La Messa da requiem di Mozart che ogni tanto provo il bisogno di ascoltare). Beh, ci credi che ho sudato freddo per tutto il concerto? Non osavo nemmeno aprire la cerniera e frugare nella borsetta per paura di far rumore. Per fortuna non è successo niente, ma non mi ero goduta il concerto per nulla.
Probabilmente avrei avuto anch'io lo stesso terrore, anche perché la cerniera non è da meno come rumore disturbante. :)
EliminaProbabilmente nell'ambiente di Milano c'è più consapevolezza del valore di uno spettacolo e raramente accadono cose come quelle di domenica scorsa. Vero è che eravamo non in un teatro "blasonato" ma mi raccontano di episodi simili accaduti ultimamente all'Eliseo. Uno degli attori ha fermato lo spettacolo, il che credo sia ancora peggiore del disturbo della platea.