lunedì 22 novembre 2021

Delitto e castigo - Fëdor Dostoevskij

Incipit: In una giornata straordinariamente calda del principio di luglio, verso sera, un giovane, uscito dalla stanzetta che aveva in subaffitto nel vicolo di S., scese in strada e lentamente, con l'aspetto di una persona indecisa, s'avviò verso il ponte di K. 
Per la strada riuscì a evitare l'incontro con la sua padrona di casa. La stanzetta del giovane era situata proprio sotto il tetto di un alto casamento a cinque piani e assomigliava piuttosto a un armadio che a un'abitazione. La padrona di casa, che gli dava in fitto quel bugigattolo, includendo nel prezzo desinare e servizio, dimorava una tesa di scala più in basso, in un quartierino separato [...]

La letteratura russa annovera due scrittori, Dostoevskij e Tolstoj, in grado di tracciare in modo profondo il passo della grande narrazione d'autore del XIX secolo. Poi anche Turgenev, Esenin, Gogol. Insomma scrittori i cui libri riescono a creare la sensazione di un gorgo, una spirale nella quale il lettore si immerge fino a una profondità mai neppure immaginata. 
È il caso di questo eroe e allo stesso tempo antieroe protagonista di Delitto e castigo, quel giovane Raskòlnikov che il titolo rivela essere un assassino e poi un deportato. Una collega prof mi ha detto "un titolo che è il più grande spoiler della storia della letteratura". Non credo, in fondo. 
Quel titolo sta annunciandoci che dinanzi a un efferato delitto il castigo è l'epilogo inevitabile. Il delitto, invece, il suo movente, è un groviglio di concause, l'effetto domino di una vita totalmente immersa nel suo tempo, nella più grande infelicità. 
Delitto e castigo non è solo il romanzo che narra un evento e il suo sviluppo, ma anche l'affresco di un'epoca, il grande spettacolo di una società sconfitta, grigia nei toni, mutevole negli atti, incerta, aggressiva e dolente. 

mercoledì 17 novembre 2021

Tutto il bello del leggere in pubblico.

Avete mai assistito o partecipato a un reading letterario
A me piace viverli da spettatrice e da lettrice. Cominciai a leggere in pubblico in eventi di una decina di anni fa, all'aperto e d'estate. 
Nel centro storico del paese in cui sono vissuta, Paola in Calabria, per qualche estate furono organizzate serate di questo tipo. 
In una di esse mi capitò perfino di indossare un costume storico medievale e declamare versi accompagnata dal clavicembalo. 
In una serata più informale lessi poesie di autori locali, e così via. In diverse altre serate mi è capitato di presentare eventi, ma la cosa è nettamente diversa.

In quelle prime esperienze da lettrice potei constatare che si instaura fra lettore e uditore un certo "feeling", un contatto molto bello e utile per poter comprendere e apprezzare il testo. Se il lettore riesce a mettersi realmente in sintonia con chi ascolta, viene a crearsi una specie di "luogo" in cui il resto tace e le parole di chi legge si sostanziano. 
Esiste una tecnica precisa per farlo bene, personalmente uso la mia voce rispettando alcune regole apprese in corsi specifici - uno fu sull'uso professionale della voce - oppure in tanta pratica di teatro e nell'insegnamento della drammatizzazione e lascio fare il resto a ciò che le parole sanno donarmi, restituendone il "peso". 
Una voce incolore, che non attribuisce un "peso" alle parole e non sia in grado di creare un contrappunto nella sintassi, non arriva al pubblico. Mi è capitato di ascoltare dei reading decisamente "pesanti", noiosi, in cui non si è fatto un vero lavoro sul testo. Come in tutte le attività performative, se ci si improvvisa il pubblico soffre e far soffrire il pubblico è davvero un sacrilegio. 

mercoledì 10 novembre 2021

Càscara - Elena Ferro

Immagine dal blog di Elena Ferro
Incipit
: Il giorno in cui ricevetti la lettera avevo appena finito di fare colazione. Era un caldo venerdì di primavera e il postino aveva bussato alla mia porta con una certa risolutezza. Una volta aperto, aveva infilato una mano nell'uscio consegnandomi la busta  con l'intestazione vergata da una mano incerta. L'avevo afferrata senza farci caso. Non aspettavo notizie e tornare alle mie incombenze quotidiane era l'unica cosa che mi interessava. 
«Deve aver fatto un lungo viaggio» aveva osservato il postino. Non replicai e salutai con cortesia, chiudendo la porta dietro di me. 

Ho letto con piacere l'ultimo libro dell'amica blogger Elena Ferro di Volpi che camminano sul ghiaccio, facendole una sorpresa quando ho annunciato di averlo acquistato. 
Era da un po' che mi incuriosiva la sua scrittura, perché sono assidua lettrice dei post del suo blog e avevo il desiderio di conoscere la Elena narratrice. Càscara (che in spagnolo significa "guscio") sarebbe stata l'occasione perfetta e tale si è rivelato questo romanzo, ambientato in una Sicilia del passato e in particolare in un paesino (inventato) incastonato in una baia affacciata su un mare che in tanti appassionati dell'isola apprezziamo da sempre. 
Elena ambienta il suo romanzo in Sicilia, eppure vive a Torino, ma ricordo che importante fu un suo viaggio nell'isola in cui rimase abbagliata dalla sua bellezza. Deve essere bello sentirsi ispirati dalle suggestioni di un viaggio per l'idea di un romanzo, o anche solo per arricchirlo di particolari, dettagli che si avvicinino il più possibile alla realtà.

mercoledì 3 novembre 2021

Il caffè di Luz e Marina: i sette vizi capitali... l'avarizia


LUZ
   Cara Marina, eccoci giunte al secondo appuntamento della nostra dissertazione sui Sette Vizi Capitali. Mettiamoci comode, questa volta parleremo... dell'avarizia
Veniamo prima alla definizione: si tratta dell'essere perennemente insoddisfatti di quello che si ha e di desiderare di conseguenza di avere sempre di più, sempre altro. Vero è che di solito pensiamo all'avaro come a quello molto restìo a spendere soldini. Tu come la vedi? 

MARINA  I due aspetti vanno di pari passo: l’avaro fa dell’”avere” l’unica ragione della propria esistenza, ha sempre l’ansia di non possedere mai abbastanza e dunque tiene tutto per sé. L’avarizia diventa “vizio” perché questa ostinazione nel possesso facilmente prelude a una mancanza di generosità e di sensibilità verso il prossimo. Mi viene da pensare alle lotte intestine all’interno delle famiglie per l’eredità (purtroppo io ne ho sentito parlare: ho degli zii che hanno rotto rapporti con cugini per questo motivo). Tutto ciò mi crea disagio: sto attenta all’economia della casa, sono oculata nelle spese, ma non tendo a dare al denaro un valore totalizzante. 
In che misura ti appartiene questo vizio capitale?