martedì 2 aprile 2024

Donna, tu puoi scrivere solo "romance"

È di questi giorni una polemica che impazza su alcuni profili Facebook, scatenata da un articolo uscito su Doppiozero, a firma di un tal Gianni Bonina, questo
Il nostro eroe, arzigogolando abilmente in una improvvisata analisi della narrativa firmata da autrici italiane, ci viene a dire che tutte, chi più chi meno, hanno il vizietto di virare verso il genere "romance". 
In realtà risulta evidente che il Bonina si sia letto solo uno dei romanzi che cita: La portalettere, di Francesca Giannone, romanzo d'esordio edito da Nord, vincitore del Premio Bancarella 2023 e al 4° posto fra i libri più venduti dello scorso anno.
Il Bonina non si capacita di come possa accadere che esistano non solo una Francesca Giannone, ma anche una Viola Ardone, una Michela Murgia, una Chiara Valerio, una Viola di Grado, una Nadia Terranova, insomma quelle scrittrici italiane che scalano le classifiche e fanno vendere e pertanto sono corteggiatissime dagli editori pure blasonati (vedasi Einaudi e La nave di Teseo, editori delle autrici citate).
È vero, esistono autrici riportate nell'articolo che non sono riuscita ad apprezzare del tutto, Stefania Auci per esempio (recensii il suo celebre I leoni di Sicilia qui), così come autrici che non ho mai letto né mi sento attratta a farlo, come Catena Fiorello (che dubito possa essere citata accanto a una Viola di Grado), Alessia Gazzola, Chiara Gamberale, Felicia Kingsley citata assieme a Michela Murgia (la Kingsley è nom de plume di un'autrice italiana che scrive titoli come "Due cuori in affitto" o "Una Cenerentola a Manhattan").
Questa mescolanza fra perlomeno inorridire, ci chiediamo come sia passato per la mente al nostro ardito Bonina di mettere nello stesso articolo, e perfino sullo stesso rigo, autrici tanto diverse, con un target totalmente differente. 
Un romanzo che da marzo dell’anno scorso figura tra i primi dieci più venduti in Italia merita ogni alloro, ancor più perché opera di una esordiente. Epperò La portalettere di Francesca Giannone (Nord) può servire come metro per misurare l’invalente gusto del pubblico. Che si va sempre più affinando nella consacrazione del romance come primo genere letterario. 
L'attacco è palese, con questo incipit che mette le carte in tavola. Il Bonina ci dice che le autrici contemporanee scrivono romanzi rosa e li scrivono per un pubblico femminile, osando mescolare generi che fino al XIX secolo erano separati: come avete osato mescolare il cosiddetto romanzo "intimista" con il genere "storico" e "sociale"???, tuona il nostro eroe. 
La rottura della regola ha la stessa forza dirompente della violazione del canone aristotelico di narrazione circa l’unità di tempo, spazio e azione che ha aperto le porte al teatro moderno, fatto salvo il dato che il precetto aristotelico professava l’inderogabilità dell’unità mentre il nuovo sistema sintetizza i generi in unità contro il credo della distinzione. Che questo fatto nuovo venga dalle donne costituisce una conquista di portata storica sulla quale riflettere
È la disfatta: la Sicilia sforna solo autrici al momento (e Simonetta Agnello Hornby, cui si può riconoscere una penna raffinata, campeggia fra le citate, mannaggia a lei), e nell'intero bel Paese le cose non vanno meglio: le classifiche sono troppo frequentate da donne che scrivono pure male. 
La differenza tra autori e autrici è in ciò, che i primi frequentano più generi, perlopiù il thriller, mentre le seconde si sono ancorate a uno solo: appunto il romance. Entro il quale anche autori come Federico Moccia, Fabio Volo e Andrea De Carlo si sono in tempi diversi esibiti con pari esiti, ma nella specie del contemporary romance rivolto al reale quotidiano.
Ecco, pure autori maschi hanno scritto romance, ci dice il Bonina, ma almeno loro si sono "esibiti" nella contemporary romance rivolto al reale quotidiano. Insomma non hanno osato, loro, scomodare la Storia né hanno scimmiottato il romanzo storico e sociale. Almeno loro. Maschi. Loro maschi non l'hanno fatto. 
Poi il buon Bonina ci fa una lezione su cosa si intende per genere "romance" praticato da questo gineceo di scribacchine:
Diciamo romance e intendiamo un molteplice gruppo di sottogeneri –paranormalyoungeregencychick – nel quale l’intimismo, cioè il rosa, prevale sempre mentre gli altri due grandi temi (storico e sociale) si disputano in seconda battuta la prevalenza diegetica in osservanza al nuovo spirito di unità.
Per "prevalenza diegetica" il nostro intende che questo tipo di narrazione spazia tra fatti e personaggi senza una focalizzazione, con un mix tra parti descrittive e parti narrative. Praticamente quello che fanno pure Roth e McCarthy per citarne solo due, ma il Bonina ha premura di dimostrare la "invalenza" di queste narratrici. 
Ma mai il romance si snatura lasciando il posto al più realistico novel, l’altro côté del modello narrativo moderno, di tradizione anglosassone e non spagnola come il primo, molto più caro al pubblico maschile, più frequentato dagli autori, tuttavia oggi in secondo piano per via della invalente supremazia della donna scrittrice e lettrice.
Dunque il Bonina si scaglia pure contro noi femmine lettrici, che andiamo ad alimentare il successo di queste pseudoautrici quando acquistiamo un loro libro, quando andiamo ad ascoltarle durante gli incontri con l'autore (ops, l'autrice). Si sta attuando un "suprematismo" di noi femmine, ree di stare facendo scadere la letteratura verso il basso, verso l'abisso di un panorama scadente e "invalente". 
Poi il Bonina fa l'esegesi de La portalettere, mostrando effettivamente di averlo letto ma auto-boicottandosi perché risulta troppo evidente che non abbia mai letto i libri delle altre citate. 
Maledizione, ci dice il Bonina, si sta perfino scrivendo una sceneggiatura da questo libercolo, che forse bisserà il successo de L'amica geniale... ahinoi! 
Ti credo, Bonina, probabilmente La portalettere non fa neppure per me. Scrivi che manca l'epica dei grandi romanzi e tutto si gioca in un intimismo in stile Liala. Presenta quello...
... stile piano, facile ed analogico, fatto di periodi paratattici senza soverchie proposizioni subordinate, ideale per un mercato mass-cult: quello che oggi piace tanto all’editoria perché incrementa le vendite e rende la narrativa parente della sceneggiatura nonché ancella del cinema, benché esperita a totale discapito della letteratura.
Forse, dico forse, questa esordiente che si spaccia per una scrittrice scrive come Gamberale, Fiorello, Gazzola. Insomma scrive come diverse altre scribacchine che hanno la fortuna di scalare le classifiche o di far parlare in maniera lusinghiera di sé. Queste femmine hanno osato prendersi su di sé l'attenzione dei riflettori, frequentano il Salone del Libro e ogni altro evento letterario e riempiono platee. 
Io non le leggo, ma leggo Ardone, Murgia, Valerio, Di Grado, Caminito, Avallone, e mi convincono. 
Dopo aver apprezzato Accabadora (qui), Il treno dei bambini e Oliva Denaro (recensiti qui e qui), Fame blu e Cuore nero (qui), non credo di aver letto dei semplici "romance", ma storie ben scritte, realistiche e a tratti disturbanti, commoventi, opportunità di riflessione, occasione di consapevolezza. 
E non sono una lettrice "facile", tutt'altro. 

Se ci facciamo una ragione del fatto che il "romance" sia il genere più letto al mondo, non possiamo accettare che diverse autrici italiane di pregio vengano descritte come autrici di romance, semplicemente perché non lo sono. Definirle autrici da romanzo rosa è un palese attacco maschilista e pertanto gravissimo. 
Non possiamo accettare questo tono, questa saccente filippica verso la femmina scrittrice e lettrice. È una caduta di stile preoccupante se pensata all'interno di una rivista di pregio. Questo è il fatto inaccettabile. È evidente che ci sia un fronte ben definito contro le scrittrici italiane di successo. 
Loredana Lipperini, critica e scrittrice, ha definito l'articolo "livoroso e disinformato", due termini perfetti per descrivere questo profluvio di sciocchezze, e il Bonina ha minacciato querela. Fate voi. 

23 commenti:

  1. A me fa un po’ sorridere la necessita dei distinguo continui, dell’inquadramento necessario tra generi e sottogeneri, anche King si diletta in pagine romance allora, e Baricco nel rosa più rosato, ma ormai creare barriere uomo/donna è tipico di mentalità retrograde e incapaci di un’evoluzione in pieno atto, penso a Veronica Raimo, alla Caminito o alla Perrin (per rimanere in ambito femminile), come si fa a incastrarle in generi? Lo scrittore delineato probabilmente non esiste.

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    1. È venuto fuori, da parte di osservatori più acuti e preparati di me, che pure Erri De Luca scrive un genere molto simile a quello diffuso fra le autrici italiane, perlomeno in stile Terranova e Postorino, ma il nostro buon critico non se n'è accorto perché De Luca è un maschietto e pure molto stimato nell'ambiente intellettuale.
      È proprio come scrivi, mentalità retrograda. Anche la Raimo se la cava bene, ha una scrittura arguta, appuntita, benché alla fin fine scriva di temi che nell'articolo in questione sono sotto attacco. E meno male che non ha menzionato la Mazzucco, ci sarebbe stato da ridere.

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  2. Non so chi sia questo Bonina ma la sua analisi mi sembra estremamente raffazzonata e "forzata". Comunque presumo che il suo scopo fosse solo creare polemica e alzare un polverone, e direi che c'è riuscito.

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    1. Concordo, c'è riuscito in pieno. Diciamo che non poteva non aspettarsi la sollevazione dell'ambiente culturale contemporaneo. Sto rimanendo deliziata dai critici uomini che si sono schierati contro questo tal Bonino, mentre il livore della compagine a suo favore continua a marciare nella direzione di un'aperta antipatia verso un ambiente di scrittrici che a quanto pare "si appoggiano le une le altre".

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    2. Questa è di Alfio Squillaci, scrive anche su Gli Stati Generali:
      Letteratura al femminile?
      Albert Thibaudet scriveva negli anni Venti del Novecento: «Il romanzo sono le donne; generalmente scritto per loro, spesso su di loro, talvolta da loro». Ebbene quel "talvolta", cento anni dopo, deve essere sostituito con "soprattutto". Ora, la polemica letteraria del giorno è quella sollevata, coraggiosamente o incoscientemente non saprei dire, viste le prevedibili reazioni, da Gianni Bonina su "Doppiozero" su un tema che riecheggia, seppur corretto, il "bon mot" del critico francese. Qui il Nostro critico ha tentato di spiegare, mi è sembrato, le ragioni che hanno portato a quel "colpo di stato" delle donne nella Repubblica delle Lettere dove le scrittrici sono ormai saldamente regine intronizzate.
      Bonina intenta il suo discorso critico prendendo l'avvio dal successone de "La portalettere" della esordiente Francesca Giannone, ricorrendo a spiegazioni stilistico-epocali, richiamando ossia la nota distinzione elaborata in ambito anglosassone già nel '700 e anche in seguito, tra "romance" e "novel". Le donne, dice Bonina, o meglio, sottilmente si infralegge nel suo scritto, avrebbero imposto il "romance" favolistico e intinto nel "rosa" intimista dei sentimenti tenui e soffusi o comunque la trattazione del mondo come potrebbe essere, a danno dell'indagine realistica del mondo come brutalmente è, e la cui rappresentazione seria pare bellamente elusa.
      Solo che Bonina ad un certo punto si accorge che stabilito questo discrimine deve necessariamente farvi rientrare, in questa particolare modalità stilistica e narrativa, non solo le femminucce ma anche i maschietti quali Federico Moccia, Fabio Volo e Andrea De Carlo (e qualcuna in Rete vi ha aggiunto sornionamente i nomi di Cognetti, Giordano, Erri De Luca), anche se, secondo lui, costoro ricadrebbero nella sotto-categoria del "temporary romance", che non so esattamente cosa sia, dopotutto facendo un po' sballare il suo tentativo di fissare criticamente, posto che ci sia, il "femminile" in narrativa, che mi pare essere il bersaglio polemico sottotraccia (e comunque è ciò che ha fatto saltare la mosca al naso a moltissime lettrici e/o scrittrici in Rete che hanno puntato il dito proprio su questo elemento). Si fosse fermato alla stroncatura della "Portalettere" che c'è tutta (e su cui non posso dire nulla perché non l'ho letto), quando scrive di "dialoghi da un 'Posto al sole' ", o allude a Prati&Aleardi, o scrive di remake di Liala, e finisce con l'esplicita allusione al fotoromanzo addirittura, sarebbe finita lì.

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    3. Accade invece che Bonina allarghi il suo discorso in maniera dotta e allusiva a precetti aristotelici infranti, quindi a quella distinzione di cui sopra tra "romance" (ma il termine lampeggia e sembra dire romanzo "rosa", "rosa", "rosa") contro il "novel" cui sembra andare la sua simpatia (ma, conta poco, anche la mia). Quindi ecco aprire un fronte contro la casa editrice Nord che con il suo catalogo di successi stratosferici (la saga storica dei Florio della Auci precede "La portalettere" in catalogo) avrebbe fuso il "rosa", il "sociale" e lo "storico" costruendo quasi in laboratorio il nuovo genere scritto da donne per donne che è appunto questo "romance" a forti tinte rosa. Poi allarga ancora il discorso o alza il tiro, fate voi, e scrive che in fondo la sequela romanzo-sceneggiatura-serie tv che si sta preannunciando per "La portalettere" come per tante altre opere, era già tutta "nelle mani" di Andrea Camilleri che se ne porta la responsabilità. Quindi, ancora, apre una parentesi destinata al gran numero delle scrittrici siciliane, «da hit parade» scrive espressamente (dalla Agnello Hornby a Viola di Grado passando per Nadia Terranova) che succedute non dico a Verga o Pirandello (pur citati) ma ai vari Sciascia, Bufalino, D’Arrigo, Consolo e Bonaviri, si rivolgono a lettrici in un corto circuito di specularità e simpateticità femminili a danno del fatto che «non c’è al momento un solo scrittore isolano che faccia sentire la sua voce, diversamente che sul piano nazionale». Infine, non pago, rivolge il periscopio del suo cannocchiale panoramico sulla lunga lista, che tralascio, di scrittrici nazionali sul proscenio, e anzi fa di peggio, allinea in un'unica frase, che sottende un unico giudizio critico Sveva Casati Modignani, Elena Ferrante e Anna Premoli (chissà come James Wood vedrebbe la propria pupilla Ferrante in questa risma). Insomma un "pot pourri", un mischione davvero confuso che ha fatto perdere a Bonina un po' la bussola e l'eleganza critica dei riferimenti aristotelici o del termine raro "invalente", preso da molte lettrici nel tifone dei post sui social, a torto, come un termine svalorizzante o perfino un insulto, e atterrare infine in un discorso critico dove il bersaglio grosso - l'insoddisfazione evidente che si potrebbe anche sottoscrivere ma non su questi presupposti e con queste motivazioni, per gli esiti della produzione letteraria italiana recente - avrebbe richiesto la forma e la misura di un saggio articolato e razzente, e non una serie di ragionamenti accrocchiati nel bel mezzo di una stroncatura. Ed è un peccato, perché uscire dai modi ellittici e incidentali ed esplodere in un "à la guerre comme à la guerre", è il grido lungamente represso del critico sincero in difesa delle ragioni minacciate della Letteratura e del Bello.

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  3. Mi sembra che questo giornalista (che non avevo mai sentito nominare) si sia voluto guadagnare gli onori della cronaca scrivendo un articolo basato sul pregiudizio di genere, le donne scrivono solo romance, le donne possono stare in casa a fare la calza, le donne sono meno intelligenti dell’uomo ecc ecc e non aggiungo altro

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    1. E lascia interdetti si tratti di un intellettuale e per di più allineato a sinistra. Ma si sa, la sinistra non esiste più.

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  4. Bonina non ha capito e scrive sciocchezze.

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  5. Amo il romance ma non i generi. Intendo dire che l'amore è transgenere e può apparire in qualsiasi storia (che tratti esseri umani) e che l'idea di scrivere partendo da un genere precostituito trovo sia limitante, è il contenuto che deve stabilire la forma, non il contrario. Sono uomo e adorerei saper scrivere un buon romance, l'amore è una parte preponderante della vita e l'artista imita la vita. Con ciò, è possibile che uno scrittore sfrutti l'amore per cercare di vendere più copie. Mi sembra che il campione di libri scelto da Bonita sia così limitato da far perdere alla sua tesi ogni pretesa di correttezza.

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    1. Qui abbiamo due fronti: il disprezzo del genere in sé e lo spregio del tipo di narrativa di alcuni nomi del panorama femminile italiano. Un doppio disprezzo che non giova a una rivista intellettuale. Il limite è tutto nel non saper affrontare un determinato tema semplicemente analizzandone il fenomeno, senza abbandonarsi a questa spocchia e altezzoso livore. Io non leggo romance ma applaudo l'autrice dietro lo pseudonino di Erin Doom per il suo Il fabbricante di lacrime, che praticamente è partita dal nulla, da wattpad, e si è conquistata l'attenzione di editori e migliaia di lettori. Mi ha fatto conoscere questo romanzo una mia alunna, me ne parlò con un tale entusiasmo da fare pensare... volercene di libri che sanno conquistare così gli adolescenti! Che poi li si spinga a leggere anche i classici o romanzi di contemporanea di maggiore valore "formativo" è ovvio che si fa, ma intanto una ragazza che praticamente non leggeva nulla s'è letta un volume di ben 670 pagine.

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  6. Non ho mai sentito parlare di questo Bonina, ma è l'ennesimo patetico attacco maschilista...è chiaro che non abbia letto nulla delle nostre grandi scrittrici. C'è sempre un tentativo di sminuire le donne, eppure non mi sembra che non ci siano scrittori che non scrivano banalità e ne hanno fatto pure i film. Purtroppo questo è un paese che trabocca di misoginia...poi dicono che il patriarcato e il maschilismo non esistono...

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    1. Mi ha ricordato la banalissima esternazione di Luca Sofri sulla chiusura dei teatri, al tempo della pandemia. Le sparano grosse senza conoscere persone, autori, contenuti, quello che si fa, che si racconta. Le persone che si salvano, aggiungo. Sparate di intellettuali imborghesiti che accusano gli altri di essere di nicchia e invece sono frustrati perché non si spiegano il motivo per cui Murgia o Valerio e altre vendano e anche molto bene. Da qui a degnarsi di leggerne i libri, non sia mai.

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  7. Dell'articolo di Bonina, che ho letto, mi hanno colpito due cose: il linguaggio artatamente forbito, come a dover dimostrare qualcosa, e la promozione dei testi che, apparentemente, demolisce, con tanto di foto di copertina. Dunque mi pare un'operazione commerciale, come ha osservato qualcuno probabilmente programmata ad arte con vis polemica, che nasconde però un preconcetto, come giustamente hai fatto notare: non sulle donne ma sul romanzo (ne parlo in italiano, mi scuserà Bonina) e il suo presunto peccato di eccessiva "’introspezione, lo scavo di interiorizzazione spinto fino alla psicomachia" che, incapace di comprenderne la funzione, anche catartica ma soprattutto letteraria, poiché la letteratura non solo descrive il reale ma lo traduce, lo sublima, la derubrica a mera "vocazione propria della scrittura femminile di raggiungere i recessi dei nervi coperti e fare vibrare i sentimenti più profondi e nascosti, sia pure a volte con espressioni linguistiche che costituiscono un limite ma pure una cifra.". In verità se il suo narcisismo glielo avesse permesso, questa frase avrebbe potuto anche essere una celebrazione di ciò che critica. E non è detto che non sia così

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    1. Eh sì, il linguaggio artatamente forbito doveva servire allo scopo. Nel suo tentativo di dimostrazione dell'INVALENZA di certa narrativa - che pure è orientata verso certo maschilismo assai palese, lo dimostra la pezza messa a Volo, Moccia e De Carlo e molto altro - si erge su un piedistallo da intellettuale da palato raffinato. Hai notato il passaggio contro la narrazione di matrice spagnola? Non saprei che altro citare, ce ne sono di panzane. Ora, è evidente che sia sacrosanto dire o scrivere quello che si pensa, non metterei il bavaglio a lui come a migliaia di altri millantatori di verità assolute, ma quello che fa pensare è lo spazio in cui campeggia questo scritto. A detta di molti che conoscono bene il tipo di magazine, non ci si sarebbe mai aspettato che accogliesse questo tipo di contenuto.

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  8. Uno può scrivere in modo delizioso argomentando su concetti completamente sbagliati, maschilisti e menzogneri. Bonina è un narcisista da scartare.

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  9. Certo, questo tizio fa montare una rabbia non indifferente! Credo abbia voluto lanciare una provocazione coi fiocchi, perché altrimenti non si spiegherebbe nemmeno come abbiano potuto pubblicare un articolo del genere, tra l'altro su una rivista prestigiosa. Un giornalista e uno scrittore, leggo su Wikipedia... Mah, mi dispiace che sia siciliano! :(
    (Non commento oltre, perché non voglio cadere nel tranello della polemica che lui e chi gli ha pubblicato il testo hanno sicuramente voluto scatenare)

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    1. L'articolo ha sdoganato una certa antipatia verso un fronte femminile di scrittrici italiane. Certo ha lasciato fuori Postorino e Petri (questa certamente una spanna sopra l'altra), vai a sapere perché. Sospetto comunque che siano anche amicizie, intrallazzi vari e in generale tutto quello che pertiene ambienti in cui è molto difficile mettere piede. Che l'ambiente degli scrittori sia elitario è da sempre evidente, ma qui noto pure un attacco preciso a determinate personalità. Insomma, non mi stupisce che campeggino Murgia e Valerio. Quando la Murgia morì, mi accorsi che non tutto il mondo intellettuale aveva manifestato cordoglio, segno che comunque, all'interno di quel manipolo di scrittrici tutte diverse fra loro citate nell'articolo, ci fosse anche chi era apertamente disprezzato per partito preso, ideologia, ecc. Tutto questo per dire che alla fin fine l'autore o l'autrice sommerge totalmente i propri scritti. Si può anche aver scritto romanzi di pregio ma se la persona risulta indigesta, allora finirai in soffitta fra coloro di cui non parlerai mai bene, manco se avessero vinto un Pulitzer. Meno male che al di là di tutto conta il gusto del pubblico.

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  10. La polemica di questo Bonina, che non conoscevo, lascia il tempo che trova: i generi si possono mischiare tranquillamente senza che nessuno e niente ne risenta. L'importante è saper narrare bene una bella storia, che poi a farlo sia un uomo o una donna è del tutto indifferente. E sospetto che sotto le righe ribolla uno dei peggiori vizi capitali, l'invidia per il successo di queste autrici romance.

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    1. Esattamente, come definire altrimenti questo livore? Poi non sono autrici romance. Sono autrici che hanno scelto di mescolare il romanzo popolare e quello storico, non hanno mai scritto "romance".

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  11. Non so chi sia questo Bonina, e credo continuerò beatamente ad ignorarlo. Delle poche parole che riporti, posso dargli la stessa votazione sotto il cui titolo scrive: doppio zero. Che non vale nemmeno sprecare il segno negativo.
    Le donne leggono di più e leggono più romance, probabilmente anche in reazione alla mancanza di figure maschili di valore. Tocca trovarsele tra le pagine scritte da altre donne. E il colmo è che, guardando i numeri, sono gli incassi dei romance a permettere alle case editrici di pubblicare anche altro. Quindi dovrebbero pure ringraziarle, scrittrici e lettrici insieme...

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    1. Infatti penso a tutte le volte in cui a incontri con l'autore o eventi di vario genere, il parterre sia costituito all'80% da donne. Le classifiche sono fatte da lettrici, se ci finisce anche quello che è ritenuto spazzatura facciamocene una ragione. Ma poi questo non è neppure il tema, perché questo è stato un evidente attacco a scrittrici di grande successo. Oggi leggevo alcuni post ironici di Fulvio Abbate riguardo a certo "amichettismo" nelle cerchie di scrittori e scrittrici italiani. Come se fare gruppo, sostenersi e essere cordiali fosse una cosa stupida.

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