mercoledì 2 novembre 2022

Noi siamo i libri che leggiamo?

Stamattina su Instagram ho letto un post interessante, uno di quelli di Guendalina Middei, autrice del romanzo storico Clodio, edito da Navarra. 
La cito: Chi sono io? Sono tutti i libri che ho letto. 
Leggo ogni giorno. Con i libri parlo, litigo, li interrogo. Li faccio miei. Smettere di leggere per me sarebbe come smettere di respirare. Sono una lettrice onnivora, ma ho una vera e propria ossessione per la letteratura russa e per la Russia in generale. Ho un debole per gli scrittori contorti, problematici, folli. Nabokov, Bernhard, Krasznahorkai assieme a Dostoevskij e Cechov occupano un posto speciale nel mio cuore. 

Facciamo dunque questa riflessione da lettori "intensivi".
Noi siamo i libri che leggiamo? Per me la risposta è sì. Leggere significa anche fare delle scelte. Ciascun lettore è quel preciso lettore, ama spaziare o si affida a un solo genere, acquista in maniera compulsiva perché legato al possesso del libro oppure acquista poco e si affida anche a biblioteche, è un lettore curioso e va a caccia di autori nuovi oppure ancorato ai classici, ecc. 
La nostra identità di lettori coincide con la nostra identità tout court, perché il libro è come un abito, scegliamo quello che ci piace e siamo certi accresce il nostro bagaglio interiore. 
Vero è che leggiamo anche per semplice e puro passatempo o intrattenimento, ma il vero lettore forma in sé uno spazio ideale, "abitato" da quegli scrittori e scrittrici che di più lo hanno emozionato, dai quali ha tratto insegnamento, che sono stati strumenti per affinare il proprio pensiero e la propria visione del mondo. Ecco perché siamo soliti tornare a bussare a quella porta e non ad altre. 

Se faccio un bilancio dei miei ultimi anni da lettrice, dico che ho scoperto autori e autrici capaci di donarmi veri distillati di bellezza, immensi. Fra gli ultimi: McCarthy, McGrath, Maurensig, Hardy, Saramago, Ernaux, Mazzucco, Nabokov, Nafisi e altri. 
Se mi piace un determinato libro piuttosto che un altro, è perché io sono in quel determinato modo
Se permetto ai libri che scelgo di scendere nel mio profondo, è perché fra la narrazione e me si sta verificando quella che Foscolo avrebbe definito "corrispondenza d'amorosi sensi". 
Ci sono libri che rispondono meglio alle nostre aspettative, ai gusti, si sintonizzano con una zona emotiva profonda, altri che ci lasciano indifferenti, facciamo fatica a finire, non suscitano che solo un vago interesse. 
Mi sta succedendo in questi giorni con un thriller di cui avevo sentito ottime cose: C'era due volte dello scrittore francese Franck Thilliez. Uno dei più acclamati scrittori del genere, definito "maestro incontrastato del thriller francese". Ebbene, non so se sia proprio il genere a non essermi congeniale, ma ne dubito. Trovo la sua scrittura troppo sempliciotta, l'intreccio forzato, ingenuo. Sembra la sceneggiatura di uno di quei film di terza categoria che danno sulla Rai d'estate, quando la tv è deserta. 
Mi dà l'impressione di uno che scrive di getto, senza un vero progetto di scrittura, sciatto. Non provo quella spinta ad andare avanti, lo finirò ma non vedo l'ora di chiuderlo sull'ultima pagina. 
Questione di gusti, non c'è dubbio. 
Sì, perché questo "abito" non lo sento mio, non mi è congeniale. 
Rimprovero all'autore la mancanza di accuratezza, il difetto nell'intreccio. Costruire un thriller non può essere semplicemente mettere insieme una decina di personaggi e svelare passo passo un loro coinvolgimento nella vicenda e se pure questo fosse, come del resto leggiamo in tanti gialli classici, dobbiamo farlo mettendo il lettore su una scacchiera ideale, tendendo delle trappole, mostrando un lato oscuro e insospettabile, non alla maniera di un qualsiasi mio alunno che si inventa una storia durante il periodo di vacanze e la butta giù pensando sia un capolavoro. 
Perché. a mio parere, questo romanzo potrebbe scriverlo un dilettante, un autopubblicato tanto vituperato, anzi forse sarebbe perfino migliore. 
Se mi chiedessi che fine stia facendo l'editoria "di successo", uscirei dal vero tema di questo post.

Gli autori e le autrici sopra citati mi hanno reso una lettrice esigente, l'abito che scelgo deve essere di alta sartoria, a meno che non stia virando verso un libro da ombrellone, che non richieda uno sforzo di riflessione, un approfondimento. 
Ci sono perfino momenti in cui non vorrei essere affatto così esigente, mi getterei sui tanti blockbuster editoriali che vanno per la maggiore, avrei di che sollazzarmi in trame facili facili, sarei una che si lascia stupire da "effetti speciali e colori ultravivaci", ma niente, non funziona. Noia assoluta. Insofferenza, sonnolenza. In qualche modo, ne ho scritto già qui
Se noi siamo quello che leggiamo, allora c'è qualcosa di mio nelle trame degli autori e autrici sopra citati. Quelle pagine non saranno "scorrevoli" (termine caro a lettori probabilmente poco esigenti), richiedono una riflessione, ad accuratezza di stile risponde accuratezza di lettura. 
Solo quella scrittura e quelle trame mi trascinano lontano da qui, fra le lande polverose di Meridiano di sangue, fra i vicoli della New York di Vita, in quel piccolo soggiorno in cui una prof si nasconde con le sue allieve di Leggere Lolita a Teheran, fra le stanze fredde di un istituto di igiene mentale di Follia, nella nebbia lattiginosa di Cecità, in quello scompartimento in cui si tiene una partita a scacchi di La variante di Lüneburg e in decine di altri luoghi in cui è stato facile trovarsi perché tutto era perfetto, la narrazione talmente potente da trascinarti fin laggiù. 

Ora a voi la parola: siete i libri che leggete? E pertanto quali generi preferite, quali autori e autrici riescono a farvi tornare a bussare sempre a quella porta? 

16 commenti:

  1. Nel mio caso posso dire che non sono i libri che non leggo :-D
    Nel senso che a livello di letture mi piace spaziare molto, passo da Kundera a Sophie Kinsella, da Houellebecq a Jane Austen, da Tanizaki a Banana Yoshimoto...
    Però ci sono dei libri che proprio non mi piacciono. Non amo il realismo magico con quelle trame senza senso basate solo su una sedicente "suggestione", non amo quel verismo crudo e tetro che racconta la vita con uno stile lugubre, non amo quei libri scritti per puro sfoggio dell'eloquio dell'autore in cui una banalità viene trascinata per venti pagine solo perché lui deve dimostrare che conosce tutti i ventisei sinonimi della stessa parola...
    Io rispetto gli altri fintantoché gli altri rispettano me. Ecco, a me piacciono gli autori che rispettano i lettori. Quelli che se iniziano a raccontare qualcosa sanno di cosa stanno parlando e fanno del loro meglio per non essere noiosi, pesanti, presuntuosi, deprimenti o soporiferi.

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    1. Mi piace moltissimo questa tua visione. È una scelta precisa. Perché il lettore di lungo corso sa distinguere molto bene tutte le categorie che elenchi e anche molte altre. Per esempio quel piglio autoreferenziale lo riscontro in autori come Veronesi, oltretutto un uomo antipatico e molto distaccato dal suo pubblico. Anche Baricco cade nella trappola, ma gliela perdono, perché mi emoziona. Fra gli scrittori che citi, mi piacerebbe scoprire Houellebecq, anche se mi dicono che è un personaggio pessimo, gliela potrei perdonare se mi acchiappa.

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  2. Noi siamo i libri che leggiamo, sono d'accordo. Amiamo i libri che più ci assomigliano, quelli in cui ci ritroviamo. Personalmente amo le letture complesse, impegnative ed oggi è difficile trovarle. Quello che a te è successo con Thilliez, a me è successo con Ken Follett. Un autore molto in voga, considerato uno dei più grandi al mondo, mi ha lasciato quasi indifferente. Un modo di scrivere semplice, descrizioni ridotte all'osso ( parlo de La cruna del lago, gli altri non li ho letti proprio perché non è scattata la scintilla), direi essenziale. Non l'ho bocciato, però mi aspettavo molto di più, considerate anche le opinioni degli altri lettori, di persone che me lo avevano consigliato. Non voglio giudicarlo in toto, visto che ho letto solo un libro suo, però non è andata come mi aspettavo. Il fatto è che non mi va di leggerne altri perché penso che quel modo di scrivere non mi soddisfa.

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    1. Anch'io lessi una cosa di Follett tanti anni fa, di cui non ricordo neppure il titolo, e rimasi delusa come te, Caterina. È evidente che sia narrativa di consumo che, sia chiaro, sono felicissima soddisfi milioni di lettori appassionati del genere. Il fatto che non rientrino nelle nostre corde non significa che sia roba scadente, ma certo non risponde a un gusto preciso, quello di lettori e lettrici che vogliono di più, che esigono uno stile accurato, più sorprendente. Giganti come Roth, per esempio, che sanno raccontare anche un tema trito con uno stile a più livelli, con un modo possente di destreggiare lo strumento narrativo.

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  3. A me piace credere che diventiamo i libri che leggiamo (ma non ho mai capito se è utopico, distopico o dispotico)

    g.

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    1. Ah ah ah grazie per questa arguta osservazione, "g.". :)

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  4. Siamo quello che leggiamo perché, sicuramente, in un libro cerchiamo un po’ di noi stessi, quando leggiamo vogliamo identificarci oppure riconoscere una parte di noi, un pensiero, un modo di essere o di sentire che sentiamo nelle nostre corde. Io cerco di leggere il genere che scrivo, ma non tutti gli autori sono uguali, mentre altri sono davvero bravi e leggerli non è mai una delusione. Giulia Mancini
    (Commento come anonimo perché non mi fa inserire l’account google...)

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    1. Mi piace l'idea di leggere tanti romanzi gialli, sviscerare l'intera letteratura di genere, conoscerla a fondo, per scrivere romanzi gialli. Conoscere la materia, vedere in quanti infiniti modi possa essere narrata. Brava, Giulia.

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  5. Credo che sì, siamo tutti i libri che leggiamo. Quando capito in casa di qualcuno il mio sguardo corre subito alla libreria (se c'è, spero sempre che ci sia) perché ogni libreria è la mappa geografica dell'anima del suo proprietario. Io sono una persona semplice dai pensieri complessi e questo si riflette nelle mie letture, che spaziano dai premi nobel ai manga, ai saggi scientifici ai gialli.

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    1. La penso esattamente come te. E mi viene in mente una cosa che non sono riuscita a dimenticare. Un pomeriggio di tanti anni fa capitai assieme a mia madre da una signora vicina di casa, neppure tanto anziana. Una donna che reputavo fredda, ma anche intelligente. Ebbene, nel suo soggiorno, un'intera impressionante parete era occupata da... libri Harmony. A centinaia. Harmony di tutti i tipi, anche quelli in cui l'editore aveva riproposto vecchi romanzi di Liala, hai presente la scrittrice rosa di inizio Novecento? Ecco, quella cosa così imponente mi suggerì che dietro quella facciata altezzosa si nascondeva una donna fragile. Chi mai poteva leggere cataste di Harmony e solo quelli? Probabilmente era un modo per colmare un vuoto. Lo lessi in questi termini.

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  6. In quanto a lettrici esigenti, mi annovero nella categoria, lo sono sempre stata, in fondo, anzi adesso leggo molti più generi, che prima non avrei mai nemmeno sfiorato nemmeno col pensiero: ho letto “Il trono di spade” e mi ha entusiasmata, “Q” di Luther Blisset ed è stata un’esperienza bellissima e poi... “Infinite Jest”, dove lo mettiamo? uno scoglio che non avrei mai immaginato di superare, ancora meno di amare alla follia. Però mi accorgo che resto freddina nei confronti di romanzi rosa o dei gialli. Alla fine, è vero che ci rifuggiamo nei libri che più ci rappresentano, non perché parlino di noi, necessariamente, ma perché sposano la nostra idea di benessere nella lettura e io sto bene dove ci sono trame complesse, approfondimenti psicologici, anche ambientazioni e atmosfere che, in qualche modo, trovo sublimi (non potrei altrimenti considerare Proust uno dei miei autori preferiti). Per adesso i “nuovi” scrittori mi deludono, mi piacciono sul momento, forse, ma poi li archivio come esperienze dimenticabili, al contrario dei classici che rileggo o scopro e mi fanno rimpiangere persino la scrittura di un tempo.

    Marina

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    1. Come te, anch'io resto un po' delusa dai nuovi autori. In particolare da quando seguo i gruppi di lettori su Instagram. Ci sono romanzi celebrati come spettacolari, geniali, che invece a me risuonano come quei dolci venuti male quando apri troppo presto il forno. So immediatamente che non tornerò sui miei passi, perché sento che leggere un libro che non ci piace e non "risponde" alle nostre aspettative è alla fin fine perdita di tempo prezioso. Ora sto terminando, anche questo a fatica, una biografia romanzata di Francesca Bertini, la celebre diva del cinema muto. Scritto veramente coi piedi, Mari'. Salvo la curiosità di entrare almeno un poco in quel mondo lontano e affascinante.

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  7. Non a caso si parla di biobibliografia! Siamo senz'altro i libri che leggiamo, e che rileggiamo. I libri sono come degli amici, e frequentiamo solo le persone che ci sono più congeniali, magari anche opposte nel pensiero e nel carattere, ma che ci trasmettano qualcosa. Ma non solo: ci sono dei libri che nutrono lo spirito, altri che scivolano addosso come acqua fresca. Non pretendo che si scrivano tutti capolavori, ma alcuni libri davvero non servono a niente e non ti lasciano nulla se non un senso di irritazione. Mi ricorda il discorso sui classici che si faceva qualche tempo fa: leggere un bel classico è come sedersi davanti a una tavola imbandita con una serie di portate succulente, ti dà una sensazione di sazietà e... anche di sicurezza (nel senso che sono cibi buoni, che non ti fanno male alla salute). Molti libri contemporanei sono in realtà astute operazioni di marketing, non a caso noto che si parla sempre di "libro del secolo", di "storia imperdibile", di "capolavoro".
    Per quanto riguarda i generi, leggo un po' di tutto, basta appunto che siano scritti bene.

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    1. Vedi che significa quando un editore blasonato urla al capolavoro, riguardo a libri che sono acqua fresca, a fronte di piccoli editori che nemmeno si disturbano a fare un minimo di pubblicità, e magari si tratta di buona narrativa? È tutto nelle mani di un sistema, vale la parola di chi, e ti puoi fidare, ti consiglia un buon libro da leggere. Per il resto, sì, i libri sono come degli amici... ed è bellissimo.

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  8. Siamo i libri che leggiamo? Non proprio. Direi che siamo i libri che decidiamo di tenere con noi.
    No, nemmeno. Ho tenuto dei libri che non mi definiscono nemmeno di un millimetro, però li ho tenuti perché in quella lettura c'era qualcosa, e magari non ho ancora capito cosa. Se mi giro e guardo la mia libreria... nemmeno Freud capirebbe cosa sono io guardando i titoli. E non sono tutti i libri che ho letto, altri se ne sono andati per la loro strada, perché erano della biblioteca, erano in prestito, erano una bella lettura ma non abbastanza, erano una lettura talmente stupenda da doverla condividere col mondo e quindi lasciarli viaggiare. Leggo di tutto, potenzialmente, non mi piacciono gli horror perché "alla fine muoiono tutti" (mi hanno detto che questo distingue gli horror) mi sembra troppo banale, non mi piacciono gli storici (o così credevo...), le trame complicate mi vanno anche bene se l'autore non è troppo vanitoso della sua presunta maestria. E dopo aver letto pagine e pagine di manualistica, informatica o, tragedia, burocratese italiano, sì, ho anche voglia di lasciarmi andare a un Harmony. Questione di equilibri. Al momento (che ahimè sto studiando di nuovo per ben due concorsi... mannaggia) faccio fatica a concludere Guerra e pace. Bellissima la storia, magistrale lo stile, ma a pagina 1400 e passa lo "spiegone finale" di Tolstoj mi si pianta nello stomaco a ogni paragrafo... Che ha pure ragione, ma si sta ripetendo all'infinito.

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    1. Vale bene anche la tua visione, Barbara. Tu sei una lettrice per certi aspetti onnivora (salvo qualche genere che citi non nelle tue corde) e questo fa di te una lettrice di storie, siano esse di alta letteratura, nella quale pertanto qualcosa di te starai cercando, sia anche qualche Harmony ogni tanto, ossia in quella voglia di leggerezza che ancora ti piace.
      Essere quello che leggiamo in qualche modo qualifica il nostro modo di essere lettori, non ce n'è mai uno né uno giusto e uno sbagliato. In questo periodo mi trovo idealmente nella Bruxelles del XIX, fra le mura di un collegio, fra professori che cercano se stessi e insegnanti donne incastrate in un'epoca che le rende fragili e manipolabili. Mi piace. Mi piace perché l'ha scritta Charlotte Brontë questa storia ed è magistralmente scritta, in particolare in certi passaggi. Stamattina ho riso fino alle lacrime (letteralmente, fino alle lacrime) per come descrive il disprezzo del professore inglese nei riguardi delle allieve fiamminghe. Magistrale, malgrado appartenente a un tempo che non esiste più. In certo senso mi sento esattamente questo libro, mi ritrovo in alcuni passaggi, mi identifico con alcune scelte dei personaggi. Io in certo senso sono "lì" e sono questa storia. È quel che rende salvifico essere lettori. :)

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