Salivo a fatica le scale di casa sua con una valigia scomoda e una borsa piena di scarpe confuse. Sul pianerottolo mi ha accolto l'odore di fritto recente e un'attesa. La porta non voleva aprirsi, qualcuno dall'interno la scuoteva senza parole e armeggiava con la serratura. Ho guardato un ragno dimenarsi nel vuoto, appeso all'estremità del suo filo.
Dopo lo scatto metallico è comparsa una bambina con le trecce allentate, vecchie di qualche giorno. Era mia sorella, ma non l'avevo mai vista. Ha scostato l'anta per farmi entrare, tenendomi addosso gli occhi pungenti. Ci somigliavamo allora, più che da adulte.
Questa è una storia che si legge in poche ore e da cui si esce con una sensazione di amaro in bocca.
Una storia amara, struggente, anche potente. Forse, se la scrittura di Donatella Di Pietrantonio fosse stata più "coraggiosa", se avesse spinto di più lasciando anche per poco quella riservatezza che è poi tipica della scrittura femminile, sarebbe stata una storia perfetta.
Il limite credo sia nella scelta della narrazione in prima persona, ancora una volta una scrittrice preferisce questo tipo di racconto dei fatti. Ormai diventato un cliché.
Un narratore onnisciente avrebbe spinto e spinto nel profondo, ci avrebbe tirato fuori sconvolti.
Il tema offre un'occasione d'oro per sperimentare certi scandagli nella psiche di una ragazzina fra i 13 e i 14 anni. Non solo si tratta dello snodo degli anni anni d'ingresso nell'adolescenza, ma all'interno di una vicenda straziante, straniante, devastante per una ragazzina.
È inevitabile fare un confronto fra questa e un'altra storia che reputo simile: Accabadora. In entrambi i casi abbiamo la storia di una bambina ceduta da una madre a una donna che madre biologica non può essere. Con tutte le conseguenze del caso.
Qui la vicenda è più dolorosa. La ragazzina a 13 anni, dopo aver trascorso tutti gli anni precedenti con una donna che si rivela essere sua zia, viene rispedita alla famiglia d'origine apparentemente senza un perché. La ragazzina, che in tutto il romanzo non ha nome, vaga nello strazio e nel dubbio, al contempo è costretta a vivere una fase di difficile adattamento alla famiglia, in condizioni economiche del tutto diverse, un livello culturale del tutto diverso. Anche un passaggio dalla città a una piccola realtà di paese.
La donna che l'ha messa al mondo è "la madre", solo in una fase più tarda viene descritta come "mia madre". Appigli affettivi sono la sorella minore, Adriana, il fratello maggiore Vincenzo, l'ultimo nato, Giuseppe, bambino particolare con una disabilità non meglio precisata (forse autismo).
Donatella Di Pietrantonio |
Il ritorno a casa, per lei che è "l'arminuta", "la ritornata", è una conquista di spazio anzitutto.
Lo spazio è ristretto, condiviso, così come la tavola attorno alla quale siedono le tante persone che le sono estranee e spesso ostili. L'altra madre invia denaro, compra libri, mobili, ma senza mostrarsi, mentre la ragazza accresce in sé il nocciolo duro di un dolore che le rende impossibile pensare alla nuova vita come qualcosa nella quale immaginarsi anche in futuro.
Adriana, la piccola da sempre cresciuta nella famiglia, possiede tutti i limiti di una bambina vissuta fra non abbienti, in una casa senza dialogo né solidarietà, ma trova in sé risorse che la rendono brillante, intelligente, sveglia e generosa.
Proprio il personaggio di Adriana in particolare fa pensare. Mentre a sua sorella maggiore il destino ha dato l'opportunità di vivere in una famiglia che le ha offerto tutto - una casa accogliente, lezioni di nuoto, di danza, una buona scuola, la possibilità di ottime amicizie - lei si è formata in un ambiente del tutto opposto, e viene facile credere che se avesse avuto le stesse opportunità, avrebbe avuto modo di valorizzare quelle prerogative insite nel suo carattere.
Non è così per tutti i bambini del mondo?
Sofia Fiore |
Le due madri sono due donne totalmente diverse - la madre adottiva viene narrata a due terzi di romanzo, quando si svela il perché del suo aver rispedito la ragazza indietro - e in definitiva questa storia è quella di un confronto tra una figlia e due madri.
L'autrice è brava a tracciare un confine netto fra le due, mettendo in scena due donne per le quali la maternità è una forza e allo stesso tempo un limite. L'una e l'altra sono essenzialmente madri prima che donne e mogli. L'una e l'altra commettono i propri errori guidate dal bisogno. Ma non svelo altro.
E gli uomini? La parte maschile della narrazione riguarda essenzialmente i due padri e il fratello maggiore. I primi due restano indistinti, sullo sfondo, due uomini molto diversi, appartenenti a due sfere esistenziali diverse. Il giovane Vincenzo è apparentemente l'eroe (mi ricorda il fratello maggiore in L'acqua del lago non è mai dolce, altro romanzo che assimilo a questo), personaggio controverso, anche ambiguo nei suoi rapporti con la sorella ritornata, ma non posso aggiungere altro.
Nel tempo ho perso anche quell'idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, la certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia.La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.
L'arminuta ha vinto il Premio Campiello nel 2017 e diversi altri. Ha venduto quasi 200.000 copie ed è tradotto in 14 lingue. Donatella Di Pietrantonio, odontoiatra pediatrica con la passione per la scrittura, è una delle scrittrici più quotate e apprezzate nel nostro Paese. Attualmente promuove il terzo dei suoi libri maggiori, dopo Bella mia e L'arminuta, Borgo sud.
Dal romanzo è stato tratto un film di prossima uscita, con la grandissima Vanessa Scalera nel ruolo della madre e Sofia Fiore nel ruolo della protagonista. Non dimentichiamo lo spettacolo teatrale, poi, prodotto dal Teatro Stabile d'Abruzzo, tenutosi due anni fa e interrotto purtroppo dalla pandemia. Qui sotto il trailer.
Potrebbe essere un YA, ma non lo è. Forse solo in potenza. Quali altri romanzi sull'adolescenza sofferta vi vengono in mente?
Lessi L'Arminuta qualche mese fa, quando ero alla ricerca di autrici contemporanee a me sconosciute. Mi colpì l'assenza del nome, mi risposi che L'Arminuta era una nessuna e centomila, per citare Pirandello. Una scelta forte che mi ha colpito. Gli uomini sono deboli o malvagi quasi tutti, come spesso accade nella scrittura femminile (indugio anche io su questo tema, mi rendo conto) un senso di inadeguatezza che sentiamo e che interroga l'universo maschile. A me è piaciuto. Sulla scelta della prima persona e della storia, sono un pò stanca di questo flusso di narrativa tutta uguale cui in qualche modo ha dato il via la Ferrante, sulle bambine e la nostrano crescita. Chissà che non sia possibile presto leggere qualcosa sulla durezza di esserne donne oggi, quando pensiamo di essere al riparo o di poterci rifugiare nel passato per non dover interrogare il presente. Grazie per questo post che mi ha fatto riflettere molto
RispondiEliminaSì, questo ripetersi della narrazione in prima persona, che inevitabilmente finisce col rendere simili storie che invece sarebbero del tutto diverse...
EliminaPoi trovo un po' limitante l'assenza dell'elemento maschile. In effetti il relazionarsi uomo - donna si relega fin troppo alla narrazione di storie d'amore, divorzio, casi di stolking, ecc. Ma dove sono finiti i rapporti fratello - sorella, padre - figlia? Questi romanzi, benché piacevoli, hanno in sé un limite.
Non ho letto L'Arminuta quindi non posso giudicare il romanzo in particolare,quello che però mi colpisce è che in parecchi ma davvero parecchi romanzi recenti scritti da autrici contemporanee le figure maschili appaiano spesso come figure indistinte molto lontane dalla vicenda narrata.
RispondiEliminaCome osservavo proprio nel commento a Elena.
EliminaEtà delicata quella fra i 13 e i 14 anni. Non si sa ancora molto di noi stessi e le pulsioni interiori vanno a duemila. Se poi ci aggiungiamo le storie dei rapporti con i genitori...figurati! Non conoscevo il libro e neanche l'autrice, anche se credo di aver letto qualche recensione sui giornali. Le figure maschili di oggi (e concordo in questo con Nick Parisi) mancano di tante cose, sono figure lontane, distanti e che hanno non pochi problemi con se stessi.
RispondiEliminaBella la narrazione del post che aiuta a capire il libro anche nell'ottica di prenderlo prima o poi per leggerlo.
Un salutone
La bellezza della storia è proprio tutta lì. La "ritornata" in fondo è una bimba smarrita e infelice. Costruirsi un'identità è una lotta quotidiana. Grazie come sempre. :)
EliminaLe belle vacanze ormai son lontane, stanno andando nel dimenticatoio, ed ho riaperto il blog scrivendo di questa estate.
EliminaUn salutone e alla prossima
RispondiEliminaL’adolescenza è sempre una fase molto sofferta della vita, è un romanzo che mi piacerebbe leggere, spero presto.
Sono certa che potrebbe piacerti.
EliminaHo il libro da anni nella mia libreria, ma ancora non l’ho letto. Lo volevo, perché ero curiosa, ma l’ho sempre messo in coda, non so come mai: un pregiudizio sul titolo? Sul fatto che avesse vinto un premio prestigioso? Su quella scelta solita (contro cui, ormai, mi batto da un pezzo) del punto di vista in prima persona? Non lo so, ma credo che finiti i libri che ho in lettura,forse, lo vado a ripescare.
RispondiEliminaIo avevo in mente di leggerlo da tanto tempo, lo avevo acquistato lo scorso anno, in quell'onda d'entusiasmo da acquisto con la carta del docente :)
EliminaPotrebbe piacerti, ma penso che potresti apprezzare ancora di più tutta la prima parte di Accabadora.
No, Accabadora l’ho letto anni fa e non mi era piaciuto per niente.
EliminaConosco l'autrice di nome ma non ho mai letto nulla di suo. Questo titolo me lo segno di sicuro perchè dalla tua recensione mi ispira davvero un sacco!
RispondiEliminaGrazie allora per averla apprezzata ed essertene fatta ispirare. :)
EliminaDa madre adottiva questa storia di una figlia adottiva rispedita indietro come un pacco postale mi genera un'istintiva repulsione. Oddio, sicuramente l'autrice ha fatto studi approfonditi su casi simili (ma quando è ambientato? Perché credo che almeno dagli anni '60 quello che descrivi è un ammasso di reati che la metà basta...), però, ecco, non so, d'istinto diffido. D'altro canto qualche mese fa mi sono imbattuta in Stabat Mater, dove abbiamo un'orfana alla ricerca delle proprie origini nella Venezia del '700 e quel romanzo mi ha profondamente toccata e commossa.
RispondiEliminaNon ho letto L'arminuta e nemmeno Accabadora. Incuriosita dal motivo per cui l'arminuta viene rispedita a casa, sono andata alla ricerca dello spoiler in rete. Mi aspettavo la gelosia dell'altra madre, che magari avesse sorpreso l'altro padre guardare l'arminuta con sguardo diverso, visto che in adolescenza la bambina diventa donna. Per un attimo infatti mi è tornato in mente un pezzo del film White Oleander (cast stellare: Michelle Pfeiffer, Robin Wright, Renée Zellweger): la protagonista minorenne, con la madre in carcere accusata di omicidio, viene inviata in affido presso una famiglia e il compagno della madre affidataria inizia a corteggiarla.
RispondiEliminaMa no, nel caso dell'arminuta la spiegazione è molto più semplice, anche se, per quel che ho letto, poco verosimile. Credo poco a questo genere di miracoli.
Romanzi sull'adolescenza sofferta? Non so se si legga ancora a scuola, nella mia era geologica c'era "Volevo i pantaloni" di Lara Cardella.